Egregio
Direttore,
un’eventuale uscita dell’Italia dall’euro sarebbe criminale. Se si
tornasse alla lira, a fronte di qualche vantaggio per le industrie
esportatrici e per i loro profitti, i cittadini subirebbero autentiche
stangate sul pieno di benzina e sulle bollette della luce e del gas
(petrolio e gas si comprano in dollari, e con una lira svalutata
costerebbero più del doppio). Ma in fondo questo sarebbe il male minore.
Quello che i fautori dell’uscita dall’euro dimenticano (come ad esempio
il sig. Omar Valentini da Salò, nella lunga lettera pubblicata da
Bresciaoggi il 19 aprile) è il rimborso degli interessi sul debito
pubblico. Alla fine del 2013 l’Italia era indebitata per 2.069.028 milioni
di euro, e al tasso d’interesse medio del 2013 sui titoli di Stato, il
2,08%, ciò comporta una spesa annua d’interessi di circa 40 miliardi di
euro, (prima il tasso d’interesse era molto più alto, ma grazie ai
governi Monti e Letta è alquanto diminuito). Con l’uscita dall’euro e
la conseguente svalutazione della lira, nella migliore delle ipotesi il
costo degli interessi raddoppierebbe, o forse anche triplicherebbe (l’ammontare
esatto dipenderebbe dall’entità della svalutazione della lira che sarà
determinata dai mercati internazionali). Per farvi fronte lo Stato dovrebbe
aumentare enormemente le tasse (al punto che le recenti tasse come l’IMU e
simili sembrerebbero lieti ricordi) oppure non avrebbe più soldi per pagare
scuole, ospedali e pubblici dipendenti. Entreremmo in una crisi così grave
che, al confronto, la situazione della Grecia sembrerebbe un paradiso! Ecco
perché uscire dall’euro sarebbe una follia.
Una domanda sorge spontanea: perché il sig. Valentini anziché sproloquiare
in lunghe e frequenti lettere al direttore, non si studia solo un poco di
economia? Ne beneficerebbero i suoi pochi lettori, tra cui il sottoscritto,
che forse presi da una sottile vena di masochismo, continuano a prestargli
attenzione.
Maurilio Lovatti (Brescia)
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