Franco Manni

 

 

Le virtù cardinali

 

Problemi e Temi

 

 

  • il canto primo del Purgatorio di Dante Alighieri:

Lo bel pianeto che d'amar conforta
faceva tutto rider l'orïente,
velando i Pesci ch'erano in sua scorta.

I' mi volsi a man destra, e puosi mente
a l'altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch'a la prima gente.

 

Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
oh settentrïonal vedovo sito,
poi che privato se' di mirar quelle!

Dante punta sul “vedovo”... e sulla “prima gente” . La nostra vita è al di sotto del raggiungimento delle Virtù Cardinali (VC)... nel nostro “sito” in primis noi stessi e poi chi ci circonda non le abbiamo... anche se l'amore che rampolla in noi (“lo bel pianeto”, cioè Venere) ci fa volgere ad esse... E poi - nei versi che seguono -  sottolinea la laicità e l'anticonformismo, indicando nel “veglio solo” che Virgilio e Dante subito incontrano, e cioè  il pagano suicida Catone,  una persona che ha queste 4 virtù...

  • un discorso etico forte recente che ha raggiunto tante persone è il discorso di Steve Jobs ai laureandi di Harvard... il primo consiglio riguarda la Giustizia  (le fasi delle vita e il loro contributo), il secondo riguarda la Forza (la pazienza nel lutto della perdita e l'audacia nell'aggredire il futuro), il terzo riguarda la Saggezza (vivere il presente nelle deliberazioni individuali) … e se manca un quarto consiglio in lui, riferibile alla Temperanza, beh... potevamo aspettarcelo da un californiano  della generazione dei figli dei fiori...!
  • le reazioni positive di coloro cui ho proposto questo Corso: ah... è formativo mi interessa...
  • le reazioni negative: ah … è catechismo , non mi interessa...
  • una prima mia motivazione: che si incontra con le reazioni positive degli altri cui lo ho proposto... la filosofia deve insegnare e trasmettere idee nuove per chi le si accosta… non essere uno show di paroloni più o meno fascinosi in un duetto narcisista tra oratore e pubblico.. no! Deve esser formativa... come diceva Croce: «Nisi utile est quod agimus, stulta est gloria»
  • una seconda mia motivazione: che vuole reagire alle reazioni negative di cui sopra … catechismo ? No !...piuttosto il corso presenta la storia della filosofia...   Gli Antichi Greci,  e Tommaso d'Aquino, sì, ma che in questa trattazione ha come guida di gran lunga principale non Agostino ma Aristotele... Motivazione di combattere la ignoranza... fare vedere un po' che tutto è nothing but history... seguire il mio hegelo-crocianesimo...
  • una terza mia motivazione : per decenni … almeno dal 1991 quando ho cominciato il mio libro... ho meditato per me stesso sulle VC... la psicanalisi mi ha dato il messaggio delle VC... (poi è stata anche altro e cioè  “teologale”... il dottor De Masi, etc)... Ora come sia come “carattere” personale, sia come “spirito filosofico” io , Franco Manni, sono un insistente  “critico dei luoghi comuni” e vedo – per es. -  la ideologia italiana contemporanea, la quale dalla sua parte “marxista” disprezza tutte le VC come in generale disprezza il discorso etico in sé stesso, e dalla  parte “cattolica” le perverte (la saggezza in cautela, la giustizia in buonismo, la forza in prepotenza, la temperanza in ascesi mortificante)  … Ecco che che allora io – viste queste cose - voglio dire, esprimere, argomentare  la mia critica !
    Perché però ora al ventesimo corso serale di filosofia ? … in un certo senso  questo segna per me la “fine di un ciclo”... ora da sei-otto mesi è diventato principale per  me il discorso delle virtù “teologali” (intese non in senso catechistico) ... forse per questo che come per me si chiude un lungo ciclo della mia vita.... e lo voglio sistematizzare, e giudicare e condividere...

* * *

  • le VC sono il cardine attorno al quale, come vedremo, si raggruppano tutte le altre virtù e sono umane, cioè impiantate su ciò che di più umano c'è nell'uomo, e cioè la ragione... (non dico ciò che c'è di migliore, ma di più proprio, caratteristico... esempio del bambino verso il genitore o dell'individuo rispetto alla società e allo stato...)
  • i quattro problemi di condotta pratica cioè problemi di azione e non problemi intellettuali riguardanti cosa vogliamo sapere (come per es. : perchè Hitler ha attaccato gli USA?;  come si sono estinti i dinosauri?; quanti sono in Italia gli uomini che fanno i mestieri di casa? ; quale sarà il meteo di domani? ; chi era il mio vero padre?), ma  riguardanti cosa vogliamo fare noi  nella  e della nostra vita …
  • il problema della Giustizia: i rapporti interpersonali... con le persone  X,Y, Z come è andata? Mi sono sottomesso? Ho idealizzato? Sono stato sedotto? (ho sedotto?), Ho comunicato? Mi sono nascosto? Ho mentito o quantomeno esagerato? Sono stato maltrattato? Ho maltrattato? Sono stato ignorato? Ho dimenticato, omesso? Sono in “debito”? Sono in “credito”?...
    Problema che si allarga sia verso le parti inconsce della personalità (per esempio complesso di Edipo e le tipologie archetipiche, come i Genitori, i Maschi/le Femmine, i Giovani, i Benefattori/i Persecutori), sia verso la varietà delle situazioni (rapporto a due o rapporto a tre cioè di gruppo), sia verso la sfera pubblica (il mio comportamento nei doveri lavorativi, verso la società e la politica)...
  • il problema della Forza: del rapporto coi Mali della Vita... come affrontarli regolando giustamente il Timore (paura, disperazione) e l'Audacia (iniziativa, aggressività, speranza)... affrontare gli Ostacoli e i Nemici e sostenerne l'urto... sia nello “attacco” (Coraggio) sia nella “difesa” (Pazienza, Fermezza) …
    mali di tipo diverso come l'odio e l'invidia e la calunnia altrui, o la minaccia e l'intimidazione, o la malattia e la morte, e il licenziamento e la povertà, e la dimenticanza  e il disprezzo, e l'invadenza altrui e la solitudine... con varie reazioni sentimentali da regolare (diminuire o promuovere) : terrore, vergogna, senso di colpa, impazienza, impulsività, spericolatezza, baldanzosità ...
    Con questa X persona, o in quella Y  situazione, sono stato vile, coraggioso, debole, spericolato, fermo, cedevole, resistente, oscillante, costante?
  • il problema dell'Equilibrio (Temperanza): la gestione dei piaceri e dei dolori... di vario tipo come quelli corporei (golosità e dieta, fantasie sessuali), ma anche lo “amaro piacere” e il “dolce dolore” nell'Ira e nel risentimento, e i piaceri e i dolori nella superbia e nella umiltà, e nella spudoratezza e nel pudore, nella mansuetudine e nella crudeltà, nella curiosità e nella noia... nell'attività e nel riposo e nella iperattività e nell'inerzia, nella buffoneria, nella ricreazione del  gioco,  nella cupezza e seriosità...
    Sono incontinente e sregolato? Mi controllo con sforzo o con naturalezza? Sono insensibile e frigido? Sono cupo o di buon umore? Sono affabile o freddo?
  • il problema della Saggezza: è quello del pensare !.. pensare non per teorizzare, ma per agire, e agire non nel campo delle tecniche, delle competenze, delle abilità, ma in quello delle altre tre VC... l'agire morale visto nel suo aspetto di pensiero pratico, cioè volto a deliberare e dare a me stesso ordini (decidere) … non in base tanto a teorie quanto alla mia stessa esperienza passata della mia vita e – nel presente –  sperimentando io... Pensare per trovare i mezzi particolari di cui ho bisogno per agire e dunque osservando la particolari circostanze concrete del presente, pensare a quei mezzi realistici che mi si offrono qui e ora come mezzi /strumenti/tattiche a me possibili e come mezzi efficaci (opportuni e fattivi)  verso lo scopo... cioè lo scopo di come essere Giusto e Forte e Equilibrato ora !
    Lo scopo (che sono le altre tre virtù ) è importante come lo sono i mezzi per raggiungerlo... se non è retto lo scopo, si hanno due pseudo-saggezze : la Furbizia Machiavellica (che ordina opportunamente i mezzi efficaci, ma in maniera simulata ed ipocrita) e la Saggezza di Questo Mondo (il “saper vivere” convenzionale e conformista e superficiale, che ordina sì i mezzi opportuni, ma dimenticando che esistono degli scopi profondi ed “ultimi” nella vita)... nella “furbizia” si deforma il pensiero, nella “saggezza di questo mondo” lo si mutila gravemente...
  • il tema delle Virtù nella storia del pensiero filosofico: il Sistema Antico delle virtù : dianoetiche ed etiche...  quello Medievale: teologali e umane (dianoetiche ed etiche)... quello Contemporaneo: sullo sfondo le virtù , in primo piano la interpersonalità
  • gli autori e il programma delle lezioni... dopo questa lezione introduttiva, tratterò brevemente Platone e Aristotele e poi gli Stoici e i pensatori tardo antichi latini,  ed  estesamente invece Tommaso d'Aquino, ma integrandolo spesso con concetti della psicanalisi di Freud, e attualizzandolo continuamente con esempi tratti dalla mia vita e dalla vita della società italiana di oggi...

 

 

Platone, Aristotele e dopo....

 

  • Platone (428-347 a. C.) parla di queste 4 VC nel Fedro … il mito della biga alata però riguarda l'individuo e le facoltà dell'anima: l'auriga la parte razionale perfezionata dalla Saggezza, il cavallo “celeste”  la parte irascibile perfezionata dalla Forza... il cavallo “terrestre”  la parte concupiscibile perfezionata dalla Temperanza. Rimane qui esclusa la Giustizia. È come se Platone qui ci dicesse che il cavallo migliore riguarda le lotte della vita, il peggiore il cercare i vari piaceri della vita... e che la virtù del migliore è spostata sull'incitarlo, mentre quella del peggiore sul  frenarlo... l'auriga deve tenere assieme i due cavalli per non far sbalestrare la biga... deve tener conto di una tendenza dell'uomo a condurre una vita nel piacere e una tendenza a condurre una vita nella lotta ...tendenze contrastanti tra loro...
  • ne La Repubblica ( e anche nel dialogo tardivo Le Leggi) Platone analizza lo Stato e i suoi tre gruppi sociali : i guardiani/governanti, i poliziotti/soldati, i produttori. Al primo   appartiene la Saggezza/Sapienza (Platone non distingue le due parole), al secondo  la Forza, a tutti e tre  ma specialmente al terzo  (che costituisce la grande maggioranza della popolazione) la Temperanza. La Giustizia emerge come una armonia a posteriori: quando i tre gruppi perseguono le proprie virtù speciali con successo, emerge la Giustizia. “Giusto” è comportarsi ciascuno per quel che è, per la missione che ha, non tanto per come si relaziona alle altre persone... la Giustizia porta allo stato (comunità) prospero, che sta bene, e in cui gli individui che lo abitano stanno bene...la Giustizia è come il frutto, il premio, la felicità come risultato dell'esercizio delle altre virtù... Qui Popper millenni dopo percepì una somiglianza col marxismo... c'è come un fine ultimo “immanente” nella vita umana, un “paradiso in terra”... è il politicismo (totalitarismo) di Platone, e la sua diversità da Aristotele...
  • Avete mai pensato alla nostra società italiana di ora come ha fatto Platone e cioè:  1) dal punto di vista morale ( e, se no, da quale altro?)  e  2)  in specifico come lui assegnando a particolari gruppi sociali particolari virtù? E  3) se sì , quali ? provate in un esercizio a scrivere le risposte  a queste tre domande...
  • Aristotele (383-321 a. C.) imposta la sua Etica a Nicomaco descrivendo tre gruppi di Beni umani : esterni (materiali come aria e cibo, la pace, le persone amiche), del corpo (salute, longevità, forza e agilità fisiche, bellezza), dell'anima (le virtù che perfezionano i sentimenti, chiamate etiche o morali, e le virtù che perfezionano la ragione, chiamate dianoetiche o intellettuali).
    In tutta l'Etica Aristotele cerca di mostrare come nei gruppi di beni il primo sia necessario al secondo, il secondo al terzo, e - nel terzo -  le virtù morali siano necessarie a quelle intellettuali.
    Inoltre parlando del Bene Più Grande e cioè la  felicità descrive tre “tendenze” di condotta  nella vita umana (che possono anche produrre “stili di vita”) : verso il piacere, verso le attività, verso la conoscenza.
    In tutta l'Etica Aristotele cerca  di mostrare come le tre tendenze della vita siano compatibili ed integrabili tra loro.
    Nell'etica aristotelica abbiamo dunque un tentativo “ottimista” di integrare l'uomo e il mondo esterno,  ossia – detto con più precisione - le virtù (capacità mentali umane) col mondo cosale ed interpersonale esterno.
  • Nell'Etica Aristotele tratta di fatto delle VC,  ma senza distinguerle specificamente dalle altre virtù: tratta nel libro terzo del Coraggio e della Temperanza, nel libro quinto della Giustizia, e nel sesto della Saggezza (assieme alle altre virtù dianoetiche cioè intellettuali)
  • Egli tiene invece a : 1) metter la Saggezza in un gruppo (dianoetiche) e le altre tre in un altro gruppo (etiche); 2) a distinguere all'interno del  gruppo delle dianoetiche la Saggezza dalla Sapienza (distinzione ignota a Platone che usa indifferentemente le due parole  phrònesis e sophìa) ; 3) ad assegnare alla Saggezza un compito specifico nel costituire in sé stesse e nel collegare tra di loro  le virtù etiche e – dunque – anche le altre tre virtù principali di cui parlava Platone
  • su Aristotele non mi soffermo a lungo perchè la maggior parte del suo pensiero su questo argomento lo tratterò parlando di Tommaso nella seconda parte della Summa è ripresa quasi tutta l'Etica Nicomachea...
  • differenza tra Sapienza e Saggezza: l'equivoco della nostra cultura italiana marxista (Marx influenzato da Platone e da Rousseau) ci porta spesso alla confusione (la Sapienza,  non avendo una Saggezza distinta da sé stessa,  ha scopi pratici – è una Ideologia! -  ma generali) e non integrazione : non avendo una consapevolezza della Saggezza ci costruiamo sì, necessariamente, una Saggezza personale (infatti dobbiamo vivere cercando le virtù!)  ma scissa da e a volte in contrasto con la Sapienza/Ideologia … per es pensiamo al contrasto tra la ricchezza privata  dei Politici Comunisti e la Ideologia che condanna le ricchezze private... o il machiavellismo della politica comunista di Togliatti e il bisogno di avere mezzi buoni coerenti con fini buoni... e al disprezzo ideologico per la impresa capitalista e l'apprezzamento di essa (la azienda Feltrinelli!) …
  • esercizio: provate a pensare ad esempi di  non-integrazione tra le massime pratiche una “vostra” individuale personale “Saggezza”  e le massime pratiche  dedotte da una  “Ideologia”che almeno in parte vi influenza...
  • differenza tra Sapienza e Saggezza: in Aristotele invece le due virtù sono distinte e ciò porta all'apprezzamento non marxista (“sovrastruttura”!) per le scienze viste come fini a sé stesse, e non “serve” della società e della politica (cfr. i bellissimi saggi di Norberto Bobbio nel suo libro  Politica e cultura sull'asservimento comunista della cultura alla politica) ... e dunque non preordinabili, libere ed aperte... e la Sapienza che ne sistematizza i principi è “aposterioristica”... è una Visione del Mondo ma non è una Ideologia (non è pratica) … l'azione quotidiana (Saggezza) è un progetto da attuare volta per volta, mentre invece la Visione del Mondo (Sapienza) non è un progetto da attuare ...
  • Cicerone (106-43 a. C.) sintetizzò e divulgò le idee di Platone e di Aristotele: “Ciascun uomo dovrebbe comportarsi in maniera tale che la Forza appaia nelle fatiche e nei pericoli, la Temperanza nei piaceri, la Saggezza nella scelta tra beni e mali, la Giustizia nel dare a ciascuna persona ciò che si merita” (De Finibus, V, xxiii, 67; cf. De Officiis., I, ii, 5). Questo significato di Giustizia si allontana da quello di Platone e - come prendendo il caratteristico contributo dello spirito giuridico di Roma – lascerà in eredità la formula definitoria “unicuique suum tribuere” alla filosofia cristiana tardo-antica e medievale: la Giustizia non consiste nell'armonico reciproco interfacciarsi delle altre tre Virtù, ma consiste in una certa qual “eguaglianza” dei  rapporti interpersonali .
  • l'anonimo autore del libro veterotestamentario  chiamato libro della   Sapienza (scritto direttamente in greco circa a metà del I secolo a. C.) composto sotto forte influenza ellenistica ripete in un elenco breve le 4 virtù platoniche e usa le stesse parole phronesis (prudentia, Saggezza), dikaiosùne (iustitia, Giustizia) , sophrosùne (temperantia, Equilibrio), andréia (fortitudo, Forza)
  • Filone di Alessandria (15 a C. - 45 d. C.) nel suo commento a Genesi paragona allegoricamente le 4 virtù di cui parlava Platone ai 4 fiumi del giardino di Eden : Pison, Ghicon, Tigri, Eufrate

 

  • Lo Stoicismo  - guardiamo per esempio le  fonti romane rimasteci in Epitteto (55-135 d. C.) e Marco Aurelio (121-180 d. C.) - ci mostra un cambiamento : il primo filosofo era a Roma uno schiavo e il secondo un imperatore quando l'impero romano era all'apice della sua potenza, ma entrambi – indipendentemente dalle loro situazioni di vissuto personale – abbandonano   il discorso platonico-aristotelico delle virtù che si interfacciano col successo vitale nel contesto della comunità interpersonale... abbandonano il discorso delle virtù che si interfacciano con lo “affermarsi” dell'individuo virtuoso nella società/stato (Platone) e nell'ottenimento degli gli altri beni, cioè dei beni che non sono virtù (Aristotele) : beni di fortuna esterni (come pace, prosperità economica, amici) e beni di fortuna del corpo (come salute, Forza fisica, longevità)...
    gli Stoici  - invece - abbandonano  tale linea... per loro gli unici beni sono le virtù... questi filosofi sono come rassegnanti  alla contrapposizione e lotta tra Virtù e Fortuna... essi sono come i progenitori (anche se nel segno opposto!) di quell'Hegel che millenni dopo scriverà: “nella lotta tra la virtù e il corso del mondo vince sempre il corso del mondo”... Hegel con tali parole satireggiava le “anime belle” romantiche e l'etica del dovere di Kant, sottintendendo il pensiero “e dunque muoia la virtù!”, mentre gli Stoici – pur condividendo lo schema della contrapposizione -  sottintendevano il pensiero opposto: “e dunque, beh, muoia il mondo!”
    (“pereat mundus et fiat libertas”)
  • il loro distaccare le  virtù dal successo mondano distingue i filosofi Stoici dal pensiero Classico e – assieme alla loro fede in una “prònoia” (provvidenza) nel Logos Universale – anticipano la tematica cristiana della necessità, sì, ma – assieme -   insufficienza delle virtù umane ...
  • Ambrogio (339-397 d. C.) è il primo ad usare la parola “cardinali”, con riferimento  alle 4 beatitudini nel vangelo di Luca  ( 1) i poveri, 2) gli affamati , 3) i piangenti, 4) gli odiati, disprezzati, insultati ) viste come le “più importanti” nel confronto con l'elenco nel vangelo di Matteo che è di 8 beatitudini : “la povertà appartiene alla Temperanza, che non cerca cose allettanti; la fame alla Giustizia, poiché chi ha fame ha compassione, e chi compatisce soccorre; il pianto appartiene alla Prudenza, che ha compito di compiangere le cose transitorie; il sopportare  l'odio degli uomini appartiene alla fortezza" (In Lucam expositio, VI). Pochi anni dopo la parola è usata da Agostino di Ippona (354-430 d. C.) e da Gerolamo (347-420 d. C.). Comincia dunque con questi tre Padri Latini una tradizione di patristica e poi scolastica medievale “latina” che mantiene il quartetto platonico assimilandolo alla Bibbia cristiana, ma che ha perduto il contatto con le opere esoteriche di Aristotele, non sparite, però  non in possesso dell'Occidente Latino, che invece possedeva i Dialoghi di Platone.
  • non mi soffermo sulle ricorrenze del tema delle VC negli autori medievali fino al XIII secolo, vista l'economia dei tempi e visto lo scopo più teoretico che storico di questo corso
  • nel XIII secolo attraverso traduzioni dall'arabo (che erano traduzioni dal siriaco che erano traduzioni dal greco) arrivarono alcune opere di Aristotele all'Occidente Latino che le ignorava. Tra queste l'Etica a Nicomaco. Ecco dunque che Alberto di Colonia detto Magno cominciò a unire il tema tradizionale delle 4 virtù platoniche con le profonde e - per gli europei - nuove riflessioni di Aristotele. E Tommaso d'Aquino, il   geniale discepolo di Alberto, nella seconda parte della sua Summa Theologiae scrisse la più sistematica e profonda teorizzazione di etica filosofica mai scritta prima e mai poi.

 

Platone, La repubblica, libro quarto

 

Credo che la nostra città, se davvero è stata fondata su basi giuste, sia perfettamente buona».
«Per Forza», disse.
«Perciò è evidente che essa è sapiente, Coraggiosa, temperante e giusta».(8) «è evidente».
«Di conseguenza, qualsiasi di queste virtù troveremo in essa, il resto sarà ciò che non avremo trovato?»
«Precisamente».
«è come nel caso di quattro oggetti: se ne cercassimo uno in un posto qualsiasi, ci basterebbe trovare quello per primo, ma anche se riconoscessimo prima gli altri tre, questo ci permetterebbe appunto di identificare l'oggetto che stiamo cercando, poiché è evidente che potrebbe trattarsi soltanto di quello rimasto».
«La tua affermazione è giusta», disse.
«E non bisogna condurre allo stesso modo anche la ricerca su queste virtù, dal momento che sono quattro?»

«è chiaro».
«Ebbene, la prima virtù che mi sembra qui manifesta è la Sapienza: e attorno ad essa appare qualcosa di strano».
«Che cosa?», domandò.
«La città che abbiamo descritto mi sembra veramente saggia; infatti sa prendere buone decisioni, no?»

«Sì ».
«Ed è evidente che proprio questa virtù, il saper ben deliberare, è una scienza, perché le decisioni accorte non si
prendono con l'ignoranza, ma grazie alla scienza
».
«è ovvio».
«Ma nella città le scienze sono molte e di vario tipo».
«Come no?»

«Quindi la città dev'essere definita sapiente e capace di ben deliberare grazie alla scienza dei falegnami?»

«Nient'affatto per questa!», rispose. «Al limite la si potrà definire esperta di falegnameria».
«Pertanto la città non dev'essere chiamata sapiente grazie alla scienza dei mobili in legno, se sa decidere come costruirli nel modo migliore».
«No di certo».
«E allora? Forse grazie alla scienza degli oggetti in bronzo o a un'altra simile?» «No, qualunque sia», rispose.
«Nemmeno grazie a quella che fa nascere i frutti dalla terra; al limite sarà esperta nell'agricoltura».
«Mi pare».
«E allora?», domandai. «Nella città che noi abbiamo appena fondato esiste in alcuni cittadini una scienza che non prende decisioni su una questione particolare, ma sulla città nel suo complesso, sul modo migliore intrattenere relazioni con se stessa e con le altre città?»

«Sì , ce n'è una».
«Qual è», chiesi, «e chi la possiede?»

«è la scienza dei guardiani», rispose, «e risiede in questi governanti che prima abbiamo chiamato guardiani perfetti».
«E che nome dai alla città grazie a questa scienza?»

«La chiamo capace di giuste deliberazioni», rispose, «e realmente saggia».
«Credi allora», domandai, «che nella nostra città ci sarà un numero maggiore di fabbri o di questi veri guardiani?»

 «Di gran lunga di fabbri!», esclamò.
«Quindi», continuai, «i guardiani saranno molto meno numerosi anche di tutti gli altri che traggono il loro nome dalla scienza che possiedono?»

«Certamente».
«Pertanto la città fondata secondo natura sarà nel suo complesso sapiente grazie alla sua classe e alla sua parte più piccola, quella che domina e comanda, e alla scienza che in essa risiede; e a quanto pare è per natura esiguo questo elemento, al quale tocca in sorte l'unica scienza tra tutte che merita il nome di Sapienza».
«Parole verissime», disse.
«Dunque, non so come, abbiamo trovato la prima di queste quattro virtù, e la parte della città in cui ha il suo fondamento».
«Mi sembra che la scoperta sia soddisfacente», disse.
«Quanto poi al Coraggio, non è affatto difficile scorgere in che cosa consiste e in quale parte della città deve risiedere perché essa meriti il nome di Coraggiosa».
«E come?»

«Chi», domandai, «potrebbe definire una città vile o Coraggiosa senza considerare quella parte che combatte e scende in campo per essa?»

«Considerando altri elementi, nessuno», rispose.
«Non credo», dissi, «che gli altri abitanti, vili o Coraggiosi che siano, avrebbero il potere di determinare la natura della città».
«No di certo».
«Quindi una città è Coraggiosa grazie a una sua parte, perché in essa possiede la facoltà di conservare costantemente la propria opinione su ciò che è da temere, in perfetta conformità con i precetti impartiti dal legislatore nella sua opera di educazione. Non è questo che tu chiami Coraggio?»

 «Non ho ben capito ciò che hai detto», rispose; «ripetilo».
«Io affermo che il Coraggio è una forma dì salvaguardia».
«Quale salvaguardia?»

«Quella dell'opinione, che attraverso l'educazione la legge crea in noi, sulle cose temibili e sulla loro natura; e ho definito completa salvaguardia di questa opinione il conservarla nel dolore, nel piacere, nel desiderio, nella paura, senza mai rigettarla. E posso illustrarti il mio pensiero con un'immagine simile, se vuoi».
«Certo che lo voglio!».
«Dunque», incominciai, «tu sai che i tintori, quando vogliono tingere la lana in modo che diventi porpora, prima scelgono tra tanti colori un'unica specie, il bianco, poi la predispongono con grande cura perché si impregni il più possibile del colore, e solo allora la tingono. La lana tinta in questo modo non si scolora, e il lavaggio con o senza sapone non riesce a toglierle la sua lucentezza.
Altrimenti sai che cosa succede, se si tinge la lana di un altro colore o non si prepara bene quella bianca».
«So che stinge e ha un effetto ridicolo», rispose.
«Supponi dunque», continuai, «che anche noi, per quanto ci era possibile, facessimo un lavoro del genere quando sceglievamo i soldati e li educavamo nella musica e nella ginnastica; pensa che il nostro unico scopo era di persuaderli ad accogliere in sé nel miglior modo possibile le leggi come una tintura, affinché la loro opinione sulle cose temibili e sulle altre diventasse indelebile grazie alla natura e all'educazione adeguata che avevano ricevuto, e la loro tintura non fosse slavata da questi detersivi tanto efficaci a cancellare: il piacere, che nel produrre tale effetto è più potente di qualsiasi calestrea (9) o lisciva, il dolore, la paura, il desiderio, più forti di qualsiasi altro sapone. Questa facoltà di salvaguardare pienamente l'opinione corretta e legittima su ciò che temibile e ciò che non lo è, io la chiamo e la considero Coraggio, se tu non hai nulla da obiettare».
«Nulla da ridire», fece lui, «anche perché mi pare che la corretta opinione su queste stesse cose, se è nata senza il supporto dell'educazione, come avviene negli animali e negli schiavi, tu non la ritenga affatto legittima e la chiami in altro modo che Coraggio».
«Quello che dici è verissimo», replicai.
«E quindi ammetto che questa facoltà è il Coraggio».
«Allora ammetti che è una virtù politica», conclusi, «e sarai nel giusto. Ma ne discuteremo ancora meglio un'altra volta, se vorrai, poiché non era questo l'oggetto che ora stavamo cercando, bensì la Giustizia; quindi, per quanto riguarda la ricerca del Coraggio, credo che possa bastare».
«Hai ragione», disse.
«Ebbene», ripresi, «restano ancora due virtù da individuare nella città: la Temperanza e quella per cui conduciamo l'intera ricerca, la Giustizia».
«Precisamente».
«Come possiamo allora trovare la Giustizia, in modo da non doverci occupare della Temperanza?» «Io non lo so», rispose, «e non vorrei neppure che essa apparisse per prima, se poi non prenderemo più in esame la Temperanza; anzi, se vuoi farmi un favore, esamina questa prima che quella».
«Certo che lo voglio», ribattei, «perché altrimenti commetto un'inGiustizia».
«Allora comincia il tuo esame», esortò.
«è quello che sto facendo», risposi. «A vederla da qui, essa somiglia più delle precedenti a una forma di accordo e di armonia».
«In che senso?» «La Temperanza», dissi, «è una specie di ordine e di dominio su certi piaceri e desideri, come quando si dichiara che uno, non so in che modo, è "più forte di se stesso", e si usano altre espressioni analoghe che sono come le tracce di questa virtù.
Non è vero?»

 «Proprio così », rispose.
«Ma l'espressione "più forte di se stesso" non è ridicola? Chi è superiore a se stesso sarà sicuramente anche inferiore a se stesso e viceversa, poiché in tutti questi casi si parla sempre della stessa persona».
«Come no?»

«A mio parere, però», aggiunsi, «questa espressione significa che nell'anima di uno stesso individuo coesistono una parte migliore e una peggiore, e quando quella per natura migliore prevale su quella peggiore, si dice che uno è "più forte di se stesso", il che appunto è un elogio; quando invece, a causa di un'educazione sbagliata o di una cattiva compagnia, la parte migliore, sminuita, viene schiacciata dalla mole di quella peggiore, chi si trova in questa condizione viene chiamato inferiore a se stesso e intemperante, il che suona come un grave rimprovero».
«Sì , è verosimile», ammise.
«Osserva dunque la nostra nuova città», proseguii, «e vi troverai una di queste due parti: allora dirai che è giusto chiamarla superiore a se stessa, se è vero che l'essere in cui la parte migliore comanda su quella peggiore merita l'appellativo di temperante e superiore a se stesso».
«La sto osservando», disse, «e hai ragione».
«Però puoi trovarvi una grande quantità di passioni, piaceri e dolori di vario genere, soprattutto nei ragazzi, nelle donne, nei servi e in quella massa mediocre di cosiddetti uomini liberi».
«Proprio così ».
«Ma le passioni semplici e moderate, che si lasciano guidare dal raziocinio unito all'intelletto e alla corretta opinione, le troverai in pochi cittadini, cioè in coloro che sono forniti della migliore natura e della migliore educazione».
«è vero», disse.
«E non vedi che questo succede anche nella tua città e che qui le passioni della maggioranza, fatta di persone dappoco, vengono dominate dalle passioni e dall'accortezza di una minoranza di cittadini equilibrati?»

«Certo, lo vedo», rispose.
«Pertanto, se bisogna definire una città più forte dei piaceri, delle passioni e di se stessa, è proprio il caso della nostra».
«Assolutamente», disse.
«E per tutte queste ragioni non è anche temperante?»

 «Sicuro!»

 «E se mai in un'altra città i governanti e i sudditi hanno la stessa opinione su chi deve comandare, ciò si troverà anche nella nostra. Non ti pare?»

 «E come!», esclamò.
«Stando così le cose, in quale categoria di cittadini allora dirai che risiede la Temperanza? Nei governanti o nei sudditi?»

«In entrambi», rispose.
«Vedi dunque», ripresi, «che poco fa abbiamo divinato bene paragonando la Temperanza a una forma di armonia?»

 «E perché?»

 «Perché la Temperanza non agisce come il Coraggio e la Sapienza, che rendevano rispettivamente sapiente e Coraggiosa quella parte della città in cui risiedevano, ma si estende veramente sulla città intera, accordando all'unisono i più deboli, i più forti e chi sta in mezzo a questi, vuoi per intelligenza, vuoi per Forza, vuoi per numero, per ricchezza o per una qualsiasi altra di queste ragioni. Di conseguenza possiamo a buon diritto affermare che questa concordia è Temperanza, accordo naturale tra l'elemento peggiore e quello migliore su chi dei due deve comandare nella città è in ciascun individuo».
«Sono pienamente d'accordo con te» disse.
«Bene», ripresi. «Abbiamo scoperto nella città queste tre virtù, così almeno ci sembra; e quale può essere la virtù rimanente, che porterà il nostro Stato a un ulteriore perfezionamento morale? E chiaro che si tratta della Giustizia!»

 «è chiaro».
«A questo punto, Glaucone, noi dobbiamo circondare un cespuglio come dei cacciatori, facendo attenzione che la Giustizia non sfugga e si dilegui, sparendo nel nulla. è evidente che si trova qui, da qualche parte; perciò guarda bene e sForzati di scorgerla, se mai ci riuscissi prima di me, e poi riferiscimi».
«Magari!», esclamò. «Ma sarà già tanto se potrò seguirti e scorgere ciò che mi mostri».
«Invoca gli dèi e seguimi!», lo esortai.
«Lo farò, purché tu mi guidi», rispose.
«Certo che il luogo appare poco accessibile e oscuro», osservai: «è tenebroso e difficile da battere! Tuttavia bisogna avanzare».
«Sì , bisogna avanzare», confermò.
A quel punto io fissai lo sguardo ed esclamai: «Ehi, ehi, Glaucone! Forse abbiamo una traccia, e mi sembra che la Giustizia non ci sfuggirà più».
«Una buona notizia!», fece lui.
«A dire il vero», ripresi, «ci è capitata una cosa da stupidi!».
«Che cosa?»

«Da un pezzo, beato, o meglio sin dall'inizio pare che si rotoli ai nostri piedi, e noi non la vedevamo;  eravamo davvero ridicoli! Come quelli che talvolta cercano ciò che hanno in mano, così anche noi non guardavamo nella  sua direzione, ma andavamo a esplorare lontano, e per questo forse ci sfuggiva».
«Cosa stai dicendo?», domandò.
«Sto dicendo», risposi, «che a mio parere da un pezzo ne parlavamo e ne sentivamo parlare, senza accorgerci che in qualche modo i nostri discorsi vertevano su di lei».
«è lungo il proemio per chi desidera ascoltare!», commentò.
«Allora», ripresi, «ascolta se le mie parole hanno un senso. A mio parere la Giustizia è ciò che abbiamo posto come dovere assoluto sin dall'inizio, quando abbiamo fondato la città, o comunque una forma di questo dovere; se ti ricordi, abbiamo stabilito e ripetuto più volte che nella città ciascuno deve svolgere una sola attività, quella a cui la sua natura è più consona».
«Sì , l'abbiamo detto».
«Inoltre abbiamo sentito ripetere da molti, e l'abbiamo ripetuto più volte noi stessi, che la Giustizia consiste nel compiere il proprio dovere e non impegnarsi in troppe faccende».
«Abbiamo detto anche questo».
«Perciò, caro amico», seguitai, «è probabile che la Giustizia consista in certo qual modo nel compiere il proprio dovere. Sai da che cosa lo arguisco?»

«No: dimmelo», rispose.
«Mi sembra», spiegai, «che nella città, oltre alle virtù che abbiamo preso in esame, cioè Temperanza, Coraggio e Saggezza, resti ancora quella che dà alle altre la facoltà di nascere e una volta nate di conservarsi, finché è presente in loro. E abbiamo appunto detto che se avessimo trovato le altre tre virtù, quella restante sarebbe stata la Giustizia».
«è inevitabile», confermò.
«Se però», aggiunsì , «si dovesse decidere quale elemento contribuisce più di tutti con la sua presenza a rendere buona la nostra città, sarebbe difficile scegliere tra la comunanza d'intenti dei governanti, la salvaguardia nei soldati della legittima opinione su ciò che è temibile e ciò che non lo è, l'accortezza e la vigilanza nei governanti, o piuttosto il fatto che ciascuno, il fanciullo, la donna, lo schiavo, l'uomo libero, l'artigiano, il governante, il suddito, assolva il proprio compito senza impegnarsi in troppe faccende».
«Decisione difficile da prendere», disse, «come no?»

 «A quanto pare, dunque, la capacità di compiere ciascuno il proprio dovere gareggia con la Sapienza, la Temperanza e il Coraggio per la virtù della città».


 

Platone, Le Leggi, libro primo

 

chiamiamo a testimone un poeta, Teognide, (6) cittadino di Megara in Sicilia, che dice: «L'uomo fedele è stimato alla pari dell'oro e dell'argento, o Cirna, nel terribile giorno della discordia».(7) Diciamo infatti che costui nella guerra più aspra è di gran lunga migliore di quell'altro, nella misura in cui Giustizia, Temperanza, e Prudenza messe insieme al Coraggio sono migliori del Coraggio stesso preso da solo. Perché non è possibile mantenersi fedeli ed integri durante le sedizioni, se si è privi della virtù nel suo complesso:

 

Aristotele, Etica a Nicomaco, libro sesto, cap. 7

 

Noi attribuiamo la Sapienza nelle arti a coloro che raggiungono la più alta maestria [10] nelle loro arti: per esempio, diciamo che Fidia156 è uno scultore sapiente e Policleto157 un sapiente statuario, indicando qui con "Sapienza" nient’altro che l’eccellenza in un’arte. Ma noi pensiamo che ci siano degli uomini sapienti in senso onnicomprensivo e non sapienti solo in un campo particolare o in una cosa determinata, come dice Omero nel Margite158: [15]

 

"costui gli dèi non lo fecero né zappatore né aratore né sapiente in qualche altra cosa"159.

 

Così è chiaro che la Sapienza è la più perfetta delle scienze. Per conseguenza, bisogna che il sapiente non solo conosca ciò che deriva dai principi, ma anche che colga il vero per quanto riguarda i principi stessi. Così si può dire che la Sapienza sia insieme Intelletto e Scienza, in quanto è scienza, con fondamento, [20] delle realtà più sublimi. È assurdo infatti, pensare che la Politica e la Saggezza siano la forma più alta di conoscenza, se è vero che l’uomo non è la realtà di maggior valore nell’universo. Se, dunque, ciò che è salutare è diverso per gli uomini e per i pesci, mentre ciò che è bianco e diritto è sempre la stessa cosa, tutti devono riconoscere che anche ciò che è sapiente è la stessa cosa, mentre ciò che è saggio [25] è diverso. Infatti, si dice che è cosa saggia il saper considerare adeguatamente i nostri interessi particolari, ed è ad un uomo saggio che noi li affidiamo. È per questo che si dice che certi animali sono saggi, quelli cioè che mostrano di avere una certa capacità di previdenza per ciò che interessa la loro vita. È chiaro, inoltre, che non si può dire che la Sapienza e la Politica si identificano: se, infatti, [30] si chiamerà Sapienza la scienza di ciò che è utile a noi stessi, ci saranno molte sapienze, giacché non è unica la scienza di ciò che è bene per tutti gli animali, ma è diversa per ciascuna specie, come anche non c’è un’unica scienza medica per tutti gli esseri viventi. Se, poi, si dice che l’uomo è superiore a tutti gli altri animali, non cambia niente, giacché ci sono altre realtà di natura ben [1141b] più divina dell’uomo, come risulta chiarissimo, se non altro, dai corpi di cui è costituito l’universo160. Dunque, da quanto abbiamo detto risulta chiaro che la Sapienza è, insieme, scienza e intelletto delle realtà più sublimi per natura. Perciò Anassagora161 e Talete162, e gli uomini come loro, vengono chiamati sapienti [5] ma non saggi, quando si vede che ignorano ciò che è vantaggioso per loro, e si dice che essi conoscono realtà straordinarie, meravigliose, difficili e divine, ma inutili, perché non sono i beni umani che essi cercano.

La Saggezza, invece, riguarda i beni umani e le cose su cui è possibile deliberare: infatti, [10] noi diciamo che soprattutto questa è la funzione del saggio, il deliberare bene, e nessuno delibera sulle cose che non possono essere diversamente, né su quelle che non abbiano un qualche fine che sia un bene realizzabile nell’azione. L’uomo che sa deliberare bene in senso assoluto è quello che, seguendo il ragionamento, sa indirizzarsi a quello dei beni realizzabili nell’azione che è il migliore per l’uomo. La Saggezza non ha come oggetto [15] solo gli universali, ma bisogna che essa conosca anche i particolari, giacché essa concerne l’azione, e l’azione riguarda le situazioni particolari. È per questa ragione che alcuni uomini, pur non conoscendo gli universali, sono, nell’azione, più abili di altri che li conoscono, e questo vale anche negli altri campi163: sono coloro che hanno esperienza. Se, infatti, uno sa che le carni leggere sono facili da digerire e salutari, ma non sa quali sono le carni leggere, non produrrà la salute; [20] la produrrà piuttosto colui che sa che le carni degli uccelli sono leggere e salutari. La Saggezza, poi, riguarda l’azione: cosicché deve possedere entrambi i tipi di conoscenza, o di preferenza quella dei particolari.

Aristotele, Etica a Nicomaco, libro sesto, cap. 13

A proposito, poi, di Saggezza e Sapienza ci si potrebbe domandare a che cosa servano. (1) Infatti, mentre la Sapienza non considera nulla di ciò che può rendere felice [20] l’uomo (giacché non riguarda nessun divenire), la Saggezza ha proprio questo come oggetto: ma per che cosa si ha bisogno di lei? La Saggezza ha per oggetto le cose giuste, belle e buone per l’uomo, ma queste sono le cose che è proprio dell’uomo buono fare, e non è per il fatto di conoscere che noi siamo più atti a farle, se è vero che [25] le virtù sono delle disposizioni, così come non siamo più atti a metterle in pratica se conosciamo le cose sane e forti, quelle che vengono così chiamate non perché producono la Salute o la Forza, ma perché derivano da una disposizione: in realtà non siamo affatto più atti all’azione per il fatto di possedere la scienza medica o l’arte ginnica. Ma se si deve dire che lo scopo della Saggezza non è quello di possedere queste conoscenze teoriche, ma quello di far diventare virtuosi, a coloro che sono già virtuosi la Saggezza non serve a nulla. [30] (2) Inoltre, non serve neppure a coloro che non l’hanno ancora: non ha, infatti, alcuna importanza se possediamo noi stessi la Saggezza o se diamo retta ad altri che la possiedono, ma ci basterà fare come nel caso della salute: anche se vogliamo acquistare la salute, non ci mettiamo tuttavia a studiare medicina. (3) Oltre a ciò, si ammetterà che sarebbe strano se la Saggezza, pur essendo inferiore alla Sapienza176, fosse più di lei dominante: [35] infatti, l’arte che produce una cosa qualsiasi comanda e impera su ciascun prodotto. Ciò posto, su questi argomenti bisogna discutere: ora, infatti, ne abbiamo solo mostrato le aporie. [1144a] (1) Quindi, in primo luogo, diciamo che esse sono necessariamente virtù per se stesse, poiché ciascuna è virtù di ciascuna delle due parti dell’anima, anche se non producono niente, né l’una né l’altra. (2) In secondo luogo, esse producono in realtà qualcosa; ma non come la medicina produce la salute, bensì come la salute <produce se stessa>177, così [5] la Sapienza produce felicità: pur essendo, infatti, una parte della virtù nella sua globalità, per il fatto di essere posseduta e di essere in atto, essa fa l’uomo felice178. (3) Inoltre, la funzione propria dell’uomo si compie pienamente in conformità con la Saggezza e con la virtù etica: infatti, la virtù fa retto lo scopo, e la Saggezza fa retti i mezzi per raggiungerlo. /.../

(4) Per quanto, poi, riguarda il fatto che la Saggezza non ci rende più atti a compiere le azioni belle e giuste, dobbiamo ricominciare da un po’ più in alto, prendendo come punto di partenza il seguente. Come, infatti, diciamo che alcuni, pur compiendo delle azioni giuste, non sono ancora giusti, come, per esempio, coloro [15] che fanno ciò che è prescritto dalle leggi o involontariamente o per ignoranza o per qualche altra ragione, ma non per se stesso (eppure, almeno fanno ciò che si deve, cioè ciò che bisogna che l’uomo di valore faccia), così, come sembra, c’è una certa disposizione per fare ciascun tipo di azioni in modo da essere buoni, intendo dire, cioè, per compierle in base ad una scelta ed avendo come scopo ciò stesso [20] che si fa.

Dunque, è la virtù che fa retta la scelta, mentre tutto quanto contribuisce per natura a farci operare una retta scelta non dipende dalla virtù ma da potenzialità diverse. Ma a chi ha già acquisito queste cognizioni bisogna parlare in maniera più chiara. C’è, dunque, una potenzialità che viene chiamata "abilità": questa è tale per cui si è in grado [25] di compiere le azioni che mirano allo scopo che ci si è proposti, e di raggiungerlo. Quindi, se lo scopo è buono, essa è da lodare, se è cattivo, invece, si tratta di furberia: è per questo che chiamiamo abili tanto i saggi quanto i furbi. La Saggezza non è questa potenzialità, ma non esiste senza questa potenzialità. Questa disposizione, poi, [30] non si realizza in questo "occhio dell’anima" senza la virtù, come s’è detto e come è evidente. Infatti, i sillogismi pratici hanno questo principio: "poiché tale è il fine, cioè il bene supremo...", quale che sia (concediamo, tanto per ragionare, che sia uno qualsiasi): ma questo principio non è manifesto se non a chi è buono, giacché [35] la perversità stravolge e fa cadere in errore sui principi pratici. Cosi è manifesto che non è possibile essere saggio senza essere buono. /.../

Anche la virtù, come la Saggezza, ha un rapporto molto stretto con l’abilità: non lo stesso, ma simile; analogo rapporto c’è tra la virtù naturale e la virtù vera e propria. Tutti ritengono che ciascun tipo di carattere ci appartenga [5] in qualche modo per natura: infatti, giusti, inclini alla Temperanza, Coraggiosi e così via, noi lo siamo subito fin dalla nascita. Ma noi, tuttavia, cerchiamo qualcosa d’altro: il bene in senso proprio, e il possesso di tali qualità in un altro modo. Infatti, le disposizioni naturali appartengono sia ai bambini sia alle bestie, ma senza intelletto esse sono manifestamente dannose. [10] In ogni caso, sembra che sia facile osservare che, come ad un corpo vigoroso ma privo della vista succede, quando si muove, di cadere rovinosamente, per il fatto che non ha la vista, così succede anche qui. Ma quando uno acquista l’intelletto si comporta ben diversamente: solo allora la sua disposizione, pur essendo ancora simile a quella naturale, sarà propriamente virtù. Per conseguenza, come nel caso della parte opinativa dell’anima ci sono due [15] specie di disposizioni, l’abilità e la Saggezza, così anche nel caso della parte morale ce ne sono due: da una parte la virtù naturale e dall’altra la virtù vera e propria; e di queste due, la virtù vera e propria non nasce senza la Saggezza. Perciò alcuni dicono che tutte le virtù sono forme di Saggezza, e perciò Socrate in un senso conduceva correttamente la ricerca, in un altro sbagliava: pensando che [20] tutte le virtù sono forme di Saggezza, sbagliava, ma dicendo che esse non sorgono senza la Saggezza, diceva bene. Ecco la prova: anche oggi, infatti, tutti, quando definiscono la virtù, dicono che è una determinata disposizione che riguarda certi oggetti, e aggiungono che è conforme alla ragione e la retta ragione è quella conforme alla Saggezza. Sembra, dunque, che tutti, in qualche modo, presagiscano [25] che è virtù quella disposizione che è conforme alla Saggezza. Ma bisogna andare un po’ più in là. Non è solo la disposizione conforme alla retta ragione, ma quella che è congiunta con la retta ragione che è virtù: e la retta ragione in questo campo è la Saggezza. Socrate pensava che le virtù fossero ragionamenti (infatti diceva che sono [30] tutte delle scienze); noi, invece, riteniamo che esse siano congiunte con la ragione. È chiaro, dunque, da quanto si è detto che non è possibile essere buono in senso proprio senza Saggezza, né essere saggio senza la virtù etica. Ma in questo modo resterà anche confutato l’argomento dialettico con cui si vorrebbe provare che le virtù esistono separatamente l’una dall’altra: infatti, la medesima persona non è ugualmente ben disposta per natura [35] verso tutte le virtù, ma sarà tale che una l’ha già acquisita, l’altra non ancora; questo, infatti, può capitare per quanto riguarda le virtù naturali, [1145a] ma per quanto riguarda le virtù per cui uno è chiamato buono in senso assoluto, non è possibile: quando, infatti, gli appartiene una sola virtù, la Saggezza, gli apparterranno insieme tutte le virtù. È chiaro, inoltre, che, anche se essa non fosse guida all’azione, si avrebbe bisogno della Saggezza per il fatto che è la virtù della parte dell’anima qui interessata; ed è chiaro che la scelta corretta non sarà possibile senza [5] la Saggezza né senza la virtù morale: l’una180, infatti, determina il fine, l’altra181 ci fa compiere le azioni atte a raggiungerlo.

È certo, poi, che la Saggezza non è padrona della Sapienza e della parte migliore dell’anima, come neppure la medicina è padrona della salute: infatti, non si serve di lei, ma cerca di vedere come essa si possa produrre: la Saggezza, dunque, comanda in vista della Sapienza, ma non comanda alla Sapienza. [10] Inoltre, è come se si dicesse che la politica comanda agli dèi, poiché regna su tutto l’ordinamento della città.

Filone di Alessandria, Le Allegorie della Legge, capp. 19-27

" And a river goes forth out of Eden to water the

Paradise. From thence it is separated into four heads : the name of the one is Pheison. That is the one which encircles the whole land of Evilat. There is the country where there is gold, and the gold of that land is good. There also are the car-

buncle and the sapphire stone. And the name of the second river is Gihon ; this is that which encircles the whole land of Ethiopia. And the third river is the Tigris. This is the river

which flows in front of the Assyrians. And the fourth river is the Euphrates." (Genesi, 2, 10-14)

 

 In these words Moses intends to sketch

out the particular virtues. And they also are four in number, Wisdom, Temperance, Courage, and Justice. Now the greatest river from which the four branches flow off, is generic virtue,

which we have already called goodness ; and the four branches are the same number of virtues. Generic virtue, therefore, derives its beginning from Eden, which is the wisdom of God which rejoices and exults, and triumphs, being delighted at and honored on account of nothing else, except its Father, God. And the four particular virtues, are branches from the generic virtue, which like a river waters all the good actions of each, with an abundant stream of benefits. /.../

 

Each of the virtues is really and truly a ruler and a queen. And the expression, "is separated" is equivalent to "is marked off by fixed boundaries", since Wisdom appoints them settled limits with reference to what is to be done. Courage with respect to what is to be endured ;

Temperance with reference to what is to be chosen ; and Justice respect of what is to be distributed.

 

/.../

 

 

 

 

 

Tommaso d'Aquino

Vita

  • Una vita difficile, ardente e laboriosa (1225-1274 d. C.) .
    Tre grandi opposizioni: 1) quella dei suoi fratelli quando era adolescente, 2) quella dei maestri secolari a Parigi appena cominciato ad insegnare , 3) e, sempre a Parigi, quella del vescovo e di alcuni francescani sul problema dell'averroismo latino quando Tommaso era già un affermato dottore.
    Una grande consapevolezza della sua missione pedagogica verso i giovani studenti delle università europee per accogliere Aristotele e non cadere negli errori di Averroè... tenere assieme – distinguendole -  fede e ragione contro forze opposte che da una parte e dall'altra tendevano a separarle.
    Una grande vocazione per la conoscenza... lo studio, la meditazione... avere sempre i libri più aggiornati e importanti e corretti...cercava sempre le traduzioni migliori.... pensava a quel che doveva scrivere anche quando era in refettorio...
    Una capacità di sintesi e di scrittura a mia conoscenza unici... stupiva allora e stupisce oggi che dettasse contemporaneamente a tre scribi tre opere diverse per volta...  Stupivano  e stupiscono la mole e la profondità dei suoi scritti in un tempo così breve : Tommaso morì  a 49 anni e nell'ultimo anno aveva avuto una crisi “mistica” esistenziale per cui diceva al suo amico Reginaldo da Piperno : “non scrivo più, Reginaldo,  perchè non posso più scrivere e quanto ho scritto mi sembra ora null'altro che paglia”.....
    (cfr. la più completa biografia, quella del canadese James A. Weishepl, Friar Thomas D'Aquino, his life, thought and works, Basil Blackwell, Oxford, 1974)

 

La Summa Theologiae

  • cominciata quando aveva 42 anni e rimasta incompiuta … 11.198 pagine !
  • il piano sistematico della Summa  : le tre parti, in uno schema platonico di “andata e ritorno”: 1) Dio e la creazione; 2) la creatura razionale che cammina verso Dio; 3) Gesù, via verso Dio e Dio stesso visto come fine    
  • La seconda parte della Summa a sua volta si divide in due: 1) in  una Pars Prima Secundae Partis che è ciò che nella tradizione europea successiva è stata chiamata “etica fondamentale”, e 2) in una Pars Secunda Secundae Partis, che è ciò che nella tradizione europea successiva è stata chiamata “etica speciale”

Gli “abiti” (virtù e vizi) e i tipi delle virtù

  • lo schema della  Pars Prima Secundae Partis (etica “fondamentale”) : 1) il fine della vita umana cioè la felicità; e 2) i mezzi per raggiungerlo e cioè : 2.1) gli atti umani,  e 2.2) e le loro cause  : interni (abiti) ed esterni (la legge e la grazia)
  • trattiamo i principi interni che Tommaso (seguendo Aristotele) chiama  “abiti”, cioè i vizi e le virtù, cosa sono?... il cosiddetto “carattere”: bisogna distinguere “doti naturali” e “abiti”... essi sono ciò che è più stabile in una persona, e che la caratterizza maggiormente per sé stessa e per chi la frequenta (da lontano sono invece le opere che la caratterizzano) … sono causati dalla  - motivata – ripetizione degli  atti... come a dire sono la Storicità (il collegamento.... «Il Filosofo scrive, che “una rondine e un giorno non fanno la primavera”») e la  Serietà (ciascun atto nasce da noi, di esso siamo responsabili) delle nostre vite...
  • sì, gli abiti sono le cose più stabili! Più stabili,  certo,  dei nostri beni esterni come soldi etc che molto cambiano, più dei nostri sentimenti ed umori che velocemente cambiano, più del nostro corpo che molto cambia, più anche delle nostre  relazioni umane che anche esse cambiano... nulla è così stabile in noi come i nostri Vizi e le nostre Virtù!
  • essi possono diminuire e dissolversi sia per errore (come nelle scienze) sia per mancanza di esercizio (come nelle amicizie) …. è come dire la Prosaicità delle nostre vite... (“Perciò quando un uomo si astiene dall'esercitare un dato abito intellettivo, insorgono immaginazioni estranee, che orientano persino in senso contrario; cosicché, senza l'uso frequente di codesto abito, che in qualche modo le taglia e le soffoca, quest'uomo diviene meno pronto a giudicare rettamente, e talora acquista addirittura una disposizione contraria”)
  • a me più della diminuzione colpisce invece  - nelle psicopatologie (frammentazione delle personalità) - la interruzione e sospensione... Quando la Drammaticità  delle nostre vite può diventare Tragicità   !
  • Gli abiti sono distinti in virtù e vizi: abbiamo tante insoddisfazioni nelle nostre vite... abbiamo quelle esterne (le ingiustizie subite, gli incidenti etc), abbiamo quelle interne...(non riesco a capire le divisioni, mi distraggo facilmente, ho paura di parlare in pubblico etc) … nella mia vita sempre più io (io che ho sempre più una visione del mondo “provvidenzialistica”, per la quale i “guai” esterni “serviranno per un bene maggiore”...eh, eh !) ho messo al centro della mia riflessione le mie insoddisfazioni interne, cioè i vizi......
    Ma abbiamo anche tante soddisfazioni, abbiamo quelle esterne quando ci danno attenzione, ci fanno regali etc  … ma abbiamo anche quelle interne: ho capito quella cosa, riesco a lavorare tanto, a fare ridere le persone... nella mia vita magari non ho messo la maggior parte delle volte al centro le  soddisfazioni interne, cioè le virtù,  ma sempre un po' di più le vedo come le più preziose e cerco di coltivarle...
  • le virtù sono anche qualcosa di esterno che ammiriamo in alcune persone e vogliamo imitare, sono fuochi di concentrazione delle nostre azioni... per seguirle, frequentarle, rafforzarle, rinnovarle... e le virtù nostre proprie sono anche – con esito morale assai ambiguo ! - fonte di riconoscimenti e di persecuzioni esterne...
  • le virtù sono di tre tipi: teologiche (che per Tommaso sono le più importanti) , intellettuali (che per Aristotele sono le più importanti ), morali (che per la Famiglia e per lo Stato sono le più importanti) ... qui – dato il tema di questo Corso - prendo in esame un po' solo il secondo e il terzo tipo perchè le VC (le virtù principali dell'uomo visto come una particolare  specie degli animali) sono una intellettuale e tre morali

 

Virtù intellettuali e virtù morali

  • abbiamo sia v. intellettuali sia v. morali... Infatti di una persona si può dire che è  1) colta, intuitiva, logica, etc ; ma si può anche dire che è  2)  generosa, coraggiosa,  mite, etc
  • possiamo avere le v. morali senza quelle intellettuali ?... il senso comune pensa di sì per due motivi  : 1) persone non colte o intelligenti sono giuste e buone; e 2) ci sono persone coraggiose o miti per natura...
    MA: al punto  1) si risponde: « Non si richiede che nel virtuoso l'uso della ragione sia perfetto in tutto: ma basta che lo sia rispetto alle azioni virtuose da compiere. In questo senso l'uso della ragione è perfetto in tutte le persone virtuose. Perciò anche quelli che sono giudicati semplici, perché privi delle astuzie mondane, possono essere prudenti, secondo il comando evangelico: "Siate prudenti come i serpenti, e semplici come le colombe"» e dunque anche le persone semplici hanno le virtù intellettuali !...
    E al punto  2) si risponde: 
    « La buona inclinazione naturale alla virtù è una virtù iniziale, ma non è una virtù perfetta. Infatti codesta inclinazione, può essere tanto più pericolosa, quanto è più forte, senza l'intervento della retta ragione, la quale rende buona la scelta dei mezzi adatti per il debito fine. Un cavallo che corra, p. es., se è cieco, inciampa e si ferisce quanto più corre. Perciò, sebbene le virtù morali non siano la retta ragione, come diceva Socrate, tuttavia non sono soltanto "secondo la retta ragione", perché inclinano a ciò che ad essa è conforme, come volevano i Platonici; ma si richiede che "siano accompagnate dalla retta ragione", come insegna Aristotele.» e dunque non ci sono perone virtuose per natura, cioè sin dalla nascita ! 
    In questo passo da Tommaso inoltre viene anche detto che le Virtù  Morali possono esserci sì senza Scienza e Sapienza, ma non senza Saggezza (“prudenza”) … cosa vuol dire questo ?
    È sia un messaggio di “democrazia” tra di noi... nella morale abbiamo  tutti  un uguale punto di partenza...  non ci sono le persone condannate ad esser meno morali perchè la società  o la famiglia non le può istruire... Infatti  la Saggezza si impara giorno per giorno valutando le proprie esperienze, cosa che possiamo fare tutti...
    Ed è anche un messaggio di “serietà” : non siamo giusti o coraggiosi per “spinta spontanea”, per onda sentimentale... ma lo siamo  per impegno, dobbiamo pensare alle nostre azioni, e pensarci sempre, volta per volta...
  • ci possono essere le v. intellettuali senza le v. morali ?...
    il senso comune risponde Sì!, infatti : ci sono gli scienziati pazzi e ci sono le persone colte ed istruite ma malvagie, etc....
    Tommaso risponde Sì e No:
    Sì, perchè le Abilità Tecniche,  le Scienze, e in certa misura anche la Sapienza ci possono essere senza Virtù Morali...
    No, perchè la Saggezza senza le Virtù Morali non può esistere, infatti :
    «come uno viene predisposto a comportarsi bene rispetto ai principi universali dall'abito  di una scienza; così per essere ben disposto rispetto ai principi particolari dell'agire, e cioè ai fini, è necessario l'acquisto di alcuni abiti, in forza dei quali diviene come connaturale per lui  giudicare rettamente del fine. È questo il compito delle virtù morali: infatti il virtuoso giudica rettamente della virtuosità del fine, poiché, come si esprime Aristotele, "quale ciascuno è, tale è il fine che a lui si presenta". Dunque per avere la retta ragione nelle azioni da compiere, vale a dire la Saggezza [prudenza], si richiede che uno possieda le virtù morali.»...
    cosa vuol dire questo ?
    Il “Sì” sulle Scienze e sulla Filosofia (Sapienza) ci fa come vedere la connessione interpersonale della vita umana: siamo reciprocamente necessari gli uni agli altri, chi conosce e mi dà buone idee potrebbe non esser in grado di applicarle a  sé stesso ed avere  bisogno di me o di un altro per riuscirci... il “Sì” inoltre è un messaggio di modestia: pur se io avessi conoscenze di scienza  etica o psicologica o politica, spessissimo dovrei però  abbassare la cresta perchè vedo, constato che non possiedo le virtù (i comportamenti) morali di cui quelle scienze parlano... 
    Il “No” mi dà un messaggio di integrazione, di spinta alla unità di me stesso. Sono i miei buoni vissuti sentimentali e relazionali (virtù morali) che costruiscono la mia capacità di pensare bene ogni giorno, ogni ora, nei casi concreti della mia vita (Saggezza) … i buoni sentimenti, le buone relazioni con le altre persone, e la mia capacità di pensare bene  non sono cose scisse tra loro, ma sono unite... vanno di pari passo...

 

Virtù morali e sentimenti

·          ho detto buoni sentimenti e buone relazioni interpersonali... cioè non tutti i sentimenti (come dice il romanticismo) e non tutte le relazioni (come dice la volgare psicologia della “socializzazione”).... la v. morale non è essa stessa un sentimento o una relazione,  ma è una regola dei sentimenti e delle relazioni...: “ in se stesse i sentimenti  non hanno natura di bene o di male. Infatti il bene e il male nell'uomo dipende dalla ragione: perciò, considerate in se stessi, i sentimenti  possono essere indifferentemente buoni o cattivi, in quanto concordano o non concordano con la ragione. Invece la virtù non può avere questa indifferenza, essendo volta unicamente al bene”...

  • se è vero (contro il romanticismo e la superficiale socializzazione) che le v. morali non sono sentimenti né relazioni, però  sono compatibili con sentimenti e relazioni, anzi ne fanno il loro oggetto essenziale !... questo punto è invece contro lo  Stoicismo,  cioè coloro che valutano la mancanza di sentimenti (apatia) e l'isolamento interpersonale della persona buona  (autarchia) : “se denominiamo sentimenti  gli affetti disordinati, questi non possono trovarsi nella persona virtuosa, come dicevano gli Stoici, nel senso che non si può consentire a codesti sentimenti  dopo la deliberazione razionale. Se invece, con Aristotele,  denominiamo sentimento  qualsiasi moto dell'appetito sensitivo, allora i sentimenti  possono trovarsi nella persona virtuosa, in quanto sono subordinati alla ragione”... cosa ci dice questo? A me dà ottimismo per la mia vita: non devo mutilarmi nei sentimenti e nei rapporti interpersonali per crescere,  per maturare!... e corrisponde alla mia esperienza: le persone buone coraggiose giuste che ho incontrato erano anche vitali, empatiche e relazionali....e anche... spiritose!
  • Facile vitalismo alla “think positive” ? Non è così, perchè Tommaso in specifico si chiede anche se le v. morali siano compatibili col sentimento del dolore (“Come Aristotele dimostra, la tristezza è di ostacolo all'operazione. Ma ogni ostacolo a ben operare è incompatibile con la virtù. Dunque la tristezza è incompatibile con la virtù.”), e a questa domanda che si è posto risponde No e ( “ La tristezza esagerata è un'infermità dell'anima: ma una tristezza moderata nello stato della vita presente fa parte del benessere dell'anima”) :
    No (le virtù morali non sono compatibili col dolore) , se ci addoloriamo per dei beni (per es. di ricever da qualcuno giuste  correzioni dei nostri vizi) invece che per dei mali;  e No se il dolore diventa  esagerato, perchè l'uomo virtuoso sa che i mali del corpo non sono i mali più grandi, e perchè sa che i propri inevitabili  peccati veniali (imperfezioni) non sono gravi e non impediscono la crescita della vita...
    , se vediamo che un dolore moderato è giusto, opportuno per il virtuoso, il quale proprio perchè è  virtuoso  detesta i mali esterni e corporei  e detesta i mali morali che ha in sé, che lo ostacolano nelle sue azioni, e allora per lui  il dolore moderato è pungolo per agire , per allontanarsi dai mali …
    Cosa ci dice questo ?
    A me da una parte dà coraggio quando  soffro mentre faccio una cosa giusta: non devo trovare nel dolore un indizio che sto sbagliando (sono “sfigato”, non sono “giusto” cioè “come tutti gli altri che invece riescono nella vita e, anzi, se la godono”),
    E – d'altra parte – mi avverte e mi corregge: “Franco, non devi esagerare in questo dolore, moderalo !  cioè  ridimensionalo, relativizzalo, prendila con filosofia, se stai facendo la cosa giusta questo gioverà prima o poi sia a te che agli altri... anzi , sta già giovando...”.
  • se tutte le virtù  morali sono compatibili coi sentimenti, però non tutte hanno come materia essenziale i sentimenti...
    Infatti seguendo Aristotele, Tommaso dice che la Giustizia riguarda la “volontà” e non i sentimenti, cioè:  mentre in un conflitto contro un prepotente o in una scalata alpinistica il Coraggioso è tale per la corretta  gestione dei sentimenti di audacia e paura, e mentre il Temperante prova il sentimento del piacere  nell'amplesso con la persona amata e il sentimento del disgusto per il sesso perverso e prostituto, invece gli atti della Giustizia (per esempio: la trattativa di compravendita, la diplomazia in una conversazione, il dare voti dell'insegnante o le sentenze di un giudice o le correzioni di un genitore verso il figlio)  non sono “gestioni di sentimenti”, anzi sperimentiamo che la Giustizia nelle relazioni interpersonali si giova della concentrazione su ciò che vogliamo fare e non sui sentimenti che possiamo provare mentre facciamo ciò che facciamo...:
    ”le altre virtù morali riguardano principalmente i sentimenti , il cui regolamento va determinato esclusivamente in rapporto all'individuo cui esse appartengono, cioè in quanto uno si abbandona all'irascibile e al concupiscibile come deve secondo le diverse circostanze. Perciò il giusto mezzo di codeste virtù non viene determinato in base al rapporto di una cosa con un'altra, ma solo in base al rapporto dell'uomo virtuoso con se stesso. Per questo in esse esiste un giusto mezzo solo in rapporto a noi. Materia della giustizia, invece, sono le azioni esterne in quanto esse stesse, o le cose di cui si servono, hanno il debito rapporto con altri individui.”

            (eppure - nota Tommaso - anche la Giustizia indirettamente ha a che fare coi sentimenti, in specifico con             quello della gioia, susseguente alla consapevolezza di avere fatto qualche azione giusta).

 

  • Perciò, quello che accomuna tutte le virtù morali (e cioè la Giustizia – che non è regola dei sentimenti - da una parte, e tutte le altre virtù morali  - che invece sono proprio regola dei sentimenti – dall'altra) è questo : tutte le virtù morali riguardano la parte appetitiva della mente, mentre le virtù intellettuali (come Saggezza, Scienza o Sapienza) riguardano la parte conoscitiva.
    “Appetito” significa “tendenza verso” (tendere e cercare di muoversi verso una cosa, una azione, una persona, una situazione, un cambiamento dello stato delle cose del mondo).

E dunque  la Giustizia riguarda lo “appetito razionale” (cioè universale) chiamato Volontà; le altre Virtù Morali riguardano lo “appetito sensitivo (cioè singolare) chiamato Sentimento.

 

Il problema del giusto mezzo

  • Problema .Tommaso riprende la importante teoria aristotelica del “giusto mezzo”: “la v. morale è un giusto mezzo che la ragione trova nel campo dei sentimenti e delle relazioni tra due vizi opposti, uno per eccesso e uno per difetto”....
    Ma, se la virtù è una “eccellenza”, non sarà piuttosto un “estremo” e non un “medio”? E i Santi  e gli Eroi della giustizia, del coraggio, della umiltà non ci sembrano piuttosto degli estremisti ? …E le persone poco o per nulla virtuose non sono forse quelle che vivono nei compromessi, non sono né carne né pesce, non prendono mai posizione, quei tiepidi, quegli “ignavi” di numero grandissimo che Dante colloca nello anti-inferno perchè Inferno stesso li  rifiuta?
  • Soluzione .  «La virtù morale deve la sua bontà alla regola della ragione: invece ha per materia le operazioni della volontà [la Giustizia] o i sentimenti [tutte le altre Virtù Morali]. Perciò, se nel rapporto della virtù morale con la ragione, guardiamo l'elemento razionale, vediamo che esso si presenta come un estremo, cioè come conformità: mentre l'eccesso e il difetto si presentano come l'estremo opposto, vale a dire come difformità. Se invece si considera la virtù morale rispetto alla sua materia, allora (per la concordanza con la ragione) si presenta come giusto mezzo, in quanto la virtù riduce il sentimento  alla regola della ragione. Perciò il Filosofo scrive che "la virtù sta nel mezzo per la sua natura", cioè in quanto applica la regola della virtù alla materia propria: "invece rispetto all'ottimo e al bene è un estremo", cioè rispetto alla conformità con la ragione. »
    cosa significa questo ?... ci dice che la virtù è difficile – cosa vera, perchè la vita è difficile!... non brutta, ma certamente drammatica e difficile! - ma la sua difficoltà non sta nella (facile) esortazione che dice: “Va da quella parte  - verso uno dei due estremi -  più che puoi!”... né sta nella ancora più facile esortazione che dice  : “Va sia da una parte sia dall'altra  - verso entrambi gli estremi - così come capita, tanto per non sbagliarti (per non “esporti”, per non “rischiare”, per non “sbagliare”)!”.
    E allora il compromesso nel senso vizioso della parola, il “né carne né pesce”, l'ignavo cosa sono? Sono la miscela – in varia misura - dei due vizi opposti, non la difficile fuga da entrambi. L'ignavo miscela la temerarietà nel gioco d'azzardo con la viltà ad opporsi a un capoufficio tirannico; la testardaggine a non votare sempre un leader distruttivo con la volubilità nel cambiarlo secondo le mode; il privilegiare l'amico adulatore e l'emarginare quello che lo corregge; l'iracondia vero “i politici, i burocrati, i comunisti e i giargianesi”, con l'immobile indifferenza verso le gravi ingiustizie che vede sul luogo di lavoro;  l'impotenza sessuale con la moglie con le fantasie pornografiche nascoste; la disappetenza verso la frutta e la verdura con la golosità per dolci e liquori.... e  così l'ignavo non è audace, né fermo, né giusto, né mite, né casto, né sobrio...
    Perchè sono tanto numerosi ? Perché l'incoerenza è più diffusa della coerenza e i viziosi coerenti (la lussuriosa Pasife, il goloso Ciacco, l'iracondo Filippo Argenti, l'ingiusto Guido da Montefeltro, che Dante ci presenta nell'Inferno) sono più pochi dei viziosi incoerenti...
  • ma rispetto ai viziosi coerenti ed estremisti, i virtuosi sono ancora meno, perchè se l'ignavo non decide (non pensa) mai, e il vizioso estremista decide (pensa)  una sola volta e poi non più, il virtuoso deve decidere (pensare) sempre, volta per volta... la difficoltà della virtù sta nel modulare volta per volta la scelta morale tra una Scilla e una Cariddi... secondo le mutevoli circostanze esterne ed interne... con questa persona particolare, qui ed ora,  sono invadente o freddo e scostante? Sono sottomesso o prepotente? Sono privilegiante o sprezzante? ...Come evitare questo pomeriggio l'autolesionista iperattività, ma anche  la autolesionista pigrizia? Riguardo l'esame che dovrò sostenere la prossima settimana  come evitare adesso la paura paranoica, ma anche  la confidenza facilona? Riguardo questa ingiustizia del governo che leggo sul giornale come non essere sterilmente iracondo e moralisticamente indignato, ma anche non essere indifferente e cieco e menefreghista del bene comune?
  • Circostanze non solo esterne, ma anche interne... Aristotele e Tommaso sottolineano che il “giusto mezzo” non è “oggettivo” nel senso di “svincolato dalla  propria situazione soggettiva, cioè personale”  - se non per la Giustizia - mentre per tutte le altre virtù esso varia (è spostato più verso un estremo o più verso l'altro) a seconda di come è fatta internamente la persona individuale: “tranne la Giustizia le altre virtù morali riguardano i sentimenti interiori in cui non si può stabilire ciò che è giusto sempre allo stesso modo, perché gli uomini sono diversamente disposti rispetto ai sentimenti : e allora è necessario determinare la rettitudine della  ragione, avendo riguardo a noi che siamo sotto l'influsso dei sentimenti”
  • Che fare dunque? Tenere assieme il pensiero (la virtù intellettuale della Saggezza) con gli abiti già costruiti nella mia vita passata dei sentimenti buoni e delle relazioni interpersonali giuste!
    Per la Virtù Morale – dunque -  bisogna:
    1) continuamente pensare ( contro l'etica epicurea e romantica); 2)  continuamente ascoltare i propri sentimenti (contro l'etica platonica e marxista); 3)  continuamente rapportarsi con  le altre persone (contro l'etica stoica e perbenista-individualistica).
    È difficile? Sì, è difficile, come è difficile (non brutta) la vita stessa...

 

 

Virtù  cardinali

 

  • perchè le VC non sono le v. intellettuali?... :« virtù umana, in tutto il rigore che implica codesta  nozione, è la virtù che richiede la rettitudine dell'appetito: infatti codesta virtù non dà  soltanto la capacità di agir bene, ma lo stesso esercizio del ben operare. Invece la virtù che  non richiede la rettitudine dell'appetito, corrisponde a una nozione inadeguata della virtù:  poiché dà la sola capacità di agir bene, ma non causa l'esercizio del ben operare. Ora, è  chiaro che una cosa perfetta è principale rispetto a quanto è imperfetto. Perciò le virtù che  implicano la rettitudine dell'appetito devono dirsi principali [cardinali]. Esse sono virtù morali; e tra le   intellettuali c'è la sola saggezza, che in qualche modo, cioè per la materia di cui si occupa, è  una virtù morale, come abbiamo spiegato sopra.»
    cosa significa questo ?...
    1) come dire che le v. intellettuali sono “messe in esercizio” solo interpersonalmente … cioè  nella storia della umanità, in tempi lunghi (le scienze e le arti)... oppure  è come dire che sono semi-divine (sapienza) come diceva Aristotele... e  già Socrate (gli uomini sono amici della sapienza cioè filo-sofi, solo gli Dei sono sapienti)  ;
    2) e anche che le v. morali rendono possibili quelle intellettuali e non viceversa (con l'eccezione della saggezza, che anche essa però dipende dalle v. morali a sua volta) … sono il “necessario”  della umanità dell'uomo... vorrei fare l'esempio di una mia lezione in una mia attuale terza liceo, in cui le v. morali sono “propedeutiche” a quelle intellettuali, e l'unica v. intellettuale (cioè esercizio del pensiero che rafforza sé stesso) è la saggezza, cioè quel pensiero che è prodotto nel mentre si costruiscono le v. morali !...
    Il Bene è Urgente...
  • Perché le VC sono 4? : « il principio  formale delle virtù, delle quali ora parliamo, è il bene secondo ragione. E questo può essere considerato sotto due aspetti.
    Primo, in quanto si attua nell'esercizio medesimo della   ragione. E allora abbiamo la prima virtù principale, che è la Saggezza. 
    Secondo, in quanto  l'ordine della ragione viene imposto ad altre cose. E allora, o si tratta di operazioni, e così avremo la Giustizia; o si tratta di sentimenti, e in questo caso si richiedono due virtù. Infatti  l'ordine della ragione rispetto ai sentimenti va imposto in considerazione della divergenza di questi ultimi dalla ragione. E questa può presentarsi in due modi. A) in quanto il  sentimento spinge verso cose contrarie alla ragione: e allora è necessario reprimerlo, e ciò si denomina Temperanza. B) in quanto il sentimento trattiene dal compiere quello che la ragione comanda, come fa, p. es., il timore dei pericoli e della fatica: e allora è necessario che uno venga fortificato a non recedere dal bene di ordine razionale; e questo si denomina Fortezza.»
    cosa significa questo ? … una Unità dell'uomo, che è pervaso dal suo principio unico e suo specifico sia nel pensiero (interno/esterno) sia nei rapporti con le altre persone (esterno) sia nei sentimenti (interno) … il Bene non è un optional di qualche momento di commozione o festività o solennità etc.
    Il Bene è Pervasivo...
  • Perché le VC sono 4? : “queste quattro virtù cardinali si desumono dalle  quattro ragioni formali della virtù morale. Queste però si riscontrano principalmente in  determinati atti e sentimenti. Il bene, p. es., che si attua nell'esercizio medesimo della ragione, si riscontra principalmente nel comando della ragione (Saggezza) , come abbiamo notato, e non nel consiglio, o nel giudizio. Così il bene di ordine razionale, presente nelle operazioni sotto l'aspetto di cosa retta o dovuta, si riscontra principalmente negli scambi o nelle ripartizioni che indicano rapporti con altri su una base d'uguaglianza (Giustizia). Invece il bene che consiste nel frenare i sentimenti si trova principalmente nei sentimenti che sono più difficili a reprimersi,  cioè nei piaceri del tatto (Temperanza). La bontà, poi, che consiste nel persistere nel bene di ordine razionale contro l'impeto dei sentimenti, si riscontra principalmente nei pericoli di morte, contro i quali è difficilissimo resistere (Fortezza) .”
    cosa significa questo ?...  un messaggio di Ottimismo... il Bene è Raggiungibile sempre... nello (“arido”...dicono alcuni luoghi comuni...) pensiero, nei (“difficili”... aahh! Solitudo sola beatitudo!) rapporti interpersonali, nel (“faticoso”... “che barba, che noia!”, oppure “troppe tentazioni!”) equilibrio dei piaceri, nel (“intimidente”... “cosa c'entro io?”, oppure “meglio adeguarsi!”) scontro coi pericoli e le persecuzioni...
    Il Bene è Raggiungibile...
  • Perché le VC sono 4? : “ codeste quattro virtù da alcuni son prese come quattro  condizioni generali dello spirito umano,  presenti in tutte le virtù: cosicché la Saggezza non è altro che la rettitudine nel discriminare  tra i vari atti, o materie d'operazione; la Giustizia è una certa rettitudine dell'anima, in forza della quale un uomo compie quello che deve in qualsiasi campo; la Temperanza, poi, è una  disposizione di spirito che impone moderazione a tutti i sentimenti ed operazioni, perché  non vadano oltre il dovuto; e la Fortezza è una disposizione che rafforza lo spirito in quello  che è secondo la ragione, contro qualsiasi impulso delle passioni o delle difficoltà che s'incontrano nelle operazioni.“
    cosa significa questo ?... un messaggio di Costanza, Continuità... per qualsiasi azione buona (di autostima, di sincerità, di generosità, di affettuosità, di umiltà, di pazienza, di giocosità etc)  usiamo sempre le stesse risorse di base, le quali, per così dire, sono sempre con noi, ci accompagnano costantemente nel variegato ed alterno percorso della giornata e della vita... sono una sua continuità...... Il Bene è Compagno....
  • Perché le VC sono 4? : «si può rispondere che queste quattro virtù si scambiano le  denominazioni per una certa ridondanza. Infatti quanto è proprio della Saggezza ridonda sulle altre virtù, in quanto queste sono da essa guidate. E delle rimanenti ciascuna ridonda  sulle altre in base al principio, che chi è capace del più è capace anche del meno. E quindi chi può tenere a freno la brama dei piaceri del tatto, entro i giusti limiti, che è la cosa più difficile, con ciò diviene più adatto a contenere nei giusti limiti l'audacia di fronte ai pericoli  di morte, il che è molto più facile; e in tal senso la Fortezza potrà dirsi temperante. E la  Temperanza può dirsi forte, per il ridondare in essa della fortezza: e cioè in quanto chi per la Fortezza ha l'animo fermo contro i pericoli di morte, che è la cosa più difficile, è meglio  disposto a conservare una fermezza d'animo contro l'impulso dei piaceri; poiché, come si esprime Cicerone, "non è probabile che si lasci vincere dalla cupidigia chi non si piega al  timore; o che si lasci vincere dal piacere chi si è mostrato invincibile alla fatica"»
    cosa significa questo ?... mi sembrano delle  osservazioni psicologiche interessanti. … che se io sono una persona abituata a non esser impulsiva nella attrazione dei piaceri materiali (cosa in sé difficile) sarò poi più capace di non esser avventato nell'attaccare e spericolato (cosa in sé più facile)... E anche  che,  se io sono una persona ferma nel sostenere i dolori causati dai pericoli e dalle persecuzioni (cosa in sé  difficile) sarò poi più capace di sostenere i dolori dovuti alla astinenza dei piaceri materiali (cosa in sé  più facile) …
    Il Bene è Stratega...

 

La connessione tra le virtù

  • “SEMBRA che le virtù morali non siano necessariamente connesse. Infatti:  le virtù morali vengono causate dalla ripetizione degli atti, come Aristotele dimostra. Ma un uomo può esercitarsi negli atti di una data virtù,  senza esercitarsi nelle azioni di un'altra. Perciò si può possedere una virtù morale senza le altre.”
    MA : “le virtù morali sono connesse, come quasi tutti ritengono. A sostegno di ciò vengono portate due ragioni, in base al diverso modo di definire le virtù cardinali.
    1) Alcuni infatti, come abbiamo detto, le definiscono come generali condizioni delle virtù: cosicché la discrezione dovrebbe corrispondere alla Saggezza, la rettitudine alla Giustizia, la moderazione alla Temperanza, e la fermezza d'animo alla Fortezza in qualsiasi materia si vogliano considerare. E da questo punto di vista appare evidente il motivo della connessione: infatti la fermezza priva di moderazione, di rettitudine, o di discrezione, non potrebbe dirsi virtù; e lo stesso vale per le altre.
    2) Invece altri definiscono le virtù cardinali secondo la materia. E in base a questo Aristotele stabilisce il motivo della loro connessione. Poiché, come abbiamo già spiegato, non può esserci virtù morale senza la Saggezza:  questo perché è proprio delle virtù morali dare rettitudine all'elezione,  essendo esse degli abiti elettivi; ora, per la buona elezione non interviene soltanto l'inclinazione al debito fine, dovuta direttamente all'abito della virtù  morale; ma anche l'immediata scelta dei mezzi, la quale vien fatta dalla Saggezza, che consiglia, giudica e comanda i mezzi ordinati al fine.”
    e la riposta alla difficoltà iniziale (“SEMBRA”) : “Una virtù morale può essere perfetta o imperfetta. La virtù morale imperfetta, Temperanza o Fortezza che sia, non è che una nostra inclinazione compiere qualche atto buono: inclinazione che può essere innata  o dovuta all'esercizio. Prese in questo senso, le virtù morali non sono connesse, infatti vediamo che uno per naturale complessione, o per esercizio, è 'pronto' agli atti della liberalità, senza esserlo agli atti della castità.
    /.../
    Certe virtù morali perfezionano l'uomo per uno stato ordinario, o comune, cioè rispetto alle azioni che capita  comunemente di dover compiere. Perciò è necessario che l'uomo si eserciti  simultaneamente sulla materia di tutte le virtù morali. E se si esercita in tutte col ben operare, acquisterà gli abiti di tutte le virtù morali. Se invece si  esercita ben operando rispetto a una data materia, rispetto all'ira, p. es., e  non rispetto a un'altra, ossia rispetto alla concupiscenza, acquisterà un abito  per tener a freno l'ira; ma sarà un abito che non può avere valore di virtù,  mancando della Saggezza, la quale viene distrutta nel campo della  concupiscenza. ”
    cosa significa questo ?... che la Virtù è “abito che fa fare azioni buone” .. e il Bene è Difficile... non bastano il fine e l'intenzione, ma c'è bisogno anche dei mezzi opportuni e delle energia per usarli...bisogna, cioè, vedere il risultato!... non si può considerare un risultato buono la astinenza sessuale  di quelle monache di cui fu detto “caste come angeli, superbe come diavoli” (Temperanza senza Umiltà), non può esser considerato buono il sacrificio di quel giovane che si getta pieno di tritolo sotto il carro armato sovietico gridando “Heil Hitler!” (Fortezza  senza Giustizia).
    Il Bene è Difficile...

 

 

La gerarchia e l'eguaglianza tra le virtù

 

  • Gerarchia. Considerandole oggettivamente, una virtù può esser maggiore di un'altra? , perchè : “ è evidente che causa  e radice del bene umano è la ragione. Perciò la Saggezza, che affina la  ragione, sovrasta in bontà le altre virtù morali, che affinano la parte appetitiva   in quanto partecipe della ragione. E tra queste tanto più una è superiore  all'altra, quanto più si avvicina alla ragione. E quindi la Giustizia, che è nella  volontà, è preferibile alle altre virtù morali: e la Fortezza, che è nell'irascibile,  va preferita alla Temperanza, la quale essendo nel concupiscibile, partecipa  meno della ragione, come nota Aristotele.”
    cosa significa questo ?... A) che non è la Giustizia la virtù maggiore come sarebbe secondo un'etica “farisaico-marxista” in cui il sistema giuridico esterno fosse la cosa più importante; B) che non lo è la Forza/Coraggio come sarebbe per un'etica “stoico-romantica” in cui l'eroismo e il sacrificio personale fossero la cosa più importante ; C) che non lo è l'Equilibrio/Temperanza come sarebbe per un'etica “epicureo-salutistica” in cui la personale serenità e benessere fossero la cosa più importante.
    Invece, in un'etica “aristotelico-liberale” (cui Tommaso aderisce, se prescinde dal discorso cristiano delle virtù teologali) la virtù più importante è invece la Saggezza, perchè la base è il dibattito critico interpersonale, e non le leggi impersonali né  gli impulsi personali.....
    Il Bene è Dialogico...

  • Eguaglianza. Considerandole soggettivamente, cioè all'interno di una stessa persona, una virtù può crescere (maturare, svilupparsi) più di un'altra virtù? No, anche se sembrerebbe di sì perchè vediamo che X è più lodato per la umiltà, Y per la generosità, Z per la affidabilità , e così via...; inoltre anche vediamo che più una virtù è intensa, e più uno opera con piacere e prontezza con essa.... ora, l'esperienza dimostra che uno compie con maggior piacere e prontezza le  azioni di una virtù che quelle di un'altra.
    Eppure Tommaso osserva che proprio l'esperienza ci mostra come le persone che sono ugualmente coraggiose (comparandole tra loro) sono anche tra loro ugualmente temperanti e ugualmente giuste. E questo succede perchè le virtù sono connesse tra loro attraverso la Saggezza... ciò  che è distinto in intensità è solo la inclinazione alla virtù, non la virtù.
    Cosa significa questo ? … è come un messaggio di Profondità: andare al di là delle apparenze superficiali, per cui la facilità nel fare le proprie azioni e la visibilità delle azioni altrui sarebbero i fattori più importanti...
    Per Tommaso  invece non  lo sono. Faccio due esempi: 1) Se io ho più facilità (sono “inclinato”)  a resistere alle prepotenze di un prepotente rispetto al resistere alle tentazioni della tavola, bisogna vedere se la mia prima resistenza (facile) è veramente virtuosa e non sia invece un ribellismo o ostinazione, e se la seconda (difficile) sia veramente viziosa e non sia invece una sana esigenza di piacere corporeo al di là delle mode ascetiche della magrezza  etc.; 2) E, se mi saltano agli occhi  nella persona X una maggiore affettuosità e in una persona Y una maggiore affidabilità , devo capire  bene se X tenga veramente alla compagnia degli altri o lo faccia solo per essere popolare (e magari, ottenuta la popolarità si rivelasse un freddo scostante) , e se Y mantenga la parola data solo per paura delle ritorsioni altrui ( e magari, in una situazione di superiorità e sicurezza, si rivelasse un bidonaro) .
    Il Bene è Personale (cioè una conquista personale e non una fortunata “inclinazione” elargita dalla educazione e dalle altre  circostanze) …
  • Possiamo dunque riassumere le caratteristiche del  Bene (Morale). Esso è: Urgente, Pervasivo, Raggiungibile, Compagno, Stratega, Difficile, Dialogico, Personale...

 

 

Saggezza

 

Introduzione

  • nella Tradizione Occidentale dal Basso Medio Evo in poi, troviamo svariati  Simboli Iconografici della Saggezza: Serpente (realismo, stare a contatto con la terra, cioè coi singularia) ; Specchio (conoscere sé stesso coraggiosamente, con imparzialità) ; Libro (apertura umile e fiduciosa alle esperienze e ai  consigli altrui) ; Giano Bifronte (memoria delle proprie esperienze passate e responsabilità previdente sugli effetti futuri delle proprie azioni); Cervo (animale cauto, gentile e delicato che indica la cautela nella analisi delle circostanze  e la elasticità nel giudizio ); Torcia o Lanternina (la perspicacia nel giudizio); Mappamondo (indica l'arte di governare la complessità/eterogeneità delle vicende); il Vecchio con Falce e Clessidra (cioè il tempo, che ricorda  la sollecitudine nella vigilanza, la calma ponderazione nella ricerca-analisi-discussione,  e la solerzia nell'azione)
  • la questione 66 della I-IIae su come le Teologali siano più importanti della Intellettuali (e tra di esse la più importante sia la Carità) e su come le Intellettuali siano più importanti  delle Morali (e tra di esse la Sapienza) e che la virtù morale più importante sia la Giustizia...
    E la Saggezza ?... Non è più importante in nessuno di questi tre gruppi (che esauriscono i gruppi delle virtù...) : perchè dunque essa è – invece -  la più importante delle VC cioè delle virtù più importanti ?
    Bisogna tornare a vedere cosa sono le  VC ... cosa sono ? … sono le
    principali per la vita umana in “stato di necessità” ...  cioè le più “necessarie” (“necessario” non è sinonimo di “importante”): «Una cosa può essere superiore o inferiore (a un'altra) in due  maniere: simpliciter e secundum quid. Infatti niente impedisce che una cosa  sia simpliciter, o di per sé, superiore a un'altra, come "il filosofare rispetto all'arricchire", e tuttavia non lo sia sotto un certo aspetto, ossia secundum   quid, cioè "per chi è in necessità."»
    e allora, in tale “stato di necessità” in cui sempre si trova la vita umana (in me e nel mondo attorno a me c'è già il Male, sin dall'inizio della mia vita!), le VC sono le più importanti nelle relazioni con gli altri e nel gestire i miei sentimenti... e tra di esse la virtù più importante è la Saggezza, cioè  la cosa più necessaria è il pensare continuamente ai casi singoli della vita su cui scegliere come agire volta per volta...

 

La Saggezza in sé stessa

  • il saggio – in quanto tale almeno – non è né l'abile né il sapiente
  • Non è l'abile. Come mai se la Abilità Tecnica è una virtù intellettuale pratica (volta ad agire) come la Saggezza, nella Tecnica è preferibile chi sbaglia volontariamente mentre nella Saggezza il contrario? Perché nella Saggezza  oltre la parte conoscitiva c'è la parte appetitiva, essa è a cavallo tra le v. intellettuali e le v. morali, essa non esiste senza la “richiesta” delle v. morali, e  - diversamente dalla Tecnica -  essa sia nel bene sia nel male è sempre in esercizio, mentre la Tecnica come le v. intellettuali contemplative (le Scienze per es.) può esser solo potenziale ma non esercitata in atto...
    cosa significa questo ? Un avvertimento a non riconoscere le persone “attive” solo e neanche in primo luogo negli abili, in coloro che si impegnano tanto in qualche mestiere o in qualche organizzazione... ma piuttosto nelle persone più buone moralmente.. esse non sarebbero tali – cioè morali - se non fossero continuamente attive, se non agissero continuamente...
  • Non è il sapiente.la Saggezza è la sapienza delle cose umane; ma non è sapienza in senso assoluto, perché non ha di mira la causa suprema in senso assoluto; riguardando essa il bene dell'uomo, il quale non è la realtà più eccellente.”
    cosa significa questo ? … che nel mio impegno di districarmi tra i meandri del mondo sia interno sia esterno per evitare i Mali e per realizzare in me e fuori di me i Beni che mi piacciono e convincono, beh, questo mio impegno richiede questo pensiero continuo di ricerca, scelta ed azione che è la Saggezza... ma esso è limitato e contraddetto e frustrato e in varia e anche tanta misura fallisce... un tot di Sapienza – invece - è come la modestia fiduciosa e speranzosa e simpatetica con cui guardo la Realtà in maniera più vasta e distaccata dalla mia azione... con cui vedo che la mia vita singola si inserisce in un Mondo (e in un Disegno del suo sviluppo e Destino) assai più vasto... un tot di Sapienza può farmi accettare senza disperazione e anche senza troppa amarezza la grande piccolezza e anche il fallimento della mia Saggezza....
  • la Saggezza ha bisogno delle basilari conoscenze universali, cioè i primi principi dell'Intelletto  (virtù intellettuale che Aristotele e Tommaso ritengono “abito naturale” cioè innato, l'unico tra tutti gli abiti a non esser acquisito), per es: il tutto è maggiore delle parti; A non è non-A; il bene è da cercarsi e ottenersi e il male è da evitarsi; dal bene viene il bene e dal male il male; non bisogna nuocere a nessuno. Oltre che di queste conoscenze universali di base, essa  ha bisogno  delle conoscenze universali più specializzate nei vari campi della realtà e cioè le varie Scienze, che sono virtù intellettuali non innate ma acquisite... Acquisite  sia dal singolo nel percorso  sua vita, sia soprattutto dalla umanità nel suo percorso  storico: Medicina, Diritto, Linguistica, Fisica, Economia, Zoologia e tante altre... e tra queste anche la Scienza Etica, la quale, come le altre Scienze, è stata costruita lungo i millenni dalla attività conoscitiva dell'umanità...  
    MA: oltre alle conoscenze universali sia di base e naturali  (Intelletto) sia specializzate e acquisite (Scienze), la Saggezza ha bisogno  della  conoscenza  dei fatti e delle cose singolari su cui operare le scelta e il comando ad agire...
    Eppure: i singolari sono infiniti e la nostra ragione è finita!... e infatti: «Proprio perché la ragione umana non è in grado di abbracciare l'infinità dei singolari, "sono malsicuri i nostri divisamenti", come dice la Scrittura. Tuttavia mediante l'esperienza i  singolari infiniti si riducono ad alcune determinate situazioni che capitano d'ordinario, e la cui conoscenza è sufficiente per la Saggezza umana»
    cosa significa questo ? Che la Saggezza diversamente dalle  Scienze si basa sulle mie esperienze di vita e dunque  sul mio irripetibile ed unico percorso... però anche in esso io sono costretto dalla limitazione della mia mente a “universalizzare” (le “fattispecie”, le “situazioni tipiche”) e dunque ad espormi al fallimento, perchè una “fattispecie”, una “situazione tipica” non mi garantisce nei casi reali che sono individuali …
  • Un quesito più particolare: la Saggezza, oltre che delle conoscenze universali di base (Intelletto “naturale”) ha veramente bisogno – come abbiamo affermato appena sopra - delle conoscenze universali più specifiche che sono le Scienze, e  - in particolare – ha bisogno delle conoscenze  di  quella tra le Scienze che proprio di essa (cioè della Saggezza stessa) si occupa, e cioè dell'Etica? 
    Sì e No.
    No,  in generale, e cioè nella maggior parte delle vicende della vita...
    Sì, nel senso per cui la Saggezza ha bisogno  - in particolari casi, che variano di continuo ! -  di tutte le Scienze, via via che se ne presenta il bisogno...   non però come possesso e padronanza delle Scienze stesse , ma solo dei loro risultati ricevuti da altri che ne hanno possesso e padronanza … della Dietetica o della Economia o della  Giurisprudenza  per es.... e usa tali risultati come uno tra i tanti “mezzi” che essa deve cercare, giudicare e comandarsi … ricerca, giudizio, prescrizione dell'uso dei mezzi opportuni a raggiungere il fine delle virtù morali... e questo è il compito proprio e continuo della Saggezza...
    Cosa significa questo ? … che per es. in questo Corso di Etica chi ad esso viene e da esso coglie qualche idea cosa sta facendo? … sta reperendo – per casi propri della sua vita di ora – alcuni mezzi da usare tra gli altri per le sue azioni della sua vita morale,  per es. perchè nelle vicende a lui/lei ora contingenti vi sono false idee da confutare e confuse idee da chiarificare... e deboli da rafforzare... come dire che chi partecipa a un Corso del genere ha sia lo scopo teoretico (il conoscere fine a sé stesso, curiosità) sia lo scopo pratico di trovare dei “mezzi”, in questo caso delle idee...
  • alla Saggezza non spetta di prestabilire i fini delle virtù morali (il “giusto mezzo cioè medietà  nel campo di sentimenti e delle relazioni”) ma solo indicare i “mezzi” (qui ”mezzo” non significa “medietà” -  come nella espressione “giusto mezzo” - ma significa “strumento”) opportuni: “Il fine appartiene alle virtù morali, non perché esse lo prestabiliscono: ma perché tendono  al fine prestabilito dall'Intelletto Naturale. E a raggiungerlo sono aiutate dalla Saggezza , che  prepara loro la via, disponendo i mezzi opportuni. Perciò la Saggezza  è superiore alle virtù morali e le comanda. /.../ sebbene raggiungere il 'giusto mezzo' sia il fine delle virtù morali, tuttavia codesta medietà può trovarsi soltanto mediante la retta disposizione dei mezzi per raggiungere il  fine. /.../ La virtù morale tende al giusto mezzo come vi tende la natura. Siccome però il giusto mezzo non si presenta identico in tutti i casi, non basta l'inclinazione della natura, la quale opera sempre allo stesso modo, ma si richiede la Saggezza [che opera caso per caso].”
    Cosa significa questo ?
    1) che l'Intelletto prestabilisca i fini delle virtù morali ed esso sia una virtù innata ci dice che siamo tutti esseri umani, accomunati nella stessa Specie (natura) e dunque tutti abbiamo bisogno per realizzarci degli scopi della umiltà, della mitezza, della  sincerità, della generosità, della affettuosità etc;
    2) che le virtù morali siano invece acquisite attraverso la ripetizione degli atti ci dice che siamo “animali sociali”  cioè in quanto “animali” abbiamo un corpo e in quanto “sociali”  ci relazioniamo con gli altri, e che nel corpo (da cui emergono i sentimenti) e nella coabitazione con gli altri esseri umani (da cui emergono le relazioni) con la ripetizione dei nostri atti scaviamo come dei “solchi” che sono le virtù (ma anche i vizi) morali... “solchi”, rafforzamenti approfondimenti del nostro tendere a quegli scopi che abbiamo tutti noi, ma che non tutti noi ricerchiamo con la stessa forza e facilità e frequenza e precisione... forza facilità frequenza precisione dateci dal percorso delle nostre singole vite in cui abbiano costruito le virtù morali;
    3) che la Saggezza stia solo nel disporre i mezzi opportuni per raggiungere tali scopi ci dice che quegli scopi non sappiamo come raggiungerli e dunque non sappiamo neanche dire dove siano (in quali vicende, lavori, situazioni della vita siano) … devo scoprirlo volta per volta attraverso il continuo pensiero sul “cercare e trovare e usare i mezzi”, pensiero che è appunto la Saggezza...
    Detto in sintesi con una formula breve: le considerazioni sulla Saggezza ci parlano di una
    ricerca attraverso  strade imprevedibili...
  • gli atti della Saggezza sono tre: 1) la ricerca dei mezzi (“consiglio”) : 2) il giudicare tra i mezzi quali sono i migliori e quali siano le migliori modalità di usarli (“perspicacia e buon senso [elasticità]”) ; 3) nel comandarsi l'uso di essi (“prescrizione”) ... i primi due atti sono comuni alla  virtù intellettuale pratica chiamata Abilità Tecnica, mentre il terzo è specifico della Saggezza... Infatti nelle Abilità Tecniche  chi sbaglia volontariamente viene reputato migliore di chi sbaglia involontariamente, mentre al contrario succede  nella Saggezza... Perciò l'atto  del comando alla volontà è quello più proprio ed importante della Saggezza...
    Cosa significa questo ? Che la Saggezza è un pensiero che passa all'opera, che si fa per operare e non per “accumulare” cataloghi di buone idee e di buoni collegamenti tra di esse... No! un pensiero da “esperimento mentale” o da “riflessione scientifica”, anche se è riferito ai casi singoli della propria vita non è sufficiente per diventare saggi ….
  • la proprietà principale della Saggezza è la Sollecitudine/Vigilanza: « Spiega  Isidoro, che "sollecito suona solers citus (solerte veloce)"; per il fatto che uno per una certa solerzia dell'animo è veloce nell'intraprendere le cose da farsi. E  questo è proprio della Saggezza, il cui atto principale è comandare azioni deliberate e giudicate in precedenza.
    Ecco perché il Filosofo ha scritto, che "bisogna eseguire prontamente quanto si è deliberato, mentre si deve deliberare con lentezza". E per questo la  sollecitudine appartiene propriamente alla Saggezza.
    Ed ecco perché Agostino insegna, che "spetta alla Saggezza far la guardia con somma vigilanza, perché con l'insinuarsi dei cattivi consigli un po' per volta non restiamo ingannati
    ".»
    Cosa significa questo ? Beh un po' il contrario del significato di “Prudenza” (ma anche di “Saggezza”!) oggi usato nel linguaggio comune, per cui il prudente/saggio sarebbe uno grave serioso lento isolato distaccato... Aristotele, Isidoro, Agostino e Tommaso al contrario ci dicono che egli è vigile occhiuto inquieto ricercatore sperimentatore...  ed è anche  attivo veloce operativo decisionista … il suo motto non è “sono al riparo dai turbamenti della vita  e sono distaccato dai sentimenti e dal coinvolgimento relazionale con le altre persone !”,  ma il suo motto è “I care!

 

Le parti integranti della Saggezza

  • Memoria. «“l'esperienza nasce da una somma di ricordi, come spiega Aristotele. Perciò per la Saggezza si richiede la memoria, o il ricordo di più cose. /.../ la memoria non si esplica soltanto sulla base della natura, ma molto riceve dall'arte e  dall'industria personale. Quattro sono gli accorgimenti con i quali l'uomo sviluppa la propria capacità mnemonica. Primo, rivestendo le cose che vuole ricordare di immagini adatte, e tuttavia non troppo ordinarie: perché le cose straordinarie destano in noi più meraviglia, e quindi l'animo vi si applica con più forza; e da ciò deriva che ricordiamo meglio quanto abbiamo visto nell'infanzia. E questa ricerca di somiglianze o di immagini è necessaria,  perché le idee semplici e spirituali svaniscono più facilmente dall'anima, se  non sono legate in qualche modo a delle immagini corporee: poiché la conoscenza umana è più adatta per le cose sensibili. Ecco perché la memoria si riscontra nella parte sensitiva. - Secondo, è necessario che quanto l'uomo vuole tenere a memoria lo disponga ordinatamente nel suo pensiero, in modo  da passare facilmente da un ricordo ad un altro. Ecco perché il Filosofo  afferma: "Le reminiscenze talora prendono lo spunto dal luogo; e questo  perché facilmente si passa da un luogo a un altro". - Terzo, è necessario che  uno si applichi con sollecitudine e con affetto a quanto vuol ricordare: poiché  più una cosa è impressa profondamente nell'animo, meno si cancella. Infatti  Cicerone ha scritto nella Retorica, che "la sollecitudine conserva intatte le immagini delle cose rappresentate". - Quarto, le cose che ci preme ricordare bisogna ripensarle spesso. Ecco perché il Filosofo afferma, che "i pensieri assidui salvano la memoria": poiché, com'egli si esprime, "la consuetudine è come una seconda natura"; ed ecco perché subito ricordiamo le cose che  spesso abbiamo pensato, passando dall'una all'altra quasi seguendo un ordine naturale.»
    C
    osa significa questo ? … tre cose: 1) la Saggezza si radica nella mia vita, essa è la mia Saggezza, la continuità del mio percorso, nelle “lezioni” o “ferite” o “sfide” o “successi” o “sorprese” di vario tipo, che ho visto nel paesaggio che ho percorso durante il mio viaggio; 2) l'esperienza non è Scienza e la memoria di cui si parla è non è la “memoria intellettuale” ma è la “memoria sensitiva” ( “immagini sensibili” e “sentimenti”, di queste due diverse memorie  Tommaso parla nella Pars Prima)... Esempio di io adolescente  al liceo appoggiato al termosifone che relaziono ai compagni Sogno di una notte etc... in questo mio esempio c'è anche una “idea” (di esperienza!) legata a tale memoria “sensitiva”, ma “idea” che  è “storica”, cioè è mia! ; 3) compare anche qui la caratteristica principale della Saggezza che è la Sollecitudine... io devo esser sollecito ad esercitare la mia memoria... qui Tommaso dice la stessa cosa che mi diceva il dottor De Masi: “Manni ripensi continuamente agli episodi del sua vita passata!”.
  • Intuizione.  «C'è poi un' intuizione, o intelletto, la quale, a detta di Aristotele, ha per oggetto un  "termine", cioè un primo dato singolare e contingente da compiere, vale a  dire la minore del sillogismo, che nel processo razionale della Saggezza deve   essere singolare, come abbiamo detto. Questo primo dato concreto o  singolare è un fine particolare, come nota lo stesso Aristotele. Perciò  l'intelletto che troviamo tra le parti della Saggezza è il giusto apprezzamento di un fine particolare.»
    cosa significa ? … (esempio del dare ascolto alla persona ghettizzata in un gruppo in ci sono anche io)...la “intuizione” è come la consapevolezza di esser attore nella vita... quello quella massima universale  di giustizia che ho sentito nei racconti e sui libri ora si incarna sotto i miei occhi... svegliati ! è qui e ora … sei protagonista e non solo ascoltatore della storia!
  • Docilità. «La Saggezza, come abbiamo detto, ha di mira le azioni particolari da compiere. E poiché queste sono quasi infinitamente varie, non è possibile che un uomo possa considerarle in tutti i loro aspetti, e in pochi momenti, ma si richiede molto tempo. Perciò specialmente nelle cose relative alla Saggezza l'uomo ha bisogno di essere istruito da altri: ecco perché il Filosofo afferma: "Bisogna por mente alle osservazioni ed opinioni indimostrate degli uomini esperti e  vecchi ; poiché l'esperienza fa loro scorgere i principi". Ora, il fatto che uno è ben disposto a farsi istruire appartiene alla docilità, la quale con frequenza e riverenza applica il proprio spirito agli insegnamenti dei Maggiori, senza trascurarli per pigrizia, e senza disprezzarli per superbia.»
    cosa significa ? … che siamo legati da vicende comuni (i ritmi della vita biologica, i riti sociali, etc): la storia della mia vita è una cellula della Storia Interpersonale....  È vero che ciò che mi capita mi capita come cosa unica e nuova... MA questa unicità non nasce dal niente, bensì da una Storia: l'altro che con docilità ascolto è colui che ha percorso un tratto della Storia e mi dice: “Franco, io sono arrivato – riguardo a questo problema della vita – fino a questo punto e te lo racconto... vedi tu – su questo problema - cosa puoi fare ancora di più o di diverso...!”
    Attenti dunque! La Docilità non è né sottomissione (sono costretto ad ascoltare!) né inerzia passiva (ah, il “lavoro di vivere”  lo fa lui/lei/loro!), sottomissione e inerzia  che non fanno imparare dalle esperienze altrui qualcosa di utile per sé stessi... ma, come la ho appena descritta nella mia frase, è un “prendere il testimone” di chi ha già vissuto l'avventura nella Storia, e verso cui si ha fiducia, simpatia, pietas e solidarietà...
  • Solerzia. “la giusta valutazione si acquista in due maniere: primo, scoprendo le cose da se stessi; secondo, imparandole da altri. Ora, come la docilità ha il compito di ben disporci nell'acquisto della retta opinione da  altri; così la solerzia ha il compito di ben disporci ad acquistare la retta  valutazione da noi stessi. La solerzia è  una disposizione con la quale all'improvviso uno – con rapida congettura - scopre ciò che conviene. Uno, p. es., vedendo che alcuni sono diventati amici, subito sospetta che  siano nemici della medesima persona, come nota Aristotele.”
    cosa significa ? Che siccome siamo Attori nella Storia per quanto - come analisti e critici in una nostra cogitazione su ciò che dobbiamo fare siamo “lenti” – ecco che la necessità di agire nel krònos kairòs (il momento opportuno che non aspetta le nostre cogitazioni) ci porta a fare una congettura rapida per agire subito... potremo, poi, nel caso di errore, “popperianamente” correggerla, ma – intanto – dobbiamo farla!... il saggio non è il beota inerte lento, ma colui che sa comandarsi di agire subito al momento opportuno
  • Forza Logica.  «A detta del Filosofo, “compito della persona prudente è ben  deliberare". Ora, la deliberazione è una ricerca che partendo da certi dati si volge verso altri. E questo è compito della ragione [coerenza logica]. Perciò per la Saggezza si  richiede che l'uomo sia capace di ben raziocinare. Ora, le azioni particolari, sottoposte alla guida della Saggezza, si allontanano  in modo particolare dalla condizione delle cose intelligibili: e tanto  maggiormente, quanto più sono incerte e indeterminate. Perciò sebbene nelle altre virtù intellettuali la coerenza logica sia più certa che nella Saggezza, tuttavia per la Saggezza specialmente si richiede che l'uomo sia capace di ben raziocinare, in modo da poter applicare a dovere i principi universali alle cose particolari, che sono varie ed incerte.»
    cosa significa ? È come una iniezione di fiducia: per capire cose della vita morale non devi pensare di dover buttare al mare quella logica che ti aiuta nella scienze e nelle tecniche... per es. se hai già visto che una persona fa la “aiutante altruista” verso le magagne altrui non per bontà ma per coprire le proprie magagne, quando la vedi ora fare una cosa del genere non sentirti confuso e in colpa ma sappi cosa pensare di lei e cosa dirle...
  • Progettazione Responsabile. “alla Saggezza umana sono soggette soltanto le azioni contingenti, che l'uomo può  compiere per un fine. Ora, le azioni passate hanno già raggiunto una certa   necessità: perché ormai è impossibile che quanto è stato fatto non sia. Così pure le cose presenti hanno anch'esse una necessità in quanto tali: infatti  mentre Socrate siede è necessario che sieda. Perciò appartengono alla   Saggezza i soli atti contingenti futuri, in quanto sono ordinabili dall'uomo al fine della vita umana. Ebbene nel termine previdenza sono indicate queste  due cose: infatti la previdenza implica rapporto con qualche cosa di distante, a cui devono essere ordinate le cose che capitano al presente.”
    cosa significa ? La “previdenza” non una “previsione” del futuro (il quale  è inconoscibile e dipenderà da infinite cause che sfuggono alla mia azione),  ma è un “progetto responsabile” : se agisco così e così devo aspettarmi delle conseguenze , devo pensare ad esse... non dovranno “stupirmi” e io cascare dalle nuvole quando queste conseguenze ci saranno e – impreparato ad affrontarle  -  io stare a fuggirle e rinnegare così la mia azione stessa... non sarei “responsabile delle mie azioni”,  cioè non sarei capace di ammettere di avere sbagliato, di correggermi e di migliorarmi...
  • Aderire alle Circostanze. “siccome la Saggezza, e lo abbiamo già spiegato,  ha per oggetto le azioni particolari da compiere, in cui concorrono molte  cose, può capitare che un'azione considerata in se stessa sia buona e  proporzionata al fine, e tuttavia venga resa cattiva e non indicata per il fine a  motivo degli elementi che vi concorrono. Mostrare ad uno, p. es., dei segni  di affetto, di suo è fatto per averne l'amore; ma se l'animo di costui è prevenuto dalla superbia o dal sospetto di essere adulato, questo non potrà giovare allo scopo. Perciò per la Saggezza si richiede la circospezione: in modo che uno, nell'ordinare una cosa al suo fine, tenga presente anche le circostanze”
    cosa significa ? È la flessibilità a riveder i propri piani... io (in altre circostanze) avrei fatto così, MA: ecco! Vedo che queste circostanze sono diverse, e, dunque, devo fare altrimenti... è come abituarsi a sapere che non ci si può basare solo sul  proprio piano/progetto, ma che bisogna aderire alla realtà  presente qui e ora (è il simbolo del Serpente nella Tradizione Iconografica!) … la Circospezione è un invito alla modestia contro la presunzione facilona del pensare di avere capito già tutto... ma è anche una “consolazione” come appare proprio nell'esempio portato da Tommaso: capire che in queste circostanze il mio affetto non può esser ricambiato, getta il peso del fallimento sulle circostanze e non su di me (né sull'importanza dell'Amore che volevo esprimere con quel mio gesto di affettuosità)
  • Pessimismo Realistico (“Cautela”). “Le cose di cui si occupa la Saggezza sono le azioni contingenti eseguibili, nelle quali può esserci mescolanza di bene e di male come di vero  e di falso, per la varietà di codeste operazioni, in cui spesso il bene è  impedito dal male, e il male può avere l'aspetto di bene. Perciò la Saggezza  deve armarsi di cautela, in modo da cogliere il bene, evitando il male. In morale la cautela è necessaria  non per guardarsi dagli atti di virtù: ma per cautelarsi da ciò che potrebbe impedire codesti atti. Perseguire il bene e premunirsi dal male contrario parte dallo stesso principio nella azione di chi agisce [e delle conseguenze di propri errori deve farsi carico responsabilmente l'agente] . Ma evitare certi ostacoli esterni appartiene a un'altra funzione. Ecco  perché la cautela è distinta dalla previdenza”
    cosa significa ? se essere Responsabile (previdente)  significa tener conto del male che può scaturire dalle mie azioni, esser Cauto significa invece che -  indipendentemente dalle mie azioni - il Male esiste già nel mondo... che vi sono realtà cattive già presenti ed operanti e indipendenti da me che ostacolano al bene che io vorrei... tener conto di questo da una parte mi fa modificare con precauzioni la mia azione in base alle “fattispecie”tipiche di mali che la mia ragione riesce a catalogare, e d'altra parte per quei Mali anche gravi anche molto gravi anche mortali di cui nessun “catalogo di fattispecie” può avvertirmi, io avrò già quel  “pessimismo realistico” e non illuso sulla  imperfezione della giustizia umana, sui limiti delle persone, sulla durezza e difficoltà della vita  … quel pessimismo realistico  che impedirà lo sconcerto,  modererà la mia tristezza, eviterà la disperazione...
    La Cautela ci fa pensare – anche ! - a Socrate e a Gesù ! Cioè al Dramma e anche Tragedia della vita degli esseri umani: fare il bene (seguire le VC) non porta subito e prevalentemente al riconoscimento grato e ammirato e amoroso degli altri esseri umani, piuttosto porta subito e prevalentemente all'invidia, alla  paura di veder ostacolate le proprie prepotenze, all'odio ideologico e all'odio personale e dunque poi alla calunnia, e alla  persecuzione anche estrema...
    La Cautela non ci dice che  il saggio eviterà i pericoli e i mali...  ma piuttosto che egli  deve cercare di fare azioni morali (attraverso la sua Saggezza) nonostante sappia che Pericoli e Mali ci sono e ci saranno, anche estremamente gravi...

 

 

Le parti soggettive della Saggezza

  • Individuale
  • Familiare ed Economica
  • Politica di chi governa
  • Politica di chi è governato
  • Militare

 

 

Le parti potenziali della Saggezza

  • Consiglio (ricerca/analisi/discussione)
  • Giudizio (perspicacia ed elastico buon senso)
  • Comando (prescriversi di passare all'azione) … questo terzo atto è quello principale e caratteristico della Saggezza... cioè il saggio non è in primo luogo chi è capace di ricordare, osservare e fare collegamenti tra  le esperienze della vita (“Consiglio”) , e non è neanche in primo luogo colui che ha la intuizione sicura di ciò che è più giusto fare qui ed ora (“Giudizio”) , ma il saggio è in primo luogo colui che è abituato per diuturna pratica a mettere  in pratica ciò che ha pensato (“Comando”) ...a  esser attivo, a sperimentarsi Attore e non solo Spettatore della vita, abituato a capire in profondità che non è possibile essere solamente e  neanche prevalentemente spettatori della vita...

 

I vizi opposti alla  Saggezza per contrapposizione

  • Imprudenza.”L'imprudenza può essere concepita in due maniere: come  Privazione, e come Vizio Contrario alla Saggezza. -
    ( Infatti come semplice Negazione il  termine sarebbe improprio, ché allora verrebbe a indicare la sola inesistenza   della virtù: e tale imprudenza può essere senza peccato, come accade  nei giovani, i quali per necessità naturale non hanno la Saggezza).

    Invece si parla d'imprudenza in senso Privativo, quando uno manca di quella Saggezza che  può e deve avere. E allora l'imprudenza è peccato a motivo della Negligenza, con cui si trascura l'impegno per acquistare la Saggezza.
    Si parla finalmente dell'imprudenza di Contrarietà, quando la ragione procede o agisce al contrario della Saggezza. Se, p. es., la retta ragione agisce consigliandosi, l'imprudente disprezza il consiglio: e così per tutte le altre funzioni da osservarsi nell'atto della Saggezza”

    Le specie della Imprudenza sono: Precipitazione, Inconsiderazione, Incostanza.
    1) Precipitazione. Si oppone all'atto della ricerca/analisi e va contro a: memoria, intuizione, docilità,  solerzia, logica.
    2) Inconsiderazione. Si oppone all'atto del giudizio e va contro a: perspicacia e elasticità.
    3) Incostanza. Si oppone all'atto del comando: “
    si dice infatti che uno è incostante, perché la sua ragione manca nel  comandare le azioni deliberate e giudicate.”
    cosa significa ? Che contrastare la Saggezza significa avere una Ideologia di Disprezzo e Odio verso essa e tutte i singoli aspetti di essa che abbiamo visto sopra... Potremmo – come esercizio - fare una serie di esempi tratti dalle nostre vite in cui si possano veder tali “Disprezzo e Odio” contro i singoli aspetti: attenta ricerca,  ascolto docile, responsabilità, circospezione, etc.
    e siccome il Comando è l'atto più proprio e importante della Saggezza, allora l'Incostanza è il vizio più grave contrario ad essa: cioè il non vedermi come Attore nella vita!.. sì, ho le mie esperienze, le mie opinioni e valutazioni ma, poi, penso che sia “giusto” che agiscano gli altri !: i genitori, i professori, il capoufficio, i colleghi, i politici, lo Stato, i preti, i santi, gli eroi.... Io no!
    l'origine di questi vizi è nella Lussuria: «
    A detta del Filosofo, "il piacere corrompe il giudizio della Saggezza", e specialmente il piacere venereo, il quale assorbe tutta l'anima e la trascina al piacere sensibile. L'Invidia e l'Ira causano  l'Incostanza, trascinando altrove la ragione; ma la Lussuria la produce estinguendo del tutto il giudizio. Ecco perché il Filosofo scriveva, che "chi non sa frenare la collera ascolta la ragione, anche se imperfettamente; chi invece non sa frenare la concupiscenza non l'ascolta affatto". Anche la doppiezza d'animo è un effetto della Lussuria, come l'Incostanza, in quanto codesta doppiezza implica la disposizione dell'animo a volgersi  verso cose contrarie. Ecco perché Terenzio scriveva, che "nell'amore si  alternano la guerra e la pace, e quindi la tregua". »

  • Negligenza.I peccati commessi per Negligenza sono distinti da quelli  commessi per Disprezzo. La negligenza dice Mancanza della debita Sollecitudine. La negligenza riguarda l'atto del comandare, come del resto la sollecitudine. Tuttavia rispetto a codesto atto il Negligente manca in maniera diversa dall'Incostante. Infatti l'Incostante manca nel comandare quasi frastornato da altre cose; invece il Negligente pecca per mancanza di prontezza di volontà.”
    cosa significa ? È come dire che l'Incostante non diventa Attore nelle virtù morali perchè è attratto da Cose Esterne (i piaceri, le ricchezze, gli onori, il potere) che gli fanno disprezzare il proprio agire nel campo morale; invece il Negligente non diventa Attore nelle virtù morali perchè è troppo indulgente verso sé stesso, è troppo “simpatico” a sé stesso e si “coccola” con stupidità, privilegia sé stesso in maniera ingiusta... si illude di essere vitale anche se non fa gli atti della vita... ci pensa su e ne è spettatore, ma non li fa...

 

 

I vizi opposti alla  Saggezza per falsa somiglianza

  • nei vizi della sezione appena trattata vediamo come dire quelle persone che possiamo chiamare  i “falliti”.... coloro che dall'esterno, dalla società sono giudicati fallire nei fini sociali accettati dai più... per precipitazione, ottusità, incostanza o negligenza...
    Invece in questa sezione trattiamo dei vizi di coloro che “hanno successo”... i Tronchetti-Provera, i Lenin, i D'Alema (cerco di esemplificare) … quei “borghesi benestanti e longevi” dipinti da tanti romanzi tra XIX e XX secolo... Tommaso li chiama “saggi nella carne” e “astuti”: “
    La Saggezza è la retta ragione delle azioni da compiere, come la scienza è la retta ragione delle cose da conoscere. Ora, in campo  speculativo si può sbagliare in due modi contro la rettitudine della scienza:  primo, per il fatto che la ragione viene indotta a una conclusione falsa  apparentemente vera; secondo, per il fatto che la ragione si serve di argomenti falsi ma apparentemente veri, per giungere a conclusioni, o vere, o false.
    E quindi può esserci un
    doppio peccato contro la Saggezza, che ne riveste le apparenze. Il primo dipende dal fatto che la ragione indirizza la sua attività ad un fine che non è buono in realtà, ma solo all'apparenza; e questo costituisce la Saggezza della Carne. Il secondo dipende dal fatto che uno per conseguire il proprio fine, buono o cattivo che sia, si serve non delle vie sincere, ma di quelle simulate e finte: e questo costituisce il peccato di Astuzia. Perciò si tratta di un peccato opposto alla Saggezza, distinto dalla Saggezza della carne.”
    cosa significa ? … qui si apre uno scenario ampio e difficile... se il “successo” non è garanzia di moralità allora la moralità a cosa serve ?.... serve alla  Felicità (il Sommo Bene) dice la filosofia... ma allora abbiamo questi due problemi: si può avere successo senza moralità (felicità)? E si può avere moralità (felicità) senza successo ?... qui il tema specifico della Saggezza di allarga verso i temi fondamentali di tutta l'Etica (il fine  ultimo delle azioni umane) ...e dunque verso l'Antropologia (cosa è l'Uomo? Quale è il suo ruolo nel Tutto?)  … e verso la Metafisica (cosa è il Tutto?)...
  • Saggezza della Carne. «La Saggezza, come abbiamo visto, ha per oggetto i mezzi  ordinati al fine di tutta la vita umana. Perciò per Saggezza della Carne  s'intende propriamente quella di colui che considera i beni della carne come il fine ultimo della propria vita. Ora, è evidente che questo è peccato: perché distoglie l'uomo dall'ultimo fine, che non consiste nei beni del corpo. La sollecitudine dice impegno per raggiungere una data cosa. Ora, è evidente che l'impegno è proporzionato al timore di non farcela: e quindi, se c'è la sicurezza di raggiungere lo scopo, la sollecitudine è minima.  Perciò la sollecitudine per le cose temporali può essere illecita per due  motivi. 
    Primo: la sollecitudine per le cose temporali può essere illecita per l'
    impegno eccessivo che si mette nel procurare codeste cose, trascurando così quelle spirituali, cui l'uomo deve principalmente attendere. Perciò nel Vangelo si legge che "la sollecitudine del mondo soffoca la parola di Dio".
    Cosa significa ? … utile la applicazione che gli psicanalisti di oggi fanno del concetto di “Superio”: una sottomissione a ideologie di “altri” che assorbono le energie e il tempo della vita personale, nel mentre ci si “dedica” ad esse si smarriscono i propri scopi personali, non si perseguono più i propri ideali più intimi, legati alle caratteristiche più intime della propria individualità...
    «Secondo, per l'
    eccessivo timore: cioè quando uno ha paura che gli venga a  mancare il necessario, facendo il proprio dovere. Sentimento che il Signore esclude  insistendo sulla divina provvidenza, la cui ignoranza provoca nei pagani una  sollecitudine eccessiva per la ricerca dei beni temporali. E quindi conclude che la nostra principale sollecitudine deve essere per i beni spirituali, nella speranza che facendo il nostro dovere, ci verranno concessi anche i beni temporali.  »
    cosa significa ? Indica come il rischio di vivere in maniera sbilanciata rispetto alla nostra stessa natura umana che è fatta sia per i  beni “temporali” sia per i  “spirituali”, ma secondo una certa gerarchia ...e dunque indica il rischio di una vita monca, mutila, molto incompleta... e anche impaurita e affannosa... soprattutto per il futuro :  «A ciascun  tempo infatti appartiene la propria sollecitudine, o preoccupazione: all'estate si addice la preoccupazione del mietere, all'autunno quella della vendemmia. Perciò se in estate uno già fosse preoccupato della vendemmia, anticiperebbe  senza motivo la preoccupazione per il futuro. Ecco perché il Signore  proibisce codesta preoccupazione come eccessiva, dicendo: "Non siate solleciti per il domani". E aggiunge: "Poiché il domani sarà sollecito di se stesso", avrà cioè la propria sollecitudine, che basterà per affliggere l'animo.  Di qui la conclusione: "A ciascun giorno basta il suo affanno", cioè l'affanno della preoccupazione. »
    cosa significa ? La preoccupazione per il futuro è un aspetto di quel “Superio” di cui dicevo prima: invece il badare al presente significa “stare a contatto” con la propria personalità, coi propri sentimenti più individuali, senza “consegnarsi” a ideologie generiche, standard “altrui”
  • Astuzia. “L'astuzia può portare a deliberare sia per un fine buono sia per un fine cattivo: però si deve arrivare a un fine buono non con vie false e ingannevoli, ma  sincere. Perciò l'astuzia è peccato, anche se è ordinata a un fine buono. La messa in opera dell'astuzia per ingannare ricorre in maniera primaria e principale alla parola, che tiene il primo posto tra i segni con i quali l'uomo indica qualche cosa agli altri, come nota Agostino. Ecco perché l'inganno viene attribuito specialmente alla parola. ”
    cosa significa ?... che la cosiddetta “pia fraus”, cioè l'inganno per un fine ritenuto buono dall'ingannatore  è in realtà anch'esso un male...  perchè corrompe la mutua fiducia nello strumento più proprio della natura (razionale e sociale) dell'uomo, la parola... per es.  il “buon” consigliere che con ragionamenti abili ed efficaci convincesse una persona a
    non fare azioni illecite – tipo evadere le tasse o  fare le scarpe a un collega -  dimostrandogli che tali azioni sarebbero  facilmente scoperte e probabilmente fallirebbero, mentre invece dentro di sé pensa che al contrario probabilmente esse  riuscirebbero... ecco: questo consigliere distoglierebbe in effetti quella persona dal compiere la azione illecita... ma, ingannandola nell'esame della realtà, indebolirebbe  in lei (anche se lei non ne è consapevole!) la forza del pensiero e la fiducia nella sincerità...
    se poi guardiamo all'astuzia direttamente volta a fare il male, si può fare questa osservazione: “
    Tutti quelli che vogliono compiere del male sono costretti a escogitare delle vie per soddisfare il loro proposito: e per lo più escogitano vie ingannatrici, con le quali è più facile raggiungere lo scopo. Sebbene capiti che talora alcuni compiono il male, senza astuzia e senza inganno, ma apertamente con la violenza. Questo però, essendo più difficile, avviene in pochi casi.”
    cosa significa ? Beh... ci ammonisce a svegliarci, a non seguire i luoghi comuni dei media e delle chiacchiere in cui la violenza fisica sembra esser la causa principale se non l'unica dei Mali della Società... la rapina, lo stupro, la violenza verso i minori... quando invece sono molto più pervasivi gli inganni... i bambini o i lavoratori o una fidanzata possono impazzire o anche suicidarsi per il terrorismo psicologico, il mobbing, i falsi in bilancio... anche se l'osservatore superficiale si stupisce  e dice che “andava tutto bene” perchè non vede traccia di una antecedente violenza fisica...consiglio di veder il recentissimo film canadese Monsieur Lazhar che illustra i pericoli di questo “buonismo”, cieco verso i mali psicologici e spaventato invece solo dai presunti mali fisici...
  • l'origine di questi di questi due vizi ( Saggezza della Carne e Astuzia) è nella Avidità. “la Saggezza della Carne e l'Astuzia hanno una certa somiglianza con la Saggezza in quanto fanno uso della ragione. Ora, tra tutte le virtù morali l'uso della ragione è più evidente nella Giustizia, che risiede nell'appetito razionale. Perciò l'uso disordinato della ragione è sommamente evidente nei vizi che si oppongono alla Giustizia. Ma a questa si oppone specialmente l'Avidità. Mentre la Lussuria per la forza del  piacere e della concupiscenza opprime totalmente la ragione, impedendole di  passare all'atto, invece nei vizi suddetti c'è un un certo qual uso della ragione, anche se disordinato. Perciò quei vizi non nascono direttamente dalla Lussuria, ma specificamente dalla Avidità.”
    cosa significa ?...un collegamento (la “connessione tra le virtù”!) con la Giustizia … se questa manca non si può essere saggi... la sua mancanza nella Avidità è analizzata dettagliatamente da Tommaso appunto nel trattato sulla Giustizia... qui cosa si può osservare ? Che l'eccessivo attaccamento ai beni materiali rimanda alle variegate  discussioni sul Produttivismo e sul Consumismo cui nella nostra epoca siamo abituati... Produttivismo e Consumismo come cause della Non-Saggezza  di tante vite... che possono - dall'esterno e superficialmente  -  esser considerate “di successo” ma che per superlavoro, frodi finanziarie, avarizia, fascinazione per le merci e gli acquisti, patologica preoccupazione per la sicurezza del benessere futuro, etc possono perdersi … col perdere  le amicizie, la cultura, la salute, la conoscenza di sé stessi...

 

 

 

Giustizia

 

  • nella Tradizione Occidentale dal Basso Medio Evo in poi, troviamo svariati  Simboli Iconografici della Giustizia : 1) la Bilancia della G. commutativa (“tanto, quanto”, senza disuguaglianza) ; 2) la Benda della G. distributiva (“a ciascuno il suo”, senza parzialità)  ; 3) la Spada (il potere della autorità); 4) il Caduceo ( emblema del dio Ermes e del medico Esculapio, una bacchetta intorno alla quale si attorcigliano a spirale due serpenti, di cui uno benefico e uno malefico: ha il potere di ristabilire l'equilibrio tra le due forze opposte) ; 5) lo Struzzo ( per la lentezza e la tenacia della sua digestione, simbolo della pazienza nel giudizio); 6) il Gallo (simbolo della Verità che si spera assista i giudizi umani) ; 7) il Fascio Littorio (simbolo della pazienza nel giudizio: prima di usare la scure bisogna togliere una a una le verghe attorno ad essa).  

 

La Giustizia in sé stessa

·                      Cosa è . «Come afferma Cicerone, "gli uomini si dicono buoni specialmente per  la Giustizia”. E la  Giustizia è “l'abito mediante il quale  si dà a ciascuno il suo con volere costante e perenne". E questa definizione coincide con quella che dà il Filosofo nell'Etica»
che significa? .. che gli uomini sono buoni soprattutto per come si comportano con le altre persone e non per i propri sentimenti interiori... È la  scelta di un “tipo” particolare di etica… tipo che possiamo chiamare Occidentale, non Orientale...

  • la Giustizia è sempre verso le altre persone. «Cicerone afferma che "costitutivo" della Giustizia è "ciò  che forma la società degli uomini tra loro, e la comunanza di vita". Perciò la  Giustizia è solo per i doveri verso gli altri. 
    Materia di una virtù morale, definita dal Filosofo come retta ragione, sono tutte le cose che dalla ragione possono essere regolate. Ora, dalla ragione possono essere regolate, sia i sentimenti dell'anima, sia gli atti esterni, sia le cose esteriori soggette all'uso dell'uomo: mentre però l'ordinamento di un uomo ad un altro avviene mediante gli atti esterni e le cose esteriori, l'uomo viene regolato in se stesso in rapporto ai sentimenti interiori. Perciò, siccome la Giustizia dice ordine ad altri, non abbraccia tutta la materia delle virtù morali, ma soltanto le cose e le azioni esterne, sotto una  particolare ragione oggettiva, cioè in quanto un uomo con esse entra in  relazione con altri. »
    e verso sé stessi ?  «in senso figurato si possono considerare i diversi principi operativi di un medesimo uomo, p. es., la  ragione, l'irascibile e il concupiscibile, come fossero altrettante “persone”, cioè soggetti operativi distinti. Ecco perché metaforicamente si può parlare della Giustizia di  un uomo verso sè stesso, in quanto la ragione comanda all'irascibile e al  concupiscibile, e in quanto essi obbediscono alla ragione, e genericamente in  quanto ad ogni facoltà umana viene attribuito ciò che le conviene. Non per  nulla il Filosofo chiama "metaforica" questa Giustizia.»
    cosa significa? A me suggerisce la teoria del Freudismo, e cioè l'analisi del mondo interiore nella Personificazione delle “parti interne” della personalità (Io, Es, Superio, Oggetti interni)
  • Volontà, non Sentimenti . «SEMBRA che la Giustizia abbia per oggetto i sentimenti. Infatti:il Filosofo ha scritto, che "le virtù morali riguardano piaceri e tristezze. Ora piaceri e tristezze sono sentimenti, come abbiamo visto sopra nel trattato dei sentimenti. Perciò la Giustizia, essendo una virtù morale, ha per oggetto i  sentimenti.
    MA : esistono due tipi di appetito: c'è la volontà, che appartiene alla ragione; e c'è l'appetito sensitivo che segue alla percezione sensitiva dei sensi, e che si divide in irascibile e concupiscibile. Ebbene, rendere a ciascuno il suo non può derivare dall'appetito sensitivo:
    perché la conoscenza sensitiva non può estendersi a considerare il rapporto di un soggetto con un altro, ma questo è proprio della ragione. Perciò la Giustizia non può risiedere nell'irascibile, o nel concupiscibile, ma soltanto nella volontà. La giusta soluzione del quesito risulta evidente da due argomenti. Primo, partendo dal subietto della Giustizia, che è la volontà, i cui moti o atti non sono sentimenti, come sopra abbiamo visto; ché sentimenti si denominano soltanto i moti dell'appetito sensitivo. Perciò la Giustizia non ha  per oggetto i sentimenti come la Temperanza e la Fortezza, le quali risiedono invece nell'irascibile e nel concupiscibile.  Secondo, partendo dalla materia. Poiché la Giustizia riguarda i doveri verso gli altri. Ora, noi non veniamo ordinati immediatamente verso gli altri dai sentimenti che sono interni. Perciò la Giustizia non ha per oggetto i sentimenti
    Che significa? Che nell'uomo l'inizio della sua riforma (correzione, cura, guarigione) sta nell'osservare le sue distorsioni relazionali e nel cominciare a mutarle... in un contesto di relazioni interpersonali  distorte, sarebbe impossibile avere, per es, una vera Temperanza nel campo di quel particolare piacere che deriva dall'ira o una vera Fortezza nel resistere a una prepotenza... es. delle comunità di recupero dalle tossicodipendenze... mio esempio del 1988: cambiamento di frequentazione dai “colleghi” all'Esagono e al Gruppo Orizzonti...
    «Le azioni esterne stanno di mezzo, in qualche modo, tra le cose esterne, che ne costituiscono la materia, e i sentimenti interiori, che ne sono i principi. Ora, capita qualche volta che ci sia mancanza da un lato, senza che vi sia dall'altro: come quando uno, p. es., toglie la roba altrui non per il desiderio di possederla, ma per fare un danno; oppure, al contrario, quando uno desidera  la roba altrui, che però non intende rubare. Perciò la guida regolata delle nostre azioni in quanto queste hanno il loro termine nelle cose esterne, appartiene alla Giustizia: ma in quanto nascono dai sentimenti appartiene alle altre virtù morali, che hanno per oggetto i sentimenti. Perciò il furto è contrastato dalla Giustizia, perché incompatibile con l'uguaglianza da  rispettare nelle cose esterne: e dalla Generosità in quanto esso deriva dal desiderio smodato delle ricchezze. Siccome però le azioni esterne non ricevono la specie dai sentimenti interiori, ma piuttosto dalle cose esterne che ne sono l'oggetto, di suo le azioni esterne sono più materia di Giustizia che delle altre virtù morali.
    Cosa significa ? Come sia utile cominciare dalla Giustizia cioè dal “necessario” anche se poi non è “sufficiente” fermarsi ad essa, altrimenti escludendo l'analisi del proprio mondo interiore sentimentale  la Giustizia apparirebbe come una posticcia costrizione... e essa sarebbe o non attuata o non mantenuta...
    «D'ALTRA PARTE : Non è detto che qualsiasi virtù morale riguardi i piaceri e le tristezze come propria materia: infatti la Fortezza ha per oggetto timori ed audacie. Ogni virtù morale è invece ordinata al piacere e alla tristezza come a scopi concomitanti: poiché, a detta del Filosofo, "piacere e tristezza sono il fine principale in vista del quale consideriamo ciascuna cosa buona, o cattiva". E sotto questo aspetto essi appartengono anche alla Giustizia: poiché, a detta di Aristotele, "chi non gode delle azioni giuste non è giusto".»
    cosa significa ? Che un piacere derivante da un atto giusto nelle relazioni ci avverte che questa Giustizia è nostra (nostra “volontà”) e non imitazione/sottomissione a norme e modelli altrui...
  • Oggettività . "La Giustizia è quella virtù che dà a  ciascuno il suo, che non esige l'altrui, e che sacrifica il proprio vantaggio per  il bene comune. Materia della Giustizia, come abbiamo detto, sono le azioni esterne in quanto esse - o le cose di cui ci serviamo con esse -  sono adeguate ad altri individui verso i quali siamo ordinati mediante la Giustizia. Ora, si dice  proprio di ciascun individuo ciò che a lui è dovuto secondo una certa uguaglianza di rapporti. Perciò l'atto specifico della Giustizia non consiste in altro che nel rendere a ciascuno il suo.”
    cosa significa ? …  a me parla della “oggettività” delle nostre vite individuali, una oggettività che si capisce nel vederle tasselli di un soggetto organico interpersonale... ciascuno di noi ha una missione in quanto svolge una funzione, e svolge una funzione in quanto ha una collocazione specializzata nella comunità umana... siamo chiamati ad “uscire” e a capire quel sia tale nostra missione  nella comunità...
  • Fondamentalità. «SEMBRA che la Giustizia non sia superiore a tutte le virtù morali. Infatti: 1) La Giustizia ha il compito di rendere a ciascuno il suo. La Generosità invece  ha quello di dare del proprio, il che esige maggiore virtù. Dunque la Generosità è una virtù superiore alla Giustizia. Inoltre : 2) Come Aristotele ricorda, la virtù ha per oggetto "il difficile" e "il bene". Ma la Fortezza ha di mira cose più difficili che non la Giustizia, cioè "i pericoli di morte", secondo l'espressione aristotelica. Quindi la Fortezza è superiore alla Giustizia.
    MA: La Giustizia
    è la più  nobile fra tutte le virtù morali: poiché il bene comune è superiore al bene  particolare di un individuo. Di qui l'affermazione di Aristotele nell'Etica, che "la Giustizia è la più eccellente delle virtù, e né la stella della sera né quella del  mattino sono così ammirabili". Infatti le altre virtù vengono  lodate solo per il bene della persona virtuosa. La Giustizia invece è lodevole anche per il fatto che la persona virtuosa è ben ordinata nei rapporti con gli altri: e quindi in qualche modo la Giustizia è un bene altrui, come nota Aristotele.
    E PERCIO' :
    1) Sebbene la Generosità “giusta”  dia solo del  proprio, tuttavia lo fa mirando al bene della propria virtù. La Giustizia invece  dà ad altri ciò che loro appartiene, mirando al bene comune. Inoltre l'atto della Generosità deve fondarsi sull'atto della Giustizia: infatti, come nota Aristotele, "non sarebbe una donazione generosa , se uno non desse del proprio". Perciò la Generosità non potrebbe esistere senza la Giustizia, la quale stabilisce ciò che appartiene a ciascuno. Invece la Giustizia può esistere anche senza  Generosità. Quindi la Giustizia di per sé è superiore alla Generosità, perché più comune e fondamento di essa: tuttavia la Generosità è superiore secundum quid, essendo come una rifinitura della Giustizia, e un complemento di essa.
    2)  La Fortezza ha per oggetto cose più difficili, non già più eccellenti, essendo  essa utile soltanto in guerra: invece la Giustizia è utile in pace e in guerra.»
    cosa significa ? È un richiamo a questo “tipo” di etica, non sentimentalistica … altre etiche invece valuterebbero maggiormente Generosità e Fortezza in quanto valutano soprattutto i sentimenti e le virtù che li regolano... a me come  insegnante vengono in mente molti esempi di “Generosità” non giuste nella scuola... e come uomo di “Fortezze” non virtuose negli sport...
    cioè pseudo-generosità e pseudo-fortezze, non vere virtù perchè ad esse manca la Giustizia!

 

 

Le due giustizie

 

  • Commutativa e Distributiva . “La Giustizia  è ordinata alle  singole persone, le quali stanno alla collettività come le parti al tutto. Ora, verso le parti si possono considerare due tipi di rapporti. Il primo è quello di una parte con l'altra: e ad esso somiglia quello di una persona privata con un'altra. E codesti rapporti sono guidati dalla Giustizia commutativa, la quale abbraccia i doveri reciproci esistenti tra due persone. Il secondo tipo di rapporti considera il tutto in ordine alle parti: e a codesti rapporti somigliano quelli esistenti tra la collettività e le singole persone. E tali rapporti sono  guidati dalla Giustizia distributiva, la quale ha il compito di distribuire le cose cioè quella commutativa e quella distributiva. Il Filosofo insegna, che il giusto mezzo nella Giustizia distributiva è determinato secondo "una proporzionalità geometrica"( l'equivalenza delle assegnazioni: “così...come”), e in quella commutativa secondo una proporzione "aritmetica" (l'equivalenza della  restituzione: “tanto... quanto”).”
    cosa significa ? Che nel rapporto a due (mi hai  salutato e io ti saluto.. etc) vivo il rapporto con l'altra persona  soprattutto come Limite a un Me Esorbitante, mentre nel rapporto a tre vivo i rapporti come Crescita della Mia Personalità … nel RaD sono responsabile solo per me... nel RaT sono responsabile anche per te nei tuoi rapporti verso il “terzo”
  • Preferenza di Persone, il vizio contrario alla giustizia  distributiva .  La parzialità, o preferenza di persone si contrappone alla Giustizia distributiva. Infatti la perequazione della Giustizia distributiva consiste nel distribuire cose diverse a persone diverse, secondo il loro valore personale. Perciò se uno prende in considerazione le proprietà di una persona che la rendono meritevole di quanto le è dovuto, non si avrà un riguardo, o una preferenza per la persona, ma per la causa determinante. Se uno, p. es., promuovesse al dottorato una persona per la sua preparazione scientifica, si avrebbe riguardo alla giusta causa movente e non alla persona; se invece in colui al quale conferisce qualcosa uno riguardasse non il movente che rende proporzionato o dovuto codesto conferimento, ma soltanto il fatto che si tratta di quel determinato individuo, cioè di Pietro o di Martino, allora si avrebbe una preferenza di persona, perché l'attribuzione sarebbe fatta semplicemente alla persona, e non per le cause.”
    cosa significa  ? mi sembra ancora un messaggio anti-romantico... anche se non anti-sentimentale !
    è vero che abbiamo le nostre “simpatie”, e non è ingiusto né l'averle né il beneficare tali persone con beni che conferiamo solo a loro e non ad altri. La cosa ingiusta  - invece - è attribuire  in maniera privilegiata alle persone a noi simpatiche dei beni che NON sono nostri ma sono invece “comuni”, come nel chiaro esempio che qui sopra fa Tommaso... il panorama molto ricco di esempi illustrativi è  - purtroppo ! - nella Italia dei nostri giorni dove la Imparzialità e la Meritocrazia quasi non esistono  e la maggior  parte dei “posti” grandi, medi e piccoli nei vari campi della vita associata (culturale, economico, politico, amministrativo, ecclesiastico) sono dati proprio in base alla viziosa Preferenza Di Persone...
  • Vizi contrari alla giustizia commutativa: oltre ai “vizi giudiziali” come omicidio, lesioni, adulterio, furto e rapine, frode ed usura, di cui Tommaso si occupa lungamente - ma che io qui tralascio -  ci sono anche i “vizi extra-giudiziali” :
    la Contumelia : “
    l'insulto, o contumelia, di sua natura implica una menomazione dell'onore, se l'intenzione di chi lo esprime è quella di distruggere con le parole l'onore di una persona, allora si ha propriamente e direttamente un insulto, o una contumelia. E questo è peccato mortale non  meno del furto, o della rapina: una persona infatti ama il proprio onore non meno dei suoi beni materiali. Se invece uno dice parole d'insulto, o di contumelia, senza l'intenzione di disonorare il prossimo, ma o per correggere, o per altre cose del genere, allora egli dice una contumelia non formalmente o propriamente, bensì per accidens e materialmente soltanto”.
    La Maldicenza: «ci sono due modi di danneggiare il prossimo con le parole. Primo, apertamente con la contumelia, di cui abbiamo già parlato; secondo, di nascosto con la maldicenza, o detrazione. Ora, per il fatto che uno parla apertamente contro una persona mostra di disprezzarla, e quindi la disonora: perciò la contumelia compromette l'onore di chi ne è l'oggetto. Chi invece parla di nascosto contro qualcuno, mostra di temerlo non già di disprezzarlo: perciò direttamente non ne compromette l'onore, ma la fama. La detrazione, che si compie di nascosto, non nasce dall'ira, come la contumelia, ma dall'invidia, che tenta di sminuire in qualsiasi modo la fama del prossimo; perché l'ira, a detta del Filosofo, “cerca di vendicarsi apertamente”.
    A detta dell'Apostolo, "è degno di morte non solo chi commette il peccato, ma anche chi approva coloro che lo commettono". E l'approvazione può farsi in due modi. Primo, direttamente, cioè, quando uno induce altri al peccato, o si compiace del peccato. Secondo, indirettamente, cioè quando non reagisce, avendone la possibilità: e questo non perché piace  il peccato, ma per un timore umano. Si deve quindi concludere che se uno ascolta le detrazioni senza reagire, approva chi le fa; e quindi è partecipe del suo peccato. Se poi si lascia indurre alla maldicenza, oppure ne prova piacere per odio verso la persona che ne fa le spese, allora non pecca meno di chi sparla del prossimo: anzi di più, in certi casi. Di qui le parole di  Bernardo: "Non saprei decidere facilmente, se sia più condannabile chi fa della  maldicenza o chi l'ascolta".  Se invece il peccato dispiace, ma si omette di reagire alla maldicenza per timore, o per negligenza oppure per rispetto umano, allora si pecca, però in modo assai meno grave di chi sparla, e per lo  più si fa un peccato veniale. Ma in certi casi tale omissione può anche essere peccato mortale; o perché uno ha per ufficio il dovere di correggere i maldicenti; o per i disordini che ne derivano; o per la radice che la produce,  poiché in certi casi il rispetto umano è peccato mortale, come sopra abbiamo notato. »
    La Mormorazione : « La mormorazione e la maldicenza coincidono nella materia, e anche nella forma, ossia nel modo di parlare: poiché l'una e l'altra consistono nel dir male del prossimo a sua insaputa. Esse però differiscono nel fine. Poiché il maldicente mira a denigrare la fama  del prossimo: e quindi insiste specialmente nel presentare quei difetti che possono infamare una persona, o almeno diminuirne la fama. Invece il mormoratore mira a distruggere l'amicizia, perciò il mormoratore insiste nel  presentare quei difetti, che possono eccitare contro una persona l'animo di chi ascolta. Ora, tanto più grave è un peccato contro il prossimo, quanto più grave è il danno arrecato: e il danno è tanto più grave quanto il bene compromesso è superiore. Ora, tra i beni esterni il più importante è l'amicizia: poiché, come dice il Filosofo, "nessuno può vivere senza amici".  Perciò la mormorazione è un peccato più grave della maldicenza, e persino  della contumelia: poiché, a detta del Filosofo, "l'amico vale più dell'onore, e più vale essere amati che onorati". »
    La Derisione :  «La derisione si fa per gioco: tanto è vero che si denomina anche scherzo. Ora, nessuno dei peccati precedenti si fa per gioco, ma sul  serio.  Come con l'insulto si mira a menomare il prestigio di una  persona, con la maldicenza si vuol colpirne la fama e con la mormorazione si  attenta al bene dell'amicizia; così con la derisione si mira a suscitare la  vergogna di chi viene deriso. E poiché tale scopo è distinto dagli altri, il peccato di derisione è distinto dai peccati precedenti. La Derisione  è più grave dell'insulto aperto: poiché chi insulta mostra di  prendere sul serio le altrui miserie, mentre chi deride le prende in scherzo. E sotto quest'aspetto la derisione è peccato mortale: e tanto più grave, quanto maggiore è il rispetto dovuto alla persona derisa. Perciò è peccato gravissimo deridere Dio. Al secondo posto troviamo la derisione dei genitori.  Segue la derisione grave dei giusti: poiché "premio della virtù è l'onore". »
    La Maledizione :  “La maledizione consiste nell'augurare del male a qualcuno . Ora, volere  il male altrui per se stesso è incompatibile con la  carità, con la quale amiamo il prossimo volendo il suo bene. Perciò la maledizione è peccato, e tanto più grave, quanto più siamo tenuti ad amare e a rispettare la persona che malediciamo. È però peccato  meno grave dei precedenti, infatti, come abbiamo spiegato nella Prima Parte, il male è di due specie, cioè di colpa o di pena. Ora, il male colpa, come si disse, è quello  peggiore. E quindi addossare al prossimo codesto male è peggio che addossargli il male pena: purché venga espresso nello stesso modo. Ebbene,  è proprio dell'insolente, del mormoratore, del maldicente e anche del derisore   addossare al prossimo il male colpa: invece è proprio di chi maledice, addossargli il male pena, non già il male colpa ”
    cosa significano queste cose ? Che non sono solo “le grandi finanziarie” o “Marchionne”, o “gli evasori delle Isole Cayman” a infrangere la Giustizia... anche loro, sì!... Ma anche noi nella vita quotidiana in cui pervasiva è l'invidia,  ubiquitaria  è la maldicenza, diffusa la misantropia  e onnipresente è  la ingratitudine e sempre risorgente il disprezzo...

 

 

Le parti integranti della Giustizia e le loro negazioni

 

  • Fa il Bene e allontana il Male .“La Giustizia , in quanto è una virtù specificamente distinta, ha per oggetto il bene sotto l'aspetto di cosa dovuta al prossimo. E in tal senso essa  ha il compito: 1)  di fare il bene sotto l'aspetto di cosa dovuta al prossimo, e 2) di allontanare  il male contrario, cioè il male nocivo al prossimo. E queste due son parti quasi integranti della Giustizia: poiché entrambe si richiedono per un perfetto atto di Giustizia.  Infatti quest'ultima ha il compito di stabilire l'uguaglianza nei nostri rapporti con  gli altri, come sopra abbiamo visto. Ora, spetta a una medesima virtù costituire una cosa, e conservare ciò che viene così costituito. Ebbene, uno costituisce  l'uguaglianza della Giustizia facendo il bene, cioè dando agli altri quello che loro spetta, e ne conserva l'uguaglianza già costituita evitando il male, cioè non  infliggendo nessun danno al prossimo.
    Le altre virtù morali hanno per oggetto i sentimenti, nei quali fare il bene consiste nel raggiungere il giusto mezzo, allontanandosi dai due eccessi, come da due mali: e quindi
    nelle altre virtù fare il bene ed evitare il male sono la stessa cosa. Invece la Giustizia ha di mira operazioni e cose esterne, e in questo campo una cosa è attuare il giusto mezzo, e un'altra il non comprometterlo.  L'allontanamento dal male, in quanto costituisce parte integrante della  Giustizia, non implica una pura negazione, e cioè non fare il male: questo infatti non merita la lode e il premio, ma evita soltanto la pena. Esso invece implica un moto della volontà di ripulsa contro il male, come indica il nome  stesso di allontanamento. E questo è meritorio: specialmente quando uno viene  pressato a fare il male, e resiste.”
    cosa significa ? Che vi sono due peccati e non uno solo contrari alla Giustizia: contro il “Fa il bene!” la Omissione, contro il “Non fare il male!” la Trasgressione
  • Omissione.Come il peccato di trasgressione è in contrasto con i precetti negativi, che mirano ad evitare il male, così il peccato di omissione è in contrasto con i  precetti affermativi, che mirano al compimento del bene. L'omissione implica il tralasciamento non di un bene qualsiasi, ma di un bene dovuto. Ora, il bene sotto l'aspetto di cosa dovuta propriamente appartiene alla Giustizia, se il dovere è visto in rapporto  al prossimo. Perciò come è una speciale virtù la Giustizia, secondo le  spiegazioni date sopra, così è un peccato speciale l'omissione, distinto dagli   altri peccati che si contrappongono alle altre virtù. E come fare il bene, cui si oppone l'omissione, è una parte speciale della Giustizia distinta dall'evitare il male, cui si oppone la trasgressione, così anche l'omissione si distingue dalla  trasgressione.”
    cosa significa ? … beh, secondo me apre un campo vastissimo della vita... il più difficile nei rapporti con le altre persone... vari condizionamenti di educazione  esterni ci permettono con più facilità di non compiere attivamente ingiustizie arrecando danni agli altri (Trasgressione) , mentre sia nell'educazione sia  nelle ideologie ed istituzioni sociali latita l'aiuto a farci capire come sia essenziale “fare il bene” (Omissione) ...
    Un esempio dalla scuola è come la stragrande maggioranza dei miei colleghi diano il 10 in condotta a chi si limita a non trasgredire e ignorano il problema del “fare il bene” dello studente verso i compagni e verso gli insegnanti.  Un altro esempio: il consiglio di classe in cui viene  fatto un abuso dal coordinatore e nessuno dei colleghi interviene a denunciarlo e tentare di fermarlo...
    Un esempio invece buono – nel quale cioè non c'è stata Omissione -  è: quei due miei studenti attuali che denunciano all'insegnante  un caso di bullismo, nel quel però loro non erano coinvolti né come carnefici né come vittime...
  • Trasgressione. “Il termine trasgressione è passato in campo morale dai moti corporali. Ora, si dice che uno trasgredisce nel muoversi fisicamente, per il  fatto che passa oltre (trans graditur) il termine prestabilito. Ora, in campo  morale all'uomo il termine da non oltrepassare viene prestabilito dai precetti  negativi. Ecco perché la trasgressione si ha propriamente quando uno agisce  contro un precetto negativo :  è proprio infatti della   trasgressione mirare al disprezzo della legge. E, poiché è più facile astenersi dal fare il male che compiere il bene,  pecca dunque più gravemente chi non si astiene dal fare il male, cioè dal trasgredire, che colui il quale non compie il bene, vale a dire l'omette. Si ha, p. es., un peccato di omissione, se uno non usa verso i genitori la debita gratitudine; mentre si ha peccato di trasgressione, se infligge loro un insulto o un'ingiuria qualsiasi.”
    cosa significa ?  siccome evitare la Trasgressione è più facile e invece il commetterla è più difficile e dunque è più grave della Omissione, essa dovrebbe essere più rara...
    Ma io penso all'Italia di oggi e la vedo molto diffusa! Comportamenti trasgressivi di massa!.. evasione fiscale di massa , prepotenza stradale di massa, prepotenza verso i dipendenti di massa, clientelismo/raccomandazioni di massa, maldicenza/maledizione (verso politici, “comunisti”, Europa, magistratura, welfare state, “giargianesi”) di massa... Penso a un momento critico e buio della storia del nostro Popolo Italiano..

 

 

 

 Le nove virtù annesse alla Giustizia

 

  • Una tradizione antica . “Cicerone ne enumera sei, e cioè: la Religiosità, la Pietas, la Gratitudine, la Correzione, la Riverenza, la Sincerità. Macrobio aggiunge la Affabilità. Il peripatetico Andronico aggiunge la Generosità. Aristotele aggiunge l'Equità”
    cosa significa ? Che Tommaso volutamente ha qui citato solamente autori pagani per dirci che queste virtù hanno un carattere umano universale e non specificamente cristiano...
  • la Religiosità.sia che Religiosità derivi dalla frequente considerazione (re-legere) , oppure da una rinnovata elezione (re-eligere) , o da un rinnovato legame(re-ligare) , questa virtù propriamente  dice ordine a Dio. Egli infatti è colui al quale principalmente dobbiamo legarci come a un principio indefettibile; e verso cui dobbiamo dirigere di continuo la nostra elezione, come ad Ultimo Fine.  Siccome alla Religiosità spetta rendere  l'onore dovuto a qualcuno, e precisamente a Dio, è chiaro che la Religiosità è una virtù annessa alla Giustizia.  Il bene cui è ordinata la Religiosità è quello di rendere a Dio l'onore a lui dovuto. Ma l'onore si deve a una persona a motivo della sua eccellenza. Ebbene, a Dio compete un'eccellenza del tutto singolare: poiché trascende tutti gli esseri all'infinito, sotto ogni riguardo. Perciò a lui si deve un onore speciale. Del resto anche nei  rapporti umani vediamo che sono dovuti onori diversi secondo le diverse  eccellenze delle persone: altro è l'onore per il padre, altro quello per il re, e così via. Dunque è evidente che la Religiosità è una virtù specificamente distinta. La Religiosità non è una virtù né teologale, né intellettuale, ma morale, essendo una parte della Giustizia. E in essa il giusto mezzo non viene stabilito tra opposti sentimenti , ma per una certa uguaglianza tra operazioni indirizzate a Dio”
    cosa significa ? … lasciare o meglio dedicare  un “giusto” (dovuto) posto a Dio, che non è né il Vecchione Svolazzante per le Galassie, né il Dio Biblico che nella Storia di incarna in Gesù di Nazareth sotto Augusto e Tiberio. NON  è cioè né una nostra fantasia infantile antropomorfica, né una particolare tradizione storica cui siamo consapevolmente legati attraverso la fede interpersonale. Ma è il “Dio della Ragione Naturale”, infatti nelle parole di Tommaso è l'Ultimo Fine... quello che anche Aristotele e Cicerone ( o Voltaire) potevano concepire nella loro filosofia...
    Cosa significa dedicare un “giusto posto all'Ultimo Fine”? … in quale senso è questa una virtù morale annessa alla Giustizia ? Ci ho pensato, ma non so!... Tommaso dedica poi molte pagine al “culto” (oblazioni nei sacrifici, devozione , preghiera), ma lo fa in riferimento all'uomo medievale che è dentro la chiesa cristiana... Per noi nel mondo secolarizzato di oggi cosa significa ?  ho solo percepito la idea di umiltà, gratitudine e debito... ma non verso persone umane  (come invece  nelle virtù annesse alla Giustizia che seguono), ma invece verso … il Senso della mia Vita? Il Mistero della Realtà? la Causa del Tutto? Il Destino del Tutto?... quali “offerte sacrificali” facciamo oggi in questa linea del “debito verso Dio” usando del nostro tempo e attraverso gesti esterni come si fa nei riti religiosi delle religioni confessionali storiche? … per Tommaso l'atto principale della Religiosità è la preghiera che così descrive: “
    Non  presentiamo delle preghiere a Dio per svelare a lui le nostre necessità e i  nostri desideri, ma per chiarire bene a noi stessi che in codesti casi bisogna  ricorrere all'aiuto di Dio.” Gli altri atti della Religiosità sono i sacrifici, i voti, i giuramenti, gli scongiuri, la adorazione, la lode.
    Il vizio per eccesso opposto alla Religiosità è nella Superficialità Avida della
    Superstizione (idolatria, divinazione, vana scienza).
    Il vizio per difetto opposto alla Religiosità è nel Disprezzo Superbo della
    Irreligiosità (metter Dio alla  prova, spergiuro, sacrilegio, simonia)

  • la Pietas. «Cicerone ha scritto: "La Pietas è l'esatto compimento dei nostri doveri verso i genitori e i benefattori della patria". Dio è al primo posto, perché infinitamente grande, e  causa prima per noi dell'essere e dell'agire. Al secondo posto come principi dell'essere e dell'agire vengono i genitori e la patria,  dai quali e nella quale siamo nati e siamo stati allevati. Perciò dopo che a Dio, l'uomo è debitore ai genitori e alla patria.»
    cosa significa questa triade  “Dio, Patria e Famiglia” odiata dai Sessantottini?... io nella mia vita ho recuperato presto a 23 anni  (anche se fragilmente)  il debito di Giustizia verso Dio, molti  dopo a 35 anni quello verso la Patria Italiana occupandomi di politica contro il pericolo per me letale Berlusconi/Bossi , e molto dopo  a 47 anni nell'ultima fase della mia lunghissima psicanalisi ho recuperato quello verso  i Genitori … L'Ideologia Sessantottina (che è rimasta vigorosa solo in Italia , nettamente meno in Francia, moltissimo meno in Germania, per nulla nei Paesi Anglo-sassoni) ha voluto scardinare – con l'iniziale occasione di combattere gli abusi (ma: abusus non tollit usum !) -  fondamenti della Pietas...
  • il Rispetto : «Cicerone insegna, che "l'osservanza è la virtù mediante la quale si presta rispetto e onore alle persone che ci sono superiori in autorità". Poiché il padre è principio, o causa, della generazione, dell'educazione, della  formazione intellettuale, e di quanto appartiene al perfetto sviluppo della vita umana; ma la persona costituita in autorità è quasi principio del nostro vivere per certe determinate cose: così il capo dello stato è principio negli affari  civili; il capo dell'esercito nelle cose di guerra, l'insegnante in quelle di scuola,  e così via. Ecco perché tutte queste persone vengono denominate padri,  data la somiglianza dei compiti.»
    cosa significa? Che i genitori Sessantottini viziando cioè seducendo i propri figli, da una parte in loro tendono a distruggere  la Pietas verso sé stessi, dall'altra il Rispetto verso le autorità della vita associata extra-famigliare... come io ben vedo a scuola...
    il suo atto proprio  è la Obbedienza (che è una virtù per Tommaso, al contrario del sessantottino don Milani), ma non è la più grande delle virtù : “ "
    l'obbedienza non va osservata per timore  servile, ma per un trasporto di amore non per timore del castigo, ma per  amore della Giustizia". Perciò l'amore è una virtù superiore all'obbedienza”) e il suo atto contrario è la Disobbedienza  essa è incompatibile con l'amore del prossimo: poiché con essa uno nega al prossimo, che è il suo superiore, l'obbedienza giustamente dovuta.  La vanagloria mira a mostrare una qualche superiorità; e poiché il non sottostare all'altrui comando sembra contribuire a codesta superiorità, la disobbedienza nasce appunto dalla vanagloria.”
    cosa significa ?... nella mia vita (cfr. con la Pietas) invece ho sempre avuto molto Rispetto per i superiori sia quando li stimavo (il mio Maestro alle elementari, la Professoressa Sofia Vanni Rovighi, i miei Direttori Spirituali, il mio Psicanalista, un paio di Presidi) , sia – almeno un po' -  anche quando non li stimavo (per es. alcuni professori del Liceo, quasi tutti i Professori della Università, quasi tutti gli Ufficiali dell'esercito, alcuni Parroci, circa la metà dei Presidi) … perchè ? Non lo so, so che è stato così... e so che il tentativo di annichilamento che il Sessantottismo ha fatto e fa di queste cose è un mio Nemico lungo tutta la mia vita...
  • La Gratitudine . «essa riguarda i benefattori dai quali  abbiamo ricevuto dei benefici particolari, e privati, per cui siamo loro particolarmente obbligati, e ci spinge a ringraziarli. come il beneficio consiste più nell'affetto che nel fatto medesimo, così anche il compenso è specialmente nell'affetto. Di qui le parole di Seneca: "Chi riceve un beneficio  con animo grato, ne ha già pagato il primo compenso. E questa gratitudine  manifestiamola con l'effusione degli affetti: non soltanto dinanzi all'interessato, ma dovunque".»
    a cosa mi fa pensare ?.. a come la “laus temporis acti” così diffusa anche oggi sia in pratica una forte velenosa Ingratitudine, che dobbiamo combatter costantemente ogni giorno in noi e negli altri...
    Invece, ciò di cui noi possiamo godere  oggi  - leggi liberali,  istruzione, welfare, alimentazione, medicina, trasporti, comunicazioni - sono cose di cui esser grati quanto più spesso è possibile verso la schiera degli innumerevoli benefattori che hanno lavorato e lottato per fare esistere queste cose!...
    E questa cupa rabbiosa costante mancanza di gratitudine che vedo diffusa oggi tra gli Italiani mi repelle, mi scoraggia... l'ideologia sessantottina anche questo male ci ha dato : “vogliamo tutto e lo vogliamo subito!” …. contestazione, disprezzo e zero gratitudine!... oggi all'italiano medio essere grato  per la pace il benessere etc. sembra far la parte “dello stupido e del debole”...
    Il vizio opposto alla Gratitudine è dunque l'Ingratitudine, la quale  :
    “ ha diversi gradi di gravità secondo l'ordine degli elementi richiesti dalla  Gratitudine. Il primo di essi è che il beneficato riconosca il beneficio ricevuto; il secondo è il ringraziare a parole; il terzo è il ricompensare a tempo opportuno secondo le proprie capacità. Ora, siccome l'elemento che è ultimo in ordine di generazione di una cosa è il primo nella sua decomposizione, il primo grado – e meno grave - dell'ingratitudine si ha nel non ricompensare il beneficio ricevuto; il secondo nel dissimularlo, non mostrando di averlo ricevuto; il terzo, che è quello più grave,  nel non riconoscerlo, o per dimenticanza, o per altri motivi.”
    E
    cco perchè è così grave  a livello ideologico la “laus temporis acti”,   e a livello psicologico quella che Freud chiamava”malinconia”!
  • La Correzione . «La Correzione viene compiuta mediante un castigo inflitto al colpevole. Perciò nella Correzione si deve considerare quale sia l'intenzione di chi la compie. Se infatti codesta intenzione mira principalmente al male del  colpevole, per trovarvi la propria soddisfazione, la Correzione è assolutamente  illecita: poiché rallegrarsi del male altrui è proprio dell'odio, il quale è  incompatibile con la carità, che deve estendersi a tutti. E uno non è scusato  per il fatto che desidera del male a una persona, colpevole di averne procurato ingiustamente a lui: come non si è autorizzati a odiare chi ci odia.  Infatti uno non può peccare contro altre persone, perché queste hanno peccato contro di lui. Questo significa farsi vincere dal male, mentre l'Apostolo ammonisce: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci nel bene il male". 
    Se invece l'intenzione di chi aspira alla Correzione tende principalmente a un bene che esige la punizione dei colpevoli, p. es., alla loro emenda, o almeno alla repressione del male per la pubblica quiete, oppure tende alla tutela dell'ordine oggettivo della Giustizia, allora la Correzione può esser lecita, purché siano rispettate le altre debite circostanze.
    Essa è una virtù specificamente distinta dalle altre perchè  la Fortezza predispone alla Correzione  togliendo gli ostacoli, ossia la paura del pericolo da affrontare.  Lo Zelo invece, in quanto sta a indicare un amore  fervente, implica la prima radice della Correzione, poiché uno vendica le ingiurie fatte all'ordine oggettivo della Verità e della Giustizia  e le ingiurie al prossimo, perché la vastità del suo amore  gliele fa considerare come se fossero fatte a  sé.
    Alla Correzione si contrappongono due vizi. Il primo è per eccesso: cioè il peccato di crudeltà o di durezza, che nel punire passa la misura. Il secondo è per difetto, ed è proprio di chi nel punire è troppo blando. Di qui l'ammonimento dei Proverbi: "Chi risparmia la verga, odia il proprio figlio". »

    cosa significa ? … qui in Italia quando si infliggono delle pene (carcere contro gli  extracomunitari, diffamazione contro i giudici coraggiosi) lo si fa non per Correzione, ma per Prepotenza verso chi si ritiene  ostacolo per propri scopi illeciti e abbastanza debole o impedito da non esser pericoloso...
    io lo vedo spesso a scuola! …  quello studente che  è veramente prepotente e pericoloso viene adulato e vezzeggiato, quello invece che è solo coraggioso e anticonformista tanto da denunciare questa o quella stortura viene punito in vario modo !
    Io vedo spesso la perversione della Correzione col giustificare con qualche rozzo sofisma abusi e malvagità... e il Sessantottismo chiamava e chiama la giusta Correzione Fascismo o Autoritarismo o “Terrorizzare gli Studenti” (slang scolastico) mentre il Berlusconismo la chiama Giustizialismo e Forcaiolismo … la omissione e – anzi – la diffamazione ideologica della Correzione  a tutti i livelli della comunicazione umana (dalla famiglia, al bar, ai giornali e alla tv, al parlamento) è un male gravissimo dell'Italia di oggi (e da una quarantina di anni) che permette il proliferare dei cancri sociali di vario tipo con le le loro  prevedibili metastasi... dalla mafia alla corruzione alla concussione al clientelismo alla truffa generalizzata all'evasione fiscale di massa ai falsi in bilancio sistematici all'anarchia sulle strade al corporativismo egoista allo sfruttamento e all'abuso del debole etc etc etc...!!!... qui il “Garantismo” sessantottino si è perfettamente saldato in una tradizione storica perfetta (e anche con percorsi singoli di persone coinvolte nell'impresa) con il “Garantismo” berlusconiano...
  • la Sincerità . «Chi dice il vero proferisce dei segni conformi alla realtà: cioè parole, gesti,  oppure qualsiasi altra manifestazione esterna. Ma di codeste cose esterne si  occupano solo le virtù morali, che hanno il compito di regolare l'uso delle  membra esterne, il quale dipende dalla volontà. Perciò la veracità, o Sincerità non è una virtù intellettuale, bensì morale.  Dichiarare le cose proprie in quanto ciò costituisce una manifestazione  della verità è specificamente un bene. Ma non basta a farne un atto di virtù: poiché per questo si richiede che l'atto sia vestito delle debite circostanze,  privo delle quali è vizioso. Per questo è riprovevole lodare se stessi, senza i debiti motivi. Così pure è riprovevole che uno parli apertamente dei propri peccati, come per vantarsene, oppure che ne parli senza nessuna utilità
    Ecco dunque che la virtù della Sincerità consiste nel giusto mezzo tra l'eccesso e il difetto in due maniere: 1) in rapporto all'oggetto, e 2) in rapporto all'atto.
    1) In rapporto all'oggetto, poiché il vero implica nella sua nozione una certa adeguazione, o uguaglianza. E ciò che è uguale sta in mezzo tra il più e il meno. Perciò per il fatto che uno dice il vero di se stesso, sta nel giusto mezzo tra chi esagera e chi dice di meno. -
    2) La Sincerità inoltre sta nel giusto mezzo in rapporto all'atto, poiché dice il vero quando e come è opportuno. Invece si ha l'eccesso in chi dice le sue cose quando non occorre; e si ha il difetto in chi le nasconde quando  bisognerebbe manifestarle.
    Il suo giusto mezzo però più vicino all'Attenuare che all'Esagerare. L'Attenuare si ha quando uno, p. es., nel suo dire non manifesta tutto il bene che è in lui, cioè il sapere, la virtù, abilità, successi ecc. L'Attenuare  infatti, come dice il Filosofo, "sembra più saggio, perché le esagerazioni sono insopportabili". Sicché coloro che esagerano i propri meriti sono  insopportabili agli altri, sui quali sembrano voler sovrastare: invece quelli che dicono meno di quel che valgono sono graditi, per la loro condiscendenza e modestia nei riguardi del prossimo»

    cosa significa ?.. mi sembra interessante il punto
    2) e cioè alle distorsioni del parlare di sé in circostanze in cui non si deve: sottomissione a Superio interni e sociali... per esempio quando racconti le esperienze positive di un viaggio che hai fatto a uno che non è interessato, o le tue convinzioni politiche a uno che non è in grado di ascoltare e capire... e soprattutto le distorsioni del non comunicare sé stessi quando invece si deve, per es. quando non si raccontano i propri dolori e insuccessi per paura che l'altro ti disprezzi  o i propri conflitti con altre persone per paura che l'altro ti giudici polemico e disadattato, o non si dicono i propri giudizi morali critici verso l'altro  - che, poniamo,  ti sta raccontano delle azioni che lui ha fatto  - per paura di entrare in contrasto con lui...
    I vizi contrari alla Sincerità sono : Menzogna, Ipocrisia, Millanteria, Falsa Modestia.
    La Menzogna: «
    la menzogna è una  dichiarazione falsa fatta con l'intenzione d'ingannare.  L'intenzione di  una volontà disordinata può mirare a due cose distinte: la prima è   l'enunciazione del falso; la seconda è l'effetto proprio di tale enunciazione, cioè   l'inganno di qualcuno. Perciò se nell'atto concorrono queste tre cose: 1) la falsità di quanto vien detto, 2) la volontà di dire il falso, e finalmente 3) l'intenzione   d'ingannare, allora si ha: falsità materiale, perché vien detto il falso; falsità    formale, per la volontà di dirlo; e falsità effettiva per la volontà d'ingannare.   Tuttavia la ragione formale della menzogna si desume dalla falsità formale, cioè dall'intenzione di dichiarare il falso, e non invece  A. dalla falsità in sé stessa né  B. dall'inganno.
    A. Infatti il termine menzogna deriva dal fatto che è una cosa "contro la mente".  Se uno, quindi, dichiara il falso credendo che sia vero, si ha una bugia  materiale, ma non formale, essendo essa estranea all'intenzione di chi la dice.  Perciò tale affermazione non ha vera e perfetta natura di menzogna: poiché le cose preterintenzionali sono per accidens e quindi non possono essere  differenze specifiche.
    B. Se invece uno dice il falso formalmente, cioè con  l'intenzione di dire il falso, anche se quel che dice fosse vero,codesto suo atto, in quanto volontario e morale, di per sé contiene la falsità, e solo per accidens la verità, e dunque non si produce l'inganno »
    cosa significa ? Che la Sincerità è una v. morale e non intellettuale, gli errori nelle scienze non la contrastano... la contrasta invece anche la verità delle affermazioni,  se però essa è contro la Giustizia: per es. quando io calunniassi una persona X presso una persona Y e, “per caso” e contro ciò che io pensavo, in realtà la persona X avesse veramente commesso quelle azioni cattive, allora  la mia affermazione sarebbe secondo Verità ma non secondo Sincerità ! Ecco dunque che la Sincerità non riguarda quella cosa buona che è la conquista e il possesso della verità, ma quell'altra cosa buona che è il nostro reciproco e  solidale aiutarci nella ricerca della verità...
    La Ipocrisia. «
    Agostino afferma, che "come gli ipocriti, i simulatori fanno la parte di persone diverse da loro (infatti chi fa la parte di Agamennone non è costui, ma finge di esserlo); così chiunque vuol mostrarsi, in chiesa o nella vita quotidiana, diverso da quello che è, è un'ipocrita: poiché finge d'esser un giusto, senza esserlo". Perciò si deve concludere che l'Ipocrisia è una simulazione:  però non una simulazione qualsiasi, ma la simulazione con la quale uno assume le vesti di un'altra persona, cioè quando un peccatore fa la parte del giusto.»
    cosa significa ?  A parte le persone come Berlusconi etc, a me sembra che la Menzogna sia poco diffusa nella maggioranza delle persone, mentre molto di più lo sia la Ipocrisia: cioè nel mostrarsi agli altri solamente negli aspetti positivi che  si hanno realmente, ma che -  stralciati costantemente da quelli negativi che non vengono mai comunicati - danno agli altri la falsa impressione della nostra bontà e valore...
    La Millanteria . «
    La Iattanza, o Millanteria consiste propriamente nell'innalzare se stessi con le parole: infatti le cose che un uomo vuol gettare lontano (iactare),  le scaglia in alto. Ora, uno innalza propriamente se stesso quando dice di sé cose a lui superiori.»
    cosa mi fa pensare ? Alla diffusione di questo vizio nei rapporti amicali, in quelli professionali, nella politica... “vendere merce  (virtù, successi, competenze, buone intenzioni) che non si ha” … un gonfiamento di sé presso gli altri attraverso la comunicazione interpersonale, gonfiamento che nasce dalla vanagloria... e produce come effetto nella società o euforia drogata o pessimistica diffidenza …
    la Falsa Modestia . «
    C'è Falsa Modestia quando uno finge di sottovalutare sé stesso. Uno può a parole sottovalutare se stesso in due maniere.
    Primo, salvando la verità: cioè tacendo le qualità superiori di cui è dotato, e scoprendo solo certi difetti, che però riconosce di avere. Sottovalutare così se stessi non rientra nella Falsa Modestia: e nel suo genere non è peccato, se non intervengono altre circostanze.
    Secondo, uno può sottovalutare se stesso a parole a scapito della verità: p. es., asserendo di se stesso delle cose ignominiose, di cui non è persuaso; oppure negando dei meriti che invece riconosce in se stesso. Ebbene, questo rientra nella Falsa Modestia , ed è sempre peccato.
    La Falsa Modestia  e la Millanteria dicono bugie, a parole o a fatti, sulla stessa materia, e cioè sulla condizione della persona che parla. Perciò da questo lato esse  sono alla pari. Ma ordinariamente la Millanteria deriva da un motivo più riprovevole, cioè dalla brama del lucro o degli onori: invece la Falsa Modestia deriva dal fuggire, sia pure in modo peccaminoso, di esser di peso agli altri. Ecco  perché il Filosofo ritiene che la Millanteria sia un peccato più grave della Falsa Modestia. Tuttavia può capitare che uno finga di sottovalutare se stesso per altri motivi, mettiamo per tendere insidie con l'inganno. E allora è più grave peccato la Falsa Modestia. »
    cosa  mi fa pensare ? Che questo vizio riguarda la scostanza e la freddezza, il fastidio che abbiamo per gli altri e la tiepidezza nell'amore... non mostriamo le capacità buone che abbiamo allo scopo di non esser disturbati, allo scopo che gli altri non ci chiedano aiuto in questo e quello...
  • La Affabilità. «Il Filosofo di questa virtù dice che  "di suo desidera di far piacere agli e rifugge dal  rattristarli". E l'uomo, essendo un animale socievole, è moralmente tenuto a manifestare la verità agli altri, senza di che la società umana non potrebbe sussistere. Ora, come l'uomo  non può vivere in società senza veracità, così non può vivere senza soddisfazioni: poiché, come dice il Filosofo, "nessuno può durare a lungo nella tristezza, e senza soddisfazioni". Perciò per un debito naturale di Giustizia l'uomo è tenuto a convivere in modo piacevole con gli altri: a meno che in certi casi per un motivo di vera utilità non sia necessario contristarli. I vizi opposti alla Affabilità sono:
    1) per eccesso, la
    Adulazione:  come abbiamo detto nella questione precedente, l'Affabilità,  sebbene miri soprattutto a compiacere coloro con i quali si convive, tuttavia quando il conseguimento di un bene o la prevenzione di n male lo richiede,  non esita a contristarli. Perciò se uno vuol trattare gli altri compiacendoli in tutto nelle sue parole, esagera nella compiacenza: e quindi, pecca per eccesso. E se uno lo fa solo con l'intenzione di compiacere, merita  l'appellativo di piaggiatore, a detta del Filosofo; se invece lo fa con l'intenzione di un guadagno, allora è un lusingatore, o un adulatore.
    2) per difetto la
    Litigiosità: il litigio consiste propriamente nel contraddire a parole le  affermazioni di un altro, e  la contraddizione nasce per il fatto che uno non si preoccupa di rattristare il prossimo. Ciò si contrappone alla  virtù dell'Affabilità, che ha il compito di farci convivere piacevolmente con gli  altri. Scrive infatti il Filosofo, che "coloro i quali contraddicono in tutto e non  si preoccupano di essere molesti, son detti intrattabili e litigiosi".
     Questi due peccati li possiamo considerare sotto due aspetti.  Primo, facendo attenzione alla specie dell'uno e dell'altro. E sotto quest'aspetto un vizio tanto è più grave quanto più è incompatibile con la virtù opposta. Ora, la virtù dell'Affabilità tende più a compiacere che a rattristare.  Perciò il litigioso, che eccede nel rattristare, pecca più gravemente dell'adulatore che esagera nel compiacere.  Secondo, li possiamo considerare in base ai motivi esterni. E da questo lato  talora è peccato più grave l'adulazione: p. es., quando uno con l'inganno cerca di acquistare onore o denaro.»
    cosa mi fa pensare ? Ai vizi degli Italiani contro questa virtù: per difetto nel non saluto salendo in autobus o le scale del condominio, nella tensione nervosa e villania nei luoghi affollati e nelle code e nel traffico stradale.... per eccesso sembrando sempre amiconi ed evitando di di parlare di cose sgradevoli e problematiche anche se si dovrebbe (e così distruggendo al serietà),  o verso i potenti essendo compiacenti sia perchè li si idealizza sia per ottenere da loro ingiusti privilegi a danno di altri (e così distruggendo la meritocrazia)
  • La Generosità .  «"La Giustizia", dice Ambrogio, "è intimamente connessa con la società umana. Infatti la natura di codesta società implica due parti, o elementi, cioè la Giustizia e la Beneficenza, che viene anche  chiamata Liberalità, o Generosità". Dunque la Generosità è una virtù annessa alla Giustizia. La Generosità però non è una specie della Giustizia: perché mentre la Giustizia ha il compito di rendere agli altri quanto loro appartiene, la Generosità ha quello di farci offrire del nostro.
    Il dono  del misericordioso deriva dai legami d'affetto che  nutre verso la persona beneficata. E quindi la sua donazione rientra nella Amicizia. Invece il dare della Generosità deriva dai sentimenti che il donatore ha nei riguardi del denaro, cioè dal fatto che non l'agogna e  non l'ama. Infatti l'uomo generoso  all'occorrenza non dà soltanto a coloro che  ama, ma anche a chi non conosce.
    Gli uomini  generosi, sono amati più degli altri, non di un'amicizia fondata sulla virtù, cioè perché sono migliori, ma di un'amicizia fondata sull'utilità, e cioè perché sono più utili rispetto ai beni materiali, che d'ordinario gli uomini bramano sopra ogni altro bene. E questo spiega anche la loro rinomanza. 
    Ma "La Giustizia", dice Ambrogio, "risulta più sublime della Generosità, nonostante la Generosità  sia più gradita". E anche il Filosofo dichiara, che  "l'onore più grande si concede ai forti e ai giusti, e dopo di essi ai generosi". E questo perchè l'atto della Generosità deve fondarsi sull'atto della Giustizia: infatti, come nota Aristotele, "non sarebbe una donazione generosa , se uno non desse del proprio". Perciò la vera Generosità cioè virtuosa non potrebbe esistere senza la Giustizia, la quale stabilisce ciò che appartiene a ciascuno. Invece la Giustizia può esistere anche senza  Generosità. Quindi la Giustizia di per sé è superiore alla Generosità, perché più comune e fondamento di essa »
    Cosa mi fa pensare? Che spesso vediamo atti di “generosità” non virtuosa in cui chi regala,  regala non del proprio ma dell'altrui, per es. del patrimonio del bene comune... sia i tanti amministratori disonesti, sia per es. quegli insegnanti lassisti che “regalano” voti ingiustamente alti depauperando quel bene comune che è l'idea di Giustizia presente nella classe degli alunni e la stima nella Qualità della Scuola...
    I vizi opposti sono per difetto la Avidità e per eccesso la Prodigalità.
    La Avidità. «
    la bontà dell'uomo nei loro riguardi consiste in una certa misura: e cioè consiste nel desiderare il possesso delle ricchezze in quanto sono necessarie alla vita, secondo le condizioni di ciascuno. Quindi nell'eccedere codesta misura si ha un peccato: e cioè nel volerne acquistare, o ritenere più del dovuto. E questo costituisce l'Avidità, la quale viene definita "un amore immoderato di  possedere". L'Avidità nell'oggetto materiale o corporeo non cerca il piacere del corpo, ma quello dell'anima: cioè il piacere  di possedere la ricchezza. Perciò essa non è un peccato carnale. Tuttavia a   motivo del suo oggetto, l'Avidità sta di mezzo tra i peccati del tutto spirituali,  che cercano un piacere spirituale in oggetti spirituali -  come fa, p. es., la  Superbia, che ha di mira il prestigio personale -  e i vizi carnali che cercano un piacere carnale in oggetti materiali. »
    La Prodigalità . «In morale l'opposizione dei vizi tra loro e con le virtù  correlative è impostata sull'eccesso e il difetto. Ora, Avidità e Prodigalità si contrappongono come eccesso e difetto, ma in vari modi. L'avaro infatti eccede nell'attaccamento alle ricchezze, amandole più del dovuto; il prodigo invece manca, perché ne è meno sollecito di quanto si deve. Al contrario  rispetto agli atti esterni il prodigo eccede nel dare, e difetta nel ritenere e  nell'acquistare; l'avaro invece difetta nel dare, ed eccede nell'acquistare e nel ritenere.
    Il prodigo esagera nel dare, non sempre però per i piaceri, che sono oggetto dell'Intemperanza: ma talora perché è del tutto trascurato verso le  ricchezze, oppure per altri motivi. Ordinariamente però i prodighi si orientano verso l'Intemperanza: sia perché spendendo a profusione per altre  cose, non hanno ritegno a spendere per i piaceri, ai quali sono portati dalla concupiscenza della carne; sia perché essi, non gustando il bene della virtù,  cercano un compenso nei piaceri corporali. Ecco perché il Filosofo afferma, che "molti prodighi diventano intemperanti".
    In se stessa considerata, la Prodigalità è un peccato meno grave dell'Avidità. E questo per tre motivi. Primo, perché l'Avidità si allontana maggiormente dalle virtù contrarie. Infatti alla Generosità è più consono il dare, in cui esagera il prodigo, che il prendere e il ritenere, in cui  esagera l'avaro. Secondo, perché, come dice Aristotele, "il prodigo è utile a molti", cioè alle persone cui dà: "l'avaro invece non è utile a nessuno, e neppure a se stesso". Terzo, la Prodigalità è più curabile. Sia perché si va verso la vecchiaia, che è  contraria alla Prodigalità. Sia perché presto si giunge all'indigenza, sperperando inutilmente grandi somme: e allora il prodigo caduto nella miseria non può continuare a scialacquare. »
  • La Equità . «Come dice il Filosofo, l'epicheia [Equità] è "superiore a un certo tipo di giustizia", cioè alla giustizia legale, che si limita a osservare letteralmente la legge. Come abbiamo detto sopra nel trattato sulla legge, non è  possibile fissare una norma che in qualche caso non sia inadeguata; perché  gli atti umani, che sono oggetto della legge, consistono in fatti contingenti e   singolari, che possono variare in infiniti modi: perciò il legislatore nel fare la   legge considera quello che capita nella maggior parte dei casi. Ma osservare codeste leggi in certi casi sarebbe contro la Giustizia e contro il bene  comune, che è lo scopo della legge. La legge, p. es., stabilisce che la roba  lasciata in deposito venga restituita, perché questo nella maggior parte dei casi è giusto; ma capita il caso in cui sarebbe nocivo: p. es., restituire la spada a un pazzo furioso mentre è fuori di sé, oppure nel caso in cui uno la  richieda per combattere contro la patria. Perciò in simili casi sarebbe peccato seguire materialmente la legge; è bene invece seguire quello che esige il senso della Giustizia e il bene comune, trascurando la lettera della legge. E tale è il compito dell'epicheia, che noi latini chiamiamo Equità. Dunque l'Equità è una virtù, come dice il Filosofo.»
    cosa significa ?... qui si vede il  rapporto tra la Saggezza e le v. morali... in questo caso la v. morale della Giustizia  ha scavato in me il “solco”, anzi è il “solco” (abito) lungo le esperienze della mia vita che riguardano i miei rapporti interpersonali buoni (nei termini aristotelico-tomisti, essa è la maniera in cui l'Intelletto cioè la “naturale” tendenza verso il bene di tutti noi uomini  - e dunque comune sì, ma generica - in me si è incarnato nei rapporti interpersonali della  mia vita ), però questo “solco” o disposizione ad avere rapporti giusti con le altre persone non ha una soluzione prevista e standard per il caso di rapporto interpersonale che mi si propone qui e ora!... è la Saggezza (un altro “solco” o abito, che è però quello del pensare pratico) deve ora agire nel cercare i mezzi qui e ora a disponibili,  giudicarli e  comandarli a me stesso...
    Anche nel linguaggio  comune la Equità significa  una mia Libertà, Originalità, Anticonformismo, rispetto alla “lettera  della legge”, rispetto cioè alle sia altrui sia mie catalogazioni di cosa siano i rapporti interpersonali buoni...

 

 

 

 

Forza

 

Introduzione

  • vari  Simboli Iconografici della Forza : 1) la Colonna Spezzata per ricordare la Morte che spezza la vita umana e che il coraggioso affronta (“frangar, non flectar!”); 2) il Leone per il Coraggio o per il Nemico Mortale; 3) la Colonna Integra per indicare la Fermezza del carattere  che sostiene tutte le altre virtù; 4) la  Clava di Ercole o la Lancia per la Audacia nell'attacco contro il Nemico Mortale 5) lo  Scudo o l'Armatura per la Fermezza nella Difesa; 6) il  Giogo per la Capacità della Pazienza; 7) il ramo di  Palma simbolo del Martirio
  • Nella Prima Secundae già avevamo letto che la Forza è virtù umana (acquisita) e non teologale (ricevuta), che però è virtù  morale (in cui la ragione regola i sentimenti) e non intellettuale (in cui la ragione regola sé stessa), ed è virtù cardinale (cioè principale per le urgenze della vita presente), e – tra le virtù cardinali morali -  è inferiore alla Giustizia (perchè essa di per sé regola l'interno dell'individuo mentre la Giustizia è architettonica della comunità), ma è superiore alla Temperanza (perchè la paura dei pericoli distoglie dalla ricerca del bene più di quanto lo faccia la ricerca del piacere)   
  • Per una migliore comprensione e un progressivo approfondimento di questa VC, (che è una virtù morale, cioè moderatrice dei sentimenti) consiglio di leggere  - dal  trattato sui sentimenti della Pars Prima  - le questioni 41-44 sul Timore e  la questione 45 sull'Audacia.

 

 

La Forza in sé stessa

 

  • Cosa è . « A detta del Filosofo, "virtù è quella disposizione che rende buono chi la possiede e l'atto che egli compie"; e quindi le virtù umane, di queste ora parliamo, sono le disposizioni che rendono buono un uomo e  buoni gli atti che egli compie. Ora, la bontà di un uomo consiste nell'essere conforme alla ragione, come dice Dionigi. Perciò le virtù umane hanno il compito di rendere conformi alla ragione l'uomo e i suoi atti. -Ebbene,  questo può avvenire in tre modi. Primo, col rettificare la ragione stessa: il che  si ottiene mediante le virtù intellettuali. Secondo, col portare la rettitudine della   ragione nei rapporti umani; e questo avviene mediante la Giustizia. Terzo, col  togliere gli ostacoli all'attuazione di codesta rettitudine. - Ora, la volontà umana trova due ostacoli nel seguire la rettitudine della ragione. Primo, per il fatto che essa viene attratta da cose dilettevoli a compiere atti diversi da quelli  richiesti dalla rettitudine della ragione: e tale ostacolo viene rimosso dalla virtù della Temperanza. Secondo, per il fatto che la volontà si allontana da quanto è conforme alla ragione per qualche cosa di difficile che sovrasta. E per togliere  questo ostacolo si richiede la Forza dell'animo, capace di resistere a tali difficoltà: come si richiede la forza, ossia il vigore del corpo, per superare e respingere il male fisico. Perciò è evidente che la Forza è una virtù, in quanto rende l'uomo conforme alla ragione.»
    cosa significa?... grande e profondo argomento! Noi homo sapiens siamo “animali razionali”...la nostra “virtus aestimativa” come nella pecora fugge dal lupo... e la Ragione?... è sì “naturale” in noi ma solo come “potenzialità” innata...la sua attuazione non è automatica come negli altri istinti animali... siamo anche “animali sociali” ma non come le formiche in cui la socialità è un istinto... in noi la attuazione della ragione necessita una mente interpersonale la quale  - ulteriore complessità ! - cresce, si sviluppa storicamente... la pecora fugge il suo Nemico programmato, l'uomo può fuggire il suo Nemico ma anche non fuggirlo ed affrontarlo e vedere come affrontarlo... e  in ogni caso il Nemico non è programmato...
    Se la Ragione può organizzare la complessa struttura dei Beni in una gerarchia, e decidere poniamo di rischiare un viaggio oceanico con una Caravella come fece Colombo, o di fare una sortita nel campo nemico per ucciderne il Capo come fece Muzio Scevola, o anche – senza speranza di vittoria sul campo e di salvezza della vita individuale ! - resistere al Passo delle Termopili come Leonida contro le Orde dei Barbari... c'è però un problema: perchè la Ragione può esser distolta “da qualcosa di difficile che sovrasta” ?... perchè il Timore del pericolo può paralizzarla e distoglierla dai suoi Fini ?... una risposta è questa: dipende da quanto la attuazione della Ragione (che è un inserimento di Me nella Mente Interpersonale Storica) abbia pervaso il Me Animale già “dotato” di una sua “virtus aestimativa” programmata … tanto o poco? … Questa risposta – però - mi convince poco... è quella Platonica del dualismo Anima/Corpo... e implicherebbe che un bambino o un ragazzo non possa esser coraggioso, perchè in lui il “quanto” sarebbe poco... Meglio rispondere così: la Ragione è paralizzata e distolta da “qualche cosa di difficile che sovrasta” quando essa stessa  Ragione è erronea, non quando è ignorante... quando le Ideologie mutuate dalla Mente Interpersonale sono cattive, corrotte... un problema di qualità, non di quantità...
    «
    Può capitare – però - che alcuni compiano atti esterni di una virtù, senza essere  virtuosi, mossi da altre cause. Ecco perché il Filosofo parla di persone apparentemente forti, in quanto compiono atti di Forza, senza avere  codesta virtù. E questo può avvenire in tre modi.
    Primo, perché uno affronta  cose difficili come fossero facili. Talora ciò si deve a ignoranza; cioè al fatto che uno non percepisce la gravità del pericolo. Talora ciò si deve al fatto che uno ha molta fiducia di superarle: come capita a chi è sfuggito spesso ai  pericoli. Altre volte poi ciò si deve a una particolare perizia, o al mestiere,  come avviene nel caso dei soldati, i quali per la propria abilità nel maneggio delle armi non considerano gravi i pericoli della guerra, pensando di potersi difendere contro di essi col proprio mestiere; come dice anche Vegezio: "Nessuno teme di fare quello che crede di avere bene imparato".
    Secondo,  uno può compiere atti di Forza senza la virtù, mosso dall'impeto di un sentimento: cioè o da un dolore che vuole allontanare, o dall'ira.
    Terzo, perché mosso da una libera scelta non già del debito fine, ma di un vantaggio  temporale, come la gloria, il piacere, il guadagno; oppure mirando a evitare dei danni, come il disonore, la sofferenza, o altre disgrazie.»
    cosa significa ? Che se il Coraggio è una virtù e cioè una risorsa per il Bene, in molti casi abbiamo solo un apparente coraggio: negli ignoranti superbi, nei fortunati, negli egocentrici, negli intemperanti, negli avidi... è il tema della “connessione tra le virtù” e cioè della Forza con Saggezza Giustizia Temperanza... 
  • Due sentimenti . « Il Filosofo insegna, che "la Forza ha per oggetto il Timore e l'Audacia". Come abbiamo già detto, la virtù della Forza ha il compito di  togliere gli ostacoli che impediscono alla volontà di seguire la ragione. Ora,  ritrarsi di fronte a una difficoltà è proprio del Timore, il quale, come si è detto  nel trattato sui sentimenti , implica una fuga dinanzi a un male arduo. Perciò la  Forza ha principalmente di mira il Timore di cose difficili, capaci di ritrarre la  volontà dal seguire la ragione.  D'altra parte non basta sopportare con  fermezza la spinta di codeste difficoltà reprimendo il Timore, ma bisogna affrontarle con moderazione: nei casi in cui è necessario eliminarle, per la sicurezza futura. E questo è proprio dell'Audacia. Dunque la Forza ha per oggetto il Timore e l'Audacia, il primo per reprimerlo, la seconda per moderarla. »
    cosa significa ? Che sono due e non uno solo i sentimenti regolati dalla ragione in questa virtù morale...il Timore è più “basilare”, la l'Audacia è più “lungimirante”...
  • Fino alla MorteAndronico afferma, che "la Forza è una virtù dell'irascibile, la quale non si lascia facilmente spaventare dal Timore della morte". È proprio della Forza, come abbiamo visto, impedire che la volontà si ritragga dal Bene di Ordine Razionale per Timore di un male fisico.  Ora, questo Bene va difeso con fermezza contro qualsiasi Male: poiché nessun Bene Fisico può reggerne il confronto. È quindi necessario che la Forza d'animo consista nella virtù che mantiene ferma la volontà dell'uomo  nel bene di ordine razionale contro i più gravi mali: perché chi sta fermo  contro i mali più gravi, è logico che stia fermo anche di fronte a mali minori,  ma non è vero il rovescio»
    cosa significa ? Che la Forza, essendo una virtù cardinale (fondamentale) serve al Sommo Bene della vita umana, al Senso Ultimo della Vita... essa non è – almeno propriamente e in primo luogo - uno “strumento” nel calcolo utilitario per il  raggiungimento di “Beni Intermedi”...
    Mi sembra che possa esser illuminante  guardare questo concetto dal pdv della patologia mentale chiamata “paranoia”: se io ho coraggio nel resistere a dei genitori arroganti che chiedono privilegi per il proprio figlio mio studente a scuola, ecco che - lungo il filo di pensieri persecutorio-paranoici - penso che essi si rivolgeranno al preside, al ministero... e i colleghi non mi daranno solidarietà, si muoverà una corrente di calunnie contro di me e io..... pur  se spaventato, resisterò, non cederò (per il mio volere difendere  dei valori per me irrinunciabili di Giustizia) e allora ... verrò licenziato!... e – se verrò licenziato - ecco che (così continua il filo persecutorio-paranoico) io non avrò più il necessario ottimismo per superare il risentimento e il pessimismo sul Mondo Crudele ed Iniquo in cui vivo, e mi suiciderò... o in altre maniere più indirette cercherò la Morte...
    Voglio dire che la fantasia paranoica illumina ciò che sottostà al mio “resistere” (diversamente da tutti i miei colleghi, da solo) contro una arrogante infrazione della Giustizia … cosa sottostà ? La mia valutazione della Giustizia qui messa in gioco in un caso particolare e non mortale, vedendo essa come bene irrinunciabile. Cosa significa bene “irrinunciabile”? Che lo perseguo anche con dolore, anche da solo, anche se se la sua difesa da parte mia comportasse  una escalation di persecuzioni, come vedendolo superiore e non scambiabile  coi beni della tranquillità, della buona opinione altrui, del lavoro, della posizione sociale, della prosecuzione del futuro...
  • Nemici, più che Ostacoli . «La Forza, come abbiamo visto, rende fermo l'animo umano  di fronte ai più gravi pericoli, che sono i pericoli di morte. Ma essendo essa una virtù, e come tale dovendo sempre tendere al bene, è chiaro che l'uomo  forte non indietreggia di fronte ai pericoli mortali pur di raggiungere un bene.   Ora, i pericoli di morte dovuti alle malattie, a una tempesta di mare, all'incursione di briganti, o ad altre cause del genere, non incombono su una  persona perché costei tenta di conseguire un bene. Invece i pericoli di morte   ai quali uno è esposto in guerra minacciano direttamente un bene: cioè per il  fatto che difende in una guerra giusta il bene comune. - Ora, ci sono due tipi di guerra giusta. Primo, la Guerra Collettiva: nella quale si combatte in campo di battaglia.
    Secondo, la Guerra Privata, o particolare: come quando un  giudice, o una persona privata non abbandona la sentenza giusta per il Timore della spada, o di qualsiasi pericolo anche mortale. Perciò la Forza ha il  compito di dare fermezza d'animo non solo contro i pericoli di morte che  minacciano in una guerra collettiva, ma anche contro quelli che minacciano in  un combattimento privato, che possiamo chiamare col termine generico di Guerra.
    E con tale rettifica dobbiamo ammettere che
    la Forza propriamente si esercita nei pericoli di morte dovuti alla Guerra.
    Tuttavia i forti sanno ben affrontare i pericoli di morte di qualsiasi altro genere: specialmente se pensiamo che si può affrontare per la virtù qualsiasi genere di morte; come quando uno non rifiuta l'assistenza a un amico infermo,   per paura del contagio mortale; oppure quando non si astiene dal mettersi in viaggio per delle opere pie, per paura del naufragio o dei briganti. »
    cosa significa? Che i sentimenti regolati dalla Forza sono due e non uno solo... e il Coraggio in Guerra implica l'Audacia e cioè lo aggredire  attivamente un Ostacolo che si interpone  tra me e un bene che perseguo... esso è oltre che Ostacolo, anche pericoloso, e dunque devo regolare anche il sentimento del Timore... Questo invece  non accade per il cancro che mi sopraggiunge e verso cui devo regolare solo il Timore ma non l'Audacia.
    Il Coraggio/Forza è più evidente  nella Guerra contro Nemici Umani (rispetto a nemici non umani) perchè i Nemici Umani (almeno quelli “politici” della guerra pubblica, e quelli “etici” della guerra privata, ma non i “briganti” che cercano solo la preda e non lo scontro ideologico contro di me!) proprio come me hanno in mente un Sommo Bene da perseguire, ci facciamo guerra infatti per la divergenza dei nostri Sommi Beni !... e dunque in una Guerra contro Nemici Umani si evidenzia la lungimiranza e il carattere propriamente virtuoso della Forza: “per la sicurezza futura” (Audacia) e per il “bene comune” (Guerra) , dice Tommaso.
  • L'Atto Principale . «Il Resistere e non l'Aggredire è l'atto principale della Forza. Infatti il Filosofo insegna, che "gli uomini sono denominati coraggiosi specialmente quando resistono al Timore". Dalle parole di Aristotele risulta chiaro che la Forza mira più a reprimere il Timore che a moderare l'Audacia. Infatti è più difficile reprimere il Timore: poiché il pericolo, oggetto del Timore e dell'Audacia, costituisce di suo un freno per l'Audacia, mentre  accresce il Timore.
    Resistere è più difficile che Aggredire, per
    tre ragioni.
    Primo, perché la resistenza si concepisce in rapporto alla prepotenza di uno più forte: invece chi aggredisce lo fa mettendosi in posizione di vantaggio e di forza. Ora, è più difficile combattere contro i più forti che contro i più deboli. 
    Secondo, perché chi resiste sente già i pericoli come imminenti; chi invece aggredisce li considera come futuri.  Ed è più difficile non lasciarsi smuovere dalle cose presenti che da quelle future. 
    Terzo, resistere implica una certa durata di tempo: invece uno può aggredire con un moto repentino. Ora, è più difficile rimanere immobili a  lungo, che muoversi con un moto repentino verso qualche cosa di arduo.  Infatti il Filosofo afferma, che alcuni "sono temerari prima del pericolo, ma quando questo incombe defezionano: invece i forti agiscono all'incontrario"
    Dunque l'atto principale della Forza non è Aggredire, ma Resistere, cioè restare fermi nei pericoli. »
    cosa significa ? Che se la Guerra contro Nemici Umani che mette a repentaglio la Vita è l'oggetto proprio della Forza e dunque in essa gioca la lungimiranza della Audacia, però la Guerra di cui si parla è quella del “guerriero riluttante”...  cioè chi deve farla la fa  non per brama di conquista, non per gusto “sportivo” del combattere, non per estetica sensuale della forza, non per vendetta amara... ma perchè deve ! Deve difendere il minacciato valore della Giustizia... esempio: Braveheart (cuore coraggioso)  nel film dallo stesso titolo... l'Aggressione Audace propria della Forza è quindi quella della Guerra di Difesa (Resistere!):  è quella di Churchill contro Hitler, di Leonida contro Artaserse, di Giovanni Falcone contro Totò Riina,  di Francesco Saverio Borrelli contro Berlusconi...
  • Non è fine a sé stessaAgostino scrive: "Alcuni [gli Stoici] cercano di persuaderci che le virtù da noi amate per la sola Felicità, devono essere amate per se stesse in maniera da non  amare la Felicità. Ma così facendo, cessiamo dall'amare le virtù  medesime, dal momento che non amiamo l'unico motivo per cui le possiamo  amare". Ma anche la Forza è una virtù. Quindi l'atto della Forza non va  indirizzato a codesta virtù, ma alla Felicità»
    cosa significa ? È un critica alla Estetica del Coraggio... la quale a sua volta è un travestimento della sottomissione a un Superio Parassita che sfida l'Io con ordini “insensati”... sembra volerlo rafforzare ma in realtà lo indebolisce...
  • Tristezza moderataIl Filosofo insegna, che nel suo agire l'uomo coraggioso  "non sembra aver nulla di piacevole". Il coraggioso da una parte, cioè secondo il godimento  spirituale, ha di che rallegrarsi: vale a dire il compimento dell'atto virtuoso e  la prospettiva del fine; dall'altra ha di che dolersi, sia spiritualmente, nel considerare la perdita della propria vita, sia corporalmente. Ora, il dolore sensibile del corpo impedisce di sentire il godimento spirituale della virtù,. Tuttavia la virtù della Forza fa sì che la ragione non venga sopraffatta dai dolori fisici. Perciò il Filosofo afferma, che "dall'uomo coraggioso non si richiede che goda, come se sentisse piacere, ma basta che  non si abbandoni alla tristezza". Infatti le azioni virtuose sono piacevoli specialmente in vista del fine: ma possono essere mortificanti per la loro natura. E questo capita soprattutto nella Forza. Di qui le parole del Filosofo, il quale afferma, che "non in tutte le virtù l'operazione è piacevole, all'infuori del raggiungimento del fine" .»
    cosa significa? ...la esclusione del piacere “sadomasochista” della esposizione  - per “sfida” del Superio! - a pericoli e dolori... l'esclusione della superbia di chi non ammette la propria sensibilità animale costitutiva della propria umanità... il realismo nell'essere consapevoli della  difficoltà degli atti di Coraggio... la connessione  con la Temperanza e cioè con la abituale capacità di regolare piaceri e dolori...
  • Forza ed Ira . «Il Filosofo insegna, che "il furore è ausiliario dei forti". Come abbiamo già notato, a proposito dell'Ira e degli altri  sentimenti i Peripatetici e gli Stoici espressero opinioni diverse. Infatti gli Stoici  escludevano l'Ira e tutte gli altri sentimenti dall'animo del sapiente, ossia del     virtuoso. Invece i Peripatetici, alla cui testa è Aristotele, attribuivano alle  persone virtuose l'Ira e gli altri sentimenti, però moderati dalla ragione. Può darsi che in sostanza non ci fosse divergenza, se non per il modo di  esprimersi. Infatti i Peripatetici chiamavano sentimenti, come abbiamo visto,  tutti i moti dell'appetito sensitivo, buoni o cattivi che siano: e poiché  l'appetito sensitivo si muove sotto il comando della ragione, per cooperare  ad agire con maggior prontezza, essi ritenevano che le persone virtuose dovessero servirsi dei sentimenti, moderati dal comando della ragione. Invece gli Stoici chiamavano sentimenti gli affetti disordinati dell'appetito  sensitivo (che denominavano malattie o morbi): e quindi li escludevano del tutto dalla virtù. 
    Perciò
    il forte nel suo agire si serve dell'ira, però moderata, non già di quella sregolata.  La ragione non si serve dell'Ira nel suo atto per averne un aiuto; ma perché si serve dell'appetito sensitivo come di uno strumento, come si serve  delle membra del corpo. E non c'è niente di strano, se lo strumento è più  imperfetto dell'agente principale, cioè se il martello è più imperfetto del fabbro.
    La Forza avendo, come abbiamo visto, due atti, cioè resistere e  aggredire, non si serve dell'Ira nel resistere, poiché codesto atto è compiuto  direttamente dalla ragione; ma nell'aggredire. E in tale atto la ragione si serve più dell'Ira che degli altri sentimenti, poiché è proprio dell'Ira scagliarsi contro ciò che rattrista, e quindi nell'aggredire coopera direttamente con la Forza.
    Di qui le parole del Filosofo, il quale nota che tra tutti gli atti di Forza derivanti dai sentimenti, "il più naturale è l'Ira: e se la Forza che ne deriva è deliberata e ordinata al  debito fine, diventa vera virtù". »
    cosa mi fa pensare ?  Al Buonismo di oggidì: superbo perchè ipotizza un uomo non animale che cioè non immerge i suoi pensieri nei sentimenti e nel corpo, stupido perchè col suo spiritualismo dimezza l'efficacia dello Zelo nelle imprese di Giustizia, malvagio perchè presenta come accettabile l'Odio calmo  e invece inaccettabile l'Ira senza Odio...
  • Non è la virtù suprema . «SEMBRA che la Forza sia la virtù suprema. Infatti  la virtù ha per oggetto il difficile e il bene. Ma la Forza ha per oggetto le  cose più difficili. Dunque è la virtù più eccellente.
    MA IN CONTRARIO Cicerone afferma: "La virtù ha il suo massimo  splendore nella Giustizia, dalla quale l'uomo da bene riceve la sua denominazione". E il Filosofo ha scritto: "Le virtù più utili agli altri sono necessariamente quelle  più grandi". Ora, la Generosità è più utile della Forza. Dunque è superiore.
    Infatti  il bene umano è in  conformità con la ragione, come afferma Dionigi.
    E codesto bene appartiene essenzialmente alla
    Saggezza, che è una perfezione della ragione.
    La
    Giustizia invece ha il compito di attuarlo: poiché spetta ad essa imporre l'ordine della   ragione in tutte le azioni umane.
    Le altre virtù hanno il compito di conservare codesto bene, moderando i sentimenti, perché non distolgano l'uomo dal bene  della ragione. E tra queste ultime la
    Forza occupa il primo posto: perché il  timore dei pericoli di morte è la passione più efficace nel distogliere l'uomo  dal bene di ordine razionale. Infatti ad abbandonare ciò che è conforme alla ragione l'uomo può essere spinto, o dal bene che piace, o dal male che  affligge; ma il dolore fisico è più violento del piacere. Dice infatti Agostino: "Non c'è nessuno che non fugge il dolore più di quanto non cerchi il piacere: poiché talora vediamo che la paura della sferza distoglie anche bestie   ferocissime dai più grandi piaceri". Ma tra i dolori e i pericoli i più temuti sono quelli che portano alla morte, contro i quali l'uomo forte resiste.
    Dopo viene la
    Temperanza: poiché anche i  piaceri del tatto ostacolano più di ogni altro piacere il bene della ragione. Ora, avere essenzialmente una qualità è più che produrla; e produrla è più che  conservarla eliminandone gli ostacoli.
    Perciò tra le virtù cardinali la prima è la  Saggezza ; seconda la Giustizia; terza la Forza; quarta la Temperanza. »
    cosa significa ? Ancora un richiamo a: 1) un'etica non sentimentale (la Saggezza ha il primo sposto tra le v. cardinali) 2) a un'etica non individualistica (la Giustizia ha il primo posto tra le v. morali); 3) a un'etica non epicureo/salutistica (la Forza è più importante della Temperanza); 4) a un'etica non romantico/stoica (ciò che è più difficile non è ciò che è più importante) ; 5) a un'etica non spiritual/platonica (la Saggezza è un v. cardinale cioè “necessaria”, la Sapienza non lo è).

 

I Vizi opposti alla Forza

  • la Viltà. «Un atto umano è vizioso perché disordinato: infatti la bontà del nostro agire consiste in un certo ordine, come sopra abbiamo  spiegato.  Quando la volontà fugge un male che la ragione detta di sopportare, per non abbandonare un bene che deve essere perseguito, si ha un timore disordinato, che è vizioso. Invece quando la volontà per paura abbandona ciò che secondo la ragione dev'essere fuggito, allora l'atto non è disordinato, e non è cattivo.»
    cosa significa ?  Ricordiamo che non è la qualità del sentimento che decide in morale, ma la sua regolazione da parte della  ragione... un sentimento di per sé non è né buono né cattivo...qui Tommaso è come se dicesse che il Vile non è la persona viva che nella sua vitalità prova tutti i sentimenti e dunque anche la Paura, ma è una persona incapace di collegare la Paura alla gerarchia dei beni (più importante, meno importante) : egli dà alla Paura il primo posto nel suo cuore in ogni caso!... e forse fa questo anche perchè nella sua mente  non ha una chiara visione della gerarchia dei beni...
    «La paura è vizio in quanto è disordinata: e cioè per il fatto che uno abbandona ciò che secondo la  ragione non si deve abbandonare. Ora, questo disordine della paura talora si   limita all'appetito sensitivo, senza il successivo consenso della volontà: e allora non può essere vizio mortale, ma veniale soltanto.»
    cosa significa ?... che una persona può aver una Paura disordinata  cioè eccessiva immediatamente, come primo moto del suo cuore... ma poi - dovendo decidere la azione - da tale paura non si fa bloccare... egli dunque fa la azione buona con poca efficacia esterna  e poca partecipazione intima,  ma comunque la fa...
    «Talora invece  tale disordine scuote anche l'appetito razionale, o volontà, la quale in modo   non conforme alla ragione deliberatamente abbandona qualche cosa. E tale  disordine a volte è vizio mortale, a volte è veniale. Se uno infatti per la paura che gli fa fuggire un pericolo di morte, o qualsiasi altro danno  temporale, è disposto a compiere cose proibite, o tralascia quanto è  comandato dalla Verità e dalla Giustizia, la sua paura è vizio mortale. E per questo leggiamo nell'Apocalisse: "Per i vili il destino  loro sarà nello stagno di fuoco e di zolfo, che è la seconda morte".
    Altrimenti è  veniale. »
    cosa significa ?... che – ricordiamolo noi Italiani ! - la Viltà non è un vizio “tutto sommato” scusabile... ma essa può provocare i massimi mali!... Mio padre, che era fascista e volendo giustificare il fascismo, a me bimbo che gli chiedevo perchè Mussolini si fosse alleato con Hitler, rispose che: “se no i nazisti ci avrebbero invaso!”... Da grande io poi imparai che questa risposta era sia falsa sia immorale: falsa perchè Spagna, Portogallo, Svizzera, Svezia, Vaticano  non si allearono col Terzo Reich eppure questo non tentò di invaderli; immorale perchè la Gran Bretagna non si alleò con esso e anzi ad esso fece guerra e rischiò di essere invasa da esso,  e fece questo  per difendere dei beni più alti della vita dei suoi cittadini e della sovranità dello stato, e cioè la Libertà e la Giustizia per il Mondo!
  • La Insensibilità alla Paura . « La Forza ha per oggetto il timore  e l'audacia. Ora, ogni virtù morale impone al proprio oggetto la misura  stabilita dalla ragione. Perciò spetta alla Forza determinare secondo la ragione un moderato timore: in modo che si tema quello che si deve e quando   si deve temere. Ora, questa misura della ragione si può trasgredire e per  eccesso e per difetto. Quindi, come la viltà si oppone alla Forza per un  eccesso di paura, in quanto si teme ciò che non si deve temere, o come non  si deve; così l'insensibilità al timore si contrappone ad essa per difetto di  paura, in quanto non si teme ciò che si deve temere.
    Poiché il timore nasce dall'amore, il medesimo giudizio va dato dell'amore e del timore. Si tratta qui della paura dei mali temporali, la quale deriva dall'amore di essi. Ebbene in tutti è innato l'amore alla propria vita, e alle cose ad essa ordinate, però nel debito modo: cioè amandole non  come fini, ma come mezzi ordinati al raggiungimento dell'ultimo fine. Perciò quando ci si allontana dalla giusta misura in questo amore, si va contro  l'inclinazione naturale: e quindi si ha il vizio. Perciò può capitare che uno tema la morte e gli altri mali temporali meno del  dovuto, perché:
    1)  ama i beni suddetti meno di quanto dovrebbe.
    2) Ma il fatto di non  temere per nulla non può derivare dall'assoluta mancanza di amore; bensì dal non credere che gli possano capitare i mali contrari ai beni che ama. E questo a volte capita per la superbia di un animo portato a presumere di sé e a disprezzare gli altri, secondo le parole della Scrittura: "Fu fatto per non temer nessuno: ogni essere eccelso egli mira con disprezzo".
    3) A volte invece  questo capita per mancanza d'ingegno: come nota il Filosofo a proposito dei  Celti, i quali per stolidità non temono nulla. Perciò è evidente che essere  insensibili al timore è un vizio: sia che derivi da mancanza di amore, sia che derivi da superbia, sia che derivi da stolidità. »
    cosa significa ?... la Giusta Paura è un indizio sentimentale dell'amore, della Umiltà e della intelligenza... Attualizzo: la insensibilità di molti Italiani alla paura di uscire dalla Unione Europea potrebbe derivare
    1) sia dalla mancanza di amore per gli Ideali Europeisti cioè per la Civiltà Occidentale, 2) sia per superbia e cioè pensare di bastare  a sé stessi e disprezzo per i “perfidi” Inglesi, i “cupi” Tedeschi, i “senzazadio” Francesi, 3) sia per la stupidità di non capire come – una volta caduti sotto la Tirannia - saremmo distrutti  economicamente  e nei comuni rapporti sociali della vita quotidiana ...
  • La Temerarietà . «L'audacia, come sopra abbiamo visto, è un sentimento. Ma il sentimento talora è moderato e governato dalla ragione; talora invece manca  di moderazione, o per eccesso, o per difetto. E in tal senso l'eccesso di audacia costituisce il vizio della Temerarietà, la cui causa è la Presunzione. Però la Temerarietà  non implica soltanto un eccesso di audacia. Poiché, come dice il Filosofo, "i temerari sono  impetuosi e baldanzosi prima che giungano i pericoli; ma defezionano poi di fronte ad essi", per eccesso di paura. »
    mi viene da pensare a certi bulli spavaldi che - quando trovano una vittima non sottomessa ma che reagisce – mostrano la propria viltà, o ad alcuni rivoluzionari da operetta alle reazioni della polizia.... e a gli Italiani che entusiasti baldanzosi dichiararono guerra alla Repubblica Francese e al suo impero, all'Impero Britannico, all'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, agli Stati Uniti d'America !... e persero tutte le battaglie per terra, mare e aria !... evidente esempio di compresenza della  eccessiva audacia con la  eccessiva paura nel vizio della Temerarietà !... i soldati italiani riguadagnarono un tot di Coraggio solo quando esso fu connesso alla Giustizia: nella battaglia di Cefalonia contro i Nazisti...

 

Le quattro Virtù annesse alla (o parti della) Forza

·          La Magnanimità ( Giusta Autostima) . «Il Filosofo afferma, che "il magnanimo riguarda gli Onori e i Disonori". Un atto è grande in senso  assoluto quando consiste nell'uso eccellente delle cose più grandi. Ora, le cose di cui l'uomo si serve sono le cose esterne. E tra queste quella più grande è l'Onore: sia perché è quella più connessa con la virtù, quale  testimonianza della virtù di una persona, come sopra abbiamo visto;  sia perché gli uomini tutto sacrificano per conseguire l'onore e per evitare l'infamia.
Il magnanimo considera i grandi onori come cose di cui si sente degno; o come inferiori ai suoi meriti, poiché la virtù, che merita l'onore di Dio, non può essere adeguatamente onorata dagli uomini. Perciò egli non si esalta per i grandi onori: poiché non li considera superiori a sè stesso. Come pure egli non si abbatte per il disonore, ma lo disprezza come cosa ingiusta.
SEMBRA che la Magnanimità non sia una virtù. Infatti:
1) Nessuna virtù è incompatibile con un'altra. Ma la Magnanimità è incompatibile con l'Umiltà: infatti il magnanimo, come dice Aristotele, "si stima  degno di cose grandi, e disprezza gli altri". Dunque la Magnanimità non è una virtù. E:
2) Qualsiasi virtù ha proprietà degne di lode. Invece il magnanimo ha delle proprietà riprovevoli: prima di tutto egli "non si ricorda dei benefici ricevuti";  secondo, "manca d'impegno e d'intraprendenza"; terzo, "coi più è ironico"; quarto, "non sa convivere con altri"; quinto, "preferisce le cose belle e  infruttuose a quelle fruttuose". Perciò la Magnanimità non è una virtù.
MA IN CONTRARIO:
1) Nell'uomo si trova qualche cosa di grande, che deriva dai doni buoni che riceviamo; e ci  sono dei difetti dovuti all'infermità della sua natura. Ora, la Magnanimità fa sì  che l'uomo "si consideri degno di grandi onori", considerando i doni ricevuti. Se uno, p. es., ha un animo valoroso, la Magnanimità fa sì che egli  tenda alla perfezione delle virtù. Lo stesso si dica per l'uso di qualsiasi altro  bene, come della scienza o dei beni di fortuna. Invece l'Umiltà fa sì che uno si  disprezzi in considerazione dei propri difetti.  Parimenti, la Magnanimità  disprezza gli altri in quanto destituiti dei doni buoni ricevuti: infatti egli non fa tanto caso degli altri da compiere qualche cosa di riprovevole. Invece l'Umiltà onora   gli altri e li stima superiori, in quanto considera in essi i doni buoni che hanno ricevuto. Perciò nei  Salmi si legge: "Ai suoi occhi nulla vale il malvagio", e questo si riferisce al  disprezzo proprio del magnanimo; "onora invece quei che temono il Signore",  e questo si riferisce all'atteggiamento rispettoso dell'umile. - Così è evidente che la Magnanimità e l'Umiltà non sono virtù contrarie, sebbene sembrino tendere a cose opposte: poiché considerano aspetti diversi della realtà.  E:
2) Le proprietà del Magnanimo indicate da Aristotele non sono riprovevoli, ma lodevoli al massimo in  quanto appartengono alla Magnanimità. Infatti la prima che consiste nel "non ricordarsi dei benefici ricevuti" è da intendersi nel senso che il magnanimo non  gradisce ricevere benefici, senza renderne subito di maggiori [e dunque non si ritrova mai nel dovere ricordare i propri debiti, perchè li ha già saldati e più che saldati!]. Il che rientra nella  perfezione della gratitudine, in cui egli vuole eccellere come negli atti di tutte le altre virtù. - Parimenti, si dice, in secondo luogo, che egli "manca d'impegno e   d'intraprendenza", non perché si rifiuti di compiere le cose che lo riguardano; ma nel senso che non s'intromette in tutte le faccende che lo riguardano, bensì  solo in quelle più grandi che son degne di lui. - Terzo, si dice inoltre che egli "si serve dell'ironia", non in quanto questo è un vizio contrario alla Sincerità, cioè nel senso che egli dica di se stesso difetti che non ha, o neghi i propri  meriti; ma nel senso che non fa mostra di tutta la sua grandezza, specialmente  con la massa degli inferiori; poiché, come nota il Filosofo, è proprio del  magnanimo "esser grande con i nobili e con i ricchi, e modesto con quelli di  media condizione". - Quarto, si dice che "egli non sa convivere", cioè  familiarmente, "se non con gli amici": poiché rifugge dall'adulazione e dalla simulazione, che sono proprie della Pusillanimità. Tuttavia, egli convive con   tutti, grandi e piccoli, "con la misura a lui dovuta", secondo le spiegazioni date. - Quinto, si dice finalmente che "egli preferisce cose infruttuose", non “infruttuose” di qualsiasi tipo, ma quelle "buone", ossia oneste. Infatti in tutti i casi egli   preferisce l'onesto all'utile, perché più nobile: infatti l'utile si cerca per  sopperire a delle deficienze, che sono incompatibili con la Magnanimità.  »
cosa penso ? Meravigliosa virtù questa ! E misconosciuta! Qui Tommaso “il cristiano” consente in pieno con Aristotele “il pagano”: la Magnanimità è pienamente compatibile con la Umiltà!... le speciali qualità del magnanimo lo fanno misconoscere ai più e riconoscere solo da pochi o pochissimi, e questo a causa dei mille pregiudizi, ideologie confuse a livello intellettuale, e invidie a livello morale... l'Italia di oggi piena  di persone “forti coi deboli e deboli coi forti” ( e ingrate e impiccione e narcisiste e presenzialiste e avide di successi materiali)  sembra avere mandato in esilio la Magnanimità! … e non ne propagandano i Modelli Educativi (a parte in pochi eroi come Falcone e Borsellino... ma solo dopo che sono morti!)
 Altre qualità del magnanimo: «
Al magnanimo vengono attribuiti atti di diverse virtù: infatti   Aristotele afferma che è proprio del magnanimo "non respingere le critiche",  che è atto di Saggezza; "non commettere ingiustizie", che è un atto di  Giustizia; "esser pronto a beneficare", il che è un atto di Amore; "elargire con  prontezza", che è atto di Generosità; essere "veritiero", che è un atto della Sincerità; e "non essere facile al pianto", il che è un atto della Pazienza.»
anche qui, se penso a noi Italiani di oggi insofferenti alle critiche, ingiusti, egoisti, avari, mendaci e/o millantatori, insofferenti e sempre lamentosi….
 «La Magnanimità è una virtù annessa alla Forza. Infatti quanto più è difficile  mantenersi fermi in qualche cosa di arduo, tanto più è principale la virtù che dà all'animo fermezza nell'affrontarla. Ora, è più difficile mantenersi fermi nei pericoli di morte, in cui spetta alla Forza dare fermezza d'animo, che nello sperare e nel conseguire i più grandi onori, in cui spetta alla Magnanimità dare fermezza d'animo: poiché l'uomo rifugge sommamente i pericoli di morte come ama al sommo la propria vita. Perciò è evidente che la Magnanimità coincide con la Forza in quanto entrambe danno fermezza d'animo in qualche cosa di  arduo: tuttavia non ne raggiunge la natura.»
I vizi contrari per eccesso alla Magnanimità sono: Presunzione, Ambizione, Vanagloria.
Presunzione:
«Si riscontra comunemente nella natura che ogni  atto è adeguato alla virtù della causa agente, e nessun agente di ordine    naturale tende a compiere ciò che sorpassa la propria capacità. Perciò è vizioso e vizioso, perché in contrasto con l'ordine della natura, che uno intraprenda cose che eccedono le proprie forze. E questo è proprio della Presunzione: come il termine stesso sta a indicare.  Il magnanimo considera piccoli i beni esterni. Invece, a detta del Filosofo,  i presuntuosi "diventano spregiatori e oltraggiatori degli altri" per i beni  esterni di fortuna, considerando questi come cose grandi.
Nessuno tenta qualche cosa che supera le proprie capacità, se non  perché stima le sue capacità superiori a quello che sono. E in questo uno si può sbagliare in due modi.
Primo, rispetto alla quantità: p. es., quando pensa   di avere virtù, scienza, o altro, superiori a quelle che ha. 
Secondo, rispetto  alla natura delle cose: p. es., quando uno si crede grande o degno di grandi   onori, per cose inconsistenti, quali le ricchezze, o altri beni di fortuna. Infatti, come dice il Filosofo, "coloro che possiedono tali beni senza la virtù, né stimano giustamente se stessi degni di grandi onori, né con verità son detti magnanimi".  Dunque il presuntuoso non supera affatto il magnanimo rispetto alla cose cui tende: ma talora rimane molto al di sotto. Eccede però nell'oltrepassare la proporzione alle sue capacità, che il magnanimo invece rispetta. Ed è in tal senso che la Presunzione si contrappone per eccesso alla Magnanimità. »
Ambizione:
« L'onore, come abbiamo detto, implica una prestazione di  rispetto verso qualcuno a testimonianza della sua eccellenza. Ma riguardo  all'eccellenza dell'uomo si devono considerare due cose.
Primo, il bene per cui eccelle l'uomo non lo ha da se stesso, ma come per un dono . Quindi l'onore principalmente non è dovuto a lui, ma a chi ha donato.
Secondo, si deve tener presente che le doti per cui uno eccelle son state donate  per il bene degli altri.  Cosicché la stima e l'onore che un uomo riceve per la sua eccellenza, in tanto devono piacergli, in quanto gli preparano la via per giovare agli altri. Perciò la brama dell'onore può essere disordinata in due modi.  Primo, perché si cerca il proprio onore  senza riferirlo a chi ha donato a noi i beni che abbiamo. Secondo, perché uno si limita a bramare il proprio onore,  senza ordinarlo al bene degli altri. E siccome l'Ambizione non è altro che una  brama disordinata dell'onore, è chiaro che l'Ambizione è sempre un vizio. »
Vanagloria : «  La perfezione dell'uomo implica il conoscere, non l'essere conosciuti Quindi quest'ultima cosa non è da desiderarsi per sè stessa.
Tuttavia essa si  può desiderare in quanto serve a uno scopo: cioè affinché la Verità e la Giustizia siano glorificate dagli uomini; o affinché gli uomini ricevano un giovamento dal Bene che  vedono in altri, oppure affinché uno nel constatare i propri meriti per il  riconoscimento degli altri, s'impegni a perseverare e a migliorare. È in tal  senso che è cosa lodevole "aver cura del proprio buon nome", e "fare le opere buone dinanzi agli uomini"; non già farlo per il gusto meschino della  lode umana. Dunque il desiderio della gloria di suo non dice niente di vizioso.   
Invece il desiderio della Vanagloria implica un vizio: infatti è vizioso desiderare qualsiasi cosa vana, come si legge nei Salmi: "Perché amate la vanità, e cercate la menzogna?". Ora, la gloria può dirsi vana prima di tutto per parte dell'oggetto nel quale si cerca: p. es., quando si cerca in dati inesistenti, o in cose che non son degne di gloria, ossia in cose fragili e caduche. - Secondo, [la gloria può esser vana] per parte di coloro presso i  quali si cerca: cioè presso gli uomini, il cui giudizio non è sicuro. - Terzo, per  parte di colui che la desidera, se egli non la ordina al debito fine, cioè  all'onore della Verità e della Giustizia  e al Bene del Prossimo.
La Vanagloria è poi un Vizio Capitale e cioè generatore di altri vizi, che sono:  la disobbedienza, la millanteria, l'ipocrisia, la contesa, la caparbietà, la discordia, la pretesa di novità. »
consiglio di scrutinare noi stessi rispetto a Presunzione, Ambizione e Vanagloria, in primo luogo! E poi anche scrutinare il nostro popolo italiano di oggi di cui facciamo parte e in cui si svolge la nostra avventura umana...
Il vizio per difetto che si oppone alla Magnanimità è la
Pusillanimità :
« Nella vita morale non è da evitarsi che il vizio. Ora,  Paolo comanda di evitare la Pusillanimità: "Padri, non provocate a sdegno i vostri figli, affinché non si perdano d'animo". Dunque la Pusillanimità è un vizio.
Tutto ciò che è contrario a un'inclinazione naturale è vizio, perché in contrasto con la legge naturale. Ora, ogni essere possiede  l'inclinazione naturale a compiere azioni proporzionate alla propria capacità:  come è evidente in tutti gli esseri corporei, sia animati che inanimati. Ma come si eccede la misura della propria capacità mediante la Presunzione, tentando cose superiori alle proprie facoltà; così il pusillanime non raggiunge   la misura della propria capacità, rifiutandosi di tendere a cose a lui  proporzionate. Perciò com'è vizio la Presunzione, lo è pure la  Pusillanimità. Ecco perché il servo il quale sotterrò il denaro del suo  padrone, senza trafficarlo, per Pusillanimità, fu punito dal padrone, come  dice il Vangelo.
La Pusillanimità per sua natura è un vizio più grave della Presunzione: perché con essa l'uomo si ritrae dal bene, il che, a detta del Filosofo, è la cosa peggiore.
Anche la Pusillanimità può in qualche modo derivare dalla Superbia: quando uno, cioè, basandosi troppo sul proprio parere, si reputa inadatto alle cose di cui è capace. Di qui le parole dei Proverbi: "Ai suoi occhi il pigro è più saggio di sette uomini che danno responsi assennati". Niente infatti impedisce che da una parte si avvilisca, e dall'altra si inorgoglisca.  »
cosa significa ? È quello che oggi si chiama “complesso di inferiorità”... sin da bambini possiamo dubitare delle nostre capacità buone di sensibilità e giustizia coi coetanei ai giardinetti e aver paura di esprimerle e allora diamo spazio a quella cattive di alcuni altri bambini... e poi da grandi coi colleghi dell'ufficio non mettiamo sul tavolo la nostra intelligenza e le nostre rivendicazioni di giustizia  per la stessa paura e sfiducia che saranno ignorate o derise o combattute... e più in generale dubitiamo e siamo sfiduciati nelle nostre capacità di intelligenza creativa e rimandiamo all'infinito il loro uso, e della nostra capacità di cambiare le abitudini di vita e di esplorare ambienti umani nuovi e conoscere persone nuove... e impostare modalità di rapporto nuove con le persone che già conosciamo...

  • La Magnificenza . « Cicerone ha scritto, che "la Magnificenza  è il disegno e l'esecuzione di cose grandi e sublimi con ampiezza e  splendidezza di propositi", indicando nel "disegno" l'intenzione interiore, e  nella "esecuzione" l'opera esterna. È dunque proprio della Magnificenza fare qualche cosa di grande. E ciò che è fattibile è prodotto dall'Arte. E nell'esercizio di questa è possibile riscuotere una particolare  bontà, nel fatto che i suoi prodotti hanno della grandezza, o di proporzioni, o  di valore, oppure di finezza: e questo è oggetto della Magnificenza.
    Ma essa non è un'Arte:  come nota il Filosofo, "è necessario che ci sia una Virtù dell'Arte", cioè una virtù morale, che inclini la volontà a usare rettamente della propria Arte. E questo rientra nella Magnificenza. Dunque essa non è un'Arte, ma una Virtù.  E siccome l'atto principale di ogni virtù è l'elezione interiore della volontà, che si può aver sempre anche senza i beni di fortuna, ecco che allora anche il povero può essere magnifico.
    Ora, quanto  riguarda il singolo è cosa piccola in confronto a ciò che riguarda i valori morali o il bene comune. Ecco perché il magnifico non mira soprattutto a  spendere per la propria persona: non perché non cerchi il proprio bene, ma  perché esso non è grande. Tuttavia, se qualcuna delle sue cose private   presenta una certa grandezza, allora egli vi provvede con Magnificenza. Tali  sono "le cose che capitano una volta sola, come le nozze, o altre cose del genere"; e quelle che rimangono, come "costruire una decorosa abitazione", per usare le parole di Aristotele.
    Cicerone, Macrobio e Andronico mettono la Magnificenza tra le parti della Forza.  La Magnificenza è affine alla Forza in questo, che tende come la  Forza a un bene arduo e difficile. La Magnificenza però è inferiore alla Forza per il fatto che l'arduo, verso il quale tende la Forza, è difficile per il  pericolo che minaccia la persona; invece l'arduo cui tende la Magnificenza è difficile per il dispendio che minaccia le sostanze, assai meno grave del  pericolo personale.»
    alla Magnificenza di oppongono per difetto la Meschineria e per eccesso lo Spreco
    questa virtù mi fa pensare all'aspetto estetico e festivo della vita... ciascuno artista o no, facoltoso o no, ambisce a “fare qualcosa di grande” nel campo delle Arti e cioè di ciò che “dalla persona si distacca e rimane come espressione di bravura e di bellezza”... il banchetto di nozze, la bella casa, il viaggio in Tibet la collezione di oggetti costruita nei decenni, il romanzo che uno ha scritto, una anno all'estero in full immersion  per imparare una lingua... tutte cose come legate alla nostra animalità da homo faber più che da homo sapiens , in cui ci vuole Coraggio per rischiare le spese di soldi tempo e speranze e la possibilità del fallimento o del non riconoscimento...
    Invece, l'abitudinario, il pigro, il meschino, l'avaro, il pessimista non hanno la Forza per impegnarsi almeno una volta in un'Impresa Straordinaria nel campo delle Arti (Abilità)....
    E al contrario lo sprecone, lo spaccone, il facilone, l'esibizionista  si impegnano spesso in “imprese straordinarie” solo in apparenza , ma prive di originalità, significatività, incisività...
  • La Pazienza . «Come sopra abbiamo detto, le virtù morali sono ordinate al  bene proprio, perché salvano il bene di ordine razionale dagli impulsi dei sentimenti sregolati. Ora, tra questi, la tristezza o dolore è quanto mai efficace a impedire il bene di ordine razionale;  Paolo infatti scrive: "Il dolore del mondo produce la morte"; e Siracide ammonisce: "Molti ha ucciso la tristezza, e non c'è utilità in essa". Perciò deve esserci una virtù che salvi il bene di ordine razionale dalla tristezza, impedendo alla ragione di soccombere. Ma questo è il compito della Pazienza.
    Come scrive Agostino, "è la forza del desiderio che produce la sopportazione delle fatiche e dei dolori: e nessuno accetta di sopportare il dolore, se non per ciò che piace". E questo perché l'animo di  suo aborrisce la tristezza e il dolore: e quindi mai accetterebbe il dolore per  se stesso, ma solo per uno scopo. Quindi è necessario che il bene per cui uno accetta di soffrire sia più bramato ed amato di quel bene la cui privazione produce il dolore che sopportiamo con Pazienza.
    La Pazienza è virtù annessa alla Forza ma da essa distinta perchè la Forza ha di  mira principalmente il Timore che per natura spinge alla fuga, mentre la Forza lo reprime. Invece la Pazienza ha per oggetto principalmente i Dolori; infatti si dice che uno è paziente non perché non fugge, ma perché sopporta  con onore quanto lo affligge, senza addolorarsi eccessivamente. Tuttavia la Pazienza non è tra le parti della Temperanza, poiché la Temperanza ha per oggetto austerità o dolori che contrastano i piaceri del tatto, p. es., quelli relativi alla privazione del cibo e dei piaceri venerei; mentre la Pazienza ha per oggetto le sofferenze o dolori che provengono da altri, proprio come la Forza si oppone ai pericoli che sorgono dalla Guerra pubblica o privata contro gli altri che ci sono nemici »
    si dice che “la pazienza è la virtù dei forti” collegandola allo “stoicismo” : nel linguaggio comune si chiama “stoica” la persona che sopporta i dolori più che quella coraggiosa... e dunque lo Stoicismo predica un certo qual distacco dai sentimenti dolorosi, non per negarli ma per finalizzarne la sopportazione (ecco perchè – dice Tommaso -  la Pazienza è anche “Longanimità”) a dei beni futuri,  o anche a dei beni presenti ma di ordine più spirituale......
  • La Perseveranza . « Come la Temperanza e la Forza sono virtù speciali, perché l'una ha il difficile compito di moderare  i piaceri del tatto, e l'altra quello anche più difficile di moderare la paura e  l'audacia di fronte ai pericoli di morte; così è una virtù speciale anche la Perseveranza, che ha il compito di sopportare, per quanto è necessario, lo sforzo prolungato nel tempo di codesti atti e di tutte le altre azioni virtuose.
    Essa è una virtù annessa alla Forza perchè  tutte le virtù il cui valore consiste nell'affrontare con fermezza qualche cosa di difficile, devono ricollegarsi alla Forza come virtù secondarie a quella principale. Ora, la Perseveranza viene lodata perché affronta
    la difficoltà proveniente dalla   durata delle opere buone: difficoltà che però non è così grave come  affrontare i pericoli di morte. Dunque la Perseveranza è subordinata alla  Forza come una virtù secondaria alla principale. »
    Alla Perseveranza per difetto si oppone la Mollezza, per eccesso la Caparbietà...
    Ciò mi fa pensare per l'individuo alla Perseveranza verso le amicizie importanti della propria vita ... cosa difficile e che richiede Forza per resistere (a pro di un bene superiore) alle molte circostanze avverse e mutevoli e nuove che via via si presentano e che sempre potrebbero sbiadirle, inaridirle, cessarle......
    E a livello dei “vizi degli Italiani” (filone che in questo corso sto continuando a seguire, imitando quello che ai tempi del Risorgimento avevano fatto persone come Pellico, Mazzini o D'Azeglio...) penso alla Mollezza della indiscriminata richiesta di eguaglianza economica negli Anni Settanta e alla radicalmente mutata accettazione di grandi disuguaglianze in questi anni attuali... e alla Caparbietà del coltivare senza mai autocritica idee sessantottine come il materialismo economicistico o il lassismo verso la necessità delle Correzioni...

 

Temperanza

 

  • vari  Simboli Iconografici della Temperanza: 1) due Brocche di Acqua e Vino per miscelare e così moderare la fonte del Piacere; 2) le Redini e la Frusta per le due mosse (freno e stimolo)  sui piaceri; 3) l'Orologio che indica  i tempi per questo  e per quello, e la pazienza e Continenza; 4) l'Elefante, animale ritenuto di costumi temperanti; 5) il  Fuoco  e l'Acqua per le due energie (stimolo e freno) da miscelare
  • se penso io alla Temperanza la prima cosa che mi serve per la mia vita e che mi preme dire a voi è la idea di produrre e godere i Piaceri Buoni che contrastano il nostro cadere nei Piaceri Cattivi... ma... è solo la Ragione che può discernere tra i due gruppi …  non è – per così dire – il Piacere stesso che possa dire : “Sono buono !” oppure “No, sono cattivo!”
    Per una migliore comprensione e un progressivo approfondimento di questa VC, (che è una virtù morale, cioè moderatrice dei sentimenti) consiglio di leggere  - dal  Trattato sui Sentimenti della Pars Prima  - la questione 39 sul Desiderio (concupiscentia) , le questioni 31-34 sul Piacere,  le questioni 35-39 sul Dolore, la questione 40 sulla Speranza e sulla Disperazione, le questioni 46-48 sull'Ira.

 

 

La Temperanza in sé stessa

 

·          Modera i piaceri corporei . «La natura inclina ciascuno a ciò che per lui è conveniente. Quindi per natura l'uomo brama il piacere che a lui si conviene. Ma siccome l'uomo proprio in quanto tale è ragionevole, è chiaro che i soli piaceri a lui confacenti son quelli conformi alla ragione. E la Temperanza non ritrae da questi piaceri; bensì da quelli che sono contrari alla ragione. Perciò è evidente che la Temperanza non contrasta l'inclinazione della natura umana, ma s'accorda con essa.»
cosa significa ? Dal Gorgia di Platone in poi : la idea che esistono i “piaceri cattivi”... cioè non tutti i piaceri sono buoni... e invece noi tendiamo infantilmente a identificare Piacere e Bene..
Gli altri animali hanno i piaceri “programmati” nell'istinto e dunque (a parte rari casi patologici) tutti “buoni”... noi umani no!... d'altra parte dal Fedone platonico in poi e passando soprattutto per lo Stoicismo e il monachesimo medievale  i piaceri sono visti solo come forze cattive... Ma qui Tommaso col  Filosofo dicono  che i piaceri buoni esistono e sono quelli che “seguono la inclinazione della natura”... non c'è una ragione che tarpa la natura ma piuttosto – nell'uomo – la salva...
« Ciò che forma l'oggetto della Temperanza sono tra le cose maggiormente capaci di turbare l'animo, trattandosi di cose connaturali all'uomo. Perciò la tranquillità dell'animo viene attribuita soprattutto allaTemperanza, sebbene essa convenga genericamente a tutte le virtù.»
cosa significa ? … che i sentimenti vari (speranza, audacia, timore, desiderio, amore, ira, etc) hanno sempre a che fare col piacere insidente nel corpo, di una natura animale che costituisce la base della vita quotidiane e segue sempre il “resto” (razionale)  di noi e lo precede e lo accompagna fino alla morte... la loro mal regolazione - le intemperanze o vizi “carnali” - sono la distorsione della nostra animalità... mentre i vizi spirituali (avidità, invidia, odio, Superbia, menzogna, ipocrisia, etc) non distorcono questo, almeno non direttamente e non in primis...
e nel corpo i piaceri di base derivano dal
senso del tatto e non dagli altri 4 sensi : «poiché il piacere accompagna le operazioni connaturali, i piaceri sono tanto più intensi, quanto più naturali   sono le operazioni che accompagnano. Ora, le operazioni che per gli animali   sono più secondo natura son quelle con le quali viene conservata la natura dell'individuo mediante il cibo e la bevanda, e la natura della specie mediante  l'unione del maschio con la femmina. Perciò la Temperanza propriamente ha  per oggetto i piaceri relativi ai cibi, alle bevande, e ai piaceri venerei. Ma codesti piaceri dipendono dal senso del tatto. Perciò rimane che la  Temperanza riguarda i piaceri del tatto.
I piaceri degli altri sensi nell'uomo si producono diversamente che negli altri animali. Infatti negli altri animali gli altri sensi non producono un piacere, se non in ordine alle sensazioni del tatto: il leone, p. es., sente piacere  nell'avvistare un cervo, o nel sentirne la voce per il pasto imminente. Invece  l'uomo sente piacere nelle sensazioni degli altri sensi non solo per questo, ma  anche per la loro intrinseca bellezza.
Perciò la Temperanza ha per oggetto i  piaceri degli altri sensi solo in quanto si riferiscono ai piaceri del tatto. Infatti nella misura in cui  l'oggetto degli altri sensi  è piacevole per la sua bellezza intrinseca, come quando uno si diletta nella bella armonia di un suono, questo piacere non riguarda la conservazione della natura. Perciò codeste sensazioni non hanno quella proprietà per cui appartengono alla Temperanza per antonomasia»

  • Non una Inclinazione, ma una Virtù . « La Temperanza in quanto vera virtù non può trovarsi senza la Saggezza, che  invece è assente in tutti i viziosi. Perciò coloro che mancano di altre virtù,  perché affetti da vizi contrari, non possiedono la vera virtù della Temperanza:  ma ne compiono gli atti per naturale disposizione, in quanto certe virtù  imperfette sono all'uomo naturali, come sopra abbiamo visto; oppure per   un'abitudine acquisita, che però, non essendo corredata della Saggezza, non  ha la perfezione di ordine razionale»
    cosa significa?... si torna al tema della apparenti virtù che sono solo inclinazioni... i Quieti, i Regolari, i Tiepidi, i Sommessi, i Silenziosi, gli Immoti  non sono gli Equilibrati!
  • Il giusto mezzo . « la Temperanza ritrae dalle cose che  attraggono l'appetito contro la ragione: mentre la Forza spinge a sopportare, ad affrontare cose che spingono l'uomo a trascurare il bene di ordine razionale»
    cosa significa? Che il “giusto mezzo” per la Temperanza è più vicino al vizio per difetto, mentre per la Forza è il contrario , come insegnava Aristotele e già (i due cavalli della biga nel Fedro) aveva visto Platone... che i piaceri buoni che la Temperanza certamente promuove sono – però - sempre “calmi” e non “eccitati”... come già vide Epicuro (piacere “catastematico” o in quiete) ... e qui dovrebbe aprirsi per ciascuno di noi una interessante auto-analisi di verifica di questa tesi...
  • Bellezza . « Sebbene essa sia ornamento di tutte le virtù, tuttavia la Bellezza  si attribuisce in  modo speciale alla Temperanza, perché le cose nelle quali ci modera la Temperanza sono quelle più   basse, che convengono all'uomo per la sua natura animalesca, come vedremo: perciò l'uomo è specialmente da queste che viene deturpato »
    cosa significa ? … che ciò che è sensibile riguarda il corpo e il corpo è ciò che  in primis è bello o brutto... i vizi contro la Temperanza sono i meno gravi, ma sono i più brutti, quelli di cui più ci si vergogna...
  • Modera i dolori . In secundis la T. modera anche i dolori: « la Temperanza, che implica  moderazione, consiste principalmente nel regolare i sentimenti che tendono ai  beni sensibili, e cioè le concupiscenze e i piaceri; e indirettamente a regolare le tristezze, o dolori che derivano dall'assenza di questi piaceri.»
    come già vide Epicuro il Piacere Buono cioè Equilibrato ha due nemici: i Piaceri Eccitati e i Dolori... il temperante non solo non è “troppo” (incongruamente, intempestivamente, compulsivamente) attratto dai piaceri sensibili ma neanche è squilibrato (somaticamente e moralmente) dalla loro diminuzione e temporanea assenza... cioè egli è capace di sostenere maggiormente il dolore della loro assenza...
  • la T. è una virtù cardinale cioè principale, perchè...«Sembrerebbe più importante di essa la Mitezza, infatti più una cosa è impetuosa, più è difficile a frenarsi. E l'ira, che è tenuta a   freno dalla Mitezza, è più impetuosa della concupiscenza, che è tenuta  a freno dalla Temperanza.
    MA:  l'impeto dell'ira viene causato da qualche cosa di occasionale, p. es., da un urto doloroso: e quindi presto passa, sebbene abbia una grande  veemenza. Invece l'impulso della concupiscenza relativa ai piaceri del tatto deriva da una causa naturale; essa quindi è più insistente e più comune. Perciò frenarla è compito di una virtù più importante. 
    Inoltre: la virtù di una causa agente mostra di essere tanto maggiore, quanto più lontano giunge la sua  operazione. Perciò la potenza della ragione si rivela più grande per il fatto  che può moderare anche le concupiscenze e i piaceri da essa più lontani, quelli del corpo e specificamente del tatto. E  quindi questo fatto mostra la cardinalità o principalità della Temperanza.»
    cosa significa ? Che la Temperanza nella vita buona ci accompagna continuamente – mentre non così succede per la Giustizia e la Forza – e in questo essa è simile alla Saggezza, cioè allo ininterrotto “pensiero pratico”... è come la sua controparte corporea, è la “Saggezza del Corpo”...
    E dunque i disturbi psicosomatici delle emicranie, delle voracità e disappetenze alimentari, delle insonnie e letargie, dei pruriti ed insensibilità della pelle, delle contrazioni e dei rilassamenti muscolari, delle chiusure e rovesciamenti dello stomaco, delle diarree o stitichezze dell'intestino, delle bradicardie e tachicardie, delle ipertensioni e ipotensioni arteriose, degli sbalzi involontari di volume nella voce, delle allergie ed intolleranze, delle iperestesie/satiriasi/ninfomanie o impotenze/frigidità  genitali, allucinazioni, sonnambulismo, etc etc (tic, respiro affannoso, balbuzie, scotomie visive, singhiozzo e raffreddore compulsivi, ipotermie o ipertermie, etc etc) cosa ci mostrano, posto che noi volessimo accorgercene? Due cose:
    1) l'effetto corporeo di un nostro difetto di Saggezza, o di fondo o occasionale qui ed ora; 2) il campanello di allarme per percepire il problema di un pensiero sbagliato, capirne l'errore e correggerlo ed esser saggi, o come programma di fondo o occasionalmente qui ed ora...
  • la T. non è però la più grande delle virtù.
    «SEMBRA che essa lo sia, infatti:
    1) compiere ciò che è più difficile è proprio di una virtù superiore. Ora, è  più difficile tenere a freno le concupiscenze e i piaceri del tatto, oggetto della Temperanza, che tenere a freno le azioni esterne, oggetto della Giustizia. Perciò la Temperanza è una virtù superiore alla Giustizia.
    E inoltre :
    2) quanto più una cosa è universale e comune, tanto più è necessaria e più nobile. Ma la Forza ha per oggetto i pericoli di morte, che sono tanto più rari dei piaceri del tatto, i quali capitano tutti i giorni: e quindi l'esercizio della Temperanza è più universale e comune che quello della Forza.  Dunque la Temperanza è una virtù più nobile della Forza.
    MA INVECE:
    1) È vero che la virtù "ha per oggetto il difficile e il bene"; ma la grandezza di una virtù dipende più dalla bontà, in cui eccelle la Giustizia, che dalla difficoltà in cui eccelle la Temperanza.
    E inoltre:
    2) L'universalità desunta dal numero degli interessati contribuisce alla bontà di una virtù, più di quella desunta dalla frequenza del suo esercizio. Ora, il  primo tipo d'universalità appartiene di più alla Forza, il secondo alla Temperanza. Perciò assolutamente parlando la Forza è superiore:  sebbene sotto certi aspetti la Temperanza possa dirsi superiore non solo alla Forza, ma anche alla Giustizia.
    E LE COSE STANNO COSI' PERCHE' :  come  il Filosofo scrive,  "le virtù più grandi son quelle che  sono più utili agli altri: e per questo noi onoriamo soprattutto i giusti e i  forti" e  "il bene del popolo è più divino del bene di un solo uomo". Perciò quanto più una virtù riguarda il bene comune, tanto più è superiore. Ora, la Giustizia e la Forza riguardano il bene comune più della Temperanza: poiché la Giustizia ha per oggetto i rapporti reciproci, e la Forza si esercita nei pericoli di guerra, affrontati per il bene comune; mentre la Temperanza regola solo le concupiscenze e i piaceri individuali. Dunque è evidente che la Giustizia e la Forza sono virtù superiori alla Temperanza: sebbene sia ancora più importante di esse la Saggezza.»
    cosa significa ? Consento con lui e con Dante (vedi Inferno e Purgatorio...)! … è assai meglio incontrare – per es. in un consiglio di classe... -  persone intemperanti che persone ingiuste e vigliacche! … l'Intemperanza è la croce che corrompe  (se va male, cioè nell'intemperante) o fa soffrire (se va bene, cioè nell'incontinente) la persona in sé stessa... invece  Ingiustizia e Vigliaccheria fanno soffrire gli altri !...
    E le Due Stelle della Giustizia e della Forza, cosa fanno
    per me ? … Detto con altre parole: se esse  giovano agli altri, in quale senso giovano invece al giusto e al forte per sé stesso?
    Ecco: se guardo la mia vita passata cosa posso dire (senza troppi particolari...)? Che l'Intemperanza mi bloccava la Saggezza... e il difetto di Saggezza mi produceva l'Intemperanza...
    MA : le Due Stelle, la Giustizia e la Forza  -  però ! - facevano “occasionalmente” (perchè non sono “connaturali” e non sono dunque continue) rivivere “occasionalmente” la Saggezza... e questa Saggezza “occasionale” mi ha permesso di fare delle scelte profonde della mia vita (lasciare i Manni e Civitanova ed emigrare, fare l'università fuori sede, cambiare da Medicina a Filosofia, criticare profondamente quasi tutti miei professori universitari e gli intellettuali italiani, avvicinarmi ad alcune persone buone e poi alla religione, smettere il precariato portaborse universitario e quello giornalistico e fare i Concorsi per la Scuola e avere la indipendenza economica, cercare Club-Gruppi-Parrocchie-Partiti-Relazioni Umane, volere fare la psicanalisi, sperimentare ed escludere vari (5!) psicanalisti e riconoscere – avendolo potuto trovare.... - il  dottor De Masi...
    E - con lui! -  la Saggezza è diventata via via  - lungo più di venti anni - meno occasionale, e così è germogliata la Temperanza...

 

I vizi opposti alla Temperanza

  • L'Insensibilità . «Alla virtù non si contrappone che il vizio. Ma l'Insensibilità, come afferma il Filosofo, si contrappone alla Temperanza. Dunque l'Insensibilità è un vizio. Tutto ciò che è contrario all'ordine naturale è peccaminoso. Infatti, la natura ha legato il piacere alle funzioni necessarie per la vita dell'uomo. Perciò l'ordine naturale richiede che l'uomo usi di codesti piaceri, quanto è necessario al benessere umano, sia per la conservazione dell'individuo, che per la conservazione della specie. Perciò se uno si  astenesse da questi piaceri al punto di trascurare ciò che è necessario per la  conservazione della natura, commetterebbe peccato, violando così l'ordine naturale. L'uomo, come abbiamo spiegato nella Pars Prima, non può servirsi della ragione, senza far uso delle potenze sensitive, le quali hanno bisogno di un  organo corporeo. Per questo l'uomo deve dare sostentamento al corpo, per servirsi della ragione. Ma il sostentamento del corpo si fa mediante funzioni piacevoli. Perciò in un uomo non può esserci il bene di ordine razionale, se egli si astiene da tutti i piaceri
    cosa significa? … Il messaggio generale è questo: “Rifiuta il pessimismo ascetico!”...  l'essere umano infatti è armonico, coerente e il male è qualcosa di estraneo a lui...
    E l'accorgimento pratico è questo: “Sta in contatto con te stesso!”...  quando sento delle tristezze credendo di fare una azione giusta spesso il dispiacere mi segnala che invece quella
    non è l'azione giusta (ma è una sottomissione, una sfida a me stesso, una esposizione superba, una dichiarazione retorica, una idealizzazione malinconica,etc etc...)
  • l'Intemperanza come Infantilismo . «il Filosofo afferma, che "denominiamo l'Intemperanza dai difetti dei bambini". Una cosa può dirsi infantile per due motivi. A. perché  propria dei bambini. E il Filosofo non intende dire in questo senso che l'Intemperanza sia un peccato infantile.  B. per una certa somiglianza.  Ed è in questo senso che i peccati d'Intemperanza si dicono infantili. Infatti il peccato d'Intemperanza è un eccesso di concupiscenza: e ciò somiglia al fanciullo sotto tre aspetti.
    1) quanto all'oggetto che viene desiderato. Infatti, come il bambino, così  anche la concupiscenza, brama qualche cosa di indecente. Questo perché il   decoro negli atti umani dipende dall'essere ordinati conforme alla ragione:  cosicché Cicerone afferma, che "è bello quanto si addice alla grandezza   dell'uomo in quello che per natura si differenzia dagli altri animali". Invece il bambino non bada all'ordine della ragione. Così pure, a detta del Filosofo,  "non ode ragione la concupiscenza".
    2) Intemperanza e fanciullezza coincidono negli effetti. Infatti se il  bambino viene lasciato al proprio volere, crescono le sue brame; nella Scrittura infatti si legge: "Un cavallo non domato diventa intrattabile, e un figliuolo abbandonato a sé stesso diventa un rompicollo". Lo stesso vale per la concupiscenza, la quale se viene soddisfatta, acquista più vigore, come  nota Agostino: "Mentre si serve alla concupiscenza, ecco si forma l'abitudine; e non resistendo all'abitudine, nasce la necessità".
    3) esse coincidono nei rimedi consigliati per l'una e per l'altra. Infatti il bambino viene corretto con la coercizione, secondo le parole dei Proverbi: "Non sottrarre il fanciullo alla disciplina; tu lo picchierai con la verga, ma lo scamperai dall'inferno". Così nel resistervi si riporta la concupiscenza alla misura dell'Onestà. Ecco perché Agostino afferma, che "quando l'anima s'innalza e si fissa nelle cose spirituali, la forza dell'abitudine", cioè della concupiscenza carnale, "si spezza, e un po' per volta si smorza e si estingue. Se l'avessimo assecondata, sarebbe diventata più grande: col reprimerla non è annientata, ma è certo diventata più debole". E il Filosofo scrive, che "come il fanciullo deve stare al comando del pedagogo, così la concupiscenza deve adeguarsi alla ragione".
    Cosa significa ?
    1) Ridicolo e grottesco e dunque poi vergognoso (indecente) non è ciò che è irrazionale, ma ciò che è manifestamente irrazionale... tante prepotenze ed avidità e machiavellismi infatti sono irrazionali (e lo sono ben più gravemente!) ma non appaiono facilmente esserlo, e non sono dunque “indecenti”... il bambino ci fa sorridere per la sua manifesta irrazionalità, l'adulto intemperante ci fa sorridere per lo stesso motivo ma anche lo disprezziamo e in lui nasce allora la vergogna... cosa è nell'adulto infatti manifestamente irrazionale? L'Intemperanza appunto, che è la brama smodata dei piaceri corporei... si deride Berlusconi per il bungabunga ma non per gli attacchi ai pilastri della Giustizia e della Libertà (che a molti infatti appaiono segni di una più alta saggezza).
    2) che l'Intemperanza è una mancanza di freni o paletti al desiderio di piaceri corporei, nel bambino i paletti sono messi per forza o quasi data la sua fortissima dipendenza per i mezzi della vita verso gli adulti, della quale si accorge e – intanto -  gli adulti sia gli forniscono i mezzi sia dli mettono i paletti  … Invece l'adulto Intemperante non ha o non crede di avere questa continua e fortissima dipendenza dagli altri , e, inoltre, gli altri la maggior parte delle volte non hanno il potere di mettergli i paletti.
    3) che nell'adulto temperante i paletti sono dati dalla sua ragione stessa, mentre nell'intemperante no perchè la sua ragione è già degradata e nell'assenza dei paletti la Intemperanza gliela degrada ancora di più, in un tragico circolo vizioso...
    «E SE SI OBIETTA che i bambini non hanno altri desideri, o concupiscenze, che quelli naturali. Ma in rapporto a questi desideri è raro peccare d'Intemperanza, come nota il  Filosofo. Dunque l'Intemperanza non è un peccato puerile.
    IO RISPONDO che una concupiscenza, o desiderio, può dirsi “naturale” in due maniere:
    Primo in senso generico. E in tal senso sia la Temperanza e l'Intemperanza hanno per oggetto concupiscenze naturali: infatti riguardano concupiscenze di cibi e di piaceri venerei, che sono ordinate alla conservazione della natura.
    Secondo, una concupiscenza può dirsi naturale in senso specifico, e cioè per la specie di ciò che la natura richiede per la propria conservazione. E in tal senso non è frequente il peccato rispetto alle concupiscenze naturali. Infatti la natura non cerca, se non quanto esige la necessità naturale: ma in questo desiderio non c'è peccato.  Invece le cose in cui maggiormente si pecca sono di un'altra specie, e cioè certi incentivi della concupiscenza escogitati dall'invadente fantasia umana: come la elaboratezza dei cibi, e certi abbigliamenti delle donne.  »
    cosa significa ? Una profonda distinzione: il desiderio che rende schiavo l'intemperante riguarda qualcosa che è di natura animale e cioè i piaceri corporei, ma non per il motivo che sono di natura animale: egli cerca il piacere corporeo non per sé stesso ma solamente se è “travestito” da particolari pensieri (“sicut cibi curiose praeparati, et mulieres ornatae”),  come se esso fosse piacere spirituale, ma di uno spirito (di una ragione) corrotto!... Il discorso non è semplice perchè nell'uomo di necessità naturale la ragione pervade tutto: le cose esterne con le tecniche, i rapporti con gli altri uomini con convenzioni e istituzioni, e anche il corpo e le sue sensazioni e sentimenti...
    Ma:  la ragione distorta pervade in maniera distorta, “invade” e non “pervade”! E così rovina l'ecosistema, le relazioni sociali e anche la stessa corporeità...  In specifico nell'intemperante osserviamo la “invasione” della ragione nella corporeità: alcool droghe cibo e sesso bulimici sono dovuti al “feticismo”... questa categoria concettuale  (freudiana ma anche marxista) indica un trasloco di idee viziose sui piaceri corporei... per esempio nel cibo “non a ragione”  la ragione omette di proiettare gratitudine per il cibo, empatia con i commensali e solidarietà per gli affamati (tutte cose che “a ragione” la ragione invece potrebbe proiettare sul cibo), ma piuttosto l'idea che il cibo sia “sofisticato”, ed “esclusivo”e dia superiorità verso gli altri, che esso abbia un magico potere di restaurazione della personalità scompensata, che esso sia “schiavo” e preda della proprio Potere di Dominio (tutte cose che “non a ragione”  - dunque - la ragione proietta sul cibo) ... e analogamente per il sesso...
    Osserviamo inoltre che l'Intemperanza - dal punto di vista della volontarietà -  è un vizio più grave della Vigliaccheria :
    «quanto più un peccato è volontario, tanto più è grave. E l'Intemperanza è più volontaria della Vigliaccheria. E questo per due motivi.
    Primo, perché le cose fatte per paura hanno la loro causa in un fattore esterno che minaccia: cosicché tali atti, come dice Aristotele, non sono del tutto volontari, ma misti (di involontarietà). Invece le cose che si fanno per il  piacere sono volontarie in senso assoluto, perchè la loro concupiscenza viene dall'interno.
    Secondo, perché gli atti dell'intemperante sono più volontari nel particolare, e meno volontari in universale: nessuno infatti vorrebbe essere intemperante; ma ci si lascia attrarre dai singoli piaceri che rendono intemperanti.
    Ecco perché il rimedio  migliore per fuggire l'Intemperanza sta nel non fermarsi a considerare il  singolare. Invece nella Vigliaccheria avviene il contrario. Infatti i singoli gesti di paura sono meno volontari, come gettare lo scudo: invece è più volontario lo scopo universale, cioè salvarsi con la fuga. Ora, in senso assoluto è più volontario ciò che è più volontario sul piano dei singolari, in cui l'atto si produce.
    Perciò l'Intemperanza, essendo in senso assoluto più volontaria della Vigliaccheria, è un peccato più grave.»
    cosa significa ? Da una parte ci dà un messaggio di “libera scelta” e cioè di responsabilità... non è  - per es – quell'oggetto erotico “che mi attira” (quasi fosse un soggetto attivo e fosse “colpa sua”), ma sono io che lo “concupisco”... D'altra parte questo brano ci dà una profonda osservazione sulla nostra Mente: sono i “singularia” ciò che conosco io e non “gli altri” (attraverso le scienze e le prediche che mi insegnano, ma con cui possono insegnarmi solo “universalia”), e dunque sono i singularia gli oggetti principali del nostro desiderio buono o cattivo... in altre parole Temperanza ed Intemperanza riguardano un me pienamente Attore e non Spettatore della vita...
    Ma la Vigliaccheria - dal punto di vista del bene Comune -  è un vizio peggiore dell'Intemperanza:
    «La superiorità della Forza sulla Temperanza si può desumere dal fine, dal quale si desume la bontà di una cosa: la Forza infatti è più ordinata al Bene Comune che la Temperanza. E da questo lato la Vigliaccheria è più grave dell'Intemperanza: poiché per Vigliaccheria alcuni tralasciano di difendere il Bene Comune. »
    Osserviamo inoltre che la Intemperanza è un Vizio Vergognoso. Se l'Onore è la attribuzione  di stima che io ho verso di me e gli altri hanno verso di me, allora la vergogna è il sentimento che nasce dalla non attribuzione di stima, dal Disonore; e 
    « i vizi carnali, compresi sotto il nome d'Intemperanza, sebbene siano di minore  gravità, sono però più infamanti. Infatti la gravità della colpa si desume dal suo allontanamento dal fine della vita umana: invece l'infamia si desume dalla Bruttezza, che  risulta in maniera particolarmente visibile dalla degradazione di chi pecca. Il Filosofo insegna, che l'Intemperanza tra gli altri vizi "sembra giustamente disonorante". E questo per due  motivi. Primo, perché è la cosa più incompatibile con un'Eccellenza specifica  dell'uomo: infatti essa ha per oggetto i piaceri comuni a noi e alle bestie. Di qui le parole dei Salmi: "L'uomo non  ha compreso il proprio onore: si è messo alla pari dei giumenti irragionevoli e diviene simile ad essi". Secondo, perché essa ripugna al massimo alla Bellezza dell'uomo: poiché nei piaceri che sono oggetto dell'Intemperanza la luce della ragione, da cui dipende tutto lo Splendore e la Bellezza ( cioè la facile, manifesta visibilità agli altri) della virtù, viene oscurata al massimo. Cosicché questi piaceri si dicono sommamente da schiavi. »
    cosa significa ? Tommaso da aristotelico distingue chiaramente la gerarchia della eccellenza degli esseri dalla bontà e malizia degli esseri (due pdv che invece il Platonismo confondeva) : piante, animali irrazionali, corpo umano, mente umana sono enti via via più elaborati e potenti, ma questo non implica affatto che siano più buoni (più legati al sommo bene)... ecco perchè la “degradazione” (passare ingiustamente da una grado della gerarchia a uno inferiore: corpificare la mente, bestificare l'uomo, vegetalizzare l'animale) è un atto più Brutto che Malvagio... di malvagio c'è solo che tale degradazione è “ingiusta” perchè “contro la natura delle cose”...
    Però io penso con una visione più moderna rispetto a Aristotele e Tommaso, e aggiungo che la “vergogna” che si prova soprattutto nei vizi carnali sia dovuta al fatto che in questi la persona si trova assai più “dipendente” dal proprio corpo, dai beni esterni, dalle altre persone... si sente più “piccola” ed umile... mentre molto di meno si sente così nei vizi spirituali come la avidità, la violenza, la frode, la Superbia... e questa dipendenza ci porta a vergognarci nella misura in cui abbiamo una ideologia superba di autosufficienza, ma, d'altra parte diminuisce il male della azione perchè  - anche se in maniera distorta, viziosa – rivela in qualche modo una realtà vera, e cioè la nostra oggettiva strutturale dipendenza dal corpo, dai beni esterni, dalle altre persone...

 

 

La analisi delle parti della Temperanza

 

·          «Una virtù cardinale può avere tre tipi di parti, e cioè: integranti, soggettive e potenziali.
Parti INTEGRANTI di una virtù sono quelle condizioni che devono concorrere a costituirla. E in tal senso due sono le parti integranti della Temperanza: cioè il Pudore, che spinge a fuggire la turpitudine contraria  alla Temperanza; e l'Onestà, che porta ad amarne la bellezza. Infatti la Temperanza, come abbiamo già spiegato, tra tutte le virtù è quella che  maggiormente implica un certo decoro, e i vizi ad essa contrari sono appunto quelli più indecorosi.
Parti SOGGETTIVE di una virtù sono invece le specie di essa. Ebbene, le specie della virtù si distinguono in base alla materia, ossia all'oggetto. Ora, la Temperanza ha per oggetto i piaceri del tatto, che sono di due generi. Alcuni sono ordinati alla nutrizione. E rispetto ad essi in rapporto al cibo abbiamo  l'Astinenza; e in rapporto alla bevanda abbiamo propriamente la Sobrietà. -  Altri piaceri sono ordinati alla generazione. E rispetto ad essi in rapporto al piacere principale del coito stesso abbiamo la Castità; invece in rapporto ai  piaceri connessi, come baci, toccamenti e abbracci, abbiamo la Pudicizia.
Parti POTENZIALI, poi, di una data virtù sono le virtù secondarie, che in certe altre materie meno difficili si regolano come la virtù principale rispetto alla sua materia. Ora, la Temperanza ha il compito di moderare i piaceri del tatto, che sono i più difficili a moderarsi. Perciò tutte le altre virtù che importano una certa moderazione o un freno dell'appetito verso qualche cosa, possono considerarsi parti della Temperanza, come virtù annesse. E questo può  avvenire in tre maniere: primo, nei moti interiori dell'anima; secondo, nei moti  e negli atti esterni del corpo; terzo, nelle cose esterne.
Primo. Nell'anima oltre il moto della concupiscenza, tenuto a freno dalla Temperanza, ci sono tre moti appetitivi. 1) Il primo è il moto della volontà agitata dall'impeto della passione:  ebbene questo moto è tenuto a freno dalla Continenza, la quale fa sì che,  sebbene uno soffra i moti incomposti della concupiscenza, tuttavia la volontà  non sia sopraffatta. 2) Il secondo moto interiore che tende verso qualche cosa è il moto dell'ira che tende alla vendetta: ed esso è tenuto a freno dalla Mitezza, o Clemenza; 3) Il terzo è  il moto della speranza, e dell'audacia che l'accompagna: e questo moto viene  tenuto a freno dalla Modestia e da due sue virtù annesse: l'Umiltà e  la Studiosità .
Secondo. Moderare e frenare gli atti del corpo è proprio di una terza virtù annessa alla Modestia che si chiama Contegno e che Andronico spartisce a sua volta nelle sue  funzioni. A. Negli atti seri esterni : 1) discernere ciò che è da farsi o da omettersi, con quale ordine si deve procedere, e nel persistervi con fermezza: e per questo egli assegna il Buon Ordine;  2)  agire rispettando le convenienze: e per questo egli parla di Decoro. B. Negli atti ricreativi esterni: la Giocosità.
Terzo. Nell'uso delle cose esterne: 1)  che non si cerchi il superfluo: ecco perché Macrobio nomina la Parsimonia; 2) che non si cerchino cose troppo delicate: e in proposito  Andronico parla  di Semplicità.»

 

 

 

Le due parti “integranti” (cioè elementi costitutivi) della Temperanza

 

  • Il Pudore . «Il Filosofo insegna che il Pudore non è una virtù. Il termine virtù si può prendere in due sensi: in senso stretto e proprio,  e in senso lato.
    Propriamente "la virtù è una perfezione", come dice   Aristotele. Perciò tutto quello che è incompatibile con la perfezione, anche  se buono, non raggiunge la natura di virtù. Ora, il Pudore è incompatibile con  la perfezione. Infatti esso è il timore di cose indecenti, e quindi vituperevoli:  ché, a detta del Damasceno, "il Pudore è il timore di un atto turpe cioè brutto".
    Ma: come la Speranza ha per oggetto il bene possibile e arduo, così il Timore ha per oggetto un male possibile e arduo, secondo le spiegazioni date nel  trattato dei sentimenti. Ebbene, per chi è perfetto nella virtù niente di vituperevole e di indecente può considerarsi un male possibile e arduo, cioè difficile ad evitarsi: del resto costui non compie nulla di indecente, per cui  debba temere la vergogna.
    In senso stretto perciò il Pudore non è una virtù,  non raggiungendo la perfezione propria di quest'ultima.  Infatti il  Pudore non indica un abito, ma un sentimento. E i suoi moti non dipendono da una deliberazione, ma da un impulso sentimentale. Dunque esso non raggiunge la natura di virtù.
    In senso lato però si denomina virtù tutto ciò che di buono si trova negli atti umani e nei sentimenti. E in tal senso talora si dice che è una virtù il Pudore,  trattandosi di un sentimento lodevole.»
    cosa significa ? Che il Pudore è “la virtù del sapersi non virtuosi”... se abbiamo questa inconscia consapevolezza allora ci vergogniamo di cose innocenti in sé,  ma che -  per noi mediocremente viziosi – possono essere occasioni di male, come il  nostro corpo nudo o la nostra  voracità nel mangiare...
    «SEMBRA che il Pudore non abbia come oggetto le azioni turpi, infatti, se le avesse, l'uomo dovrebbe  vergognarsi di più delle cose più turpi. Invece talora gli uomini si vergognano  maggiormente di atti che son peccati più piccoli: mentre si gloriano di certi peccati gravissimi, come accenna il Salmista: "Perché ti glori della malvagità?". Quindi il Pudore propriamente non ha per oggetto le azioni turpi.
    MA , come abbiamo nel trattato sui sentimenti, il  timore propriamente ha per oggetto il male arduo, che cioè difficilmente si   può evitare. Ora, ci sono due tipi di turpitudine. La prima è peccaminosa: e  consiste nella depravazione di un atto volontario. E questa non ha l'aspetto di male arduo: infatti ciò che dipende dalla sola volontà [come accade negli atti contro la Giustizia] non è difficile e superiore al potere di un uomo, e per questo non si presenta come una cosa  temibile. Ecco perché il Filosofo afferma, che di questi mali non si ha timore.  Il secondo tipo di turpitudine ha quasi carattere penale: essa consiste nel  disonore che colpisce una persona, come la gloria consiste nell'onore verso   di essa. E poiché tale disonore è un male arduo, o grave, come l'onore è un bene arduo, il Pudore, che è il timore di ciò che è turpe, principalmente  riguarda il disonore, ossia la vergogna.
    E,  come l'onore  dovrebbe secondo giustizia esser tributato solo  alla virtù,   pur essendo nei fatti accordato a ogni tipo di superiorità; così il disonore è dovuto  propriamente solo a una colpa, ma secondo l'opinione degli uomini ricade su qualsiasi difetto. Ecco perché alcuni si vergognano della povertà, della mancanza di nobiltà, della schiavitù, e di altre cose del genere.
    E dunque si risponde alla obiezione iniziale così:  talora capita che certi peccati più gravi siano meno vergognosi di altri, o  perché sono meno turpi [meno “degradanti” nel senso già spiegato], come i peccati spirituali rispetto ai peccati carnali;  oppure perché presentano una certa superiorità di doti umane: l'uomo, p. es.,  si vergogna più della Vigliaccheria che della Temerarietà, più di essere un ladro che di esser un rapinatore, per una parvenza di Forza che c'è nel rapinatore. Lo stesso si dica degli altri casi.»
    cosa significa ? Anche qui: Anti-sentimentalismo ! Un sentimento come il Pudore è in sé ambiguo e solo la Ragione lo rettifica... ma, poiché siamo tutti un tot irrazionali e dunque  un tot viziosi , ecco che ci vergogniamo (abbiamo uno scatto automatico di questo sentimento) per cose innocenti... ci vergogniamo della nostra animalità e delle più svariate situazioni di inferiorità sociale che non sono per nulla cattive moralmente...Ma noi abbiamo in testa ideologie di superiorità e disprezzo e le scontiamo quando ci troviamo noi stessi  nella casella che esse prevedono come  quella per “persona da ritenersi inferiore e da disprezzare”
    Osserviamo inoltre che
    « Il Filosofo afferma, che "vergognarsi non è proprio dell'uomo virtuoso". Infatti il Pudore è la paura di qualche cosa di indecente. Ora, il fatto di non temere un male può capitare per due motivi:  perché non è ritenuto tale; e perché non è ritenuto possibile,  ossia non difficile a evitarsi. E dunque , il Pudore può così mancare in una   persona per due motivi.
    Primo, perché le cose vergognose non sono da essa  ritenute turpi. E in questo modo mancano di Pudore gli uomini immersi nei  peccati, i quali non ne provano dispiacere, ma si gloriano di essi. 
    Secondo,  perché alcuni non considerano la turpitudine come una cosa capace di sedurli,  ossia non facile a evitarsi. In questo modo son prive di Pudore  le  persone virtuose. Tuttavia queste sono così disposte, che se ci fosse in loro qualche cosa di turpe, se ne vergognerebbero: ecco perché il Filosofo ha  scritto, che "il Pudore esiste solo ipoteticamente nella persona virtuosa".
    Perciò il Pudore manca sia nelle persone molto cattive, che in quelle molto buone, ma per motivi diversi, come sopra abbiamo detto. Si riscontra invece in quelle mediocri, le quali hanno un certo amore del bene; pur non essendo del tutto immuni dal male. »
    cosa significa ? Che per quanto riguarda invece ciò che è realmente oggetto della morale e cioè virtù e vizi il Pudore è il sentimento dei più... di noi – cioè - che non siamo del tutto virtuosi ma neanche del tutto viziosi, e per questo ci vergognamo, cioè abbiamo quel tot di virtù sufficiente per capire di esser viziosi e per reagire con dolore al disonore di esserlo...
  • La Bellezza Morale (“Onestà”). «  Come scrive Isidoro, Onestà significa "stato di onore". Perciò una cosa è onesta in quanto è degna di onore. E l'onore, come sopra  abbiamo visto, è dovuto al valore di una cosa. Ma il valore di un uomo si  desume specialmente dalla virtù.
    E l'Apostolo ha scritto: "Le membra disoneste noi le circondiamo di maggior onore; mentre le membra oneste non han bisogno di niente". Ora, egli chiama qui disoneste le parti brutte, e oneste quelle belle. Perciò Onestà e Bellezza s'identificano.  Come si può rilevare dalle parole di Dionigi, il bello viene  costituito sia dallo splendore sia dalle debite proporzioni. Perciò la bellezza del corpo consiste nell'avere le membra ben proporzionate, con la luminosità del colore dovuto.
    Parimenti la Bellezza Morale consiste nel fatto che il comportamento e gli atti di una persona sono ben proporzionati secondo la luce della ragione. Ora, questo,  è il costitutivo dell'Onestà che s'identifica con la virtù, la quale ultima modera tutte le azioni umane. Dunque l'Onestà s'identifica con la Bellezza Morale. Infatti  Agostino ha scritto:
    "Chiamo Onestà la Bellezza Morale", ma subito dopo aggiunge, che "ci sono anche molte cose  Belle al Senso della Vista , che – pur  se in senso meno proprio - si dicono oneste".
    L'Onestà, allora, è una certa Bellezza Morale. Ora, il bello si contrappone al brutto. Ma gli opposti risaltano soprattutto nella loro contrapposizione. Perciò l'Onestà appartiene specialmente alla Temperanza, la quale contrasta ciò che nell'uomo vi è di più  brutto e di indecente, cioè i piaceri corporei privi del freno della ragione..»
    cosa significa ?
    1) Quali sono le “membra brutte” del corpo umano “che “bisognano di maggiore onore” ? Sono le “pudenda”cioè gli organi genitali? … sono essi brutti? … o sono le membra “infirmiora” cioè quelle più fragili o quelle malate? ... sono esse brutte? … non so! Non ho capito! Anche perchè il contesto paolino della citazione è fortemente diverso da quello della Temperanza ma parla di una Superiore Divina Giustizia nella metafora del Corpo di Cristo e delle Membra che siamo noi (1 Cor: 12, 1-25)... in cui si rimanda al “primato degli ultimi”, al “medico che viene per i malati e non per i sani”, alla “urgenza per la pecorella smarrita” e per “il figliol prodigo”.... contesto difficilissimo per un testo difficile!

    2) che la Temperanza come v. particolare abbia un privilegiato rapporto con la bellezza … beh, mi quadra: viso e voce di una persona prigioniera della lussuria o immersa nella abbuffata golosa o preda della ebrezza alcolica o stravolta dalla ira sono viso e voce più brutti !... quasi che con la assidua e silenziosa azione della Temperanza nel proporzionare i  sentimenti interni di una persona, questa venisse trasformata tanto da apparire anche al di fuori nella proporzione bella dell'aspetto e gestualità esterni...
  • Commento : come l'acqua è composta da idrogeno e ossigeno, così la Temperanza è composta da Pudore e Bellezza Morale... il Pudore è il giusto timore di esser giustamente disonorati, mentre la Bellezza Morale è la giusta fiducia/speranza di esser giustamente onorati …
    Il temperante “si appoggia” su una sana natura animale che miscela con equilibrio i piaceri del tatto, ed è “sostenuto e sollevato” dalle altre tre VC... egli dunque – da una parte -  si “affloscerebbe o crollerebbe” nei piaceri corporei se non fosse sostenuto e sollevato dalle altre VC, ed egli dunque – d'altra parte -  si “slogherebbe o strapperebbe” se non si appoggiasse sui piaceri corporei...
    E potremmo così dipingere il ritratto del temperante: egli è schivo ma non timido, è affettuoso ma non invadente, non è impacciato ma non è neanche iperattivo, non è irascibile ma non è neanche sottomesso, non è spudorato col suo corpo e non si esalta per esso ma neanche è vergognoso o ansioso per il suo corpo e anzi è grato e anche orgoglioso per esso, non è né chiacchierone né muto, è rispettoso ma non scostante, è scherzoso ma non pagliaccio, è allegro ma non ha il sorriso stereotipato, è triste quando le circostanze reali lo impongono ma non è cupo e lamentoso, è affascinante ma non seduttivo, è conviviale ma non orgiastico, è poetico ma non mieloso sentimentaloide, etc etc...



Le tre parti “soggettive” (cioè aspetti specifici) della Temperanza

 

·          Astinenza (Dieta Sana): «  I piaceri alimentari, sebbene siano ordinati in qualche modo ai piaceri sessuali, sono già per se stessi ordinati alla conservazione della vita umana singola. Ecco perché già per se stessi hanno una speciale virtù, che è denominata Astinenza, che però in qualche modo ordina il proprio atto al fine della Castità, ordinata alla conservazione della specie umana.
Il termine “astinenza” implica sottrazione di alimenti. Esso perciò può avere due significati. Primo, può indicare la semplice sottrazione  del cibo. E in tal senso l'astinenza è un atto indifferente. Secondo, può indicare codesto atto in quanto è regolato dalla ragione e allora l'Astinenza è una virtù. Come dice Agostino: rispetto alla virtù "non ha nessuna importanza la qualità e la quantità degli alimenti; purché uno ne usi secondo le esigenze delle persone con le quali convive, e secondo le esigenze della propria persona e della  propria salute; ma interessa la facilità e la serenità con le quali uno ne sopporta la privazione quando la necessità, o il dovere lo impone".  »
cosa mi viene in mente ?.. che anche io ho pensato in effetti alla Astinenza come “in qualche modo” finalizzata alla Castità... e che quando ho pensato con serietà alla Astinenza (alla linea e dunque alla “dieta”) ho dovuto pensare ai mezzi possibili, opportuni ed  efficaci per me (scelta saggia dei modi, dei tempi, dei piaceri sostitutivi, dei cibi etc. secondo la mia personalità individuale e secondo le particolari circostanze che via via mi si presentavano) per raggiungere lo scopo della Astinenza... e che essa sia costruita un tot in me in effetti lo vedo dalla facilità e tranquillità con cui vivo la sottrazione di cibo...
Il suo vizio per eccesso e cioè la Golosità : « la quale non origina dalla  materialità del cibo, ma nella brama di esso non regolata dalla ragione. Come scrive Gregorio: "In cinque modi ci tenta il vizio della gola: ci fa anticipare il pasto prima del bisogno; ricerca cibi squisiti; li fa preparare con raffinatezza; talora passa i limiti della quantità richiesta; e qualche volta pecca per la voracità d'una brama insaziabile". E inoltre Gregorio indica la Golosità come vizio capitale e cioè generatore di altri vizi che poi sono: "insipida allegria, buffoneria, incontinenza, parlare a vanvera, ottusità della mente nell'intendere". »

  • Sobrietà : « le bevande inebrianti costituiscono un  ostacolo speciale per l'uso della ragione: in quanto turbano con i loro fumi le funzioni cerebrali. Perciò per togliere questo impedimento della ragione si richiede una virtù speciale, che è appunto la Sobrietà»
    e il suo vizio per eccesso e cioè   l'Ebrietà : «può capitare che uno avverta chiaramente che la bevanda è  troppa ed inebriante, e tuttavia preferisca ubriacarsi piuttosto che astenersi dal  bere. Tale individuo è propriamente un ubriacone; poiché le azioni morali  ricevono le specie non da quello che avviene per caso e involontariamente, ma  da ciò che è espressamente voluto. E in questo caso l'Ebrietà è peccato mortale. Poiché con essa uno si priva scientemente e volontariamente dell'uso della ragione, che è il mezzo per agire virtuosamente, scansando il peccato: e  così pecca mortalmente, per il motivo che volontariamente si espone  al pericolo di peccare.
    A detta del Filosofo, l'Insensibilità, che è il vizio per difetto della Temperanza, "non capita di frequente". Ecco perché,  sia essa che le sue specie, le quali si contrappongono alle varie specie  della Temperanza, non hanno un proprio nome. E quindi anche il vizio contrario all'Ebrietà è senza nome. Però se uno scientemente si privasse così tanto del vino, da compromettere gravemente la salute e l'umore, non sarebbe immune  da colpa. »
    penso che oggi dobbiamo associare la dipendenza dall'alcool a tutte le altre dipendenze da sostanze chimiche che provocano stati alterati ed esaltati della mente...
  • Castità (Sessualità Buona) . « Il termine “castitas” deriva dal fatto che la concupiscenza viene “castigata” cioè corretta  dalla ragione, alla stregua di un bambino, come si esprime il Filosofo. Ora, una tendenza ha natura di virtù proprio perché è moderata dalla ragione, come sopra abbiamo detto. Perciò è evidente che la Castità è una virtù. Ora, la concupiscenza dei piaceri corporei è quella che più somiglia al bambino: poiché la brama del piacere, e specialmente dei piaceri del tatto, ordinati alla conservazione, è per noi connaturale. Ecco perché questa concupiscenza aumenta enormemente, se venga nutrita mediante il consenso, come il bambino abbandonato ai propri capricci. E quindi la concupiscenza di questi piaceri più di ogni altra ha bisogno di essere castigata. Ecco perchè il termine “castità” si può prendere in due sensi.
    Primo, in senso  proprio. E allora la Castità è una virtù speciale con la sua materia specifica, che è la brama dei piaceri sessuali.  L'ordine della ragione esige che tutto sia ben ordinato al  proprio fine. Perciò non è peccato che l'uomo si serva di determinate cose per il loro fine, nella misura e nell'ordine conveniente, purché il fine sia  qualcosa di veramente buono. Ma come è un vero bene la conservazione della vita fisica di un individuo, così è un bene superiore la conservazione della specie umana. E come alla conservazione dell'individuo è ordinato l'uso dei cibi, così alla conservazione di tutto il genere umano è ordinato l'uso dei piaceri  sessuali; secondo le parole di Agostino: "Ciò che è il cibo per la  conservazione dell'individuo, lo è la copula per la conservazione della specie". Perciò come si può usare dei cibi senza peccato, se si fa nella misura che si  richiede alla salute del corpo; così anche l'uso dei piaceri sessuali può essere senza peccato, se si fa nella debita maniera, come è richiesto dal fine della generazione umana.
    Secondo, in senso metaforico. Poiché come nell'unione dei corpi si ha il piacere sessuale, oggetto della Castità e del vizio contrario, che è la Lussuria;  così nell'unione spirituale dell'anima con determinate cose si ha un certo  piacere -  piacere che è l'oggetto di una certa Castità -  ma anche di una certa fornicazione  metaforica. Infatti quando l'anima umana gode nell'unione spirituale con ciò cui deve unirsi, cioè con la Verità e la Giustizia, e si astiene dal godere di altre cose unendosi con esse contro il debito ordine razionale, si può parlare di Castità spirituale. Se invece l'anima gode nell'unirsi alle altre cose contro l'ordine dovuto, si ha una fornicazione spirituale. Presa in questo senso la Castità è una virtù generale: poiché qualsiasi virtù ha il compito di ritrarre l'anima umana dal piacere che si prova nell'unirsi alle cose illecite.»
    questo cosa mi fa pensare ?
    A. Al contributo della psicanalisi freudiana: 1) non è il “bambino” in quanto tale a sviluppare mostruose concupiscenze se abbandonato ai suoi capricci, ma la “persona” in generale... il bambino solamente de facto si trova in una situazione in cui la correzione sugli aspetti della corporeità trova ordinariamente - cioè per lo più - una ambiente correttivo nei genitori, mentre la persona adulta non la trova per l'ordinario in questo campo della vita... 2) la concupiscenza si sviluppa in maniera eccessiva e distorta non per la sua “naturalità” nel senso di “natura animale e dunque corporea” sana, ma nel senso di “natura umana e cioè razionale”  malata, distorta, per vari motivi traumatici-ambientali e ideologici-mentali scissa dal rapporto col mondo reale e – nel caso specifico della sessualità – con le reali relazioni interpersonali, e affascinata e avvinta da fantasie auto-create e poi proiettate sulle altre persone viste (anche se non consapevolmente)  come schermo-feticcio delle proprie proiezioni.
    B. al contributo della fede ebraico-cristiana (in cui il primo Casto/Fedele è Jahvè, mentre il primo Adultero/Fornicatore è il Popolo di Israele) : il concetto Castità e Lussuria “spirituali” ci illumina sul nesso cioè sulla continuità (“natura non facit saltus”!)  che c'è tra i vissuti implicati dalla sessualità casta (reciprocità del piacere sessuale, intimità sessuale, fedeltà sessuale, generazione sessuale)  con gli analoghi vissuti “casti” (cioè corretti secondo l'ordine della ragione) implicati da quegli ambiti della vita in cui non vi sono rapporti genitali corporei (reciprocità della relazione interpersonale, intimità della relazione, fedeltà della relazione, generazione spirituale) … infatti – qui più secondo la eredità platonica che secondo quella aristotelica – la spiritualità cristiana per molti secoli ha descritto la ricca fenomenologia dell'eros “platonico” cioè spirituale, e della paternità spirituale con terminologia ed accenti in continuità evidente con la terminologia e gli accenti  dell'eros sessuale e della paternità sessuale.
    Tommaso poi tratta del vizio opposto per eccesso e cioè la Lussuria .
    «Tra gli atti umani è peccaminoso quello che è contro l'ordine della ragione. Ora, l'ordine della ragione esige che tutto sia ben ordinato al   proprio fine. Perciò non è peccato che l'uomo si serva di determinate cose  per il loro fine, nella misura e nell'ordine conveniente, purché il fine sia qualcosa di veramente buono. Ma come è un vero bene la conservazione  della vita fisica di un individuo, così è un bene superiore la conservazione della specie umana.
    Il giusto mezzo della virtù, come sopra abbiamo detto, non va misurato  dalla quantità, ma in conformità con la retta ragione. Perciò la  sovrabbondanza del piacere che è nell'atto sessuale ordinato secondo ragione  non esclude il giusto mezzo della virtù. 
    Inoltre: alla virtù non interessa quanto sia il piacere dei sensi esterni, che dipende dalle disposizioni fisiche; ma  quanto l'appetito interiore, o volontà, sia preso da codesto piacere.
    E  neppure il fatto che la ragione non è libera di considerare cose spirituali durante un dato piacere dimostra che quell'atto è contrario alla virtù. Infatti non è contro la virtù interrompere ragionevolmente le funzioni della ragione per un po' di tempo: altrimenti sarebbe contro la virtù abbandonarsi al sonno.
    Perciò il vizio della Lussuria non dipende dalla quantità del piacere sessuale  né dalla interruzione della ragione durante tale piacere, ma dipende  dal fatto che il desiderio e il piacere sessuali  non sottostanno al comando e al governo della ragione.»
    cosa significa ? Di nuovo:  Anti-sentimentalismo (e dunque anche Anti-ascetismo, visto che l'ascetismo non è che l'altra faccia della medaglia del sentimentalismo) ... queste affermazioni (che vanno contro i luoghi comuni sulla sessualità presenti per ogni dove, in ambienti “cristiani” esattamente come in ambienti “non cristiani”) sottolineano che il Problema Morale nella sessualità non riguarda il sentimento del piacere corporeo  in sé stesso né la sua intensità, ma – invece - riguarda il sentimento del piacere corporeo solo dal punto di vista della sua origine oggettiva nelle azioni governate dalla ragione o ribelli alla  ragione...
    Alla discussione concettuale della Lussuria in sé stessa svolta nella questione 153°,  segue poi nella questione 154° l'analisi minuziosa delle specie e sottospecie di Lussuria, inquadrate in una gerarchia di gravità viziosa....
  • commento : le specie della Temperanza, quali Dieta alimentare, Sobrietà verso le sostanze eccitanti, Buona Sessualità... e i loro vizi per eccesso come la Bulimia, la Tossicodipendenza e la Sex Addiction...  e i loro vizi per difetto cui oggi – diversamente che ai tempi di Aristotele e anche a quelli di Tommaso – viene dato un nome, come : Anoressia e Intolleranze Alimentari, Intolleranze ed Insensibilità ai Farmaci, Frigidità ed Impotenza Sessuali...
    Tutti gli“abiti” virtuosi e viziosi che riguardano i piaceri corporei sono però assai poco “animali” … più “scendiamo” nella scala evolutiva animale (agli altri mammiferi, agli uccelli, e poi ai rettili e poi ai pesci e infine agli invertebrati come gli insetti e i molluschi) più troviamo in questo campo “virtù” standard cioè istinti programmati e assenza dei “vizi” corrispondenti... mentre in noi “animali razionali” la ragione scompone e ricompone sia la virtù sia il vizio nei piaceri corporei...
    In tale campo – infatti - in noi la ragione produce una virtù essenziale per il benessere quotidiano dell'individuo, la Temperanza... essenziale ma non la più grande... perchè non benefica direttamente le altre persone!... e produce vari vizi che rovinano anche mortalmente l'individuo (le varie forme di tossicodipendenze) , gravi sì ma non i più gravi … perchè non danneggiano direttamente le altre persone!

 

Le tre parti “potenziali” (cioè virtù annesse ) della Temperanza

·          «Passiamo ora a considerare le parti potenziali della Temperanza:
primo, la Continenza;
secondo, la Mitezza;
terzo, la Modestia.»

 

La Continenza

  • Continenza .«Alcuni ritengono che la Continenza sia la facoltà di resistere alle cattive  concupiscenze, che si scatenano con violenza. È in tal senso che parlano di  essa l'Etica aristotelica e le Collationes Patrum. Così intesa la Continenza ha  un aspetto di virtù, in quanto la ragione è fatta per resistere alle passioni: ma non raggiunge la perfetta natura di una virtù morale, che esige la sottomissione alla ragione dello stesso appetito sensitivo, così da impedire l'insorgere in esso di passioni violente contrarie alla ragione. Ecco perché il Filosofo afferma, che "la Continenza non è una virtù, ma una certa mescolanza", in quanto cioè ha certi elementi della virtù, e manca di altri. 
    Infatti:  desideri  hanno la stessa disposizione, sia in chi è continente, sia in chi è incontinente: poiché sia nell'uno sia nell'altro prorompono desideri  cattivi e violenti. Dunque è evidente che la Continenza non ha sede nella facoltà di desiderare.  La facoltà della volontà – invece . si trova come in mezzo tra la facoltà del ragionare e la facoltà del desiderare, e può esser mossa da entrambe. In chi è continente essa viene mossa dalla ragione: in chi è  incontinente viene mossa dai desideri. Perciò la Continenza può essere attribuita alla ragione, come al suo primo movente, e l'incontinenza ai desideri: sebbene entrambe abbiano la loro sede propria e immediata nella volontà. E, sebbene i sentimenti non risiedano nella volontà, tuttavia è in potere della  volontà far loro resistenza. È così che la volontà della persona continente resiste a quei particolari sentimenti che sono i desideri.
    Però: prendendo però il  termine virtù per qualsiasi principio lodevole d'operazione, possiamo dire che  la Continenza è una virtù.
    MA SEMBRA che che la Continenza sia migliore della Temperanza. Infatti: Una virtù tanto è più grande, quanto maggiore è il premio che merita. Ma  la Continenza merita un premio più grande; poiché l'Apostolo insegna: "Non  riceve la corona, se non chi ha combattuto a dovere". Ora, combatte di più il continente, il quale sente impetuose le concupiscenze cattive che il  temperante, il quale non le sente così impetuose. Perciò la Continenza è una virtù superiore alla Temperanza.
    EPPURE IN CONTRARIO: Cicerone e Andronico considerano la Continenza una virtù secondaria annessa alla Temperanza. Infatti, la Continenza indica la “resistenza della ragione contro  l'assalto violento di cattivi desideri”. E allora si vede perchè  la Temperanza sia molto superiore alla Continenza. Infatti,  un atto virtuoso è lodevole nella misura che è conforme alla ragione. Ma vediamo con chiarezza che il bene di ordine razionale è maggiore nella  persona temperante, perchè in lei il suo stesso appetito sensitivo è sottoposto e come  trasformato dalla ragione, ed è invece minore nella persona continente, in cui l'appetito sensitivo resiste con forza alla ragione contro i cattivi desideri. Perciò la Continenza sta alla Temperanza come una cosa imperfetta alla perfezione.  Infatti la volontà è più vicina alla ragione di quanto lo sia l'appetito sensitivo. E vediamo allora che  la bontà di ordine razionale, che rende lodevole la virtù, si dimostra più perfetta col raggiungere non soltanto la volontà, come avviene nella persona continente,  ma anche l'appetito sensitivo, come avviene nelle persone temperanti.
    RISPONDIAMO dunque così alla obiezione dell'Apostolo: la forza, o la fiacchezza del desiderio può derivare da due cause diverse.
    Talora infatti deriva da una causa fisiologica. Poiché alcuni sono più portati di altri al desiderio dalla complessione naturale. Inoltre alcuni hanno più di altri facili occasioni di abbandonarsi ai piaceri. In questi casi la debolezza del desiderio diminuisce il merito: mentre la sua forza lo  aumenta.
    Talora invece la minore forza del desiderio deriva da una causa lodevole, p. es., dal vigore dell'amore, o della ragione, come avviene  nella persona temperante. E allora la fiacchezza del desiderio aumenta il merito, a motivo della sua causa; mentre la sua forza lo diminuisce.»
    cosa significa ?1)  Unità psico-fisica: i sentimenti sono il completamento della ragione,
    e 2) contro il messaggio retorico  - e fomentatore di Superbia -  del diffuso luogo comune che dice che ciò che si fa con più fatica e dolore (Continenza) sia più buono di ciò che si fa con più agio e più piacere (Temperanza)
  • Incontinenza. «SEMBRA che l'incontinente pecchi più dell'intemperante. Infatti:  uno pecca tanto più gravemente, quanto più agisce contro coscienza, secondo quelle parole evangeliche: "Il servo che ha conosciuto la volontà del  padrone e ha fatto cose degne di castigo, sarà aspramente battuto". Ora,  agisce più contro coscienza l'incontinente che l'intemperante; poiché, come  nota Aristotele, il primo si abbandona a certi desideri  sapendo che son  cose cattive, trascinato dalla passione; l'intemperante invece giudica buone le  cose che brama. Perciò l'incontinente pecca più dell'intemperante.
    MA IN CONTRARIO: L'impenitenza aggrava qualsiasi peccato: infatti a detta del Filosofo, "l'intemperante non è pronto al pentimento,  poiché si fonda su una scelta: invece l'incontinente è pronto a pentirsi".  Dunque l'intemperante pecca più dell'incontinente. 
    Come dice Agostino, il peccato consiste soprattutto nella volontà: "Infatti è con la volontà che si pecca e si vive rettamente". Perciò il  peccato è più grave là dove c'è maggiore inclinazione della volontà a peccare.  Ora, nell'intemperante la volontà piega al peccato per propria deliberazione,  derivante dall'abito vizioso acquistato peccando. Invece nell'incontinente la  volontà è portata a peccare solo da un impulso del sentimento. E poiché l'impulso del sentimento passa presto,  mentre l'abito è una "qualità che difficilmente si cambia", chi pecca  d'incontinenza subito si pente, allo svanire del sentimento: il che non avviene in  chi pecca di Intemperanza, che anzi gode di aver peccato, poiché l'atto  peccaminoso gli è diventato connaturale in forza dell'abito vizioso. Agli intemperanti si applicano le parole della Scrittura: "Godono del malaffare e  tripudiano nelle cose pessime". Perciò è evidente che "l'intemperante è molto peggiore dell'incontinente", come dice anche il Filosofo.
    RISPONDIAMO dunque alla obiezione iniziale così:
    Talora l'ignoranza precede l'inclinazione dell'appetito, e ne è la causa. E in tal senso quanto maggiore è l'ignoranza, tanto più diminuisce il peccato, fino a scusarlo totalmente,  rendendolo involontario.
    Talora, al contrario,  l'ignoranza segue l'inclinazione della volontà. E tale ignoranza più è grave, più aggrava il peccato: perché  dimostra la maggiore inclinazione dell'appetito. Ora, quest'ignoranza è quella presente sia nell'incontinente sia nell'intemperante, e deriva dal fatto che l'appetito, o volontà, è  inclinato a qualche cosa: o spinto dal sentimento, come nell'incontinente; o  portato dall'abito, come nell'intemperante. Ma l'ignoranza prodotta così nell'intemperante è più grave che nell'incontinente. Primo, per la durata.  Poiché nell'incontinente questa ignoranza dura solo quanto il sentimento: come  l'accesso della febbre terzana dura quanto il turbamento degli umori.  L'ignoranza invece dell'intemperante dura di continuo, per la stabilità del suo abito: cosicché "viene paragonata all'etisia", o a qualsiasi malattia cronica,  come scrive il Filosofo. Secondo, l'ignoranza dell'intemperante è più grave anche per l'oggetto ignorato. Infatti l'ignoranza dell'incontinente si limita a delle scelte particolari, giudicando cioè che questo piacere momentaneamente è da  prendersi: l'intemperante invece è nell'ignoranza dello stesso fine, in quanto  giudica cosa buona abbandonarsi sfrenatamente ai desideri cattivi. Ecco  perché il Filosofo afferma, che "l'incontinente è migliore dell'intemperante,  poiché in lui si salva il principio più importante", cioè la netta valutazione del fine. »
    cosa significa ? Che l'intemperante che fa il male con convinzione fa più male dell'incontinente che lo fa solo per debolezza... ma molto spesso si ammira l'intemperante e si disprezza l'incontinente... Perché ? Perché si segue la teoria che la debolezza e la sofferenza sono un male maggiore rispetto alla proterva malvagità... che la protervia spudorata è “vincente” e la debolezza dubbiosa è “perdente”...
    Noi Italiani dovremmo specialmente riflettere su questo: sul pentimento, atto proprio dell'incontinente e sconosciuto invece all'intemperante... Noi Italiani disprezziamo il pentimento, lo riteniamo non un bene che inizia il percorso di guarigione, ma bensì un male che ci attira il disprezzo altrui e l'isolamento... Mai ci siamo pentiti del Fascismo (e del comunismo staliniano e del berlusconismo e di tante altre cose... e nella vita quotidiana – per es. - a una infrazione stradale che facciamo aggiungiamo un gestaccio verso la persona che ne è stata oggetto, non diciamo mai “Scusa!” pensando di essere diminuiti nel farlo...)

 

 

La Mitezza

  • Mitezza . « La virtù morale consiste nella sottomissione degli appetiti alla  ragione, come insegna il Filosofo. Ora, questo si riscontra sia nella Clemenza che nella Mitezza: poiché la Clemenza nel diminuire i castighi "guarda  alla ragione", secondo l'espressione di Seneca; e anche la Mitezza  modera l'ira secondo la retta ragione, a detta di Aristotele. Perciò è  evidente che sia la Clemenza che la Mitezza sono virtù.
    Esse sono virtù annesse alla Temperanza perchè le virtù annesse vengono assegnate a una virtù principale in  quanto la imitano, a proposito di materie secondarie, nel modo da cui dipende il suo valore di virtù, e da cui ha preso il nome: il modo, p. es., e il nome della Giustizia si ricava dall'uguaglianza; quello della Forza dalla fermezza; e quello della Temperanza dal contenimento, in quanto, cioè, essa tiene a freno i più violenti desideri dei piaceri del tatto. Ora, anche la Clemenza e la Mitezza consistono in un certo contenimento; poiché la  Clemenza tende a diminuire il castigo, e la Mitezza a moderare l'ira. Perciò Clemenza e Mitezza sono virtù annesse alla Temperanza.
    E se si chiede se il Mite a volte possa adirarsi, rispondiamo di sì: propriamente parlando, l'ira è un sentimento dell'appetito sensitivo, dal quale prende nome la facoltà dell'irascibile, come abbiamo  detto nel trattato sui sentimenti. Ora, nei sentimenti il peccato può trovarsi in due maniere. Primo, per la natura stessa di un sentimento, natura che si  desume dal suo oggetto. L'invidia, p. es., per sua natura implica un peccato, essendo il dispiacere per un bene altrui, dispiacere che per se stesso ripugna  alla ragione. Perciò, come dice il Filosofo, l'invidia "nel suo nome indica   qualche cosa di peccaminoso". Ma questo non è il caso dell'ira, che è  brama di vendetta: poiché il desiderio di vendicarsi può essere buono o cattivo. Secondo, il peccato si può riscontrare in un sentimento per l'intensità di esso, cioè per i suoi eccessi o per la sua debolezza. E da questo lato nell'ira è possibile riscontrare il peccato: cioè quando uno si adira di più o di meno di quel che esige la retta ragione. Se invece uno si adira conforme alla retta ragione, allora l'ira è lodevole. »
    cosa significa ? Moderare l'ira … Bobbio faceva lo “elogio della mitezza” bandendo da essa l'ira , e non mi aveva mai convinto... lui era bravo a indicare il bene non lo era altrettanto a opporsi al male... e sceglieva come “successori” persone come Galli della Loggia o Marco Revelli o Rocco Buttiglione...
    La Mitezza come virtù è invece difficile (come in genere è difficile la virtù, che come la nave di Odisseo deve navigare lontana sia da Scilla sia da Cariddi): essa deve moderare l'ira , non eliminarla...
    Essa è virtù annessa alla Temperanza perchè regola un sentimento come l'ira, molto legato alla corporeità e legato anche al piacere... il piacere di ripristinare la Giustizia (vera o presunta che essa sia...), un piacere amaro ma certamente  piacevole, come credo tutti sperimentiamo...
  • Iracondia, cioè il vizio per eccesso opposto alla Mitezza. « Propriamente l'ira, come sopra abbiamo detto nel trattato sui sentimenti, indica un sentimento e non un vizio. Ora, un sentimento dell'appetito sensitivo in tanto è buono in quanto è regolato dalla ragione: se invece esclude l'ordine della ragione, allora è cattivo. Ebbene, l'ordine della ragione interessa l'ira sotto due aspetti.
    Primo,  in rapporto a ciò che con essa si desidera, ossia alla vendetta. Cosicché se uno desidera che si faccia vendetta secondo l'ordine della ragione, allora l'ira è lodevole, e si denomina Zelo. Se invece uno desidera che si faccia vendetta in qualsiasi modo contro l'ordine della ragione, p. es., che sia punito chi non lo merita, o che uno venga punito più di quanto si merita, ovvero non secondo l'ordine legittimo, o non per il fine dovuto, che è la conservazione della Giustizia e la Correzione della colpa, allora l'ira è peccaminosa. E abbiamo il vizio dell'Iracondia. 
    Secondo, l'ordine della ragione interessa l'ira per il modo di adirarsi: il divampare dell'ira, cioè, non deve essere eccessivo né internamente né esternamente. Se non si bada a questo, l'ira non sarà senza peccato, anche se uno desidera la giusta vendetta.
    L'Iracondia è un peccato mortale? Dipende: infatti i moti dell'ira possono essere disordinati e peccaminosi in due maniere.
    Primo, a motivo di ciò che si desidera: come quando uno brama una vendetta ingiusta. E allora l'Iracondia nel suo genere può essere  peccato mortale: perché la vendetta ingiusta è in contrasto con l'amore e la giustizia.
    Secondo, i moti dell'ira possono essere disordinati per la maniera di adirarsi: cioè se uno eccede nell'ardore interno dell'ira o nelle manifestazioni esterne di essa. E da questo lato di suo l'Iracondia non è peccato mortale.
    L'Iracondia è il peggiore dei peccati? No. Infatti il disordine dell'ira può dipendere, come abbiamo visto, da  due cose, cioè: da ciò che con essa si desidera, e dal modo di adirarsi.
    1) Ora,  per l'oggetto che l'irato desidera, l'Iracondia è tra i peccati più piccoli. L'ira infatti desidera la sofferenza  di una persona sotto l'aspetto di bene, e cioè del punire una ingiustizia. Perciò da questo lato l'Iracondia fa parte di quei peccati che desiderano il male del prossimo, insieme all'Invidia e all'Odio: mentre però l'Odio brama il male di una persona direttamente in quanto male; e l'invidioso lo brama per il desiderio della propria gloria; l'adirato – invece - vuole il male altrui sotto l'aspetto di giusta vendetta. Da ciò è evidente che l'Odio è più grave dell'Invidia, e l'Invidia è più grave dell'Iracondia: perché desiderare il male sotto l'aspetto di male  è peggio che desiderarlo sotto l'aspetto di bene; e desiderare il male in  quanto bene esterno, ossia come onore, o come gloria, è peggio che desiderarlo sotto l'aspetto di Giustizia. 
    2) L'Iracondia però, quale desiderio di un male sotto l'aspetto di bene, si affianca ai peccati di desiderio del piacere, i quali anche essi hanno di mira un bene. E anche da questo lato, assolutamente parlando, l'Iracondia, e cioè il peccato d'ira,  è meno grave dei peccati di desiderio di piacere; e cioè nella misura in cui il bene della Giustizia, bramato da chi si adira, è superiore al bene piacevole bramato con il desiderio. Ecco perché il Filosofo afferma, che "è più vergognosa l'incontinenza nella concupiscenza che l'incontinenza nell'ira".  »
    cosa significa ? È un messaggio antico ! della tradizione aristotelica... lo abbiamo noi oggi dimenticato ? In grande parte credo di sì: non sempre l'ira è viziosa, ma può anche esser virtuosa e c'è un vizio per la mancanza dell'ira!...
    Osservo poi nell'Iracondia (cioè il vizio morale, la malregolazione  - per eccesso - del sentimento dell'ira) che la prima serie di motivi per la viziosità (desiderio di punire chi non lo merita, punirlo più di quanto di merita, e non per il fine dovuto e cioè il Bene della Giustizia) sono solo una parte! Cioè l'Iracondia sarebbe lo stesso un vizio (e anche molto distruttivo!, o meglio: auto-distruttivo) anche se io desiderassi di punire chi lo merita,  nella misura giusta e per il suo bene – cioè la correzione, il suo migliorarsi – e non per distruggerlo!  potrei lo stesso esser vizioso per la seconda serie di motivi e cioè il “divampare” del sentimento dell'ira dentro di me, l'occuparmi tutta la mente, il crescere “a valanga” cancellando qualsiasi altro pensiero e sentimento, e precipitandomi in un pessimismo disperato...
  • Insensibilità all'Ira, cioè il vizio per difetto opposto alla Mitezza. «Col termine ira si possono intendere due cose. Primo, il  semplice moto della volontà col quale uno infligge un castigo, non per  passione, ma per un giudizio della ragione. E la mancanza d'ira in questo senso è indubbiamente peccato. E così ne parla il Crisostomo là dove dice: "L'ira motivata non è Iracondia, ma atto di Giustizia. Infatti per “ira”  propriamente s'intende un turbamento passionale: invece se uno si adira per  un giusto motivo, la sua ira è un sentimento ma non deriva dal sentimento. Perciò si dirà che egli giudica, non già che si adira".
    Secondo, per ira si può intendere un moto dell'appetito sensitivo  accompagnato da un sentimento e da una trasmutazione corporale. E questo  moto accompagna necessariamente nell'uomo l'atto della volontà: poiché per  natura l'appetito inferiore segue il moto dell'appetito superiore, salvo particolari ripugnanze. Perciò nell'appetito sensitivo non può mancare del tutto  il moto dell'ira, se non per la carenza, o per la debolezza dell'atto volitivo. Perciò indirettamente anche la mancanza della passione dell'ira è un vizio: come lo è la mancanza dell'atto punitivo della volontà, richiesto dal giudizio della ragione.
    Perciò Crisostomo insegna: "
    Chi non si adira quando c'è motivo di farlo, pecca. Infatti la pazienza irragionevole semina i vizi, nutre la  negligenza, e invita al male non solo i cattivi, ma anche i buoni
    cosa significa ? È una netta, chiara, grave condanna del Buonismo che impera nella Italia di oggi: tanti  troppi Italiani con le false scuse “morali” della Mitezza, Tolleranza, Rispetto della Privacy, Non Invadenza, etc etc, ma in realtà per i ben più ignobili motivi del Menefreghismo, dell'Egoismo, della Vigliaccheria, della Pigrizia, evitano di indignarsi (arrabbiarsi) di fronte alle miriadi di ingiustizie vicine e lontane e così evitano di correggere, evitano di “immischiarsi”... e, così facendo, come dice Giovanni Crisostomo : “seminano vizi, nutrono la negligenza, invitano al male non solo i cattivi, ma anche i buoni”!

 

 

 

 

 

La Modestia

·          Modestia in sé Stessa . «Come abbiamo già visto, la Temperanza impone moderazione nelle cose in cui è più difficile moderarsi, ossia nei desideri relativi ai piaceri del tatto. Ora, come c'è una virtù speciale relativa alle cose più  difficili, deve esserci nello stesso campo una virtù relativa alle cose meno difficili, poiché la vita umana deve essere regolata in tutto secondo la virtù. Perciò è necessario che ci sia una virtù che moderi dei sentimenti presenti in altri ambiti della vita, sentimenti che sono meno attraenti di quanto lo siano i piaceri corporei del tatto, e dunque che non sono così difficili da moderarsi. E questa virtù è la Modestia, che è virtù annessa alla Temperanza. »

·          Le Specie della Modestia . «gli specifici ambiti della vita che hanno bisogno di moderazione sono  quattro seguenti.
Primo, l'aspirazione verso una particolare eccellenza: che viene moderata dall'Umiltà, virtù contraria alla Superbia.
Secondo, il desiderio di conoscere: che viene moderato dalla Studiosità, virtù contraria  alla Curiosità.
Terzo, quanto si riferisce al Contegno nei moti e agli atteggiamenti del corpo perché essi si compiano decorosamente: nei rapporti seri, moderati dal Decoro e dal Buon Ordine; e nei rapporti ricreativi, moderati dalla Giocosità.
Quarto, tutto ciò che riguarda il Contegno nell'apparato esterno, come le vesti e altre cose del genere, ambito moderato dalla Parsimonia e dalla Semplicità.»

 

 

Umiltà

  • Cosa è . «Come abbiamo detto nel trattato sui sentimenti, il bene arduo ha un aspetto che attira l'appetito, ed è appunto la sua bontà: ed ha un aspetto repellente, che è la difficoltà di raggiungerlo: dando luogo il primo al moto  della speranza, e il secondo a quello della disperazione. Ora, sopra abbiamo  già notato che per i moti affettivi di attrazione si richiede una virtù morale per  moderarli e frenarli; mentre per quelli di ripulsa si richiede una virtù morale che  fortifichi e stimoli. Perciò per il bene arduo si richiedono due virtù. Una per  moderare e frenare l'animo, perché non esageri nel tendere verso le cose alte, per esempio i grandi onori: e questo appartiene alla virtù dell'Umiltà. L'altra per fortificare l'animo contro la  disperazione, e spingerlo, seguendo la retta ragione alla conquista dei grandi onori: e questo è proprio della Magnanimità. Perciò è evidente che l'Umiltà è  una virtù morale, annessa alla VC della Temperanza cui spetta in primo luogo il moderare e il frenare.
    MA SEMBRA spettare a un'identica virtù frenare lo slancio eccessivo, e fortificare l'animo contro l'esagerata ripulsa: la sola Forza, p. es., tiene a freno l'audacia e  rafforza l'animo contro il timore. Ora – invece -  la Magnanimità fortifica l'animo contro le difficoltà che capitano nel perseguire le grandi cose, mentre un'altra virtù, e cioè l'Umiltà,  frena l'animo perchè non esageri nel tendere a grandi cose.
    RISPONDO che unico è  - però - il motivo per il quale la Forza frena l'audacia e fortifica l'animo contro il timore: e cioè perché l'uomo deve preferire il bene di ordine razionale ai pericoli di morte. Invece nel frenare la presunzione della speranza, che è compito dell'Umiltà, e nel fortificare l'animo contro la disperazione, compito della Magnanimità, i motivi sono distinti.
    INFATTI il motivo di fortificare l'animo contro la disperazione è il conseguimento del proprio bene: ossia impedire che col disperare uno si renda indegno del  bene che a lui si addice, e questo spetta alla Magnanimità. Invece nel reprimere la presunzione della speranza il motivo principale deriva dal rispetto verso la Verità e la Giustizia, che impedisce all'uomo di attribuirsi più di quanto comporta il grado a lui assegnato dalla Realtà. Perciò l'Umiltà implica soprattutto la sottomissione dell'uomo alla Realtà e alla Verità e alla Giustizia. »
    cosa significa ?... è il complementare di quel che aveva detto sulla Magnanimità (tipica virtù “pagana”) e della sua piena compatibilità con la Umiltà (tipica virtù “cristiana”)... al di là degli aggettivi di tipo storico (pagano/cristiano) esaminando in maniera più concettuale vediamo che: A.  la Magnanimità pone l'individuo in rapporto con le altre persone come facendo loro questo discorsetto: “Io considero la mia condotta virtuosa e le mie buone qualità, eppure assieme vedo che sono tentato di disperarmi che esse siano inutili, come se fossero delle bizzarrie della natura, o dei fiori recisi, belli ma non vivi, che non genereranno altre piante ed altri fiori; allora voi onoratemi, cioè riconoscetemi senza invidia e senza sottovalutazione, e facendo questo sarò incoraggiato io nel mio percorso – sì -  ma soprattutto gioverà a voi per prendere esempio ed ispirazione per indirizzare il vostro percorso di vita verso il bene! Infatti io cerco che voi mi onoriate proprio perchè vedo che avete bisogno di qualità morali le quali capita per ABCD motivi che siano incarnate ora in me, e sento in me la missione di comunicarvele, per amor vostro!”; B. la Umiltà pone l'individuo in rapporto con le altre persone come facendo loro questo discorsetto : “Io considero l'imperfezione e fragilità delle mie qualità e il pullulare in me,  di varie miserie, e assieme vedo la continua tentazione a auto-ingannarmi e presumere che le mie qualità siano grandi e siano trascurabili le mie miserie, e dunque di sentirmi a posto io e anche desideroso che voi mi apprezziate ed onoriate ed imitiate; questa tentazione mi impaurisce perchè capisco che cadessi sotto i colpi della presunzione non solo non avrebbero vita le mie cose morte ma anche esse sarebbero come 'esportate' a voi; ecco perchè mi rivolgo a voi  scrutandovi, cercando in voi le vostre qualità buone, cercando in voi la ispirazione per la mia condotta, e  - con il riconoscervi ed onorarvi -  fortifico in me al consapevolezza della mia insufficienza e libero dalla invidia voi!”.
    Cioè entrambe sia Magnanimità sia Umiltà direttamente riguardano il mondo dei sentimenti interni dell'individuo (lo “moderano” secondo ragione), ma indirettamente sono sempre rivolte alle altre persone, al collegamento vitale dell'Io con il Voi e con il Noi.

  • Devo averla verso tutti . «Ciascun  uomo riguardo ai beni del corpo che ha e ai beni esterni che gli appartengono deve mettersi al di sotto di qualsiasi altra  persona rispetto alle virtù che sono in essa.  Ma l'Umiltà non richiede che uno metta le virtù egli ha  al di sotto virtù che scorge in qualsiasi altra persona.  Perciò, senza pregiudizio  per l'Umiltà, si possono preferire le virtù ricevute  da noi a quelle che ci risultano conferite ad altre persone.  Parimente l'Umiltà non esige che uno metta se stesso, rispetto ai vizi che  da lui derivano, al di sotto delle dei vizi del prossimo. Altrimenti   bisognerebbe che ognuno si considerasse più peccatore di ogni altra persona.
    Tuttavia uno può ipotizzare  che nel prossimo ci sia del bene occulto che egli non ha,  oppure che in sè stesso ci sia  del male di cui non è consapevole e che non si trova negli altri: e così può sempre mettersi al di sotto del prossimo.
    SEMBREREBBE PERO' CHE NON SEMPRE sia un bene  mettersi al di sotto degli altri . Infatti nessuno deve fare ciò che mette in pericolo l'altrui virtù. Ma  sottomettendosi ad altri per Umiltà, talora uno provoca un danno morale alla persona  cui si sottomette, la quale s'insuperbisce o disprezza, secondo l'osservazione di Agostino: "Volendo troppo osservare l'Umiltà, si compromette la forza dell'autorità". Perciò l'uomo per Umiltà non è tenuto a mettersi al di sotto di  tutti.
    A QUESTA OBIEZIONE  IO RISPONDO che l'Umiltà, come tutte le altre virtù, si attua principalmente nell'anima. Perciò  uno può sempre interiormente mettersi al di sotto degli altri, senza dare  occasione a nessuno di compromettere la propria virtù. 
    MA negli atti esterni di Umiltà, come in quelli delle altre virtù,  ci vuole la debita moderazione, per non nuocere ad altri. Se però uno fa  quello che deve fare cioè coi debiti modi e secondo le circostanze, e gli altri da questo prendono occasione di peccato,  non va imputato a chi si comporta con Umiltà. : poiché questi  dal canto suo non produce confusione morale sebbene gli altri  - per un peccato,  che però è il loro – si possano confondere moralmente. »
    cosa significa ? Osservo che è una posizione di grande radicalità!
    Però non è retorico/buonista perchè esclude sia la Falsa Modestia ( “
    'Umiltà non richiede che uno metta le virtù che egli ha  al di sotto delle virtù che scorge in qualsiasi altra persona.  Perciò, senza pregiudizio  per l'Umiltà, si possono preferire le virtù ricevute  da noi a quelle che ci risultano conferite ad altre persone”), sia la omissione della Correzione (“ l'Umiltà non esige che uno metta se stesso, rispetto ai vizi che  da lui derivano, al di sotto delle dei vizi del prossimo. Altrimenti   bisognerebbe che ognuno si considerasse più peccatore di ogni altra persona”).
    Ma – d'altra parte -  questa è una posizione radicale, è estremista! Ci dice cioè che dentro di noi sempre con costante lavorìo opera la forza dell'auto-inganno   presuntuoso, e che un mezzo efficace per contrastarlo è una radicale fiduciosità di trovare nelle altre persone gli aiuti per dissolvere l'auto-inganno e potersi nutrire di buoni consigli, buoni esempi, buone ispirazioni (“
    uno può ipotizzare  che nel prossimo ci sia del bene occulto che egli non ha,  oppure che in sè stesso ci sia  del male di cui non è consapevole e che non si trova negli altri: e così può sempre mettersi al di sotto del prossimo”)...cosa dobbiamo fare noi? Questo: scrutinarci e vedere se questa radicale affermazione è sballata ed esagerata o se invece corrisponde alla reale nostra quotidiana esperienza passata e presente...
  • I vizi opposti per eccesso e difetto . «Direttamente la Superbia si contrappone per eccesso  alla virtù dell'Umiltà, la quale ha in  qualche modo lo stesso oggetto della Magnanimità, come sopra abbiamo  visto. Perciò anche il vizio contrario alla Superbia per difetto è affine al vizio  della Pusillanimità, che è contrario per difetto alla Magnanimità.
    Infatti come è   proprio della Magnanimità spingere l'animo a cose grandi contro la  disperazione; così è proprio dell'Umiltà distogliere l'animo dalla brama  disordinata di esse, contro la Presunzione. Quindi se la Pusillanimità implica un difetto  nel perseguire cose grandi, propriamente si contrappone per  difetto alla Magnanimità; se invece implica l'applicarsi dell'animo a cose più  vili di quelle che si addicono alla persona, è per difetto il contrario dell'Umiltà : ed entrambi i difetti  derivano da meschinità d'animo.
    Al contrario la Superbia si contrappone per eccesso e alla Magnanimità e all'Umiltà, ma per ragioni diverse: all'Umiltà quale rifiuto di subordinazione; alla Magnanimità quale smodata aspirazione a grandi cose. E come la Pusillanimità, che implica meschinità d'animo di fronte alle cose grandi, più direttamente si contrappone alla Magnanimità, analogamente  la Superbia, che  implica il concetto di superiorità, più direttamente si contrappone per eccesso all'Umiltà: »
    cosa ci dice ? Prima della lunga e profonda trattazione del vizio per eccesso (la Superbia) Tommaso fa però cenno al vizio per difetto cioè la Pusillanimità, ma non per l'aspetto con cui questa contrasta la Magnanimità (timore di non riuscire a fare grandi e buone cose nella propria vita e ad esser riconosciuti e onorati dalle altre persone per questo), ma per l'aspetto con cui essa contrasta appunto la Umiltà: possiamo esser pusillanimi, meschini, per la nostra attrazione per il  desiderio di  cose piccole e materiali, di vivere vite con piccole e opache mete fatte di piccoli acquisti e piccole sicurezze, falsificando lo scrutinio di noi stessi, cioè non riconoscendo quelle qualità, risorse, capacità che invece realmente abbiamo e che ci permetterebbero di aspirare a cose più grandi, più belle più ammirabili e anche più piacevoli, sprecando insomma i doni che abbiamo...
  • Commento: l'Umiltà non compare nell'Etica a Nicomaco come in generale nell'etica pagana antica.... il che mi fa pensare a un certo qual sviluppo direzionale dalla Storia Umana, che essa abbia un senso e non sia uno sterile correre sul posto: le Vite Parallele di Plutarco  - che descrivono con grande acutezza le vite di Cesare, Solone, Alcibiade, Catone, Agesilao e tanti altri - ci raccontano di esperienze che sono servite ad insegnare all'umanità una nuova percezione di sé stessa: le Poleis Greche e la Repubblica Romana avrebbero avuto bisogno non solo della Magnanimità per non esser bloccate dalla disperazione, ma anche della Umiltà per non esser bloccate dalla presunzione... e questa è una spiegazione storica di tipo morale (e non di tipo economicistico) del declino e del crollo di quelle due grandi Civiltà...

 

 

Il vizio opposto per eccesso alla Umiltà, cioè la Superbia

 

  • Cosa è . «Il termine “Superbia” deriva dal fatto che uno tende a cose che son sopra quello che egli è. "È chiamato superbo", scrive Isidoro, "perché vuol sembrare più di quello che è; superbo infatti è chi vuol andare al di  sopra". Ora, la retta ragione esige che la volontà di ciascuno cerchi le cose a   lui proporzionate. Perciò è evidente che la Superbia implica un contrasto con la retta ragione. E ciò costituisce un peccato: poiché, a detta di Dionigi, il  male dell'anima sta "nell'essere in contrasto con la ragione".
    Il peccato di Superbia si può considerare sotto
    due aspetti. 
    Primo, nella sua specie, che deriva dalla ragione formale del proprio oggetto.  E da questo lato la Superbia è un peccato specificamente distinto, avendo un  proprio oggetto specifico: essa infatti è, come abbiamo detto, la brama  disordinata della propria eccellenza. 
    Secondo, si può considerare la Superbia nella sua ridondanza sugli altri peccati. E da questo lato essa ha una certa universalità: poiché dalla Superbia possono derivare tutti i peccati,  in  quanto gli altri peccati vengono ordinati al fine della Superbia, cioè alla propria  eccellenza cui è possibile indirizzare tutto ciò che si desidera disordinatamente.
    Osserviamo - perciò - che  un peccato può distruggere una virtù in
    due maniere.
    Primo, con una  contrarietà diretta. Ebbene, in questa maniera la Superbia non distrugge tutte le virtù, ma solo l'Umiltà: come qualsiasi altro peccato specifico distrugge la virtù particolare corrispettiva, agendo contro di essa. 
    Secondo, un peccato può distruggere una virtù abusando di essa. E in tal senso la Superbia può distruggere qualsiasi virtù: poiché da tutte  le  virtù si può prendere l'occasione di insuperbirsi, come da qualsiasi altro pregio nei beni del  corpo o nei beni esterni.»
    cosa mi dice ? Due messaggi: 1) razionalismo e non retorica buonista: la esortazione a non insuperbirsi non è motivata dal voler apparire buoni e così esser graditi agli altri, ma su uno scrutinio realistico che la persona fa della situazione interna ed esterna, quello scrutinio razionale che  - diventando un abito - ci fa esser umili ; 2) una visione del mondo umano, una impostazione particolare e non generica di un “tipo” di etica: è la Superbia ad essere il vizio peggiore e più pericoloso di tutti! Non la stoltezza, l'ignoranza, la violenza, l'odio, l'invidia, la avidità, la tossicodipendenza chimica o sessualizzata sono i vizi peggiori... ma lo è  la Superbia, e cioè non quei vizi che nascono nelle debolezze e negli sviamenti e nelle attrazioni ingannevoli e distruttive, in mezzo agli ostacoli e ai fallimenti, quei vizi cioè che nascono  in mezzo ai Mali...  No ! Ma il vizio più grave è  la Superbia, quel vizio che nasce in mezzo ai Beni esterni e del corpo e soprattutto a quelli dell'anima, e cioè … in mezzo alle altre virtù!
    Grande paradosso!
  • Le sue specie .«Quattro sono le specie della Superbia proposte da Gregorio, là dove scrive: "Quattro sono le manifestazioni che  rivelano l'orgoglio degli arroganti:
    1) credere che il bene posseduto derivi da sè medesimi;
    2) oppure, se si crede di averlo ricevuto dall'alto, esser persuasi che  sia dovuto ai propri meriti;
    3) vantarsi di avere quello che non si ha;
    4) col disprezzo degli altri cercare di far apparire del tutto singolari le doti che si   hanno". 
    Infatti: la Superbia implica, come abbiamo visto, una brama disordinata, ossia non conforme alla ragione retta, della propria eccellenza.  Ora, si deve notare che ogni tipo di eccellenza deriva da un bene che si possiede. E questo può essere considerato da tre punti di vista.
    Primo, in sè stesso. È evidente infatti che a un bene più grande corrisponde una maggiore eccellenza. Perciò con l'attribuirsi un bene più grande di quello che ha, un uomo mostra che il suo desiderio aspira a un'eccellenza superiore a quella  che gli spetta. Abbiamo così la terza specie della Superbia: che consiste nel "vantarsi di avere quello che non si ha".
    Secondo, si può considerare il proprio bene nelle sue cause: e sotto tale aspetto è più onorifico procurarsi un bene da se stessi, che riceverlo da altri. Perciò quando uno considera il bene ricevuto come se lo dovesse a se  stesso, mostra che la sua volontà brama eccessivamente la propria eccellenza. Ora, si può esser causa del proprio bene in due modi: come  causa efficiente; e come causa meritoria. Abbiamo così la prima specie della Superbia: "credere che il bene che si possiede derivi da se medesimi"; e la seconda specie  "esser persuasi che sia stato concesso dall'alto – sì – ma per i propri meriti". 
    Terzo, il proprio bene si può considerare nella maniera di possederlo: e da  questo lato è più onorifico possedere un bene in un grado superiore agli altri.  Di qui l'occasione di aspirare disordinatamente alla propria eccellenza. E da  questo è desunta la quarta specie della Superbia, che consiste nel "cercare di apparire del tutto singolari, disprezzando gli altri". »
    Cosa mi fa venire in mente? Alla mia vita e a come la terza specie (vantarsi di ciò che non si ha) è stata sempre poco forte in me e dopo un'infanzia in cui ero gasato dai miei genitori e auto-gasato e rivale di mia sorella, dopo una preadolescenza che mi ha molto “abbassato la cresta” e dopo una adolescenza in cui  sentendomi invisibile e nel tentativo di esser interessante ero millantatore occasionalmente su cose peraltro bizzarre e aliene rispetto alla mia personalità, nella mia giovinezza è via via rapidamente sparita...
    la prima specie ( cedere che il bene che si ha lo si abbia da sé stessi)  - con la giovinezza universitaria e l'inizio della risurrezione dal baratro di presunzione della preadolescenza e disperazione dalla adolescenza, e l'incontro con persone buone e la filosofia e la teoria freudiana e il ritorno alla pratica religiosa  - è svanita!
    La seconda specie (pensare che il bene che si ha lo si sia ricevuto da altri ma in base all'esserselo meritato) più difficile da combattere, vedo che  - pur se diminuita via via durante i decenni della mia vita  adulta e durante la cosa molto importante della psicanalisi col dottor De Masi - dura ancora oggi, ma, solo se sono immerso nel flusso praticistico del fare quotidiano!... Però, non appena mi metto anche poco a pensare in maniera contemplativa conoscitiva, ecco che con abbastanza facilità ed efficacia  dissolvo questa idea... 
    Invece più problematica ancora per il presente è la quarta specie (cercare di apparire del tutto singolari, disprezzando gli altri) e qui lo scrutinio conoscitivo e la ricerca saggia e difficile dei mezzi opportuni per i particolari scopi della virtù morale (“sentimentale”) della Umiltà che via via mi si presentano è una battaglia ancora quotidiana... non dico frustrante, però difficile!
  • È il vizio più grave . «SEMBRA che la Superbia non sia il più grave dei peccati. Infatti: più un peccato è difficile ad evitarsi, più è leggero. Ma evitare la Superbia  è difficilissimo: poiché, a detta di  Agostino, "mentre gli altri vizi spingono a cattive azioni; la Superbia tende insidie anche a quelle buone, per distruggerle". Dunque la Superbia non è il più grave dei peccati.
    MA IN CONTRARIO dico che  due sono gli aspetti del peccato:
    1) la conversione, o adesione ai beni minori, che è l'aspetto materiale della colpa; e
    2) l'aversione, o abbandono dei beni maggiori, che ne è l'aspetto formale e costitutivo.
    Ora, la Superbia sotto l'aspetto dell'adesione non è il peccato più grave: poiché la grandezza, cui aspira disordinatamente la Superbia, in sè stessa non ha un'incompatibilità estrema con la virtù. Invece sotto l'aspetto dell'abbandono del Sommo Bene  la Superbia ha la massima gravità: poiché negli altri peccati l'uomo si allontana dal Sommo Bene, o per ignoranza, o per fragilità, o per il desiderio di altri beni; ma nella Superbia uno abbandona il Sommo Bene  proprio perché si rifiuta di sottomettersi a ciò che esso richiede. Cosicché Boezio può affermare che, "mentre tutti i vizi rifuggono da Dio, solo la Superbia si contrappone a Dio". Ecco il perché di quanto dice Giacomo: "Dio resiste ai superbi". Perciò allontanarsi da Dio e dai suoi comandamenti, che è come una conseguenza secondaria e non cercata  negli altri peccati, è essenziale  invece nella Superbia, il cui atto è il disprezzo di Dio. E poiché ciò che è essenziale ha sempre una priorità su ciò che è accidentale o indiretto, è  chiaro che la Superbia è per il suo genere il più grave dei peccati: poiché ha una priorità in fatto di aversione, che è il costitutivo formale della colpa.
    E RISPONDO alla obiezione iniziale così:  Può esser difficile guardarsi dal  peccato per due motivi.
    Primo, per la violenza dei suoi attacchi: come nel caso dell'Iracondia, per esempio.  Ed "ancora più difficile è resistere alla concupiscenza", a detta di Aristotele, per la sua connaturalità. Ebbene, questo tipo di difficoltà diminuisce la gravità del peccato: poiché, come dice Agostino, quanto minore è la tentazione per cui uno cade, tanto pecca più gravemente. 
    Secondo, può essere difficile evitare un peccato per la sua inavvertibilità. E da questo lato è difficile evitare la Superbia: poiché essa prende occasione anche dal bene, come sopra abbiamo visto. Ecco perché Agostino afferma che "essa tende insidie anche alle opere buone"; e nei Salmi il giusto  si lamenta: "I superbi hanno nascosto per me un laccio lungo il mio sentiero". Perciò un moto di Superbia che sorprende di nascosto non ha una gravità estrema, finché non è svelato dal giudizio della ragione. Ma quando la  ragione lo scorge, si può evitare facilmente. È facile infatti criticare e dissolvere questo errore, considerando il proprio niente, e ripetendo con il Siracide: "Perché insuperbisce la terra e la cenere?". Oppure considerando la grandezza di Dio: "Perché si rigonfia contro Dio il tuo spirito". Ovvero partendo dalla meschinità dei beni di cui l'uomo s'insuperbisce, ricordando quel passo di Isaia: "Ogni creatura è come erba e tutta la sua gloria è come fiore del campo"; e ancora: "Tutta la nostra Giustizia è come un panno da mestrui". »
    Cosa mi fa pensare? Due cose :
    1) che è fuorviante la parola “Dio” perchè la associamo al michelangiolesco  Vecchione che Svolazza per la Galassie o al massonico Occhio nel Triangolo Raggiante, immagini antropomorfiche contro cui giustamente è stata rivolta la critica di Feuerbach, Marx, Nietzsche  e Freud... Meglio tradurre così: la “aversione” dai beni maggiori della vita propria della Superbia  è quella mancanza di amore e quella illusoria soddisfazione di sé che bloccano il cammino della nostra vita nei pensieri, nei sentimenti, nelle azioni, negli incontri interpersonali.
    2) che se la paradossale nascita della Superbia nelle cose buone della vita e anche in quelle più buone che sono le virtù la rende così “invisibile” e “strisciante “(“occulta subrepens”, come un serpente in un prato) nel mentre agiamo e lottiamo per acquisire i Beni della vita, questa invisibilità della Superbia nella pratica delle lotte e preoccupazioni  quotidiane la rende sì inevitabile ma anche scusabile e non così grave!... Ma: non appena ci fermiamo, e ci mettiamo a pensare in maniera “sapienziale” cioè contemplativo-conoscitiva, ecco che è facile accorgerci della assurdità della mancanza di amore e della illusoria soddisfazione per noi stessi e per il mondo in cui viviamo... E allora subito potremmo intuire, percepire, vedere, capire: che “oggi ci siamo e domani no”; che “non c'è giustizia a questo mondo”; che “nessun uomo è buono” e non lo siamo noi; e che le Forze dell'Inconscio sommergono le nostre buone disposizioni interne; e che le Forze della Società sommergono le nostre buone azioni esterne; e che le Forze A-Umane della Natura sommergono la società umana; e che le Forze Ignote e Inconoscibili  dell'Universo e del Tempo sommergono le forze della natura...; e che solo la Distruzione e la Morte sono una certezza conoscibile per il futuro di tutte le cose: di  me come delle galassie...
    Ecco allora che queste evidenze conoscitive tolgono la scusabilità e la lievità viziosa della Superbia e ne fanno il rischio morale più grave … ma anche – però - ci incoraggiano perchè ci fanno capire che è possibile batterlo!
  • È “regina e madre” degli altri vizi . «la Superbia non si identifica col vizio capitale della Vanagloria , ma è la causa di essa. Infatti  la Superbia desidera disordinatamente di eccellere; mentre la Vanagloria desidera di far conoscere la propria eccellenza. La Superbia è invece e  piuttosto la Regina e la Madre dei vizi capitali – Golosità, Lussuria, Accidia, Vanagloria, Invidia, Iracondia, Avidità -  e dunque di tutti gli altri vizi.
    Specificamente genera la Lussuria: come nelle argomentazioni per assurdo la falsità delle premesse è tanto più chiara quanto più evidente è l'assurdità delle conclusioni; così per  confondere l'orgoglio umano Dio punisce permettendo che certe persone  cadano nei peccati della carne; i quali, sebbene siano meno gravi, tuttavia  hanno una turpitudine più evidente. "La Superbia", scrive Isidoro, "è il più  grave di tutti i vizi: sia perché si riscontra nelle persone più eminenti; sia  perché nasce dalle opere giuste e virtuose, cosicché la sua colpa è meno avvertita. Invece la Lussuria è così rilevante per tutti, perché essenzialmente vergognosa. Tuttavia Dio ha voluto che, essendo essa meno grave della Superbia, chi è vittima dell'orgoglio, quasi senza avvedersene, cada nella Lussuria, affinché umiliato si desti grazie alla  vergogna". E questo dimostra la gravità della Superbia. Infatti come un medico saggio, per curare una malattia peggiore, permette che il paziente cada in una malattia meno grave, così il  fatto che Dio permette, per guarire l'orgoglio, che l'uomo cada in altri  peccati, dimostra la maggiore gravità della Superbia»
    cosa significa ? .. 
    A. suggerisco di pensare ai “vizi di noi Italiani” che crediamo di esserci liberati da noi stessi dal Nazifascismo e non siamo grati a chi realmente ci ha liberato... che quando andiamo all'estero ci sentiamo e diciamo con sorrisini ai nostri compagni di viaggio che siamo più saggi di quegli Americani ingenui, di quei Tedeschi “inquadrati”,  di quegli Inglesi eccentrici e di quei Francesi boriosi... noi: più autentici, più furbi e più di buon senso... e nella nostra superbia poi ci troviamo in realtà  – inconsapevolmente, senza rendercene conto – a  scimmiottare quei popoli civili e a prendere schiavisticamente da loro non le cose buone ed importanti della loro vita civica, politica e culturale, ma i brillanti ammennicoli tecnologici e le mode e i look e cose del genere...

            B. Tommaso inserisce questa analisi della Superbia in un Trattato sulla Temperanza... virtù, questa, che      “frena e modera  i desideri dei piaceri corporei del tatto”... Egli è dunque andato oltre!... Avendo egli             prima             individuato il contributo essenziale della Temperanza al complesso edificio della Virtù nella             operazione del “frenare e moderare il desiderio”, ritrova poi questa operazione – originata dalle necessità             della vita corporea o “materiale”  -  nella sfera delle attività “spirituali” dove il “desiderio immoderato”             riguarda qualcosa di assai sganciato dalla vita animale... infatti la tradizione ebraico-cristiana gli             consegnava l'idea che il peccato proprio degli Angeli (non animali, ma “puri spiriti”) era proprio la             Superbia (“non serviam!”) …
            Ecco dunque spuntare una virtù morale, l'Umiltà, che non è la più grande delle virtù ma a cui – senza             simmetria! – si oppone la Superbia che è il peggiore dei vizi....Ma questa Umiltà (nella complessa,             originalmente tomistica e non aristotelica, e direi “grandiosa” struttura sistematica di questo Trattato             sulla quarta VC) è “parte potenziale della Temperanza”, e cioè una virtù a lei annessa, che “ruota             intorno” a lei come al suo “cardine”...
            Cosa ci vuol dire Tommaso? Forse che l'ABC della umiltà si impara da piccoli quando devi riconoscere             che se mangi troppo ti viene mal di pancia? E che - soprattutto – il cibo che soddisfa il tuo desiderio del             piacere di mangiare devi riceverlo dalla madre, da altri cioè, e devi umilmente riconoscere che da solo,             come bimbo, non puoi provvedere alle basi stesse della tua vita?
            Non so, ditemi... Si accettano contributi!

 

la Studiosità

·          Cosa è . «Lo “studium” implica soprattutto forte applicazione dell'anima a qualche cosa. Ora, l'anima non si applica a qualche cosa, se non la conosce. Perciò prima di tutto l'anima si applica alla conoscenza: secondariamente si applica a quegli atti cui l'uomo viene indirizzato dalla cognizione. Quindi lo studio riguarda innanzi tutto la conoscenza; e in secondo luogo tutte le altre attività nelle quali abbiamo bisogno di essere diretti dalla cognizione. Perciò la Studiosità riguarda innanzi tutto la conoscenza, qualunque sia la materia cui ci si voglia applicare.

                Gli atti delle potenze conoscitive possono essere comandati dalla facoltà appetitiva, la quale, come abbiamo visto, può muovere tutte le    nostre facoltà.  Perciò nella conoscenza si possono distinguere due tipi di bontà. La prima  riguarda l'atto stesso della conoscenza. E tale         bontà è proprio delle Virtù Intellettuali: p. es., che su ogni cosa si sappia la verità. - L'altro tipo di bontà riguarda l'atto delle potenze                 appetitive; e cioè che si abbia la volontà retta di  applicare le facoltà conoscitive in un modo o in un altro, a una cosa o ad un'altra. E questo   spetta alla virtù della Studiosità. Perciò quest'ultima viene enumerata tra le Virtù Morali.

                La Temperanza ha il compito di  moderare i moti dell'appetito, perché non ecceda nel tendere verso ciò che naturalmente si desidera. Ora,                 l'uomo, come brama istintivamente con la sua natura corporea i piaceri sessuali ed alimentari, così con la sua anima desidera naturalmente                 di  conoscere, secondo l'affermazione del Filosofo: "Tutti gli uomini per natura desiderano di conoscere". Ebbene, la moderazione di                 codesto desiderio appartiene alla virtù della Studiosità. Quindi  la Studiosità è parte potenziale della Temperanza, quale virtù annessa di                 detta virtù cardinale. E rientra nella Modestia, come sopra abbiamo spiegato»

  • Come virtù morale ha due vizi opposti . «Come dice il Filosofo, perché un uomo sia virtuoso, si richiede che si guardi da ciò cui tende maggiormente per natura. Infatti, siccome la natura  inclina specialmente a temere i pericoli di morte e a seguire i piaceri della  carne, ecco che il valore della Forza consiste in una certa fermezza di fronte a questi pericoli, e il valore della Temperanza sta nel tenere a freno le attrattive della carne.
    Ma rispetto alla conoscenza ci sono nell'uomo
    due tendenze  contrastanti. Poiché per parte dell'anima l'uomo è inclinato a desiderare la  conoscenza delle cose: e da questo lato deve tenere a freno tale desiderio,  per non cercare sregolatamente la conoscenza. Invece per parte della natura corporea l'uomo è incline ad evitare la fatica per l'acquisto della scienza.
    Perciò rispetto alla prima di queste tendenze la Studiosità è un freno: e per questo è tra le parti della Temperanza. Invece rispetto alla seconda il valore di questa virtù sta in una certa forza di applicazione nell'acquisto della scienza. La prima però di tali tendenze è più essenziale della seconda in questa virtù. Infatti il desiderio di conoscere è essenziale alla conoscenza, cui la Studiosità è ordinata. Invece la fatica dello studio è un ostacolo alla conoscenza; e quindi è una cosa secondaria  per questa virtù, che ha in essa una difficoltà da superare.»
    cosa significa ? Che proprio come per i desideri di piacere corporeo naturali per noi in quanto siamo  “animali” c'è  anche il desiderio di piacere intellettuale naturale per noi in quanto siamo “razionali”. E questo desiderio come quelli può esser sregolato... la ragione può cioè sbagliarsi a regolare la volontà di conoscere cosa, come e quando è giusto (utile, buono) conoscere.
    È un ulteriore richiamo di questa idea: che la “natura” non basta, non è sufficiente per la vita buona... i desideri naturali facilmente si sviano e c'è bisogno delle virtù, cioè di una correzione della ragione sia sui sentimenti sia su sé stessa...
  • La Curiosità, vizio per eccesso . «SEMBRA che non vi possa esser un vizio per eccesso nel desiderio di conoscenza. Infatti come insegna il Filosofo, nelle cose che sono di suo buone o cattive non c'è posto per (la scelta virtuosa tra) il giusto mezzo e i due estremi. Ora, la conoscenza intellettiva di suo è buona: poiché la perfezione di un uomo consiste nell'attuazione della sua intelligenza, il che avviene con la conoscenza della verità. E Dionigi afferma, che "il bene per l'anima umana sta nell'essere conforme alla ragione", la quale si perfeziona con la cognizione della verità.  Dunque nella conoscenza intellettiva non può insinuarsi il vizio della Curiosità.
    MA IO RISPONDO che la Studiosità, come abbiamo visto sopra, non riguarda direttamente la conoscenza, ma la brama cioè desiderio di essa e il laborioso impegno (“studio”) per acquistarla.  
    Ora, non è identico il giudizio da darsi sulla conoscenza della verità e sulla brama o ricerca per acquistarla. Infatti
    la conoscenza della verità è per sé stessa buona.  
    Invece
    la brama o la ricerca della conoscenza può esser buona, ma anche può esser cattiva. E questo per due motivi.
    A. perché si tende a conoscere la verità includendo indirettamente nel proprio studio un motivo vizioso: 1) così fanno, p. es., coloro che si applicano alla conoscenza della verità per insuperbirsene. Di qui le parole di Agostino: "Ci sono delle persone che, disprezzando la virtù , credono di fare una gran cosa con l'investigare con sommo ardore e curiosità questa massa corporea che chiamiamo mondo. E montano in tanta superbia, da sembrare che abitino in quei cieli di cui spesso discutono". 2) Parimenti è  peccaminoso lo studio di coloro che, come dice Geremia, cercano di  conoscere per fare del male: "Hanno ammaestrato la loro lingua a parlar  falso, s'industriano a mal fare". 
    B. , lo studio può essere cattivo per il disordine della stessa ricerca  conoscitiva. E questo può avvenire in quattro maniere.
    1) perché uno studio meno utile può distogliere da uno studio di dovere. Di qui le parole di Girolamo: "Noi vediamo dei sacerdoti che, lasciando da parte i Vangeli e i Profeti, leggono commedie, e cantano i versi lascivi delle bucoliche". - 
    2) perché si cerca di conoscere da chi non si deve: ed è il caso di coloro, p. es., che cercano di conoscere il futuro dai demoni con curiosità superstiziosa. 
    3) quando uno desidera di conoscere le creature, senza indirizzarle al debito fine, cioè alla conoscenza di Dio. Ecco perché Agostino ammonisce che "nello studio delle creature non si deve esercitare  una vana ed effimera curiosità, ma cercare in esse un gradino per salire alle realtà immortali ed immutabili".
    4) quando si cerca di conoscere cose superiori alla capacità del proprio ingegno: perché allora facilmente si cade nell'errore. Di qui l'ammonimento della Scrittura: "non scrutare ciò che sorpassa le tue forze... Molti sedusse la propria opinione, e  nella vuotezza li ritenne il loro sentimento".  »
    cosa significa ? Per illustrare questi punti faccio altrettanti esempi:
    A.  1) sia vediamo continuamente come ci siano persone (e magari anche noi: guardiamo con imparzialità! ) che usano le proprie conoscenze verso fini narcisisti, per vantarsi, per insuperbirsi rispetto agli altri... l'Italia nel mondo accademico purtroppo da decenni  sempre di più è pieno di queste persone e questo è il principale motivo della decadenza italiana in specifico universitaria e in generale culturale rispetto agli altri Paesi Occidentali...; 2) sia vediamo anche – pensiamo ai sociologi, agli psicologhi, agli avvocati, ai “giornalisti” e faccendieri dello staff  di consulenti berlusconiani – persone che cercano conoscenze allo scopo di nuocere ad altre persone: “ incastrare” Fini, calunniare dei magistrati,  “intortare” il popolino italiano...
    B. 1) per stanchezza, sfiducia, superficialità, frivolezza nostre dedichiamo tempo ed energie a conoscenze secondarie per non affrontare la fatica e i conflitti emotivi e la sfida morale del dedicarci a conoscenze più importanti ed urgenti; 2) tutte quelle persone che, se grezze e popolino ignorante  si rivolgono a maghi ed astrologi, medium, etc.,  o, se più - culturizzate - a sociologi futurologi da talk show che pretendono di catechizzare su “dove stiamo andando, dove va il mondo, etc”; 3) l'esser troppo attratti abitualmente da conoscenze tecniche, professionali, specialistiche e settoriali, in sé giuste, ma che diventano sbagliate se assolutizzate, e così omettendo un pensiero più multidisciplinare, omettendo cioè:  di conoscere noi stessi, di scrutinare gli aspetti morali dei nostri rapporti interpersonali, di interessarci di politica o degli aggiornamenti scientifici, etc. ; 4) il perdere tempo (e poi - nella frustrazione della sterilità dei tentativi - anche la fiducia nella stessa attività del pensiero) nel pensare a temi ricevuti forzosamente ed artificiosamente  da un Superio sociale, ma non emergenti dalla realtà specifica delle nostre vite (per es. il “ruolo della morte nella vita”, o il “far del bene nel volontariato”), o rimuginamenti sui  mondi interiori e sulle motivazioni di amici o altre persone con cui abbiamo rapporti pur mancando quasi del tutto di informazioni, di elementi per costruire con un minimo di realismo le nostre ipotesi.

 

Il Contegno

·          Partizione . «Moderare e frenare gli atti del corpo è proprio di una terza virtù annessa alla Modestia che si chiama Contegno e che Andronico spartisce a sua volta nelle sue  funzioni.
A. Negli atti seri esterni : 1) discernere ciò che è da farsi o da omettersi, con quale ordine si deve procedere, e nel persistervi con fermezza: e per questo egli assegna il Buon Ordine;  2)  agire rispettando le convenienze: e per questo egli parla di Decoro.
B. Negli atti ricreativi esterni: la Giocosità.
C. Nell'uso delle cose esterne: 1)  che non si cerchi il superfluo: ecco perché Macrobio nomina la Parsimonia; 2) che non si cerchino cose troppo delicate: e in proposito  Andronico parla  di Semplicità. »

 

La Giocosità

  • Cosa è . « Scrive Agostino: "Voglio inoltre che tu abbia  compassione di te stesso; poiché è bene che il savio allenti la tensione  dell'animo". Ora, il rilassamento dell'animo dal lavoro si compie con parole e  con atti scherzosi. Dunque alla persona sapiente e virtuosa spetta ogni tanto  ricorrere a queste cose. - Inoltre il Filosofo a proposito del gioco parla  dell'Eutrapelia, che noi potremmo denominare Giocosità.  Infatti come la fatica fisica si smaltisce col riposo del corpo, così la fatica dell'anima deve  smaltirsi con il riposo dell'anima. Ora, il riposo dell'anima è il piacere, come  abbiamo detto sopra nel trattato sui sentimenti. Ora, le parole e gli esercizi in cui si cerca soltanto la distensione dell'animo, si denominano appunto scherzosi, o giocosi. Quindi è necessario ricorrere ad essi a ristoro dell'anima. Ecco perché il Filosofo afferma, che "nel corso della vita si ha un riposo nel gioco": e quindi talora bisogna ricorrervi.
    Però in proposito si deve badare specialmente a tre cose:
    1) Prima di tutto che questo piacere non si cerchi mai in atti, o in parole turpi o dannose. Cicerone scrive in proposito, che "c'è un tipo di gioco scortese, insolente, delittuoso ed osceno". 2) La seconda cosa da badare è che l'anima non abbandoni del tutto la sua gravità. Di qui le parole di Ambrogio: "Nel rilassare l'animo badiamo a non sconcertare tutta la melodia e l'armonia delle opere buone". E Cicerone scrive, che "come ai fanciulli non diamo ogni libertà nel gioco, ma solo quella che non si scosta dall'onestà; così anche nel nostro gioco deve brillare la luce dell'animo retto". 3) In terzo luogo si deve badare, come in tutte le altre azioni umane, a che il divertimento sia adatto alle persone, al tempo, al luogo e a tutte le altre debite circostanze: e cioè, come dice Cicerone, a che "sia degno del tempo e dell'uomo".
    Ora, tutte queste norme sono ordinate dalla ragione. Ma un abito che agisce in conformità con la ragione è una virtù. Quindi il gioco può essere oggetto di una virtù, che il Filosofo chiama "eutrapelia". E si dice che uno è eutrapelos da  “buona girata”: poiché sa volger bene in scherzo fatti e parole. E siccome questa virtù fa evitare gli eccessi nel gioco, essa rientra nella Modestia che a sua volta rientra nella Temperanza. »
    cosa mi viene in mente? Il primo ministro di Enrico VIII ( e da lui decapitato) Thomas More e la sua preghiera (che mi ricordava spesso il mio amico Venanzio Marini) : “ O Dio , dammi il senso dell'umorismo!”... E come il gioco per me, con gli annessi della fantasia nei giochi di simulazione da tavolo e nei giochi di ruolo, e della scherzosità conviviale concomitante, sia stato per me molto importante per molti anni, e lo sia oggi, anche se magari in altre forme … occasione di distacco da dolori e fatiche e preoccupazioni, occasione di distacco teoretico ed emotivo dalla “aiuola che ci fa feroci” per usare la parole care a Benedetto Croce, e occasione di  condivisone interpersonale...
  • Il vizio per eccesso . « L'eccesso del gioco sta nel non rispettare la regola della ragione. E questo può avvenire in due  modi.
    Primo, a motivo della natura stessa delle azioni, nelle quali si cerca il divertimento; ed è appunto questo tipo di divertimento che Cicerone chiama  "scortese, insolente, delittuoso ed osceno": poiché per gioco si ricorre a  parole e ad atti turpi, oppure a cose che fanno male al prossimo, e che sono peccati mortali. E allora è evidente che l'eccesso nel gioco è peccato mortale.
    Secondo, l'eccesso nel gioco può avvenire, perché non si rispettano le circostanze debite: quando, p. es., si insiste nel gioco nei tempi e nei luoghi non adatti, oppure non si rispettano le convenienze delle cose e delle persone. E anche questo talora può essere peccato mortale, per     l'attaccamento dell'affetto al gioco, fino al punto di preferire il piacere di un divertimento all'amore e dedizione a beni più grandi, a addirittura ad agire immoralmente  per non rinunziare a un gioco.»
    per attualizzare... I patiti esagerati del calcio che si vedono tutte le partite anticipi, posticipi, recuperi e anche i talk show su di esse, e le schedine e i “sistemi” anche dispendiosi se non di soldi in termini di tempo della vita... Ma anche quelle persone che sotto scusa di scherzosità fanno gli aggressivi e anche i bulli con gli altri ritenuti più deboli auto-giustificandosi e giustificandosi esternamente con : “ma è uno scherzo!”... E quei politici in primis Berlusconi ma non solo, che fanno gli spiritosi e i compagnoni per occultare i problemi importanti ed evitare il dibattito conflittuale e per distrarre pensieri ed emozioni del pubblico...
  • Il vizio per difetto . «Il Filosofo insegna che nel gioco si può peccare per difetto. Nelle cose umane tutto quello che va contro la ragione è  peccaminoso. Ora, è contro la ragione essere di peso agli altri col non  mostrarsi mai piacevoli, o con l'impedire il divertimento altrui. Di qui  l'ammonimento di Seneca: "Comportati con tale saggezza da non mostrarti  intrattabile con nessuno, da non essere mai volgare". Ora, quelli che rispetto al gioco peccano per difetto "non  dicono mai niente da ridere; e non tollerano che altri lo facciano"; perché non accettano gli scherzi degli altri. Essi quindi sono in difetto: e dal Filosofo sono denominati "seriosi". »
    per attualizzare... quelle omelie di preti, quelle lezioni di insegnanti, quelle conferenze di intellettuali, quelle interpretazioni di psicanalisti che hanno a priori l'idea che scherzo fantasia e gioco siano “poco seri” cioè impediscano o indeboliscano la trasmissione di cose importanti...
    Quando incontriamo e vediamo persone prive del senso dell'umorismo, incapaci di fantasia e aliene dal gioco, non omettiamo di pensare questo: che a loro ( o a noi quando ci capita) manca qualcosa di virtuoso!... che tale mancanza magari serve a fare “sentire in colpa” l'altro... a intimidirlo... a sottometterlo a pressioni autoritarie di invadenza o di stupidità...
    E se io mi auto-gaso pensandomi “morale” e mi arrabbio/indigno con altre persone, e invece sono solo moralista e aggressivo e unilaterale, ecco che devo pregare : “O Dio, dammi il senso dell'umorismo!” e così sollevarmi, distaccarmi dal mio duro ed ingiusto moralismo...

 

 

 

 

 

Conclusioni

 

Questo Corso

  • Il Tema . Un tema antico in sé stesso,  ma nuovo per noi Italiani di oggi, opacizzati e istupiditi da 4 decenni di neo-marxismo sessantottino, ideologia zombie che derideva (e in forme più sottili e con altre parole ancora oggi deride)  il discorso etico come “vuota morale borghese” ...
    È  vero che oggi si parla (diversamente che negli Anni Settanta maoisti ed operaisti) di “bioetica”, di “morale ecologista”, di “deontologia professionale”, e  di “diritti civili” dei gay o dei minori o dei disabili o dei soggetti multiculturali...
    Ma  il più delle volte lo si fa  con una sconcertante superficialità e trivialità di stile e di rigore intellettuale, cercando di camuffare - col latinorum dei tecnicismi (e con qualche colpevolizzante appello mieloso alla  retorica dei buoni sentimenti) -  vuoti contorcimenti mentali, vespai di contraddizioni, lapalissiane banalità  e triti e magari falsi e disastrosi luoghi comuni. E, secondo me,  questo accade perchè  mancano le basi di una seria e approfondita e non narcisistica cultura, e manca la valorizzazione e l'abitudine alla meditazione sui temi della morale...
    Queste due mancanze derivano direttamente (non dico come unica causa...) dal disprezzo pluridecennale che il Sessantottismo ha propagandato continuamente e che ha interrotto il fili della tradizione culturale e della educazione inter-generazionale. 
  • Ambito . Dal IV sec a. C. di Platone al XIII d. C. di Tommaso d'Aquino si è sviluppato ma anche si è sostanzialmente concluso il discorso originale sulle “virtù cardinali”. Fino al XVI secolo la scolastica delle università tardo-medievali lo prosegue ma con ripetitività e senza contributi notevoli... con l'Età Moderna troviamo nella cultura  europea come due binari paralleli: quello della cultura ecclesiastica e quello della cultura  “laica”:  quella ecclesiastica  conserva il discorso sulle Virtù Cardinali, ma non lo innova e lo capisce sempre meno; quella laico-moderna (per esempio Descartes, Spinoza, Kant, Hegel) invece lo dimentica! Io ho scorso la bibliografia esistente oggi sul tema e ho visto che gli unici libri pienamente validi su di esso (che permettono cioè di approfondirne la comprensione) sono quelli storici, che tracciano cioè la  storia del concetto di “virtù cardinali”.
    Se è vero però – come diceva Giovanni di Salisbury – che “siamo nani sulle spalle dei giganti”, riusciremo a vedere un pochino al di là di quei “giganti” (della lunga serie di generazioni che ci ha preceduto) solo se saliremo sulle loro spalle, cioè se accoglieremo e impareremo dalla eredità della Tradizione. Certo: rivivificandola con le opportune attualizzazioni, come ho cercato di fare in questo Corso...
  • Il Metodo : fare il contrario del metodo approssimativo, manicheo e retorico del Sessantottismo. E – invece -  fare molte distinzioni! I medievali dicevano “distingue frequenter!”, i freudiani oggi parlano di “analisi”... è la stessa cosa!
    Un esempio tra i tanti:
    l'Intemperanza - dal punto di vista della volontarietà -  è un vizio più grave della Vigliaccheria : «
    quanto più un peccato è volontario, tanto più è grave. E l'Intemperanza è più volontaria della Vigliaccheria. Questo perchè  perché le cose fatte per paura hanno la loro causa in un fattore esterno che minaccia: cosicché tali atti, come dice Aristotele, non sono del tutto volontari, ma misti (di involontarietà). Invece le cose che si fanno per il  piacere sono volontarie in senso assoluto, perchè la loro concupiscenza viene dall'interno
    Ma la Vigliaccheria - dal punto di vista del bene Comune -  è un vizio peggiore dell'Intemperanza: «
    La superiorità della Forza sulla Temperanza si può desumere dal fine, dal quale si desume la bontà di una cosa: la Forza infatti è più ordinata al Bene Comune che la Temperanza. E da questo lato la Vigliaccheria è più grave dell'Intemperanza: poiché per Vigliaccheria alcuni tralasciano di difendere il Bene Comune. »

 

Alcuni spunti di riflessione

  • Inclinazione Naturale e Virtù. Bisognerebbe discutere l'argomento “abitudine/abito”, “abito razionale”, “inclinazione naturale”... 1) come è possibile  che una inclinazione naturale favorevole  diventi una mia Virtù personale?... 2) come è possibile che una inclinazione naturale favorevole diventi un mio Vizio personale  ?... 3) come è possibile che una inclinazione naturale sfavorevole diventi un mio Vizio personale ? 4) Come è possibile che una inclinazione naturale sfavorevole diventi mia Virtù personale?...
    Problema difficile !... se visualizzassimo dalla esperienza di vita nostra e di persone che conosciamo da vicino degli esempi opportuni,  essi potrebbero aiutarci a trovare le risposte... e vedere come , per le quattro domande poste , ci sono quattro riposte assai diverse!...
    Le cause – nei quattro casi - sono assai diverse !

  • sulla Importanza e Stabilità delle Virtù. Vediamo tre passaggi (sulla falsariga di un episodio della mia vita):
    1) il primo passo nella osservazione di comportamenti  di altre persone giovani: in palestra ho lo spunto dell'istruttore giovane che dice a un altro di oggetti per allenamento con aria sia di interesse sia di sicurezza sia di troppa importanza... e penso a come lui cambierà presto queste cose dalla sua mente ,come tanti altri giovani nella mia vita ho visto cambiare presto e abbandonare interessi etc.. tipo arti marziali e altro... Questi sono “abitudini transitorie” ma non “abiti virtuosi”.
    2) il secondo passo dovrebbe essere di applicare questa fenomenologia alla mia stessa vita passata...
    3) il terzo passo è vedere come in me e forse negli altri le Virtù emergano ( e si distinguano dalle “abitudini transitorie”) non come uno snobistico ed ascetico distacco dagli entusiasmi giovanili ma come invece: A) una scelta tra ciò che mi è connaturale e ciò che invece credo mi piaccia, ma solo per sottomissione a Superio sociali; B) una scelta – all'interno di ciò che mi è connaturale - tra cosa è più importante e ciò che lo è meno.
    4) il quarto passo è quello di rendere stabili le Virtù nell'unica maniera possibile, e cioè coltivandole e approfondendole...
  • il senso di individuare alcune “Virtù Cardinali” . Il senso sta nel concentrarsi su ciò che è:
    1) più urgente;
    2) su ciò che è per tutti e più quotidiano.
    Esempi della Saggezza  rispetto alla Scienza, della Giustizia rispetto alla Generosità, della Forza rispetto alla  Magnanimità, della Temperanza rispetto alla Mitezza
  • Sulla Saggezza. Uno spunto: leggiamo la questione 66° della Ia-IIae della Summa  su come le v. teologali siano più importanti delle v. intellettuali (e tra di esse la più importante sia la Carità), e su come v. le intellettuali siano più importanti  delle v. morali (e tra di esse la Sapienza), e che tra le v. morali la più importante sia la Giustizia...
    E la Saggezza... non è più importante in nessuno di questi tre gruppi (che esauriscono i gruppi delle virtù)...
    Perché dunque la Saggezza è la VC più importante? … bisogna tornare alle VC in sé stesse.. cosa sono ? … Esse sono le principali per la vita umana in “stato di necessità” ... le più necessarie …: «Una cosa può essere superiore o inferiore (a un'altra) in due  maniere: simpliciter e secundum quid. Infatti niente impedisce che una cosa  sia simpliciter, o di per sé, superiore a un'altra, come "il filosofare rispetto all'arricchire", e tuttavia non lo sia sotto un certo aspetto, ossia secundum quid, cioè "per chi è in necessità."»
    E allora, in tale stato di necessità in cui sempre si trova la vita umana (a causa della radicata presenza di un Male che precede la mia nascita...), la virtù più importante è la Saggezza.
    La Saggezza è dunque la prima tra le virtù cardinali, cioè la principale tra le virtù principali, cioè “la più necessaria tra le virtù più necessarie”...
    Essa non è la virtù più buona (lo è la Giustizia), non è la virtù più gradita (lo è la Generosità), non è la virtù più difficile (lo è la Fortezza), non è la virtù più certa e controllabile (lo è la Scienza), non è la virtù più desiderabile e appagante (lo è la Sapienza), non è la virtù più rasserenante e rassicurante (lo è la Temperanza)... non è la virtù più super-umana o sopra-naturale (lo è l'Amore Intenso, Profondo e Vasto e Imprevedibile e Gratuito cioè la Carità) … non è la virtù più piacevole (lo è la Giocosità)... non è la virtù più nobile ed aristocratica (lo è la Magnanimità)...
    La Saggezza – invece -  è la virtù più necessaria ! Cioè: la cosa più necessaria è il pensare continuamente ai casi singoli della vita su cui scegliere come agire volta per volta...
  • Sulla Giustizia . Due spunti specifici per noi Italiani: 1) basta col lassismo (non correggere) e  il viziare (privilegiare) !;  2) basta con le bugie! Cioè facciamo autocritica per il fascismo, smettiamo di dirci “popolo di partigiani”, chiediamo scusa, invece di auto-giustificarci, per le prepotenze fatte da noi sulla strada...
  • Sulla Fortezza . Tre spunti specifici per noi Italiani : 1) cosa può motivare oggi l'atto principale di essa che è Resistere? Qualcosa di buono che abbiano dentro di noi Italiani  e che c'è fuori di noi in Italia... cosa? Non sappiamo, dunque cerchiamo ! ;  2) essere consapevoli che esistono i Nemici e dunque esiste una Guerra con tante Battaglie e non finirà mai: alcuni nemici potranno essere sconfitti, ma altri no!...; 3) in Italia oggi domina il “deboli coi forti e forti coi deboli”... Noi dobbiamo fare al contrario ! Come fa il Magnanimo !
  • Sulla Temperanza . Due spunti: 1) essa è la “saggezza del corpo”... dunque non malediciamo come fossero  “sfortune” i nostri disturbi corporei,  ma scrutiamoli per aiutarci a capire i nostri difetti morali di cui essi sono sintomi ; 2) il problema della Superbia ubiquitaria che risorge continuamente in qualsiasi forma , per esempio “il pigro crede di esser sette volte più saggio degli altri” (dai Salmi) … e dunque continuamente va “frenata” con le temperanti briglie della Umiltà...
  • L'Aumento delle Virtù . Esse crescono lungo il corso della vita? Sì, ma solo se esse sono coltivate![1] cioè il Vizio nasce sì - come da sue cause dirette  - dalle ideologie sociali cattive e dalle intenzioni personali cattive, ma nasce anche - come da causa indiretta  - dal nostro non impegnarsi nella Virtù!...
    la Virtù o aumenta per il suo continuo esercizio o diminuisce per il suo non esercizio: tertium non datur!... Detto con una frase più vivace e popolaresca: “la vita è come la bicicletta: per stare in sella bisogna pedalare!”

  • Virtù e Felicità . La Virtù non è finalizzata  a sé stessa, ma è finalizzata alla Felicità.
    Scriveva Tommaso:
    «se parliamo dell'Ultimo Fine dell'uomo inteso come oggetto desiderato, è impossibile che l'anima stessa, o qualche suo accidente (sia che si tratti di facoltà, di azioni, o di abiti virtuosi), sia l'Ultimo Fine dell'uomo. Infatti il bene che costituisce l'Ultimo Fine è il bene perfetto che sazia  l'appetito. Ma l'appetito umano, che è la volontà, ha per oggetto il bene universale. Invece qualsiasi bene inerente all'anima è un bene partecipato, e  quindi particolare. Perciò è da escludersi che uno di questi beni possa  essere l'Ultimo Fine dell'uomo.».
    E nell'ultimo capitolo dei Promessi Sposi scriveva Manzoni: «Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia nella Verità e nella Vittoria del Bene[2] li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c'è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La quale, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritta, e anche un pochino a chi l'ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta.»
    E io commento: se è vero che quel che facciamo noi   - per quanto ci impegniamo -  non è certamente sufficiente per esser felici, e forse esso non è nemmeno  necessario (“i ladri e le prostitute vi precederanno in paradiso!”...), però … ecco! Vediamo anche che  non possiamo non farlo! Cioè non possiamo fare altro che impegnarci a vivere in maniera personale la nostra personale avventura... “Siamo imbarcati”, come diceva Blaise Pascal!... e le Quattro Stelle che brillano nel “dolce color di oriental zaffiro” credo possano esserci d'aiuto per farlo meglio...


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Bibliografia

 

Classici

  • Platone: Fedro, La Repubblica, Le Leggi
  • Aristotele: Etica a Nicomaco
  • Cicerone, De Inventione; De Officiis
  • Seneca, Epistulae ad Lucilium
  • Agostino d'Ippona, De Moribus Ecclesiae contra Manicheos
  • Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae parte seconda
  • Dante Alighieri: Purgatorio, canto primo

 

 

Studi storici  sulla teoria delle “virtù cardinali” (ottimi i primi tre, utile il quarto)

  • Marco d'Avenia: L'aporia del bene apparente. Le dimensioni cognitive delle virtù morali in Aristotele, Vita e Pensiero, Milano, 1998
  • R. E. Houser: The Cardinal Virtues. Aquinas, Albert and Philip the Cancellor, P. Institute for Medieval Studies, Toronto, 2004
  • Istvàn P. Bejczy: The Cardinal Virtues in the Middle Ages. A Study on Moral Thought from the Fourth to the Fourtheen Century, Brill, Leiden-Boston, 2011
  • Quentin Skinner, Virtù Rinascimentali, Il Mulino, Bologna, 2006

 

 

Commenti  teoretici  recenti sulle Virtù Cardinali (buoni entrambi)

 

  • Josef Pieper:  The Four Cardinal Virtues (1959), University Press, Notre Dame (Indiana), 1966
  • Herbert McCabe, On Aquinas, Continuum Books. London-New York, 2008

 

 

Opuscoli divulgativi sulle Virtù Cardinali (buoni tutti e quattro nel loro genere)

  • Joseph Rickaby: Four-Square. Or the Cardinal Virtues. Addresses to Young Men (1789), Forgotten Books, 2012
  • Livio Fanzaga, Le Virtù Cardinali, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004
  • Christopher Kaczor & Thomas Sherman (eds.): Thomas Aquinas on the Cardinal Virtues Edited and Explained for Everyone, Sapientia Press, Ave Maria (Florida) 2009
  • Johannes Eckert, Piccolo breviario delle virtù: Prudenza, Giustizia, Fortezza, Temperanza, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2009


[1]             «La Mancanza di Esercizio produce la distruzione, o il decadimento degli abiti come fa “tutto ciò che toglie un ostacolo” (removens prohibens): cioè togliendo quegli atti che ostacolavano le cause di codesta distruzione o decadimento. Infatti abbiamo detto sopra che gli abiti – per esempio le Virtù - vengono distrutti o menomati direttamente da agenti  contrari. Ora, crescendo col passar del tempo tutte le disposizioni contrarie ai vari abiti, le quali invece andrebbero eliminate con i loro atti, è chiaro che gli abiti vengono menomati, oppure totalmente distrutti per la prolungata mancanza di esercizio; com'è evidente nel caso della Scienza e delle Virtù Morali. Infatti è evidente che l'abito di una Virtù Morale rende l'uomo pronto a  scegliere il giusto mezzo negli atti e nelle passioni. Ora, se uno non fa uso dell'abito virtuoso nel moderare le proprie passioni e i propri atti, è necessario che ne nascano molti atti e passioni contrari alla virtù, portato dalle inclinazioni dell'appetito sensitivo, e dalle altre cause che muovono dall'esterno. Perciò – di conseguenza -  la virtù viene distrutta o menomata dalla stessa cessazione del suo atto.  Lo stesso vale per le Virtù Intellettuali, che rendono l'uomo pronto a giudicare le cose offerte dall'immaginativa. Perciò quando un uomo si astiene dall'esercitare un dato abito intellettivo, insorgono immaginazioni estranee, che orientano persino in senso contrario; cosicché, senza l'uso frequente di codesto abito, che in qualche modo le taglia e le soffoca, quest'uomo diviene meno pronto a giudicare rettamente, e talora acquista addirittura una disposizione contraria. Quindi la mancanza di esercizio può menomare e anche distruggere un abito  intellettivo.»

[2]    In realtà Manzoni scrive: “la fiducia in Dio”... Ma qui io ho fatto questa piccola modifica ... e l'ho fatto apposta!

 

 

 

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