Problemi e Temi
- il
canto primo del Purgatorio
di Dante Alighieri:
Lo bel
pianeto che d'amar conforta
faceva tutto rider l'orïente,
velando i Pesci ch'erano in sua scorta.
I' mi volsi a man destra, e puosi mente
a l'altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch'a la prima gente.
Goder
pareva 'l ciel di lor fiammelle:
oh settentrïonal vedovo sito,
poi che privato se' di mirar quelle!
Dante
punta sul “vedovo”... e sulla “prima gente” . La nostra vita è al
di sotto del raggiungimento delle Virtù Cardinali (VC)... nel nostro
“sito” in primis noi stessi e poi chi ci circonda non le abbiamo...
anche se l'amore che rampolla in noi (“lo bel pianeto”, cioè Venere) ci
fa volgere ad esse... E poi - nei versi che seguono - sottolinea la laicità e l'anticonformismo, indicando nel
“veglio solo” che Virgilio e Dante subito incontrano, e cioè il pagano suicida Catone,
una persona che ha queste 4 virtù...
- un discorso etico forte recente
che ha raggiunto tante persone è il discorso di Steve Jobs ai laureandi
di Harvard... il primo consiglio riguarda la Giustizia
(le fasi delle vita e il loro contributo), il secondo riguarda la
Forza (la pazienza nel lutto della perdita e l'audacia nell'aggredire il
futuro), il terzo riguarda la Saggezza (vivere il presente nelle
deliberazioni individuali) … e se manca un quarto consiglio in lui,
riferibile alla Temperanza, beh... potevamo aspettarcelo da un
californiano della
generazione dei figli dei fiori...!
- le reazioni positive di coloro cui ho proposto questo
Corso: ah... è formativo
mi interessa...
- le reazioni negative: ah … è catechismo , non mi interessa...
- una prima mia motivazione:
che si incontra con le reazioni positive degli altri cui lo ho
proposto... la filosofia deve insegnare e trasmettere idee nuove per chi
le si accosta… non essere uno show di paroloni più o meno fascinosi
in un duetto narcisista tra oratore e pubblico.. no! Deve esser
formativa... come diceva Croce: «Nisi utile
est quod agimus, stulta est gloria»
- una
seconda mia motivazione: che
vuole reagire alle reazioni negative di cui sopra … catechismo ? No
!...piuttosto il corso presenta la storia della filosofia...
Gli Antichi Greci, e
Tommaso d'Aquino, sì, ma che in questa trattazione ha come guida di
gran lunga principale non Agostino ma Aristotele... Motivazione di
combattere la ignoranza... fare vedere un po' che tutto è nothing
but history... seguire il mio hegelo-crocianesimo...
- una
terza mia motivazione :
per decenni … almeno dal 1991 quando ho cominciato il mio libro... ho
meditato per me stesso sulle VC... la psicanalisi mi ha dato il
messaggio delle VC... (poi è stata anche altro e cioè
“teologale”... il dottor De Masi, etc)... Ora come sia come
“carattere” personale, sia come “spirito filosofico” io , Franco
Manni, sono un insistente “critico
dei luoghi comuni” e vedo – per es. -
la ideologia italiana contemporanea, la quale dalla sua parte
“marxista” disprezza tutte le VC come in generale disprezza il
discorso etico in sé stesso, e dalla
parte “cattolica” le perverte (la saggezza in cautela, la
giustizia in buonismo, la forza in prepotenza, la temperanza in ascesi
mortificante) … Ecco che
che allora io – viste queste cose - voglio dire, esprimere,
argomentare la mia critica
!
Perché però ora al ventesimo corso serale di filosofia ? … in un
certo senso questo segna
per me la “fine di un ciclo”... ora da sei-otto mesi è diventato
principale per me il
discorso delle virtù “teologali” (intese non in senso catechistico)
... forse per questo che come per me si chiude un lungo ciclo della mia
vita.... e lo voglio sistematizzare, e giudicare e condividere...
*
* *
- le
VC sono il cardine attorno al
quale, come vedremo, si raggruppano tutte le altre virtù e sono umane,
cioè impiantate su ciò che di più umano c'è nell'uomo, e cioè la
ragione... (non dico ciò che c'è di migliore, ma di più proprio,
caratteristico... esempio del bambino verso il genitore o dell'individuo
rispetto alla società e allo stato...)
- i quattro problemi di condotta pratica
cioè problemi di azione e non problemi intellettuali riguardanti
cosa vogliamo sapere (come per es. : perchè Hitler ha attaccato
gli USA?; come si sono
estinti i dinosauri?; quanti sono in Italia gli uomini che fanno i
mestieri di casa? ; quale sarà il meteo di domani? ; chi era il mio
vero padre?), ma riguardanti cosa vogliamo fare noi
nella e della nostra vita …
- il
problema della Giustizia: i
rapporti interpersonali... con le persone
X,Y, Z come è andata? Mi sono sottomesso? Ho idealizzato? Sono
stato sedotto? (ho sedotto?), Ho comunicato? Mi sono nascosto? Ho
mentito o quantomeno esagerato? Sono stato maltrattato? Ho maltrattato?
Sono stato ignorato? Ho dimenticato, omesso? Sono in “debito”? Sono
in “credito”?...
Problema che si allarga sia verso le parti inconsce della personalità
(per esempio complesso di Edipo e le tipologie archetipiche, come i
Genitori, i Maschi/le Femmine, i Giovani, i Benefattori/i Persecutori),
sia verso la varietà delle situazioni (rapporto a due o rapporto a tre
cioè di gruppo), sia verso la sfera pubblica (il mio comportamento nei
doveri lavorativi, verso la società e la politica)...
- il problema della Forza:
del rapporto coi Mali della Vita... come affrontarli regolando
giustamente il Timore (paura, disperazione) e l'Audacia (iniziativa,
aggressività, speranza)... affrontare gli Ostacoli e i Nemici e
sostenerne l'urto... sia nello “attacco” (Coraggio) sia nella
“difesa” (Pazienza, Fermezza) …
mali di tipo diverso come l'odio e l'invidia e la calunnia altrui, o la
minaccia e l'intimidazione, o la malattia e la morte, e il licenziamento
e la povertà, e la dimenticanza e
il disprezzo, e l'invadenza altrui e la solitudine... con varie reazioni
sentimentali da regolare (diminuire o promuovere) : terrore, vergogna,
senso di colpa, impazienza, impulsività, spericolatezza, baldanzosità
...
Con questa X persona, o in quella Y
situazione, sono stato vile, coraggioso, debole, spericolato,
fermo, cedevole, resistente, oscillante, costante?
- il problema dell'Equilibrio (Temperanza):
la gestione dei piaceri e dei dolori... di vario tipo come quelli
corporei (golosità e dieta, fantasie sessuali), ma anche lo “amaro
piacere” e il “dolce dolore” nell'Ira e nel risentimento, e i
piaceri e i dolori nella superbia e nella umiltà, e nella spudoratezza
e nel pudore, nella mansuetudine e nella crudeltà, nella curiosità e
nella noia... nell'attività e nel riposo e nella iperattività e
nell'inerzia, nella buffoneria, nella ricreazione del
gioco, nella cupezza
e seriosità...
Sono incontinente e sregolato? Mi controllo con sforzo o con
naturalezza? Sono insensibile e frigido? Sono cupo o di buon umore? Sono
affabile o freddo?
- il problema della Saggezza:
è quello del pensare !.. pensare non per teorizzare, ma
per agire, e agire non nel campo delle tecniche, delle competenze, delle
abilità, ma in quello delle altre tre VC... l'agire morale visto nel
suo aspetto di pensiero pratico, cioè volto a deliberare e dare
a me stesso ordini (decidere) … non in base tanto a teorie quanto alla
mia stessa esperienza passata della mia vita e – nel presente –
sperimentando io... Pensare per trovare i mezzi
particolari di cui ho bisogno per agire e dunque osservando la
particolari circostanze concrete del presente, pensare a quei
mezzi realistici che mi si offrono qui e ora come mezzi
/strumenti/tattiche a me possibili e come mezzi efficaci (opportuni e
fattivi) verso lo scopo...
cioè lo scopo di come essere Giusto e Forte e Equilibrato ora
!
Lo scopo (che sono le altre tre virtù ) è importante come lo sono i
mezzi per raggiungerlo... se non è retto lo scopo, si hanno due
pseudo-saggezze : la Furbizia Machiavellica (che ordina opportunamente i
mezzi efficaci, ma in maniera simulata ed ipocrita) e la Saggezza di
Questo Mondo (il “saper vivere” convenzionale e conformista e
superficiale, che ordina sì i mezzi opportuni, ma dimenticando che
esistono degli scopi profondi ed “ultimi” nella vita)... nella
“furbizia” si deforma il pensiero, nella “saggezza di questo
mondo” lo si mutila gravemente...
- il tema delle Virtù nella storia del pensiero
filosofico: il Sistema Antico
delle virtù : dianoetiche ed etiche...
quello Medievale: teologali e umane (dianoetiche ed etiche)...
quello Contemporaneo: sullo sfondo le virtù , in primo piano la
interpersonalità
- gli autori e il programma delle lezioni...
dopo questa lezione introduttiva, tratterò brevemente Platone e
Aristotele e poi gli Stoici e i pensatori tardo antichi latini,
ed estesamente
invece Tommaso d'Aquino, ma integrandolo spesso con concetti della
psicanalisi di Freud, e attualizzandolo continuamente con esempi tratti
dalla mia vita e dalla vita della società italiana di oggi...
Platone,
Aristotele e dopo....
- Platone
(428-347 a. C.) parla di queste 4 VC nel Fedro … il mito della
biga alata però riguarda l'individuo e le facoltà dell'anima: l'auriga
la parte razionale perfezionata dalla Saggezza, il cavallo “celeste”
la parte irascibile perfezionata dalla Forza... il cavallo
“terrestre” la parte
concupiscibile perfezionata dalla Temperanza. Rimane qui esclusa la
Giustizia. È come se Platone qui ci dicesse che il cavallo migliore
riguarda le lotte della vita, il peggiore il cercare i vari piaceri
della vita... e che la virtù del migliore è spostata sull'incitarlo,
mentre quella del peggiore sul frenarlo...
l'auriga deve tenere assieme i due cavalli per non far sbalestrare la
biga... deve tener conto di una tendenza dell'uomo a condurre una vita
nel piacere e una tendenza a condurre una vita nella lotta ...tendenze
contrastanti tra loro...
- ne
La Repubblica ( e anche nel dialogo tardivo Le Leggi)
Platone analizza lo Stato e i suoi tre gruppi sociali : i
guardiani/governanti, i poliziotti/soldati, i produttori. Al primo appartiene la Saggezza/Sapienza (Platone non
distingue le due parole), al secondo
la Forza, a tutti e tre ma
specialmente al terzo (che
costituisce la grande maggioranza della popolazione) la Temperanza. La
Giustizia emerge come una armonia a posteriori: quando i tre gruppi
perseguono le proprie virtù speciali con successo, emerge la Giustizia.
“Giusto” è comportarsi ciascuno per quel che è, per la missione
che ha, non tanto per come si relaziona alle altre persone... la
Giustizia porta allo stato (comunità) prospero, che sta bene, e in cui
gli individui che lo abitano stanno bene...la Giustizia è come il
frutto, il premio, la felicità come risultato dell'esercizio delle
altre virtù... Qui Popper millenni dopo percepì una somiglianza col
marxismo... c'è come un fine ultimo “immanente” nella vita umana,
un “paradiso in terra”... è il politicismo (totalitarismo) di
Platone, e la sua diversità da Aristotele...
- Avete mai
pensato alla nostra società italiana di ora come ha fatto Platone e cioè:
1) dal punto di vista morale ( e, se no, da quale altro?)
e 2)
in specifico come lui assegnando a particolari gruppi sociali
particolari virtù? E 3) se
sì , quali ? provate in un esercizio a scrivere le risposte
a queste tre domande...
- Aristotele
(383-321 a. C.) imposta la sua Etica a Nicomaco descrivendo tre
gruppi di Beni umani : esterni (materiali come aria e cibo, la pace, le
persone amiche), del corpo (salute, longevità, forza e agilità
fisiche, bellezza), dell'anima (le virtù che perfezionano i sentimenti,
chiamate etiche o morali, e le virtù che perfezionano la ragione,
chiamate dianoetiche o intellettuali).
In tutta l'Etica Aristotele cerca di mostrare come nei gruppi di
beni il primo sia necessario al secondo, il secondo al terzo, e - nel
terzo - le virtù morali
siano necessarie a quelle intellettuali.
Inoltre parlando del Bene Più Grande e cioè la felicità descrive tre “tendenze” di condotta
nella vita umana (che possono anche produrre “stili di vita”)
: verso il piacere, verso le attività, verso la conoscenza.
In tutta l'Etica Aristotele cerca
di mostrare come le tre tendenze della vita siano compatibili ed
integrabili tra loro.
Nell'etica aristotelica abbiamo dunque un tentativo “ottimista” di
integrare l'uomo e il mondo esterno,
ossia – detto con più precisione - le virtù (capacità
mentali umane) col mondo cosale ed interpersonale esterno.
- Nell'Etica
Aristotele tratta di fatto delle VC,
ma senza distinguerle specificamente dalle altre virtù: tratta
nel libro terzo del Coraggio e della Temperanza, nel libro quinto della
Giustizia, e nel sesto della Saggezza (assieme alle altre virtù
dianoetiche cioè intellettuali)
- Egli
tiene invece a : 1)
metter la Saggezza in un gruppo (dianoetiche) e le altre tre in un altro
gruppo (etiche); 2)
a distinguere all'interno del gruppo
delle dianoetiche la Saggezza dalla Sapienza (distinzione ignota a
Platone che usa indifferentemente le due parole
phrònesis e sophìa) ; 3)
ad assegnare alla Saggezza un compito specifico nel costituire in sé
stesse e nel collegare tra di loro
le virtù etiche e – dunque – anche le altre tre virtù
principali di cui parlava Platone
- su
Aristotele non mi soffermo a lungo perchè la maggior parte del suo
pensiero su questo argomento lo tratterò parlando di Tommaso nella
seconda parte della Summa è ripresa quasi tutta l'Etica
Nicomachea...
- differenza tra
Sapienza e Saggezza: l'equivoco della nostra cultura italiana marxista
(Marx influenzato da Platone e da Rousseau) ci porta spesso alla
confusione (la Sapienza, non
avendo una Saggezza distinta da sé stessa, ha scopi pratici – è una Ideologia! -
ma generali) e non integrazione : non avendo una
consapevolezza della Saggezza ci costruiamo sì, necessariamente, una
Saggezza personale (infatti dobbiamo vivere cercando le virtù!)
ma scissa da e a volte in contrasto con la Sapienza/Ideologia …
per es pensiamo al contrasto tra la ricchezza privata
dei Politici Comunisti e la Ideologia che condanna le ricchezze
private... o il machiavellismo della politica comunista di Togliatti e
il bisogno di avere mezzi buoni coerenti con fini buoni... e al
disprezzo ideologico per la impresa capitalista e l'apprezzamento di
essa (la azienda Feltrinelli!) …
- esercizio:
provate a pensare ad esempi di non-integrazione
tra le massime pratiche una “vostra” individuale personale
“Saggezza” e le massime
pratiche dedotte da una
“Ideologia”che almeno in parte vi influenza...
- differenza tra
Sapienza e Saggezza: in Aristotele invece le due virtù sono distinte e
ciò porta all'apprezzamento non marxista (“sovrastruttura”!) per le
scienze viste come fini a sé stesse, e non “serve” della società e
della politica (cfr. i bellissimi saggi di Norberto Bobbio nel suo libro
Politica e cultura sull'asservimento comunista della
cultura alla politica) ... e dunque non preordinabili, libere ed
aperte... e la Sapienza che ne sistematizza i principi è “aposterioristica”...
è una Visione del Mondo ma non è una Ideologia (non è pratica) …
l'azione quotidiana (Saggezza) è un progetto da attuare
volta per volta, mentre invece la Visione del Mondo (Sapienza) non
è un progetto da attuare ...
- Cicerone
(106-43 a. C.) sintetizzò e divulgò le idee di Platone e di
Aristotele: “Ciascun
uomo dovrebbe comportarsi in maniera tale che la Forza appaia nelle
fatiche e nei pericoli, la Temperanza nei piaceri, la Saggezza nella
scelta tra beni e mali, la Giustizia nel dare a ciascuna persona ciò
che si merita” (De Finibus, V,
xxiii, 67; cf. De Officiis., I, ii, 5). Questo
significato di Giustizia si allontana da quello di Platone e - come
prendendo il caratteristico contributo dello spirito giuridico di Roma
– lascerà in eredità la formula definitoria “unicuique suum
tribuere” alla filosofia cristiana tardo-antica e medievale: la
Giustizia non consiste nell'armonico reciproco interfacciarsi delle
altre tre Virtù, ma consiste in una certa qual “eguaglianza” dei
rapporti interpersonali .
- l'anonimo
autore del libro veterotestamentario
chiamato libro della Sapienza
(scritto direttamente in greco circa a metà del I secolo a. C.)
composto sotto forte influenza ellenistica ripete in un elenco breve le
4 virtù platoniche e usa le stesse parole phronesis (prudentia,
Saggezza), dikaiosùne (iustitia, Giustizia) , sophrosùne
(temperantia, Equilibrio), andréia (fortitudo,
Forza)
- Filone
di Alessandria (15 a C. - 45 d. C.) nel suo commento a Genesi
paragona allegoricamente le 4 virtù di cui parlava Platone ai 4 fiumi
del giardino di Eden : Pison, Ghicon, Tigri, Eufrate
- Lo
Stoicismo
- guardiamo per esempio le fonti
romane rimasteci in Epitteto (55-135 d. C.) e Marco Aurelio (121-180 d.
C.) - ci mostra un cambiamento : il primo filosofo era a Roma uno
schiavo e il secondo un imperatore quando l'impero romano era all'apice
della sua potenza, ma entrambi – indipendentemente dalle loro
situazioni di vissuto personale – abbandonano
il discorso platonico-aristotelico delle virtù che si
interfacciano col successo vitale nel contesto della comunità
interpersonale... abbandonano il discorso delle virtù che si
interfacciano con lo “affermarsi” dell'individuo virtuoso nella
società/stato (Platone) e nell'ottenimento degli gli altri beni, cioè
dei beni che non sono virtù (Aristotele) : beni di fortuna esterni
(come pace, prosperità economica, amici) e beni di fortuna del corpo
(come salute, Forza fisica, longevità)...
gli Stoici - invece -
abbandonano tale linea...
per loro gli unici beni sono le virtù... questi filosofi
sono come rassegnanti alla
contrapposizione e lotta tra Virtù e Fortuna... essi sono come i
progenitori (anche se nel segno opposto!) di quell'Hegel che millenni
dopo scriverà: “nella lotta tra la virtù e il corso del mondo vince
sempre il corso del mondo”... Hegel con tali parole satireggiava le
“anime belle” romantiche e l'etica del dovere di Kant,
sottintendendo il pensiero “e dunque muoia la virtù!”, mentre gli
Stoici – pur condividendo lo schema della contrapposizione -
sottintendevano il pensiero opposto: “e dunque, beh, muoia il
mondo!” (“pereat mundus et fiat libertas”)
- il
loro distaccare le virtù
dal successo mondano distingue i filosofi Stoici dal pensiero Classico e
– assieme alla loro fede in una “prònoia” (provvidenza)
nel Logos Universale – anticipano la tematica cristiana della necessità,
sì, ma – assieme - insufficienza
delle virtù umane ...
- Ambrogio
(339-397 d. C.) è il primo ad usare la parola “cardinali”, con
riferimento alle 4
beatitudini nel vangelo di Luca (
1) i poveri, 2) gli affamati , 3) i piangenti, 4) gli odiati,
disprezzati, insultati ) viste come le “più importanti” nel
confronto con l'elenco nel vangelo di Matteo che è di 8 beatitudini :
“la
povertà appartiene alla Temperanza, che non cerca cose allettanti; la
fame alla Giustizia, poiché chi ha fame ha compassione, e chi
compatisce soccorre; il pianto appartiene alla Prudenza, che ha compito
di compiangere le cose transitorie; il sopportare
l'odio degli uomini appartiene alla fortezza" (In Lucam
expositio, VI).
Pochi anni dopo la parola è usata da Agostino
di Ippona (354-430 d. C.) e da Gerolamo
(347-420 d. C.). Comincia dunque con questi tre Padri Latini una
tradizione di patristica e poi scolastica medievale “latina” che
mantiene il quartetto platonico assimilandolo alla Bibbia
cristiana, ma che ha perduto il contatto con le opere esoteriche di
Aristotele, non sparite, però non
in possesso dell'Occidente Latino, che invece possedeva i Dialoghi
di Platone.
- non
mi soffermo sulle ricorrenze del tema delle VC negli autori medievali
fino al XIII secolo, vista l'economia dei tempi e visto lo scopo più
teoretico che storico di questo corso
- nel
XIII secolo attraverso traduzioni dall'arabo (che erano traduzioni dal
siriaco che erano traduzioni dal greco) arrivarono alcune opere di
Aristotele all'Occidente Latino che le ignorava. Tra queste l'Etica a
Nicomaco. Ecco dunque che Alberto di Colonia detto Magno cominciò a
unire il tema tradizionale delle 4 virtù platoniche con le profonde e -
per gli europei - nuove riflessioni di Aristotele. E Tommaso d'Aquino,
il geniale discepolo
di Alberto, nella seconda parte della sua Summa Theologiae
scrisse la più sistematica e profonda teorizzazione di etica filosofica
mai scritta prima e mai poi.
Platone,
La repubblica, libro quarto
Credo
che la nostra città, se davvero è stata fondata su basi giuste, sia
perfettamente buona».
«Per Forza», disse.
«Perciò è evidente che essa è sapiente, Coraggiosa, temperante e
giusta».(8) «è evidente».
«Di conseguenza, qualsiasi di queste virtù troveremo in essa, il resto sarà
ciò che non avremo trovato?»
«Precisamente».
«è come nel caso di quattro oggetti: se ne cercassimo uno in un
posto qualsiasi, ci basterebbe trovare quello per primo, ma anche se
riconoscessimo prima gli altri tre, questo ci permetterebbe appunto di
identificare l'oggetto che stiamo cercando, poiché è evidente che potrebbe
trattarsi soltanto di quello rimasto».
«La tua affermazione è giusta», disse.
«E non bisogna condurre allo stesso modo anche la ricerca su queste virtù,
dal momento che sono quattro?»
«è
chiaro».
«Ebbene, la prima virtù che mi sembra qui manifesta è la Sapienza: e
attorno ad essa appare qualcosa di strano».
«Che cosa?», domandò.
«La città che abbiamo descritto mi sembra veramente saggia; infatti sa
prendere buone decisioni, no?»
«Sì
».
«Ed è evidente che proprio questa virtù, il saper ben deliberare, è
una scienza, perché le decisioni accorte non si
prendono con l'ignoranza, ma grazie alla scienza».
«è ovvio».
«Ma nella città le scienze sono molte e di vario tipo».
«Come no?»
«Quindi
la città dev'essere definita sapiente e capace di ben deliberare grazie
alla scienza dei falegnami?»
«Nient'affatto
per questa!», rispose. «Al limite la si potrà definire esperta di
falegnameria».
«Pertanto la città non dev'essere chiamata sapiente grazie alla scienza
dei mobili in legno, se sa decidere come costruirli nel modo migliore».
«No di certo».
«E allora? Forse grazie alla scienza degli oggetti in bronzo o a un'altra
simile?» «No, qualunque sia», rispose.
«Nemmeno grazie a quella che fa nascere i frutti dalla terra; al limite sarà
esperta nell'agricoltura».
«Mi pare».
«E allora?», domandai. «Nella città che noi abbiamo appena fondato
esiste in alcuni cittadini una scienza che non prende decisioni su una
questione particolare, ma sulla città nel suo complesso, sul modo migliore
intrattenere relazioni con se stessa e con le altre città?»
«Sì
, ce n'è una».
«Qual è», chiesi, «e chi la possiede?»
«è
la scienza dei guardiani», rispose, «e risiede in questi governanti che
prima abbiamo chiamato guardiani perfetti».
«E che nome dai alla città grazie a questa scienza?»
«La
chiamo capace di giuste deliberazioni», rispose, «e realmente saggia».
«Credi allora», domandai, «che nella nostra città ci sarà un numero
maggiore di fabbri o di questi veri guardiani?»
«Di
gran lunga di fabbri!», esclamò.
«Quindi», continuai, «i guardiani saranno molto meno numerosi anche di
tutti gli altri che traggono il loro nome dalla scienza che possiedono?»
«Certamente».
«Pertanto la città fondata secondo natura sarà nel suo complesso sapiente
grazie alla sua classe e alla sua parte più piccola, quella che domina e
comanda, e alla scienza che in essa risiede; e a quanto pare è per natura
esiguo questo elemento, al quale tocca in sorte l'unica scienza tra tutte
che merita il nome di Sapienza».
«Parole verissime», disse.
«Dunque, non so come, abbiamo trovato la prima di queste quattro virtù, e
la parte della città in cui ha il suo fondamento».
«Mi sembra che la scoperta sia soddisfacente», disse.
«Quanto poi al Coraggio, non è affatto difficile scorgere in che cosa
consiste e in quale parte della città deve risiedere perché essa meriti il
nome di Coraggiosa».
«E come?»
«Chi»,
domandai, «potrebbe definire una città vile o Coraggiosa senza considerare
quella parte che combatte e scende in campo per essa?»
«Considerando
altri elementi, nessuno», rispose.
«Non credo», dissi, «che gli altri abitanti, vili o Coraggiosi che siano,
avrebbero il potere di determinare la natura della città».
«No di certo».
«Quindi una città è Coraggiosa grazie a una sua parte, perché in essa
possiede la facoltà di conservare costantemente la propria opinione su ciò
che è da temere, in perfetta conformità con i precetti impartiti dal
legislatore nella sua opera di educazione. Non è questo che tu chiami
Coraggio?»
«Non
ho ben capito ciò che hai detto», rispose; «ripetilo».
«Io affermo che il Coraggio è una forma dì salvaguardia».
«Quale salvaguardia?»
«Quella
dell'opinione, che attraverso l'educazione la legge crea in noi, sulle cose
temibili e sulla loro natura; e ho definito completa salvaguardia di questa
opinione il conservarla nel dolore, nel piacere, nel desiderio, nella paura,
senza mai rigettarla.
E posso illustrarti il mio pensiero con un'immagine simile, se vuoi».
«Certo che lo voglio!».
«Dunque», incominciai, «tu sai che i tintori, quando vogliono tingere la
lana in modo che diventi porpora, prima scelgono tra tanti colori un'unica
specie, il bianco, poi la predispongono con grande cura perché si impregni
il più possibile del colore, e solo allora la tingono. La lana tinta in
questo modo non si scolora, e il lavaggio con o senza sapone non riesce a
toglierle la sua lucentezza.
Altrimenti sai che cosa succede, se si tinge la lana di un altro colore o
non si prepara bene quella bianca».
«So che stinge e ha un effetto ridicolo», rispose.
«Supponi dunque», continuai, «che anche noi, per quanto ci era possibile,
facessimo un lavoro del genere quando sceglievamo i soldati e li
educavamo nella musica e nella ginnastica; pensa che il nostro unico scopo
era di persuaderli ad accogliere in sé nel miglior modo possibile le leggi
come una tintura, affinché la loro opinione sulle cose temibili e sulle
altre diventasse indelebile grazie alla natura e all'educazione adeguata che
avevano ricevuto, e la loro tintura non fosse slavata da questi detersivi
tanto efficaci a cancellare: il piacere, che nel produrre tale effetto è più
potente di qualsiasi calestrea (9) o lisciva, il dolore, la paura, il
desiderio, più forti di qualsiasi altro sapone. Questa facoltà di
salvaguardare pienamente l'opinione corretta e legittima su ciò che
temibile e ciò che non lo è, io la chiamo e la considero Coraggio, se tu
non hai nulla da obiettare».
«Nulla da ridire», fece lui, «anche perché mi pare che la corretta
opinione su queste stesse cose, se è nata senza il supporto
dell'educazione, come avviene negli animali e negli schiavi, tu non la
ritenga affatto legittima e la chiami in altro modo che Coraggio».
«Quello che dici è verissimo», replicai.
«E quindi ammetto che questa facoltà è il Coraggio».
«Allora ammetti che è una virtù politica», conclusi, «e sarai nel
giusto. Ma ne discuteremo ancora meglio un'altra volta, se vorrai, poiché
non era questo l'oggetto che ora stavamo cercando, bensì la Giustizia;
quindi, per quanto riguarda la ricerca del Coraggio, credo che possa bastare».
«Hai ragione», disse.
«Ebbene», ripresi, «restano ancora due virtù da individuare nella
città: la Temperanza e quella per cui conduciamo l'intera ricerca, la
Giustizia».
«Precisamente».
«Come possiamo allora trovare la Giustizia, in modo da non doverci occupare
della Temperanza?» «Io non lo so», rispose, «e non vorrei neppure che
essa apparisse per prima, se poi non prenderemo più in esame la
Temperanza; anzi, se vuoi farmi un favore, esamina questa prima che
quella».
«Certo che lo voglio», ribattei, «perché altrimenti commetto
un'inGiustizia».
«Allora comincia il tuo esame», esortò.
«è quello che sto facendo», risposi. «A vederla da qui, essa somiglia più
delle precedenti a una forma di accordo e di armonia».
«In che senso?» «La Temperanza», dissi, «è una specie di ordine e di
dominio su certi piaceri e desideri, come quando si dichiara che uno, non so
in che modo, è "più forte di se stesso", e si usano altre
espressioni analoghe che sono come le tracce di questa virtù. Non è
vero?»
«Proprio
così », rispose.
«Ma l'espressione "più forte di se stesso" non è ridicola? Chi
è superiore a se stesso sarà sicuramente anche inferiore a se stesso e
viceversa, poiché in tutti questi casi si parla sempre della stessa persona».
«Come no?»
«A
mio parere, però», aggiunsi, «questa espressione significa che nell'anima
di uno stesso individuo coesistono una parte migliore e una peggiore, e
quando quella per natura migliore prevale su quella peggiore, si dice che
uno è "più forte di se stesso", il che appunto è un elogio;
quando invece, a causa di un'educazione sbagliata o di una cattiva
compagnia, la parte migliore, sminuita, viene schiacciata dalla mole di
quella peggiore, chi si trova in questa condizione viene chiamato inferiore
a se stesso e intemperante, il che suona come un grave rimprovero».
«Sì , è verosimile», ammise.
«Osserva dunque la nostra nuova città», proseguii, «e vi troverai una di
queste due parti: allora dirai che è giusto chiamarla superiore a se
stessa, se è vero che l'essere in cui la parte migliore comanda su quella
peggiore merita l'appellativo di temperante e superiore a se stesso».
«La sto osservando», disse, «e hai ragione».
«Però puoi trovarvi una grande quantità di passioni, piaceri e dolori di
vario genere, soprattutto nei ragazzi, nelle donne, nei servi e in quella
massa mediocre di cosiddetti uomini liberi».
«Proprio così ».
«Ma le passioni semplici e moderate, che si lasciano guidare dal raziocinio
unito all'intelletto e alla corretta opinione, le troverai in pochi
cittadini, cioè in coloro che sono forniti della migliore natura e della
migliore educazione».
«è vero», disse.
«E non vedi che questo succede anche nella tua città e che qui le passioni
della maggioranza, fatta di persone dappoco, vengono dominate dalle passioni
e dall'accortezza di una minoranza di cittadini equilibrati?»
«Certo,
lo vedo», rispose.
«Pertanto, se bisogna definire una città più forte dei piaceri, delle
passioni e di se stessa, è proprio il caso della nostra».
«Assolutamente», disse.
«E per tutte queste ragioni non è anche temperante?»
«Sicuro!»
«E
se mai in un'altra città i governanti e i sudditi hanno la stessa opinione
su chi deve comandare, ciò si troverà anche nella nostra. Non ti pare?»
«E
come!», esclamò.
«Stando così le cose, in quale categoria di cittadini allora dirai che
risiede la Temperanza? Nei governanti o nei sudditi?»
«In
entrambi», rispose.
«Vedi dunque», ripresi, «che poco fa abbiamo divinato bene paragonando la
Temperanza a una forma di armonia?»
«E
perché?»
«Perché
la Temperanza non agisce come il Coraggio e la Sapienza, che rendevano
rispettivamente sapiente e Coraggiosa quella parte della città in cui
risiedevano, ma si estende veramente sulla città intera, accordando
all'unisono i più deboli, i più forti e chi sta in mezzo a questi, vuoi
per intelligenza, vuoi per Forza, vuoi per numero, per ricchezza o per una
qualsiasi altra di queste ragioni. Di conseguenza possiamo a buon diritto
affermare che questa concordia è Temperanza, accordo naturale tra
l'elemento peggiore e quello migliore su chi dei due deve comandare nella
città è in ciascun individuo».
«Sono pienamente d'accordo con te» disse.
«Bene», ripresi. «Abbiamo scoperto nella città queste tre virtù, così
almeno ci sembra; e quale può essere la virtù rimanente, che porterà il
nostro Stato a un ulteriore perfezionamento morale? E chiaro che si tratta
della Giustizia!»
«è
chiaro».
«A questo punto, Glaucone, noi dobbiamo circondare un cespuglio come dei
cacciatori, facendo attenzione che la Giustizia non sfugga e si dilegui,
sparendo nel nulla. è evidente che si trova qui, da qualche parte; perciò
guarda bene e sForzati di scorgerla, se mai ci riuscissi prima di me, e poi
riferiscimi».
«Magari!», esclamò. «Ma sarà già tanto se potrò seguirti e scorgere
ciò che mi mostri».
«Invoca gli dèi e seguimi!», lo esortai.
«Lo farò, purché tu mi guidi», rispose.
«Certo che il luogo appare poco accessibile e oscuro», osservai: «è
tenebroso e difficile da battere! Tuttavia bisogna avanzare».
«Sì , bisogna avanzare», confermò.
A quel punto io fissai lo sguardo ed esclamai: «Ehi, ehi, Glaucone! Forse
abbiamo una traccia, e mi sembra che la Giustizia non ci sfuggirà più».
«Una buona notizia!», fece lui.
«A dire il vero», ripresi, «ci è capitata una cosa da stupidi!».
«Che cosa?»
«Da
un pezzo, beato, o meglio sin dall'inizio pare che si rotoli ai nostri
piedi, e noi non la vedevamo; eravamo
davvero ridicoli! Come quelli che talvolta cercano ciò che hanno in mano,
così anche noi non guardavamo nella sua
direzione, ma andavamo a esplorare lontano, e per questo forse ci sfuggiva».
«Cosa stai dicendo?», domandò.
«Sto dicendo», risposi, «che a mio parere da un pezzo ne parlavamo e ne
sentivamo parlare, senza accorgerci che in qualche modo i nostri discorsi
vertevano su di lei».
«è lungo il proemio per chi desidera ascoltare!», commentò.
«Allora», ripresi, «ascolta se le mie parole hanno un senso. A mio
parere la Giustizia è ciò che abbiamo posto come dovere assoluto sin
dall'inizio, quando abbiamo fondato la città, o comunque una forma di
questo dovere; se ti ricordi, abbiamo stabilito e ripetuto più volte che
nella città ciascuno deve svolgere una sola attività, quella a cui la sua
natura è più consona».
«Sì , l'abbiamo detto».
«Inoltre abbiamo sentito ripetere da molti, e l'abbiamo ripetuto più
volte noi stessi, che la Giustizia consiste nel compiere il proprio dovere e
non impegnarsi in troppe faccende».
«Abbiamo detto anche questo».
«Perciò, caro amico», seguitai, «è probabile che la Giustizia consista
in certo qual modo nel compiere il proprio dovere. Sai da che cosa lo
arguisco?»
«No:
dimmelo», rispose.
«Mi sembra», spiegai, «che nella città, oltre alle virtù che abbiamo
preso in esame, cioè Temperanza, Coraggio e Saggezza, resti ancora quella
che dà alle altre la facoltà di nascere e una volta nate di conservarsi,
finché è presente in loro. E abbiamo appunto detto che se avessimo trovato
le altre tre virtù, quella restante sarebbe stata la Giustizia».
«è inevitabile», confermò.
«Se però», aggiunsì , «si dovesse decidere quale elemento contribuisce
più di tutti con la sua presenza a rendere buona la nostra città, sarebbe
difficile scegliere tra la comunanza d'intenti dei governanti, la
salvaguardia nei soldati della legittima opinione su ciò che è temibile e
ciò che non lo è, l'accortezza e la vigilanza nei governanti, o piuttosto
il fatto che ciascuno, il fanciullo, la donna, lo schiavo, l'uomo libero,
l'artigiano, il governante, il suddito, assolva il proprio compito senza
impegnarsi in troppe faccende».
«Decisione difficile da prendere», disse, «come no?»
«A
quanto pare, dunque, la capacità di compiere ciascuno il proprio dovere
gareggia con la Sapienza, la Temperanza e il Coraggio per la virtù della
città».
Platone, Le
Leggi, libro primo
chiamiamo a
testimone un poeta, Teognide, (6) cittadino di Megara in Sicilia, che dice:
«L'uomo fedele è stimato alla pari dell'oro e dell'argento, o Cirna, nel
terribile giorno della discordia».(7) Diciamo infatti che costui nella
guerra più aspra è di gran lunga migliore di quell'altro, nella misura in
cui Giustizia, Temperanza, e Prudenza messe insieme al Coraggio sono
migliori del Coraggio stesso preso da solo. Perché non è possibile
mantenersi fedeli ed integri durante le sedizioni, se si è privi della virtù
nel suo complesso:
Aristotele,
Etica a Nicomaco, libro sesto, cap. 7
Noi
attribuiamo la Sapienza nelle arti a coloro che raggiungono la più alta
maestria [10] nelle loro arti: per esempio, diciamo che Fidia156
è uno scultore sapiente e Policleto157 un sapiente statuario,
indicando qui con "Sapienza" nient’altro che l’eccellenza in
un’arte. Ma noi pensiamo che ci siano degli uomini sapienti in senso
onnicomprensivo e non sapienti solo in un campo particolare o in una cosa
determinata, come dice Omero nel Margite158: [15]
"costui gli dèi non lo fecero né zappatore né
aratore né sapiente in qualche altra cosa"159.
Così
è chiaro che la Sapienza è la più perfetta delle scienze. Per
conseguenza, bisogna che il sapiente non solo conosca ciò che deriva dai
principi, ma anche che colga il vero per quanto riguarda i principi stessi.
Così si può dire che la Sapienza sia insieme Intelletto e Scienza, in
quanto è scienza, con fondamento, [20] delle realtà più sublimi.
È assurdo infatti, pensare che la Politica e la Saggezza siano la forma più
alta di conoscenza, se è vero che l’uomo non è la realtà di maggior
valore nell’universo. Se, dunque, ciò che è salutare è diverso
per gli uomini e per i pesci, mentre ciò che è bianco e diritto è sempre
la stessa cosa, tutti devono riconoscere che anche ciò che è sapiente è
la stessa cosa, mentre ciò che è saggio [25] è diverso. Infatti,
si dice che è cosa saggia il saper considerare adeguatamente i nostri
interessi particolari, ed è ad un uomo saggio che noi li affidiamo. È per
questo che si dice che certi animali sono saggi, quelli cioè che mostrano
di avere una certa capacità di previdenza per ciò che interessa la loro
vita. È chiaro, inoltre, che non si può dire che la Sapienza e la
Politica si identificano: se, infatti, [30] si chiamerà Sapienza la
scienza di ciò che è utile a noi stessi, ci saranno molte sapienze, giacché
non è unica la scienza di ciò che è bene per tutti gli animali, ma è
diversa per ciascuna specie, come anche non c’è un’unica scienza medica
per tutti gli esseri viventi. Se, poi, si dice che l’uomo è superiore a
tutti gli altri animali, non cambia niente, giacché ci sono altre realtà
di natura ben [1141b] più divina dell’uomo, come risulta
chiarissimo, se non altro, dai corpi di cui è costituito l’universo160.
Dunque, da quanto abbiamo detto risulta chiaro che la Sapienza è,
insieme, scienza e intelletto delle realtà più sublimi per natura. Perciò
Anassagora161 e Talete162, e gli uomini come loro,
vengono chiamati sapienti [5] ma non saggi, quando si vede che
ignorano ciò che è vantaggioso per loro, e si dice che essi conoscono
realtà straordinarie, meravigliose, difficili e divine, ma inutili, perché
non sono i beni umani che essi cercano.
La
Saggezza, invece, riguarda i beni umani e le cose su cui è possibile
deliberare: infatti, [10] noi diciamo che soprattutto questa è la
funzione del saggio, il deliberare bene, e nessuno delibera sulle cose che
non possono essere diversamente, né su quelle che non abbiano un qualche
fine che sia un bene realizzabile nell’azione. L’uomo che sa deliberare
bene in senso assoluto è quello che, seguendo il ragionamento, sa
indirizzarsi a quello dei beni realizzabili nell’azione che è il migliore
per l’uomo. La Saggezza non ha come oggetto [15] solo gli
universali, ma bisogna che essa conosca anche i particolari, giacché essa
concerne l’azione, e l’azione riguarda le situazioni particolari. È per
questa ragione che alcuni uomini, pur non conoscendo gli universali, sono,
nell’azione, più abili di altri che li conoscono, e questo vale anche
negli altri campi163: sono coloro che hanno esperienza. Se,
infatti, uno sa che le carni leggere sono facili da digerire e salutari, ma
non sa quali sono le carni leggere, non produrrà la salute; [20] la
produrrà piuttosto colui che sa che le carni degli uccelli sono leggere e
salutari. La Saggezza, poi, riguarda l’azione: cosicché deve possedere
entrambi i tipi di conoscenza, o di preferenza quella dei particolari.
Aristotele,
Etica a Nicomaco, libro sesto, cap. 13
A proposito, poi, di Saggezza e Sapienza ci si
potrebbe domandare a che cosa servano. (1) Infatti, mentre la Sapienza non
considera nulla di ciò che può rendere felice [20] l’uomo (giacché
non riguarda nessun divenire), la Saggezza ha proprio questo come oggetto:
ma per che cosa si ha bisogno di lei? La Saggezza ha per oggetto le cose
giuste, belle e buone per l’uomo, ma queste sono le cose che è proprio
dell’uomo buono fare, e non è per il fatto di conoscere che noi siamo più
atti a farle, se è vero che [25] le virtù sono delle disposizioni,
così come non siamo più atti a metterle in pratica se conosciamo le cose
sane e forti, quelle che vengono così chiamate non perché producono la
Salute o la Forza, ma perché derivano da una disposizione: in realtà non
siamo affatto più atti all’azione per il fatto di possedere la scienza
medica o l’arte ginnica. Ma se si deve dire che lo scopo della Saggezza
non è quello di possedere queste conoscenze teoriche, ma quello di far
diventare virtuosi, a coloro che sono già virtuosi la Saggezza non serve a
nulla. [30] (2) Inoltre, non serve neppure a coloro che non l’hanno
ancora: non ha, infatti, alcuna importanza se possediamo noi stessi la
Saggezza o se diamo retta ad altri che la possiedono, ma ci basterà fare
come nel caso della salute: anche se vogliamo acquistare la salute, non ci
mettiamo tuttavia a studiare medicina. (3) Oltre a ciò, si ammetterà che
sarebbe strano se la Saggezza, pur essendo inferiore alla Sapienza176,
fosse più di lei dominante: [35] infatti, l’arte che produce una
cosa qualsiasi comanda e impera su ciascun prodotto. Ciò posto, su questi
argomenti bisogna discutere: ora, infatti, ne abbiamo solo mostrato le
aporie. [1144a] (1) Quindi, in primo luogo, diciamo che esse
sono necessariamente virtù per se stesse, poiché ciascuna è virtù di
ciascuna delle due parti dell’anima, anche se non producono niente, né
l’una né l’altra. (2) In secondo luogo, esse producono in realtà
qualcosa; ma non come la medicina produce la salute, bensì come la salute
<produce se stessa>177, così [5] la Sapienza
produce felicità: pur essendo, infatti, una parte della virtù nella sua
globalità, per il fatto di essere posseduta e di essere in atto, essa fa
l’uomo felice178. (3) Inoltre, la funzione propria dell’uomo
si compie pienamente in conformità con la Saggezza e con la virtù etica:
infatti, la virtù fa retto lo scopo, e la Saggezza fa retti i mezzi per
raggiungerlo. /.../
(4) Per
quanto, poi, riguarda il fatto che la Saggezza non ci rende più atti a
compiere le azioni belle e giuste, dobbiamo ricominciare da un po’ più in
alto, prendendo come punto di partenza il seguente. Come, infatti, diciamo
che alcuni, pur compiendo delle azioni giuste, non sono ancora giusti, come,
per esempio, coloro [15] che fanno ciò che è prescritto dalle leggi
o involontariamente o per ignoranza o per qualche altra ragione, ma non per
se stesso (eppure, almeno fanno ciò che si deve, cioè ciò che bisogna che
l’uomo di valore faccia), così, come sembra, c’è una certa
disposizione per fare ciascun tipo di azioni in modo da essere buoni,
intendo dire, cioè, per compierle in base ad una scelta ed avendo come
scopo ciò stesso [20] che si fa.
Dunque,
è la virtù che fa retta la scelta, mentre tutto quanto contribuisce per
natura a farci operare una retta scelta non dipende dalla virtù ma da
potenzialità diverse. Ma a chi ha già acquisito queste cognizioni bisogna
parlare in maniera più chiara. C’è, dunque, una potenzialità che viene
chiamata "abilità": questa è tale per cui si è in grado [25]
di compiere le azioni che mirano allo scopo che ci si è proposti, e di
raggiungerlo. Quindi, se lo scopo è buono, essa è da lodare, se è
cattivo, invece, si tratta di furberia: è per questo che chiamiamo abili
tanto i saggi quanto i furbi. La Saggezza non è questa potenzialità, ma
non esiste senza questa potenzialità. Questa disposizione, poi, [30]
non si realizza in questo "occhio dell’anima" senza la virtù,
come s’è detto e come è evidente. Infatti, i sillogismi pratici hanno
questo principio: "poiché tale è il fine, cioè il bene
supremo...", quale che sia (concediamo, tanto per ragionare, che sia
uno qualsiasi): ma questo principio non è manifesto se non a chi è buono,
giacché [35] la perversità stravolge e fa cadere in errore sui
principi pratici. Cosi è manifesto che non è possibile essere saggio senza
essere buono. /.../
Anche la
virtù, come la Saggezza, ha un rapporto molto stretto con l’abilità: non
lo stesso, ma simile; analogo rapporto c’è tra la virtù naturale e la
virtù vera e propria. Tutti ritengono che ciascun tipo di carattere ci
appartenga [5] in qualche modo per natura: infatti, giusti, inclini
alla Temperanza, Coraggiosi e così via, noi lo siamo subito fin dalla
nascita. Ma noi, tuttavia, cerchiamo qualcosa d’altro: il bene in senso
proprio, e il possesso di tali qualità in un altro modo. Infatti, le
disposizioni naturali appartengono sia ai bambini sia alle bestie, ma senza
intelletto esse sono manifestamente dannose. [10] In ogni caso,
sembra che sia facile osservare che, come ad un corpo vigoroso ma privo
della vista succede, quando si muove, di cadere rovinosamente, per il fatto
che non ha la vista, così succede anche qui. Ma quando uno acquista
l’intelletto si comporta ben diversamente: solo allora la sua
disposizione, pur essendo ancora simile a quella naturale, sarà
propriamente virtù. Per conseguenza, come nel caso della parte opinativa
dell’anima ci sono due [15] specie di disposizioni, l’abilità e
la Saggezza, così anche nel caso della parte morale ce ne sono due: da una
parte la virtù naturale e dall’altra la virtù vera e propria; e di
queste due, la virtù vera e propria non nasce senza la Saggezza. Perciò
alcuni dicono che tutte le virtù sono forme di Saggezza, e perciò Socrate
in un senso conduceva correttamente la ricerca, in un altro
sbagliava: pensando che [20] tutte le virtù sono forme di Saggezza,
sbagliava, ma dicendo che esse non sorgono senza la Saggezza, diceva bene.
Ecco la prova: anche oggi, infatti, tutti, quando definiscono la virtù,
dicono che è una determinata disposizione che riguarda certi oggetti, e
aggiungono che è conforme alla ragione e la retta ragione è quella
conforme alla Saggezza. Sembra, dunque, che tutti, in qualche modo,
presagiscano [25] che è virtù quella disposizione che è conforme
alla Saggezza. Ma bisogna andare un po’ più in là. Non è solo la
disposizione conforme alla retta ragione, ma quella che è congiunta con la
retta ragione che è virtù: e la retta ragione in questo campo è la
Saggezza. Socrate pensava che le virtù fossero ragionamenti (infatti diceva
che sono [30] tutte delle scienze); noi, invece, riteniamo che esse
siano congiunte con la ragione. È chiaro, dunque, da quanto si è detto che
non è possibile essere buono in senso proprio senza Saggezza, né essere
saggio senza la virtù etica. Ma in questo modo resterà anche confutato
l’argomento dialettico con cui si vorrebbe provare che le virtù esistono
separatamente l’una dall’altra: infatti, la medesima persona non è
ugualmente ben disposta per natura [35] verso tutte le virtù, ma sarà
tale che una l’ha già acquisita, l’altra non ancora; questo, infatti,
può capitare per quanto riguarda le virtù naturali, [1145a] ma per
quanto riguarda le virtù per cui uno è chiamato buono in senso assoluto,
non è possibile: quando, infatti, gli appartiene una sola virtù, la
Saggezza, gli apparterranno insieme tutte le virtù. È chiaro, inoltre,
che, anche se essa non fosse guida all’azione, si avrebbe bisogno della
Saggezza per il fatto che è la virtù della parte dell’anima qui
interessata; ed è chiaro che la scelta corretta non sarà possibile
senza [5] la Saggezza né senza la virtù morale: l’una180,
infatti, determina il fine, l’altra181 ci fa compiere le azioni
atte a raggiungerlo.
È
certo, poi, che la Saggezza non è padrona della Sapienza e della parte
migliore dell’anima, come neppure la medicina è padrona della salute:
infatti, non si serve di lei, ma cerca di vedere come essa si possa
produrre: la Saggezza, dunque, comanda in vista della Sapienza, ma non
comanda alla Sapienza. [10]
Inoltre, è come se si dicesse che la politica comanda agli dèi, poiché
regna su tutto l’ordinamento della città.
Filone di
Alessandria, Le Allegorie della Legge, capp. 19-27
" And a river goes
forth out of Eden to water the
Paradise. From thence it is
separated into four heads : the name of the one is Pheison. That is the one
which encircles the whole land of Evilat. There is the country where there
is gold, and the gold of that land is good. There also are the car-
buncle and the sapphire
stone. And the name of the second river is Gihon ; this is that which
encircles the whole land of Ethiopia. And the third river is the Tigris.
This is the river
which flows in front of the
Assyrians. And the fourth river is the Euphrates." (Genesi, 2,
10-14)
In these words Moses intends to sketch
out the particular virtues.
And they also are four in number, Wisdom, Temperance, Courage, and Justice.
Now the greatest river from which the four branches flow off, is generic
virtue,
which we have already
called goodness ; and the four branches are the same number of virtues. Generic virtue, therefore,
derives its beginning from Eden, which is the wisdom of God which rejoices
and exults, and triumphs, being delighted at and honored on account of
nothing else, except its Father, God. And the four particular virtues, are
branches from the generic virtue, which like a river waters all the good
actions of each, with an abundant stream of benefits. /.../
Each of the virtues is
really and truly a ruler and a queen. And the expression, "is separated"
is equivalent to "is marked off by fixed boundaries", since Wisdom
appoints them settled limits with reference to what is to be done. Courage
with respect to what is to be endured ;
Temperance with reference
to what is to be chosen ; and Justice respect of what is to be distributed.
/.../
Tommaso d'Aquino
Vita
- Una vita
difficile, ardente e laboriosa (1225-1274 d. C.) .
Tre grandi opposizioni: 1) quella dei suoi fratelli quando era
adolescente, 2) quella dei maestri secolari a Parigi appena cominciato
ad insegnare , 3) e, sempre a Parigi, quella del vescovo e di alcuni
francescani sul problema dell'averroismo latino quando Tommaso era già
un affermato dottore.
Una grande consapevolezza della sua missione pedagogica verso i
giovani studenti delle università europee per accogliere Aristotele e
non cadere negli errori di Averroè... tenere assieme – distinguendole
- fede e ragione contro
forze opposte che da una parte e dall'altra tendevano a separarle.
Una grande vocazione per la conoscenza... lo studio, la
meditazione... avere sempre i libri più aggiornati e importanti e
corretti...cercava sempre le traduzioni migliori.... pensava a quel che
doveva scrivere anche quando era in refettorio...
Una capacità di sintesi e di scrittura a mia conoscenza unici...
stupiva allora e stupisce oggi che dettasse contemporaneamente a tre
scribi tre opere diverse per volta...
Stupivano e
stupiscono la mole e la profondità dei suoi scritti in un tempo così
breve : Tommaso morì a 49
anni e nell'ultimo anno aveva avuto una crisi “mistica” esistenziale
per cui diceva al suo amico Reginaldo da Piperno : “non scrivo più,
Reginaldo, perchè non
posso più scrivere e quanto ho scritto mi sembra ora null'altro che
paglia”..... (cfr. la più completa biografia, quella del
canadese James A. Weishepl, Friar Thomas D'Aquino, his life, thought
and works, Basil Blackwell, Oxford, 1974)
La Summa Theologiae
- cominciata
quando aveva 42 anni e rimasta incompiuta … 11.198 pagine !
- il piano
sistematico della Summa :
le tre parti, in uno schema platonico di “andata e ritorno”: 1) Dio
e la creazione; 2) la creatura razionale che cammina verso Dio; 3) Gesù,
via verso Dio e Dio stesso visto come fine
- La seconda parte
della Summa a sua volta si divide in due: 1) in
una Pars Prima Secundae Partis che è ciò che nella
tradizione europea successiva è stata chiamata “etica
fondamentale”, e 2) in una Pars Secunda Secundae Partis, che è
ciò che nella tradizione europea successiva è stata chiamata “etica
speciale”
Gli “abiti” (virtù e
vizi) e i tipi delle virtù
- lo schema della
Pars Prima Secundae Partis (etica “fondamentale”) : 1)
il fine della vita umana cioè la felicità; e 2) i mezzi per
raggiungerlo e cioè : 2.1) gli atti umani,
e 2.2) e le loro cause :
interni (abiti) ed esterni (la legge e la grazia)
- trattiamo i
principi interni che Tommaso (seguendo Aristotele) chiama
“abiti”, cioè i vizi e le virtù, cosa sono?... il
cosiddetto “carattere”: bisogna distinguere “doti naturali” e
“abiti”... essi sono ciò che è più stabile in una persona, e che
la caratterizza maggiormente per sé stessa e per chi la frequenta (da
lontano sono invece le opere che la caratterizzano) … sono causati
dalla - motivata –
ripetizione degli atti...
come a dire sono la Storicità (il collegamento.... «Il
Filosofo scrive, che “una rondine e un giorno non fanno la
primavera”»)
e la Serietà
(ciascun atto nasce da noi, di esso siamo responsabili) delle nostre
vite...
- sì, gli
abiti sono le cose più stabili! Più stabili,
certo, dei nostri
beni esterni come soldi etc che molto cambiano, più dei nostri
sentimenti ed umori che velocemente cambiano, più del nostro corpo che
molto cambia, più anche delle nostre
relazioni umane che anche esse cambiano...
nulla è così stabile in noi come i nostri Vizi e le nostre Virtù!
- essi possono
diminuire e dissolversi sia per errore (come nelle scienze) sia per
mancanza di esercizio (come nelle amicizie) …. è come dire la Prosaicità
delle nostre vite... (“Perciò quando un
uomo si astiene dall'esercitare un dato abito intellettivo, insorgono
immaginazioni estranee, che orientano persino in senso contrario;
cosicché, senza l'uso frequente di codesto abito, che in qualche modo
le taglia e le soffoca, quest'uomo diviene meno pronto a giudicare
rettamente, e talora acquista addirittura una disposizione contraria”)
- a me più della
diminuzione colpisce invece -
nelle psicopatologie (frammentazione delle personalità) - la
interruzione e sospensione... Quando la Drammaticità
delle nostre vite può diventare Tragicità !
- Gli abiti sono
distinti in virtù e vizi: abbiamo tante insoddisfazioni nelle nostre
vite... abbiamo quelle esterne (le ingiustizie subite, gli incidenti etc),
abbiamo quelle interne...(non riesco a capire le divisioni, mi distraggo
facilmente, ho paura di parlare in pubblico etc) … nella mia vita
sempre più io (io che ho sempre più una visione del mondo
“provvidenzialistica”, per la quale i “guai” esterni
“serviranno per un bene maggiore”...eh, eh !) ho messo al centro
della mia riflessione le mie insoddisfazioni interne, cioè i vizi......
Ma abbiamo anche tante soddisfazioni, abbiamo quelle esterne quando ci
danno attenzione, ci fanno regali etc
… ma abbiamo anche quelle interne: ho capito quella cosa,
riesco a lavorare tanto, a fare ridere le persone... nella mia vita
magari non ho messo la maggior parte delle volte al centro le soddisfazioni interne, cioè le virtù,
ma sempre un po' di più le vedo come le più preziose e cerco di
coltivarle...
- le virtù sono
anche qualcosa di esterno che ammiriamo in alcune persone e vogliamo
imitare, sono fuochi di concentrazione delle nostre azioni... per
seguirle, frequentarle, rafforzarle, rinnovarle... e le virtù nostre
proprie sono anche – con esito morale assai ambiguo ! - fonte di
riconoscimenti e di persecuzioni esterne...
- le virtù sono
di tre tipi: teologiche (che per Tommaso sono le più importanti) ,
intellettuali (che per Aristotele sono le più importanti ), morali (che
per la Famiglia e per lo Stato sono le più importanti) ... qui – dato
il tema di questo Corso - prendo in esame un po' solo il secondo e il
terzo tipo perchè le VC (le virtù principali dell'uomo visto come una
particolare specie degli
animali) sono una intellettuale e tre morali
Virtù intellettuali e virtù
morali
- abbiamo sia v. intellettuali sia v. morali... Infatti di una persona
si può dire che è 1)
colta, intuitiva, logica, etc ; ma si può anche dire che è
2) generosa, coraggiosa,
mite, etc
- possiamo avere le v. morali senza quelle intellettuali ?... il senso
comune pensa di sì per due motivi
: 1) persone non colte o intelligenti sono giuste e buone; e 2)
ci sono persone coraggiose o miti per natura...
MA: al
punto 1) si risponde: « Non si richiede che nel virtuoso l'uso della ragione sia perfetto
in tutto: ma basta che lo sia rispetto alle azioni virtuose da compiere.
In questo senso l'uso della ragione è perfetto in tutte le persone
virtuose. Perciò anche quelli che sono giudicati semplici, perché
privi delle astuzie mondane, possono essere prudenti, secondo il comando
evangelico: "Siate prudenti come i serpenti, e semplici come le
colombe"» e dunque anche le
persone semplici hanno le virtù intellettuali !...
E al punto 2) si risponde:
« La
buona inclinazione naturale alla virtù è una virtù iniziale, ma non
è una virtù perfetta. Infatti codesta inclinazione, può essere tanto
più pericolosa, quanto è più forte, senza l'intervento della retta
ragione, la quale rende buona la scelta dei mezzi adatti per il debito
fine. Un cavallo che corra, p. es., se è cieco, inciampa e si ferisce
quanto più corre. Perciò, sebbene le virtù morali non siano la retta
ragione, come diceva Socrate, tuttavia non sono soltanto "secondo
la retta ragione", perché inclinano a ciò che ad essa è
conforme, come volevano i Platonici; ma si richiede che "siano
accompagnate dalla retta ragione", come insegna Aristotele.» e
dunque non ci sono perone virtuose per natura, cioè sin dalla nascita !
In questo passo da Tommaso inoltre viene anche detto che le Virtù
Morali possono esserci sì senza Scienza e Sapienza, ma non senza
Saggezza (“prudenza”) … cosa vuol dire questo ?
È sia un messaggio di “democrazia” tra di noi...
nella morale abbiamo tutti
un uguale punto di partenza...
non ci sono le persone condannate ad esser meno morali perchè la
società o la famiglia non
le può istruire... Infatti la
Saggezza si impara giorno per giorno valutando le proprie esperienze,
cosa che possiamo fare tutti...
Ed è anche un messaggio di “serietà” : non siamo
giusti o coraggiosi per “spinta spontanea”, per onda sentimentale...
ma lo siamo per impegno,
dobbiamo pensare alle nostre azioni, e pensarci sempre,
volta per volta...
- ci possono essere le v. intellettuali senza le v. morali ?...
il senso comune risponde Sì!, infatti : ci sono gli scienziati pazzi e
ci sono le persone colte ed istruite ma malvagie, etc....
Tommaso risponde Sì e No:
Sì, perchè le Abilità Tecniche,
le Scienze, e in certa misura anche la Sapienza ci possono essere
senza Virtù Morali...
No, perchè la Saggezza senza le Virtù Morali non può esistere,
infatti : «come
uno viene predisposto a comportarsi bene rispetto ai principi universali
dall'abito di una scienza;
così per essere ben disposto rispetto ai principi particolari
dell'agire, e cioè ai fini, è necessario l'acquisto di alcuni abiti,
in forza dei quali diviene come connaturale per lui
giudicare rettamente del fine. È questo il compito delle virtù
morali: infatti il virtuoso giudica rettamente della virtuosità del
fine, poiché, come si esprime Aristotele, "quale ciascuno è, tale
è il fine che a lui si presenta". Dunque per avere la retta
ragione nelle azioni da compiere, vale a dire la Saggezza [prudenza], si
richiede che uno possieda le virtù morali.»...
cosa vuol dire questo ?
Il “Sì” sulle Scienze e sulla Filosofia (Sapienza) ci fa come
vedere la connessione interpersonale della vita umana: siamo
reciprocamente necessari gli uni agli altri, chi conosce e mi dà buone
idee potrebbe non esser in grado di applicarle a
sé stesso ed avere bisogno
di me o di un altro per riuscirci... il “Sì” inoltre è un
messaggio di modestia: pur se io avessi conoscenze di scienza
etica o psicologica o politica, spessissimo dovrei però
abbassare la cresta perchè vedo, constato che non possiedo
le virtù (i comportamenti) morali di cui quelle scienze parlano...
Il “No” mi dà un messaggio di integrazione, di spinta alla unità
di me stesso. Sono i miei buoni vissuti sentimentali e relazionali (virtù
morali) che costruiscono la mia capacità di pensare bene ogni giorno,
ogni ora, nei casi concreti della mia vita (Saggezza) … i buoni
sentimenti, le buone relazioni con le altre persone, e la mia capacità
di pensare bene non sono
cose scisse tra loro, ma sono unite... vanno di pari passo...
Virtù morali e sentimenti
·
ho detto buoni
sentimenti e buone relazioni interpersonali... cioè non tutti i
sentimenti (come dice il romanticismo) e non tutte le relazioni (come dice
la volgare psicologia della “socializzazione”).... la v. morale non è
essa stessa un sentimento o una relazione,
ma è una regola dei sentimenti e delle relazioni...: “ in
se stesse i sentimenti non
hanno natura di bene o di male. Infatti il bene e il male nell'uomo dipende
dalla ragione: perciò, considerate in se stessi, i sentimenti
possono essere indifferentemente buoni o cattivi, in quanto
concordano o non concordano con la ragione. Invece la virtù non può avere
questa indifferenza, essendo volta unicamente al bene”...
- se è vero (contro il romanticismo e la superficiale
socializzazione) che le v. morali non sono sentimenti né relazioni, però
sono compatibili con sentimenti e relazioni, anzi ne fanno il
loro oggetto essenziale !... questo punto è invece contro lo
Stoicismo, cioè
coloro che valutano la mancanza di sentimenti (apatia) e l'isolamento
interpersonale della persona buona
(autarchia) : “se
denominiamo sentimenti gli
affetti disordinati, questi non possono trovarsi nella persona virtuosa,
come dicevano gli Stoici, nel senso che non si può consentire a codesti
sentimenti dopo la
deliberazione razionale. Se invece, con Aristotele,
denominiamo sentimento qualsiasi
moto dell'appetito sensitivo, allora i sentimenti possono trovarsi nella persona virtuosa, in quanto sono
subordinati alla ragione”... cosa
ci dice questo? A me dà ottimismo per la mia vita: non devo mutilarmi
nei sentimenti e nei rapporti interpersonali per crescere,
per maturare!... e corrisponde alla mia esperienza: le persone
buone coraggiose giuste che ho incontrato erano anche vitali, empatiche
e relazionali....e anche... spiritose!
- Facile vitalismo alla “think positive” ? Non è così, perchè
Tommaso in specifico si chiede anche se le v. morali siano compatibili
col sentimento del dolore
(“Come Aristotele dimostra, la tristezza è di ostacolo
all'operazione. Ma ogni ostacolo a ben operare è incompatibile con la
virtù. Dunque la tristezza è incompatibile con la virtù.”), e a questa domanda che si è posto risponde No
e Sì ( “
La tristezza esagerata è un'infermità dell'anima: ma una
tristezza moderata nello stato della vita presente fa
parte del benessere dell'anima”) :
No
(le virtù morali non sono compatibili col dolore) , se ci addoloriamo
per dei beni (per es. di ricever da qualcuno giuste
correzioni dei nostri vizi) invece che per dei mali;
e No
se il dolore diventa esagerato, perchè l'uomo virtuoso sa che i mali del
corpo non sono i mali più grandi, e perchè sa che i propri inevitabili
peccati veniali (imperfezioni) non sono gravi e non impediscono
la crescita della vita...
Sì,
se vediamo che un dolore moderato è giusto, opportuno per il virtuoso,
il quale proprio perchè è virtuoso detesta i mali esterni e corporei e detesta i mali morali che ha in sé, che lo ostacolano
nelle sue azioni, e allora per lui
il dolore moderato è pungolo per agire , per
allontanarsi dai mali …
Cosa ci dice questo ?
A me da una parte dà coraggio quando
soffro mentre faccio una cosa giusta: non devo trovare nel dolore
un indizio che sto sbagliando (sono “sfigato”, non sono “giusto”
cioè “come tutti gli altri che invece riescono nella vita e, anzi, se
la godono”),
E – d'altra parte – mi avverte e mi corregge: “Franco, non devi
esagerare in questo dolore, moderalo ! cioè ridimensionalo,
relativizzalo, prendila con filosofia, se stai facendo la cosa giusta
questo gioverà prima o poi sia a te che agli altri... anzi , sta già
giovando...”.
- se tutte le virtù
morali sono compatibili coi sentimenti, però non tutte hanno
come materia essenziale i sentimenti...
Infatti seguendo Aristotele, Tommaso dice che la Giustizia riguarda la
“volontà” e non i sentimenti, cioè:
mentre in un conflitto contro un prepotente o in una scalata
alpinistica il Coraggioso è tale per la corretta gestione dei sentimenti di audacia e paura, e
mentre il Temperante prova il sentimento del piacere
nell'amplesso con la persona amata e il sentimento del
disgusto per il sesso perverso e prostituto, invece gli
atti della Giustizia (per esempio: la trattativa di compravendita, la
diplomazia in una conversazione, il dare voti dell'insegnante o le
sentenze di un giudice o le correzioni di un genitore verso il figlio)
non sono “gestioni di sentimenti”, anzi sperimentiamo che la
Giustizia nelle relazioni interpersonali si giova della concentrazione
su ciò che vogliamo fare e non sui sentimenti che possiamo provare
mentre facciamo ciò che facciamo...: ”le
altre virtù morali riguardano principalmente i sentimenti , il cui
regolamento va determinato esclusivamente in rapporto all'individuo cui
esse appartengono, cioè in quanto uno si abbandona all'irascibile e al
concupiscibile come deve secondo le diverse circostanze. Perciò il
giusto mezzo di codeste virtù non viene determinato in base al rapporto di una cosa
con un'altra, ma solo in base al rapporto dell'uomo virtuoso con se
stesso. Per questo in esse esiste un giusto mezzo solo in rapporto a
noi. Materia della giustizia, invece, sono le azioni esterne in quanto
esse stesse, o le cose di cui si servono, hanno il debito rapporto con
altri individui.”
(eppure - nota Tommaso - anche la Giustizia indirettamente ha
a che fare coi sentimenti, in specifico con
quello della gioia, susseguente alla consapevolezza di avere fatto
qualche azione giusta).
- Perciò, quello che
accomuna tutte le virtù morali (e cioè la Giustizia – che non è
regola dei sentimenti - da una parte, e tutte le altre virtù morali
- che invece sono proprio regola dei sentimenti – dall'altra)
è questo : tutte le virtù morali riguardano la parte appetitiva
della mente, mentre le virtù intellettuali (come Saggezza, Scienza o
Sapienza) riguardano la parte conoscitiva.
“Appetito” significa “tendenza verso” (tendere e cercare di
muoversi verso una cosa, una azione, una persona, una situazione, un
cambiamento dello stato delle cose del mondo).
E dunque la Giustizia
riguarda lo “appetito razionale” (cioè universale)
chiamato Volontà;
le altre Virtù Morali riguardano lo “appetito sensitivo”
(cioè singolare) chiamato Sentimento.
Il problema del giusto
mezzo
- Problema .Tommaso riprende la importante teoria aristotelica del “giusto
mezzo”: “la v. morale è un giusto mezzo che la ragione trova nel
campo dei sentimenti e delle relazioni tra due vizi opposti, uno per
eccesso e uno per difetto”....
Ma, se la virtù è una “eccellenza”, non sarà piuttosto un
“estremo” e non un “medio”? E i Santi
e gli Eroi della giustizia, del coraggio, della umiltà non ci
sembrano piuttosto degli estremisti ? …E le persone poco o per nulla
virtuose non sono forse quelle che vivono nei compromessi, non sono né
carne né pesce, non prendono mai posizione, quei tiepidi, quegli
“ignavi” di numero grandissimo che Dante colloca nello anti-inferno
perchè Inferno stesso li rifiuta?
- Soluzione . «La
virtù morale deve la sua bontà alla regola della ragione: invece ha
per materia le operazioni della volontà [la Giustizia] o i sentimenti
[tutte le altre Virtù Morali]. Perciò, se nel rapporto della virtù
morale con la ragione, guardiamo l'elemento razionale, vediamo che esso
si presenta come un estremo, cioè come conformità: mentre l'eccesso e
il difetto si presentano come l'estremo opposto, vale a dire come
difformità. Se invece si considera la virtù morale rispetto alla sua
materia, allora (per la concordanza con la ragione) si presenta come
giusto mezzo, in quanto la virtù riduce il sentimento
alla regola della ragione. Perciò il Filosofo scrive che
"la virtù sta nel mezzo per la sua natura", cioè in quanto
applica la regola della virtù alla materia propria: "invece
rispetto all'ottimo e al bene è un estremo", cioè rispetto alla
conformità con la ragione. »
cosa significa questo ?... ci
dice che la virtù è difficile – cosa vera, perchè la vita è
difficile!... non brutta, ma certamente drammatica e difficile! - ma la
sua difficoltà non sta nella (facile) esortazione che dice: “Va da
quella parte - verso uno
dei due estremi - più che
puoi!”... né sta nella ancora più facile esortazione che dice : “Va sia da una parte sia dall'altra
- verso entrambi gli estremi - così come capita,
tanto per non sbagliarti (per non “esporti”, per non
“rischiare”, per non “sbagliare”)!”.
E allora il compromesso nel senso vizioso della parola, il “né carne
né pesce”, l'ignavo cosa sono? Sono la miscela – in varia misura -
dei due vizi opposti, non la difficile fuga da entrambi. L'ignavo
miscela la temerarietà nel gioco d'azzardo con la viltà ad opporsi a
un capoufficio tirannico; la testardaggine a non votare sempre un leader
distruttivo con la volubilità nel cambiarlo secondo le mode; il
privilegiare l'amico adulatore e l'emarginare quello che lo corregge;
l'iracondia vero “i politici, i burocrati, i comunisti e i giargianesi”,
con l'immobile indifferenza verso le gravi ingiustizie che vede sul
luogo di lavoro; l'impotenza
sessuale con la moglie con le fantasie pornografiche nascoste; la
disappetenza verso la frutta e la verdura con la golosità per dolci e
liquori.... e così
l'ignavo non è audace, né fermo, né giusto, né mite, né casto, né
sobrio...
Perchè sono tanto numerosi ? Perché l'incoerenza è più diffusa della
coerenza e i viziosi coerenti (la lussuriosa Pasife, il goloso Ciacco,
l'iracondo Filippo Argenti, l'ingiusto Guido da Montefeltro, che Dante
ci presenta nell'Inferno) sono più pochi dei viziosi incoerenti...
- ma rispetto ai viziosi coerenti ed estremisti, i virtuosi sono
ancora meno, perchè se l'ignavo non decide (non pensa) mai, e il
vizioso estremista decide (pensa) una
sola volta e poi non più, il virtuoso deve decidere (pensare) sempre,
volta per volta... la difficoltà della virtù sta nel modulare volta
per volta la scelta morale tra una Scilla e una Cariddi... secondo le
mutevoli circostanze esterne ed interne... con questa persona
particolare, qui ed ora, sono
invadente o freddo e scostante? Sono sottomesso o prepotente? Sono
privilegiante o sprezzante? ...Come evitare questo pomeriggio
l'autolesionista iperattività, ma anche
la autolesionista pigrizia? Riguardo l'esame che dovrò sostenere
la prossima settimana come
evitare adesso la paura paranoica, ma anche
la confidenza facilona? Riguardo questa ingiustizia del governo
che leggo sul giornale come non essere sterilmente iracondo e
moralisticamente indignato, ma anche non essere indifferente e cieco e
menefreghista del bene comune?
- Circostanze non solo esterne, ma anche interne... Aristotele e
Tommaso sottolineano che il “giusto mezzo” non è “oggettivo”
nel senso di “svincolato dalla propria
situazione soggettiva, cioè personale”
- se non per la Giustizia - mentre per tutte le altre virtù esso
varia (è spostato più verso un estremo o più verso l'altro) a seconda
di come è fatta internamente la persona individuale: “tranne
la Giustizia le altre virtù morali riguardano i sentimenti interiori in cui non
si può stabilire ciò che è giusto sempre allo stesso modo, perché
gli uomini sono diversamente disposti rispetto ai sentimenti : e allora
è necessario determinare la rettitudine della ragione, avendo riguardo a noi che siamo sotto
l'influsso dei sentimenti”
- Che fare dunque? Tenere assieme il pensiero (la virtù
intellettuale della Saggezza) con gli abiti già costruiti nella mia
vita passata dei sentimenti buoni e delle relazioni interpersonali
giuste!
Per la Virtù Morale – dunque - bisogna:
1)
continuamente pensare ( contro l'etica epicurea e romantica); 2)
continuamente ascoltare i propri sentimenti (contro
l'etica platonica e marxista); 3)
continuamente rapportarsi con
le altre persone (contro l'etica stoica e
perbenista-individualistica).
È difficile? Sì, è difficile, come è difficile (non brutta) la vita
stessa...
Virtù cardinali
- perchè
le VC non sono le v. intellettuali?... :« virtù
umana, in tutto il rigore che implica codesta nozione, è la virtù che richiede la rettitudine
dell'appetito: infatti codesta virtù non dà soltanto la capacità di agir bene, ma lo stesso
esercizio del ben operare. Invece la virtù che
non richiede la rettitudine dell'appetito, corrisponde a una
nozione inadeguata della virtù: poiché
dà la sola capacità
di agir bene, ma non causa l'esercizio
del ben operare. Ora, è chiaro
che una cosa perfetta è principale rispetto a quanto è imperfetto.
Perciò le virtù che implicano
la rettitudine dell'appetito devono dirsi principali
[cardinali].
Esse sono virtù morali; e tra le
intellettuali c'è la sola saggezza, che in qualche modo, cioè
per la materia di cui si occupa, è
una virtù morale, come abbiamo spiegato sopra.»
cosa
significa questo ?...
1) come dire che le v. intellettuali sono
“messe in esercizio” solo interpersonalmente … cioè
nella storia della umanità, in tempi lunghi (le scienze e le
arti)... oppure è come
dire che sono semi-divine (sapienza) come diceva Aristotele... e
già Socrate (gli uomini sono amici della sapienza cioè
filo-sofi, solo gli Dei sono sapienti)
;
2) e anche che le v. morali rendono possibili
quelle intellettuali e non viceversa (con l'eccezione della saggezza,
che anche essa però dipende dalle v. morali a sua volta) … sono il
“necessario” della
umanità dell'uomo... vorrei fare l'esempio di una mia lezione in una
mia attuale terza liceo, in cui le v. morali sono “propedeutiche” a
quelle intellettuali, e l'unica v. intellettuale (cioè esercizio del
pensiero che rafforza sé stesso) è la saggezza, cioè quel pensiero
che è prodotto nel
mentre si costruiscono le v. morali !...
Il Bene è Urgente...
- Perché
le VC sono 4? : « il principio
formale delle virtù, delle quali ora parliamo, è il bene
secondo ragione. E questo può essere considerato sotto due aspetti.
Primo, in
quanto si attua nell'esercizio medesimo della
ragione. E allora abbiamo la prima virtù principale, che è la
Saggezza.
Secondo, in
quanto l'ordine della
ragione viene imposto ad altre cose. E allora, o si tratta di
operazioni, e così avremo la Giustizia; o si tratta di sentimenti, e in
questo caso si richiedono due virtù. Infatti
l'ordine della ragione rispetto ai sentimenti va imposto in
considerazione della divergenza di questi ultimi dalla ragione. E questa
può presentarsi in due modi. A)
in quanto il sentimento
spinge verso cose contrarie alla ragione: e allora è necessario
reprimerlo, e ciò si denomina Temperanza. B)
in quanto il sentimento trattiene dal compiere quello che la ragione
comanda, come fa, p. es., il timore dei pericoli e della fatica: e
allora è necessario che uno venga fortificato a non recedere dal bene
di ordine razionale; e questo si denomina Fortezza.»
cosa
significa questo ? … una Unità dell'uomo, che è pervaso dal suo
principio unico e suo specifico sia nel pensiero
(interno/esterno) sia nei rapporti con le altre persone
(esterno) sia nei sentimenti (interno) … il Bene non è
un optional di qualche momento di commozione o festività o solennità
etc.
Il Bene è Pervasivo...
- Perché
le VC sono 4? : “queste quattro
virtù cardinali si desumono dalle
quattro ragioni formali della virtù morale. Queste però si
riscontrano principalmente in determinati
atti e sentimenti. Il bene, p. es., che si attua nell'esercizio medesimo
della ragione, si riscontra principalmente nel comando
della ragione (Saggezza) , come abbiamo notato, e non nel consiglio, o
nel giudizio. Così il bene di ordine razionale, presente nelle
operazioni sotto l'aspetto di cosa retta o dovuta, si riscontra
principalmente negli scambi o nelle ripartizioni che indicano rapporti
con altri su una base d'uguaglianza (Giustizia).
Invece il bene che consiste nel frenare
i sentimenti si trova
principalmente nei sentimenti che sono più difficili a reprimersi, cioè nei piaceri del tatto (Temperanza). La bontà,
poi, che consiste nel persistere nel bene
di ordine razionale contro l'impeto dei sentimenti, si riscontra
principalmente nei pericoli di morte, contro i quali è difficilissimo
resistere (Fortezza) .”
cosa
significa questo ?... un
messaggio di Ottimismo... il Bene è Raggiungibile sempre... nello
(“arido”...dicono alcuni luoghi comuni...) pensiero, nei
(“difficili”... aahh! Solitudo sola beatitudo!) rapporti
interpersonali, nel (“faticoso”... “che barba, che noia!”,
oppure “troppe tentazioni!”) equilibrio dei piaceri, nel
(“intimidente”... “cosa c'entro io?”, oppure “meglio
adeguarsi!”) scontro coi pericoli e le persecuzioni...
Il Bene è Raggiungibile...
- Perché
le VC sono 4? : “ codeste
quattro virtù da alcuni son prese come quattro
condizioni generali dello
spirito umano, presenti in
tutte le virtù: cosicché la Saggezza non è altro che la rettitudine
nel discriminare
tra
i vari atti, o materie d'operazione; la Giustizia è una
certa rettitudine dell'anima, in forza della quale un uomo compie
quello che deve in qualsiasi campo;
la Temperanza, poi, è una disposizione
di spirito che impone moderazione
a tutti i sentimenti ed operazioni,
perché non vadano oltre il
dovuto; e la Fortezza è una disposizione che rafforza
lo spirito in quello
che è secondo la ragione, contro qualsiasi impulso delle
passioni o delle difficoltà che s'incontrano nelle operazioni.“
cosa
significa questo ?... un messaggio di Costanza, Continuità... per
qualsiasi azione buona (di autostima, di sincerità, di generosità, di
affettuosità, di umiltà, di pazienza, di giocosità etc)
usiamo sempre le stesse risorse di base, le quali, per così
dire, sono sempre con noi, ci accompagnano costantemente nel variegato
ed alterno percorso della giornata e della vita... sono una sua
continuità...... Il
Bene è Compagno....
- Perché
le VC sono 4? : «si può
rispondere che queste quattro virtù si scambiano le
denominazioni per una certa ridondanza. Infatti quanto è proprio
della Saggezza ridonda sulle altre virtù, in quanto queste sono da essa
guidate. E delle rimanenti ciascuna ridonda sulle altre in base al principio, che chi è capace del
più è capace anche del meno. E quindi chi può tenere a freno la brama
dei piaceri del tatto, entro i giusti limiti, che è la cosa più
difficile, con ciò diviene più adatto a contenere nei giusti limiti
l'audacia di fronte ai pericoli di
morte, il che è molto più facile; e in tal senso la Fortezza potrà
dirsi temperante. E la Temperanza
può dirsi forte, per il ridondare in essa della fortezza: e cioè in
quanto chi per la Fortezza ha l'animo fermo contro i pericoli di morte,
che è la cosa più difficile, è meglio
disposto a conservare una fermezza d'animo contro l'impulso dei
piaceri; poiché, come si esprime Cicerone, "non è probabile che
si lasci vincere dalla cupidigia chi non si piega al
timore; o che si lasci vincere dal piacere chi si è mostrato
invincibile alla fatica"»
cosa
significa questo ?... mi sembrano delle
osservazioni psicologiche interessanti. … che se io sono una
persona abituata a non esser impulsiva nella attrazione dei piaceri
materiali (cosa in sé difficile) sarò poi più capace di non esser
avventato nell'attaccare e spericolato (cosa in sé più facile)... E
anche che,
se io sono una persona ferma nel sostenere i dolori causati dai
pericoli e dalle persecuzioni (cosa in sé
difficile) sarò poi più capace di sostenere i dolori dovuti
alla astinenza dei piaceri materiali (cosa in sé
più facile) …
Il Bene è Stratega...
La connessione tra le virtù
- “SEMBRA
che le virtù morali non siano necessariamente connesse. Infatti:
le virtù morali vengono causate dalla ripetizione degli atti,
come Aristotele dimostra. Ma un uomo può esercitarsi negli atti di una
data virtù, senza
esercitarsi nelle azioni di un'altra. Perciò si può possedere una virtù
morale senza le altre.”
MA : “le virtù
morali sono connesse, come quasi tutti ritengono. A sostegno di ciò
vengono portate due
ragioni, in base al diverso
modo di definire le virtù cardinali.
1) Alcuni infatti,
come abbiamo detto, le definiscono come generali condizioni delle virtù:
cosicché la discrezione dovrebbe corrispondere alla Saggezza, la
rettitudine alla Giustizia, la moderazione alla Temperanza, e la
fermezza d'animo alla Fortezza in qualsiasi materia si vogliano
considerare. E da questo punto di vista appare evidente il motivo della
connessione: infatti la fermezza priva di moderazione, di rettitudine, o
di discrezione, non potrebbe dirsi virtù; e lo stesso vale per le
altre.
2) Invece altri
definiscono le virtù cardinali secondo la materia. E in base a questo
Aristotele stabilisce il motivo della loro connessione. Poiché, come
abbiamo già spiegato, non può esserci virtù morale senza la Saggezza:
questo perché è proprio delle virtù morali dare rettitudine
all'elezione, essendo esse
degli abiti elettivi; ora, per la buona elezione non interviene soltanto
l'inclinazione al debito fine, dovuta direttamente all'abito della virtù
morale; ma anche l'immediata scelta dei mezzi, la quale vien
fatta dalla Saggezza, che consiglia, giudica e comanda i mezzi ordinati
al fine.”
e
la riposta alla difficoltà iniziale (“SEMBRA”) : “Una
virtù morale può essere perfetta o imperfetta. La virtù morale
imperfetta, Temperanza o Fortezza che sia, non è che una nostra inclinazione
compiere qualche atto buono: inclinazione che può essere innata
o dovuta all'esercizio. Prese in questo senso, le virtù morali
non sono connesse, infatti vediamo che uno per naturale complessione, o
per esercizio, è 'pronto' agli atti della liberalità, senza esserlo
agli atti della castità.
/.../
Certe virtù morali perfezionano l'uomo per uno stato ordinario, o
comune, cioè rispetto alle azioni che capita
comunemente di dover compiere. Perciò è necessario che l'uomo
si eserciti simultaneamente
sulla materia di tutte le virtù morali. E se si esercita in tutte col
ben operare, acquisterà gli abiti di tutte le virtù morali. Se invece
si esercita ben operando
rispetto a una data materia, rispetto all'ira, p. es., e
non rispetto a un'altra, ossia rispetto alla concupiscenza,
acquisterà un abito per
tener a freno l'ira; ma sarà un abito che non può avere valore di virtù,
mancando della Saggezza, la quale viene distrutta nel campo della
concupiscenza. ”
cosa
significa questo ?... che la Virtù è “abito che fa fare azioni
buone” .. e il Bene è Difficile... non bastano il fine e
l'intenzione, ma c'è bisogno anche dei mezzi opportuni e delle energia
per usarli...bisogna, cioè, vedere il risultato!... non si può
considerare un risultato buono la astinenza sessuale
di quelle monache di cui fu detto “caste come angeli, superbe
come diavoli” (Temperanza senza Umiltà), non può esser considerato
buono il sacrificio di quel giovane che si getta pieno di tritolo sotto
il carro armato sovietico gridando “Heil Hitler!” (Fortezza senza Giustizia).
Il Bene è Difficile...
La gerarchia e
l'eguaglianza tra le virtù
- Gerarchia.
Considerandole oggettivamente, una virtù può esser maggiore di
un'altra? Sì,
perchè : “ è
evidente che causa e radice
del bene umano è la ragione. Perciò la Saggezza, che affina la ragione, sovrasta in bontà le altre virtù morali, che
affinano la parte appetitiva
in quanto partecipe della ragione. E tra queste tanto più una è
superiore all'altra, quanto
più si avvicina alla ragione. E quindi la Giustizia, che è nella
volontà, è preferibile alle altre virtù morali: e la Fortezza,
che è nell'irascibile, va preferita alla Temperanza, la quale essendo nel
concupiscibile, partecipa meno
della ragione, come nota Aristotele.”
cosa significa questo ?... A)
che non è la Giustizia la virtù maggiore come sarebbe secondo un'etica
“farisaico-marxista” in cui il sistema giuridico esterno fosse la
cosa più importante; B) che
non lo è la Forza/Coraggio come sarebbe per un'etica
“stoico-romantica” in cui l'eroismo e il sacrificio personale
fossero la cosa più importante ; C)
che non lo è l'Equilibrio/Temperanza come sarebbe per un'etica
“epicureo-salutistica” in cui la personale serenità e benessere
fossero la cosa più importante.
Invece, in un'etica “aristotelico-liberale” (cui Tommaso aderisce,
se prescinde dal discorso cristiano delle virtù teologali) la virtù più
importante è invece la Saggezza, perchè la base è il dibattito
critico interpersonale, e non le leggi impersonali né
gli impulsi personali.....
Il Bene è
Dialogico...
- Eguaglianza.
Considerandole soggettivamente, cioè all'interno di una stessa
persona, una virtù può crescere (maturare, svilupparsi) più di
un'altra virtù? No,
anche se sembrerebbe di sì perchè vediamo che X è più lodato per la
umiltà, Y per la generosità, Z per la affidabilità , e così via...;
inoltre anche vediamo che più una virtù è intensa, e più uno opera
con piacere e prontezza con essa.... ora, l'esperienza dimostra che uno
compie con maggior piacere e prontezza le
azioni di una virtù che quelle di un'altra.
Eppure Tommaso osserva che proprio l'esperienza ci mostra come le
persone che sono ugualmente coraggiose (comparandole tra loro) sono
anche tra loro ugualmente temperanti e ugualmente giuste. E questo
succede perchè le virtù sono connesse tra loro attraverso la
Saggezza... ciò che è
distinto in intensità è solo la inclinazione alla virtù,
non la virtù.
Cosa significa questo ? … è come un messaggio di Profondità: andare
al di là delle apparenze superficiali, per cui la facilità nel
fare le proprie azioni e la visibilità delle azioni altrui
sarebbero i fattori più importanti...
Per Tommaso invece non
lo sono. Faccio due esempi: 1) Se io ho più facilità
(sono “inclinato”) a resistere alle prepotenze di un prepotente rispetto al
resistere alle tentazioni della tavola, bisogna vedere se la mia prima
resistenza (facile) è veramente virtuosa e non sia invece un ribellismo
o ostinazione, e se la seconda (difficile) sia veramente viziosa e non
sia invece una sana esigenza di piacere corporeo al di là delle mode
ascetiche della magrezza etc.;
2) E, se mi saltano agli occhi
nella persona X una maggiore affettuosità e in una persona Y una
maggiore affidabilità , devo capire
bene se X tenga veramente alla compagnia degli altri o lo faccia
solo per essere popolare (e magari, ottenuta la popolarità si rivelasse
un freddo scostante) , e se Y mantenga la parola data solo per paura
delle ritorsioni altrui ( e magari, in una situazione di superiorità e
sicurezza, si rivelasse un bidonaro) .
Il Bene è
Personale (cioè una
conquista personale e non una fortunata “inclinazione” elargita
dalla educazione e dalle altre circostanze)
…
- Possiamo
dunque riassumere le caratteristiche del
Bene (Morale). Esso è: Urgente, Pervasivo, Raggiungibile,
Compagno, Stratega, Difficile, Dialogico, Personale...
Saggezza
Introduzione
- nella Tradizione
Occidentale dal Basso Medio Evo in poi, troviamo svariati
Simboli Iconografici della Saggezza: Serpente
(realismo, stare a contatto con la terra, cioè coi singularia) ;
Specchio
(conoscere sé stesso coraggiosamente, con imparzialità) ; Libro
(apertura umile e fiduciosa alle esperienze e ai consigli altrui) ; Giano
Bifronte (memoria delle proprie esperienze passate e
responsabilità previdente sugli effetti futuri delle proprie azioni); Cervo
(animale
cauto, gentile e delicato che indica la cautela nella analisi delle
circostanze e la elasticità
nel giudizio ); Torcia o Lanternina
(la perspicacia nel giudizio); Mappamondo
(indica l'arte di governare la complessità/eterogeneità delle
vicende); il Vecchio con Falce e Clessidra
(cioè il tempo, che ricorda la
sollecitudine nella vigilanza, la calma ponderazione nella
ricerca-analisi-discussione, e
la solerzia nell'azione)
- la questione 66 della I-IIae su come le
Teologali siano più importanti della Intellettuali (e tra di
esse la più importante sia la Carità) e su come le Intellettuali siano
più importanti delle
Morali (e tra di esse la Sapienza) e che la virtù morale più
importante sia la Giustizia...
E la Saggezza ?... Non è più importante in nessuno di questi
tre gruppi (che esauriscono i gruppi delle virtù...) : perchè dunque
essa è – invece - la
più importante delle VC cioè delle virtù più importanti ?
Bisogna tornare a vedere cosa sono le
VC ... cosa sono ? … sono le principali
per la vita umana in “stato di necessità” ...
cioè le più “necessarie” (“necessario” non è sinonimo
di “importante”): «Una cosa può essere
superiore o inferiore (a un'altra) in due
maniere: simpliciter e secundum quid. Infatti niente impedisce
che una cosa sia
simpliciter, o di per sé, superiore a un'altra, come "il
filosofare rispetto all'arricchire", e tuttavia non lo sia sotto un
certo aspetto, ossia secundum
quid, cioè "per chi è in necessità."»
e
allora, in tale “stato di necessità” in cui sempre si trova la vita
umana (in me e nel mondo attorno a me c'è già
il Male, sin dall'inizio della mia vita!), le VC sono le più importanti
nelle relazioni con gli altri e nel gestire i miei sentimenti... e tra
di esse la virtù più importante è la Saggezza, cioè la cosa più necessaria è il pensare continuamente ai
casi singoli della vita su cui scegliere come agire volta per volta...
La Saggezza in sé stessa
- il saggio – in
quanto tale almeno – non è né l'abile né il sapiente
- Non
è l'abile. Come mai se la Abilità Tecnica è una virtù
intellettuale pratica (volta ad agire) come la Saggezza, nella Tecnica
è preferibile chi sbaglia volontariamente mentre nella Saggezza il
contrario? Perché nella Saggezza oltre
la parte conoscitiva c'è la parte appetitiva, essa è a cavallo tra le
v. intellettuali e le v. morali, essa non esiste senza la
“richiesta” delle v. morali, e
- diversamente dalla Tecnica -
essa sia nel bene sia nel male è sempre in esercizio,
mentre la Tecnica come le v. intellettuali contemplative (le Scienze per
es.) può esser solo potenziale ma non esercitata in atto...
cosa significa questo ? Un avvertimento a non riconoscere le persone
“attive” solo e neanche in primo luogo negli abili, in coloro che si
impegnano tanto in qualche mestiere o in qualche organizzazione... ma
piuttosto nelle persone più buone moralmente.. esse non sarebbero tali
– cioè morali - se non fossero continuamente attive, se non agissero
continuamente...
- Non
è il sapiente. “la Saggezza è la
sapienza delle cose umane; ma non è sapienza in senso
assoluto, perché non ha di mira la causa suprema in senso assoluto;
riguardando essa il bene dell'uomo, il quale non è la
realtà più eccellente.”
cosa
significa questo ? … che nel mio
impegno di districarmi tra i meandri del mondo sia interno sia esterno
per evitare i Mali e per realizzare in me e fuori di me i Beni che mi
piacciono e convincono, beh, questo mio impegno richiede questo pensiero
continuo di ricerca, scelta ed azione che è la Saggezza... ma esso è
limitato e contraddetto e frustrato e in varia e anche tanta misura
fallisce... un tot di Sapienza – invece - è come la modestia
fiduciosa e speranzosa e simpatetica con cui guardo la Realtà in
maniera più vasta e distaccata dalla mia azione... con cui vedo che la
mia vita singola si inserisce in un Mondo (e in un Disegno del suo
sviluppo e Destino) assai più vasto... un tot di Sapienza può farmi
accettare senza disperazione e anche senza troppa amarezza la grande
piccolezza e anche il fallimento della mia Saggezza....
- la Saggezza ha
bisogno delle basilari conoscenze universali, cioè i primi principi
dell'Intelletto (virtù
intellettuale che Aristotele e Tommaso ritengono “abito naturale”
cioè innato, l'unico tra tutti gli abiti a non esser acquisito), per es:
il tutto è maggiore delle parti; A non è non-A; il bene è da cercarsi
e ottenersi e il male è da evitarsi; dal bene viene il bene e dal male
il male; non bisogna nuocere a nessuno. Oltre che di queste conoscenze
universali di base, essa ha
bisogno delle conoscenze
universali più specializzate nei vari campi della realtà e cioè le
varie Scienze, che sono virtù intellettuali non innate ma acquisite...
Acquisite sia dal singolo
nel percorso sua vita, sia
soprattutto dalla umanità nel suo percorso
storico: Medicina, Diritto, Linguistica, Fisica, Economia,
Zoologia e tante altre... e tra queste anche la Scienza Etica, la quale,
come le altre Scienze, è stata costruita lungo i millenni dalla attività
conoscitiva dell'umanità...
MA: oltre alle conoscenze universali sia di base e naturali
(Intelletto) sia specializzate e acquisite (Scienze), la Saggezza
ha bisogno della conoscenza
dei fatti e delle cose singolari su cui operare le scelta e il
comando ad agire... Eppure:
i singolari sono infiniti e la nostra ragione è finita!... e infatti:
«Proprio
perché la ragione umana non è in grado di abbracciare l'infinità dei
singolari, "sono malsicuri i nostri divisamenti", come dice la
Scrittura. Tuttavia mediante l'esperienza i singolari infiniti si riducono ad alcune determinate
situazioni che capitano d'ordinario, e la cui conoscenza è sufficiente
per la Saggezza umana»
cosa
significa questo ? Che la Saggezza diversamente dalle
Scienze si basa sulle mie
esperienze di vita e dunque sul
mio irripetibile ed unico percorso... però anche in esso io sono
costretto dalla limitazione della mia mente a “universalizzare” (le
“fattispecie”, le “situazioni tipiche”) e dunque ad espormi al
fallimento, perchè una “fattispecie”, una “situazione tipica”
non mi garantisce nei casi reali che sono individuali …
- Un quesito più
particolare: la Saggezza, oltre che delle conoscenze universali di base
(Intelletto “naturale”) ha veramente bisogno – come abbiamo
affermato appena sopra - delle conoscenze universali più specifiche che
sono le Scienze, e - in
particolare – ha bisogno delle conoscenze
di quella tra le
Scienze che proprio di essa (cioè della Saggezza stessa) si occupa, e
cioè dell'Etica?
Sì e No.
No, in generale, e cioè nella maggior parte delle vicende
della vita...
Sì, nel senso per cui la
Saggezza ha bisogno - in
particolari casi, che variano di continuo ! -
di tutte le Scienze, via via che se ne presenta il
bisogno... non però
come possesso e padronanza delle Scienze stesse , ma solo dei loro
risultati ricevuti da altri che ne hanno possesso e padronanza … della
Dietetica o della Economia o della
Giurisprudenza per
es.... e usa tali risultati come uno tra i tanti “mezzi”
che essa deve cercare, giudicare e comandarsi … ricerca, giudizio,
prescrizione dell'uso dei mezzi opportuni a raggiungere il fine delle
virtù morali... e questo è il compito proprio e continuo della
Saggezza...
Cosa significa questo ? … che per es. in questo Corso di Etica chi ad
esso viene e da esso coglie qualche idea cosa sta facendo? … sta
reperendo – per casi propri della sua vita di ora – alcuni mezzi da
usare tra gli altri per le sue azioni della sua vita morale, per es. perchè nelle vicende a lui/lei ora contingenti
vi sono false idee da confutare e confuse idee da chiarificare... e
deboli da rafforzare... come dire che chi partecipa a un Corso del
genere ha sia lo scopo teoretico (il conoscere fine a sé stesso,
curiosità) sia lo scopo pratico di trovare dei “mezzi”, in questo
caso delle idee...
- alla Saggezza
non spetta di prestabilire i fini delle virtù morali (il “giusto
mezzo cioè medietà nel
campo di sentimenti e delle relazioni”) ma solo indicare i “mezzi”
(qui ”mezzo” non significa “medietà” -
come nella espressione “giusto mezzo” - ma significa
“strumento”) opportuni: “Il
fine appartiene alle virtù morali, non perché esse lo prestabiliscono:
ma perché tendono al fine
prestabilito dall'Intelletto Naturale. E a raggiungerlo sono aiutate
dalla Saggezza , che prepara
loro la via, disponendo i mezzi opportuni. Perciò la Saggezza
è superiore alle virtù morali e le comanda. /.../ sebbene
raggiungere il 'giusto mezzo' sia il fine delle virtù morali, tuttavia codesta
medietà può trovarsi soltanto mediante la retta disposizione dei mezzi
per raggiungere il fine.
/.../ La virtù morale tende al giusto mezzo come vi tende la natura.
Siccome però il giusto mezzo non si presenta identico in tutti i casi,
non basta l'inclinazione della natura, la quale opera sempre allo stesso
modo, ma si richiede la Saggezza [che opera caso per caso].”
Cosa
significa questo ?
1) che l'Intelletto prestabilisca i fini delle
virtù morali ed esso sia una virtù innata ci dice che siamo tutti
esseri umani, accomunati nella stessa Specie (natura) e dunque tutti
abbiamo bisogno per realizzarci degli scopi della umiltà, della
mitezza, della sincerità,
della generosità, della affettuosità etc;
2) che le virtù morali
siano invece acquisite attraverso la ripetizione degli atti ci dice che
siamo “animali sociali” cioè
in quanto “animali” abbiamo un corpo e in quanto “sociali” ci relazioniamo con gli altri, e che nel corpo (da cui
emergono i sentimenti) e nella coabitazione con gli altri esseri umani
(da cui emergono le relazioni) con la ripetizione dei nostri atti
scaviamo come dei “solchi” che sono le virtù (ma anche i vizi)
morali... “solchi”, rafforzamenti approfondimenti del nostro tendere
a quegli scopi che abbiamo tutti noi, ma che non tutti noi ricerchiamo
con la stessa forza e facilità e frequenza e precisione... forza
facilità frequenza precisione dateci dal percorso delle nostre singole
vite in cui abbiano costruito le virtù morali;
3) che la Saggezza stia
solo nel disporre i mezzi opportuni per raggiungere tali scopi ci dice
che quegli scopi non sappiamo come raggiungerli e dunque non sappiamo
neanche dire dove siano (in quali vicende, lavori, situazioni della vita
siano) … devo scoprirlo volta per volta attraverso il continuo
pensiero sul “cercare e trovare e usare i mezzi”, pensiero che è
appunto la Saggezza...
Detto in sintesi con una formula breve: le considerazioni sulla Saggezza
ci parlano di una ricerca
attraverso strade
imprevedibili...
- gli atti della
Saggezza sono tre: 1) la ricerca dei mezzi (“consiglio”) : 2) il
giudicare tra i mezzi quali sono i migliori e quali siano le migliori
modalità di usarli (“perspicacia e buon senso [elasticità]”) ; 3)
nel comandarsi l'uso di essi (“prescrizione”) ... i primi due atti
sono comuni alla virtù
intellettuale pratica chiamata Abilità Tecnica, mentre il terzo è
specifico della Saggezza... Infatti nelle Abilità Tecniche
chi sbaglia volontariamente viene reputato migliore di chi
sbaglia involontariamente, mentre al contrario succede
nella Saggezza... Perciò l'atto
del comando alla volontà è quello più proprio ed
importante della Saggezza...
Cosa significa questo ? Che la Saggezza è un pensiero che passa
all'opera, che si fa per operare e non per “accumulare” cataloghi di
buone idee e di buoni collegamenti tra di esse... No! un pensiero da
“esperimento mentale” o da “riflessione scientifica”, anche se
è riferito ai casi singoli della propria vita non è
sufficiente per diventare saggi ….
- la
proprietà principale della Saggezza è la Sollecitudine/Vigilanza:
« Spiega
Isidoro, che "sollecito suona solers citus (solerte
veloce)"; per il fatto che uno per una certa solerzia dell'animo è
veloce nell'intraprendere le cose da farsi. E
questo è proprio della Saggezza, il cui atto principale è
comandare azioni deliberate e giudicate in precedenza.
Ecco perché il Filosofo ha scritto, che "bisogna eseguire
prontamente quanto si è deliberato, mentre si deve deliberare con
lentezza". E per questo la sollecitudine
appartiene propriamente alla Saggezza.
Ed ecco perché Agostino insegna, che "spetta alla Saggezza far la
guardia con somma vigilanza, perché con l'insinuarsi dei cattivi
consigli un po' per volta non restiamo ingannati".»
Cosa
significa questo ? Beh un po' il contrario del significato di
“Prudenza” (ma anche di “Saggezza”!) oggi usato nel linguaggio
comune, per cui il prudente/saggio sarebbe uno grave serioso lento
isolato distaccato... Aristotele, Isidoro, Agostino e Tommaso al
contrario ci dicono che egli è vigile occhiuto inquieto ricercatore
sperimentatore... ed è
anche attivo veloce operativo decisionista … il suo motto
non è “sono al riparo dai turbamenti della vita
e sono distaccato dai sentimenti e dal coinvolgimento relazionale
con le altre persone !”, ma
il suo motto è “I care!”
Le
parti integranti della Saggezza
- Memoria.
«“l'esperienza
nasce da una somma di ricordi, come spiega Aristotele. Perciò per la
Saggezza si richiede la memoria, o il ricordo di più cose. /.../ la
memoria non si esplica soltanto sulla base della natura, ma molto riceve
dall'arte e dall'industria
personale. Quattro sono gli accorgimenti con i quali l'uomo sviluppa la
propria capacità mnemonica. Primo, rivestendo le cose che vuole
ricordare di immagini adatte, e tuttavia non troppo ordinarie: perché
le cose straordinarie destano in noi più meraviglia, e quindi l'animo
vi si applica con più forza; e da ciò deriva che ricordiamo meglio
quanto abbiamo visto nell'infanzia. E questa ricerca di somiglianze o di
immagini è necessaria, perché
le idee semplici e spirituali svaniscono più facilmente dall'anima, se
non sono legate in qualche modo a delle immagini corporee: poiché
la conoscenza umana è più adatta per le cose sensibili. Ecco perché
la memoria si riscontra nella parte sensitiva. - Secondo, è necessario
che quanto l'uomo vuole tenere a memoria lo disponga ordinatamente nel
suo pensiero, in modo da
passare facilmente da un ricordo ad un altro. Ecco perché il Filosofo
afferma: "Le reminiscenze talora prendono lo spunto dal
luogo; e questo perché
facilmente si passa da un luogo a un altro". - Terzo, è necessario
che uno si applichi con
sollecitudine
e con affetto a
quanto vuol ricordare: poiché più
una cosa è impressa profondamente nell'animo, meno si cancella. Infatti
Cicerone ha scritto nella Retorica, che "la sollecitudine
conserva intatte le immagini delle cose rappresentate". - Quarto, le
cose che ci preme ricordare bisogna ripensarle spesso.
Ecco perché il Filosofo afferma, che "i pensieri assidui salvano
la memoria": poiché, com'egli si esprime, "la consuetudine è
come una seconda natura"; ed ecco perché subito ricordiamo le cose
che spesso abbiamo pensato,
passando dall'una all'altra quasi seguendo un ordine naturale.»
Cosa
significa questo ? … tre cose: 1)
la Saggezza si radica nella mia vita, essa è la mia
Saggezza, la continuità del mio percorso, nelle “lezioni” o
“ferite” o “sfide” o “successi” o “sorprese” di vario
tipo, che ho visto nel paesaggio che ho percorso durante il mio viaggio;
2)
l'esperienza non è Scienza e la memoria di cui si parla è non è la
“memoria intellettuale” ma è la “memoria sensitiva” (
“immagini sensibili” e “sentimenti”, di queste due diverse
memorie Tommaso parla nella Pars Prima)... Esempio di io
adolescente al liceo
appoggiato al termosifone che relaziono ai compagni Sogno di una
notte etc... in questo mio esempio c'è anche una “idea” (di
esperienza!) legata a tale memoria “sensitiva”, ma “idea” che
è “storica”, cioè è mia! ; 3) compare
anche qui la caratteristica principale della Saggezza che è la
Sollecitudine... io devo esser sollecito ad esercitare la mia memoria...
qui Tommaso dice la stessa cosa che mi diceva il dottor De Masi:
“Manni ripensi continuamente agli episodi del sua vita passata!”.
- Intuizione.
«C'è
poi un' intuizione, o intelletto, la quale, a detta di Aristotele, ha
per oggetto un "termine",
cioè un primo dato singolare e contingente da compiere, vale a
dire la minore del sillogismo, che nel processo razionale della
Saggezza deve essere
singolare, come abbiamo detto. Questo primo dato concreto o
singolare è un fine particolare, come nota lo stesso Aristotele.
Perciò l'intelletto che
troviamo tra le parti della Saggezza è il giusto apprezzamento di un
fine particolare.»
cosa
significa ? … (esempio del dare ascolto alla persona ghettizzata in un
gruppo in ci sono anche io)...la “intuizione” è come la
consapevolezza di esser attore nella vita... quello quella massima
universale di giustizia che
ho sentito nei racconti e sui libri ora si incarna sotto i miei occhi...
svegliati ! è qui e ora … sei protagonista e non solo ascoltatore
della storia!
- Docilità.
«La
Saggezza, come abbiamo detto, ha di mira le azioni particolari da
compiere. E poiché queste sono quasi infinitamente varie, non è
possibile che un uomo possa considerarle in tutti i loro aspetti, e in
pochi momenti, ma si richiede molto tempo. Perciò specialmente nelle
cose relative alla Saggezza l'uomo ha bisogno di essere istruito da
altri: ecco perché il Filosofo afferma: "Bisogna por mente alle
osservazioni ed opinioni indimostrate degli uomini esperti e
vecchi ; poiché l'esperienza fa loro scorgere i principi".
Ora, il fatto che uno è ben disposto a farsi istruire appartiene alla
docilità, la quale con frequenza e riverenza applica il proprio spirito
agli insegnamenti dei Maggiori, senza trascurarli per pigrizia, e senza
disprezzarli per superbia.»
cosa
significa ? … che siamo legati da vicende comuni (i ritmi della
vita biologica, i riti sociali, etc): la storia della mia vita è una
cellula della Storia Interpersonale....
È vero che ciò che mi capita mi capita come cosa unica e
nuova... MA questa unicità non nasce dal niente, bensì da una Storia:
l'altro che con docilità ascolto è colui che ha percorso un tratto
della Storia e mi dice: “Franco, io sono arrivato – riguardo a
questo problema della vita – fino a questo punto e te lo racconto...
vedi tu – su questo problema - cosa puoi fare ancora di più o di
diverso...!”
Attenti dunque! La Docilità non è né sottomissione (sono costretto ad
ascoltare!) né inerzia passiva (ah, il “lavoro di vivere”
lo fa lui/lei/loro!), sottomissione e inerzia
che non fanno imparare dalle esperienze altrui qualcosa di utile
per sé stessi... ma, come la ho appena descritta nella mia frase, è un
“prendere il testimone” di chi ha già vissuto l'avventura nella
Storia, e verso cui si ha fiducia, simpatia, pietas e solidarietà...
- Solerzia.
“la
giusta valutazione si acquista in due maniere: primo, scoprendo le cose
da se stessi; secondo, imparandole da altri. Ora, come la docilità ha
il compito di ben disporci nell'acquisto della retta opinione da
altri; così la solerzia ha il compito di ben disporci ad
acquistare la retta valutazione
da noi stessi. La solerzia è una disposizione con la quale all'improvviso uno – con
rapida congettura - scopre ciò che conviene. Uno, p. es., vedendo che
alcuni sono diventati amici, subito sospetta che siano nemici della medesima persona, come nota
Aristotele.”
cosa
significa ? Che siccome
siamo Attori nella Storia per quanto - come analisti e critici in una
nostra cogitazione su ciò che dobbiamo fare siamo “lenti” – ecco
che la necessità di agire nel krònos kairòs (il momento
opportuno che non aspetta le nostre cogitazioni) ci porta a fare una
congettura rapida per agire subito... potremo, poi, nel caso di errore,
“popperianamente” correggerla, ma – intanto – dobbiamo farla!...
il saggio non è il beota inerte lento, ma colui che sa comandarsi di
agire subito al momento opportuno
- Forza Logica.
«A
detta del Filosofo, “compito della persona prudente è ben deliberare". Ora, la deliberazione è una ricerca
che partendo da certi dati si volge verso altri. E questo è compito
della ragione [coerenza logica]. Perciò per la Saggezza si
richiede che l'uomo sia capace di ben raziocinare. Ora, le azioni
particolari, sottoposte alla guida della Saggezza, si allontanano
in modo particolare dalla condizione delle cose intelligibili: e
tanto maggiormente, quanto
più sono incerte e indeterminate. Perciò sebbene nelle altre virtù
intellettuali la coerenza logica sia più certa che nella Saggezza,
tuttavia per la Saggezza specialmente si richiede che l'uomo sia capace
di ben raziocinare, in modo da poter applicare a dovere i principi
universali alle cose particolari, che sono varie ed incerte.»
cosa significa ? È come una iniezione di fiducia: per capire cose della
vita morale non devi pensare di dover buttare al mare quella logica che
ti aiuta nella scienze e nelle tecniche... per es. se hai già visto che
una persona fa la “aiutante altruista” verso le magagne altrui non
per bontà ma per coprire le proprie magagne, quando la vedi ora fare
una cosa del genere non sentirti confuso e in colpa ma sappi cosa
pensare di lei e cosa dirle...
- Progettazione
Responsabile.
“alla
Saggezza umana sono soggette soltanto le azioni contingenti, che l'uomo
può compiere per un fine.
Ora, le azioni passate hanno già raggiunto una certa necessità: perché ormai è impossibile che
quanto è stato fatto non sia. Così pure le cose presenti hanno
anch'esse una necessità in quanto tali: infatti
mentre Socrate siede è necessario che sieda. Perciò
appartengono alla Saggezza
i soli atti contingenti futuri, in quanto sono ordinabili dall'uomo al
fine della vita umana. Ebbene nel termine previdenza
sono indicate queste due
cose: infatti la previdenza implica rapporto con qualche cosa di
distante, a cui devono essere ordinate le cose che capitano al
presente.”
cosa
significa ? La “previdenza” non una “previsione” del futuro (il
quale è inconoscibile e
dipenderà da infinite cause che sfuggono alla mia azione),
ma è un “progetto responsabile” : se
agisco così e così devo aspettarmi delle conseguenze , devo pensare
ad esse... non dovranno “stupirmi” e io cascare dalle nuvole quando
queste conseguenze ci saranno e – impreparato ad affrontarle
- io stare a
fuggirle e rinnegare così la mia azione stessa... non sarei
“responsabile delle mie azioni”,
cioè non sarei capace di ammettere di avere sbagliato, di
correggermi e di migliorarmi...
- Aderire alle
Circostanze.
“siccome
la Saggezza, e lo abbiamo già spiegato,
ha per oggetto le azioni particolari da compiere, in cui
concorrono molte cose, può
capitare che un'azione considerata in se stessa sia buona e proporzionata al fine, e tuttavia venga resa cattiva e
non indicata per il fine a motivo
degli elementi che vi concorrono. Mostrare ad uno, p. es., dei segni
di affetto, di suo è fatto per averne l'amore; ma se l'animo di
costui è prevenuto dalla superbia o dal sospetto di essere adulato,
questo non potrà giovare allo scopo. Perciò per la Saggezza si
richiede la circospezione: in modo che uno, nell'ordinare una cosa al
suo fine, tenga presente anche le circostanze”
cosa
significa ? È la flessibilità a riveder i propri piani... io (in altre
circostanze) avrei fatto così, MA: ecco! Vedo che queste
circostanze sono diverse, e, dunque, devo fare altrimenti... è come
abituarsi a sapere che non ci si può basare solo sul
proprio piano/progetto, ma che bisogna aderire alla realtà
presente qui e ora (è il simbolo del Serpente nella Tradizione
Iconografica!) … la Circospezione è un invito alla modestia contro la
presunzione facilona del pensare di avere capito già tutto... ma è
anche una “consolazione” come appare proprio nell'esempio portato da
Tommaso: capire che in queste circostanze il mio affetto non può esser
ricambiato, getta il peso del fallimento sulle circostanze e non su di
me (né sull'importanza dell'Amore che volevo esprimere con quel mio
gesto di affettuosità)
- Pessimismo Realistico
(“Cautela”). “Le cose di cui si
occupa la Saggezza sono le azioni contingenti eseguibili, nelle quali può
esserci mescolanza di bene e di male come di vero
e di falso, per la varietà di codeste operazioni, in cui spesso
il bene è impedito dal
male, e il male può avere l'aspetto di bene. Perciò la Saggezza
deve armarsi di cautela, in modo da cogliere il bene, evitando il
male. In morale la cautela è necessaria
non per guardarsi dagli atti di virtù: ma per cautelarsi da ciò
che potrebbe impedire codesti atti. Perseguire il bene e premunirsi dal
male contrario parte dallo stesso principio nella
azione di chi agisce [e delle
conseguenze di propri errori deve farsi carico responsabilmente
l'agente] . Ma evitare certi ostacoli esterni
appartiene a un'altra funzione. Ecco
perché la cautela è distinta dalla previdenza”
cosa
significa ? se essere Responsabile (previdente) significa tener conto del male che può scaturire dalle
mie azioni, esser Cauto significa invece che - indipendentemente dalle mie azioni - il Male esiste già
nel mondo... che vi sono realtà cattive già presenti ed operanti e
indipendenti da me che ostacolano al bene che io vorrei... tener conto
di questo da una parte mi fa modificare con precauzioni la mia azione in
base alle “fattispecie”tipiche di mali che la mia ragione riesce a
catalogare, e d'altra parte per quei Mali anche gravi anche molto gravi
anche mortali di cui nessun “catalogo di fattispecie” può
avvertirmi, io avrò già quel “pessimismo
realistico” e non illuso sulla imperfezione
della giustizia umana, sui limiti delle persone, sulla durezza e
difficoltà della vita …
quel pessimismo realistico che
impedirà lo sconcerto, modererà
la mia tristezza, eviterà la disperazione...
La Cautela ci fa pensare – anche ! - a Socrate e a Gesù ! Cioè al
Dramma e anche Tragedia della vita degli esseri umani: fare il bene
(seguire le VC) non porta subito e prevalentemente al riconoscimento
grato e ammirato e amoroso degli altri esseri umani, piuttosto porta
subito e prevalentemente all'invidia, alla
paura di veder ostacolate le proprie prepotenze, all'odio
ideologico e all'odio personale e dunque poi alla calunnia, e alla
persecuzione anche estrema...
La Cautela non ci dice che il
saggio eviterà i pericoli e i mali...
ma piuttosto che egli deve
cercare di fare azioni morali (attraverso la sua Saggezza) nonostante sappia
che Pericoli e Mali ci sono e ci saranno, anche estremamente gravi...
Le
parti soggettive della Saggezza
- Individuale
- Familiare ed Economica
- Politica di chi governa
- Politica di chi è governato
- Militare
Le
parti potenziali della Saggezza
- Consiglio
(ricerca/analisi/discussione)
- Giudizio (perspicacia ed
elastico buon senso)
- Comando (prescriversi di
passare all'azione) … questo terzo atto è quello principale e
caratteristico della Saggezza... cioè il saggio non è in primo
luogo chi è capace di ricordare, osservare e fare collegamenti tra le esperienze della vita (“Consiglio”) , e non è
neanche in primo luogo colui che ha la intuizione sicura di ciò che è
più giusto fare qui ed ora (“Giudizio”) , ma il saggio è in primo
luogo colui che è abituato per diuturna pratica a mettere
in pratica ciò che ha pensato (“Comando”) ...a
esser attivo, a sperimentarsi Attore e non solo Spettatore
della vita, abituato a capire in profondità che non è possibile essere
solamente e neanche
prevalentemente spettatori della vita...
I
vizi opposti alla Saggezza per
contrapposizione
- Imprudenza.”L'imprudenza
può essere concepita in due maniere: come
Privazione, e come Vizio Contrario alla Saggezza. -
( Infatti come semplice Negazione il termine sarebbe improprio, ché allora verrebbe a
indicare la sola inesistenza
della virtù: e tale imprudenza può essere senza peccato, come
accade nei giovani, i quali
per necessità naturale non hanno la Saggezza).
Invece si parla d'imprudenza in senso Privativo,
quando uno manca di quella Saggezza che
può e deve avere. E allora l'imprudenza è peccato a motivo
della Negligenza, con cui si trascura l'impegno per acquistare la
Saggezza.
Si parla finalmente dell'imprudenza di Contrarietà, quando la
ragione procede o agisce al contrario della Saggezza. Se, p. es., la
retta ragione agisce consigliandosi, l'imprudente disprezza il
consiglio: e così per tutte le altre funzioni da osservarsi nell'atto
della Saggezza”
Le specie della Imprudenza sono: Precipitazione, Inconsiderazione,
Incostanza.
1) Precipitazione. Si oppone all'atto della ricerca/analisi e va
contro a: memoria, intuizione, docilità,
solerzia, logica.
2) Inconsiderazione. Si oppone all'atto del giudizio e va contro
a: perspicacia e elasticità.
3) Incostanza. Si oppone all'atto del comando: “ si
dice infatti che uno è incostante, perché la sua ragione manca nel
comandare le azioni deliberate e giudicate.”
cosa significa ? Che contrastare la Saggezza significa avere una
Ideologia di Disprezzo e Odio verso essa e tutte i singoli aspetti di
essa che abbiamo visto sopra... Potremmo – come esercizio - fare una
serie di esempi tratti dalle nostre vite in cui si possano veder tali
“Disprezzo e Odio” contro i singoli aspetti: attenta ricerca, ascolto docile, responsabilità, circospezione, etc.
e siccome il Comando è l'atto più proprio e importante della Saggezza,
allora l'Incostanza è il vizio più grave contrario ad essa: cioè il
non vedermi come Attore nella vita!.. sì, ho le mie esperienze, le mie
opinioni e valutazioni ma, poi, penso che sia “giusto” che agiscano
gli altri !: i genitori, i professori, il capoufficio, i colleghi, i
politici, lo Stato, i preti, i santi, gli eroi.... Io no!
l'origine di questi vizi è nella Lussuria: «A
detta del Filosofo, "il piacere corrompe il giudizio della
Saggezza", e specialmente il piacere venereo, il quale assorbe
tutta l'anima e la trascina al piacere sensibile. L'Invidia e l'Ira
causano l'Incostanza,
trascinando altrove la ragione; ma la Lussuria la produce estinguendo
del tutto il giudizio. Ecco perché il Filosofo scriveva, che "chi
non sa frenare la collera ascolta la ragione, anche se imperfettamente;
chi invece non sa frenare la concupiscenza non l'ascolta affatto".
Anche la doppiezza d'animo è un effetto della Lussuria, come
l'Incostanza, in quanto codesta doppiezza implica la disposizione
dell'animo a volgersi verso cose contrarie. Ecco perché Terenzio scriveva,
che "nell'amore si alternano
la guerra e la pace, e quindi la tregua". »
- Negligenza.
“I
peccati commessi per Negligenza sono distinti da quelli
commessi per Disprezzo. La negligenza dice Mancanza della debita
Sollecitudine. La negligenza riguarda l'atto del comandare, come del
resto la sollecitudine. Tuttavia rispetto a codesto atto il Negligente
manca in maniera diversa dall'Incostante. Infatti l'Incostante manca nel
comandare quasi frastornato da altre cose; invece il Negligente pecca
per mancanza di prontezza di volontà.”
cosa
significa ? È come dire che l'Incostante non diventa Attore nelle virtù
morali perchè è attratto da Cose Esterne (i piaceri, le ricchezze, gli
onori, il potere) che gli fanno disprezzare il proprio agire nel campo
morale; invece il Negligente non diventa Attore nelle virtù morali
perchè è troppo indulgente verso sé stesso, è troppo
“simpatico” a sé stesso e si “coccola” con stupidità,
privilegia sé stesso in maniera ingiusta... si illude di essere vitale
anche se non fa gli atti della vita... ci pensa su e ne è spettatore,
ma non li fa...
I
vizi opposti alla Saggezza per
falsa somiglianza
- nei vizi della sezione appena trattata vediamo
come dire quelle persone che possiamo chiamare
i “falliti”.... coloro che dall'esterno, dalla società sono
giudicati fallire nei fini sociali accettati dai più... per
precipitazione, ottusità, incostanza o negligenza...
Invece in questa sezione trattiamo dei vizi di coloro che “hanno
successo”... i Tronchetti-Provera, i Lenin, i D'Alema (cerco di
esemplificare) … quei “borghesi benestanti e longevi” dipinti da
tanti romanzi tra XIX e XX secolo... Tommaso li chiama “saggi nella
carne” e “astuti”: “La Saggezza è la
retta ragione delle azioni da compiere, come la scienza è la retta
ragione delle cose da conoscere. Ora, in campo
speculativo si può sbagliare in due modi contro la rettitudine
della scienza: primo, per
il fatto che la ragione viene indotta a una conclusione falsa
apparentemente vera; secondo, per il fatto che la ragione si
serve di argomenti falsi ma apparentemente veri, per giungere a
conclusioni, o vere, o
false.
E quindi può esserci un doppio
peccato contro la Saggezza, che ne riveste le apparenze.
Il primo dipende dal fatto che la ragione indirizza la sua attività ad
un fine che non è buono in realtà, ma solo all'apparenza; e questo
costituisce la Saggezza
della Carne.
Il secondo dipende dal fatto che uno per conseguire il proprio fine,
buono o cattivo che sia, si serve non delle vie sincere, ma di quelle
simulate e finte: e questo costituisce il peccato di
Astuzia. Perciò si tratta di
un peccato opposto alla Saggezza, distinto dalla Saggezza della
carne.”
cosa
significa ? … qui si apre uno scenario ampio e difficile... se il
“successo” non è garanzia di moralità allora la moralità a cosa
serve ?.... serve alla Felicità
(il Sommo Bene) dice la filosofia... ma allora abbiamo questi due
problemi: si può avere successo senza moralità (felicità)? E si può
avere moralità (felicità) senza successo ?... qui il tema specifico
della Saggezza di allarga verso i temi fondamentali di tutta l'Etica (il
fine ultimo delle azioni
umane) ...e dunque verso l'Antropologia (cosa è l'Uomo? Quale è il suo
ruolo nel Tutto?) … e
verso la Metafisica (cosa è il Tutto?)...
- Saggezza della Carne.
«La Saggezza, come abbiamo visto, ha per oggetto i mezzi
ordinati al fine di tutta la vita umana. Perciò per Saggezza
della Carne s'intende
propriamente quella di colui che considera i beni della carne come il
fine ultimo della propria vita. Ora, è evidente che questo è peccato:
perché distoglie l'uomo dall'ultimo fine, che non consiste nei beni del
corpo. La sollecitudine dice impegno per raggiungere una data cosa. Ora,
è evidente che l'impegno è proporzionato al timore di non farcela: e
quindi, se c'è la sicurezza di raggiungere lo scopo, la sollecitudine
è minima. Perciò la
sollecitudine per le cose temporali può essere illecita per due
motivi.
Primo: la sollecitudine per le cose temporali può essere illecita per
l'impegno
eccessivo che si mette nel
procurare codeste cose, trascurando così quelle spirituali, cui l'uomo
deve principalmente attendere. Perciò nel Vangelo si legge che "la
sollecitudine del mondo soffoca la parola di Dio".
Cosa
significa ? … utile la applicazione che gli psicanalisti di oggi fanno
del concetto di “Superio”: una sottomissione a ideologie di
“altri” che assorbono le energie e il tempo della vita personale,
nel mentre ci si “dedica” ad esse si smarriscono i propri scopi
personali, non si perseguono più i propri ideali più intimi, legati
alle caratteristiche più intime della propria individualità...
«Secondo, per l'eccessivo timore:
cioè quando uno ha paura che gli venga a
mancare il necessario, facendo il proprio dovere. Sentimento che
il Signore esclude insistendo
sulla divina provvidenza, la cui ignoranza provoca nei pagani una
sollecitudine eccessiva per la ricerca dei beni temporali. E
quindi conclude che la nostra principale sollecitudine deve essere per i
beni spirituali, nella speranza che facendo il nostro dovere, ci
verranno concessi anche i beni temporali.
»
cosa
significa ? Indica come il rischio di vivere in maniera sbilanciata
rispetto alla nostra stessa natura umana che è fatta sia per i
beni “temporali” sia per i
“spirituali”, ma secondo una certa gerarchia ...e dunque
indica il rischio di una vita monca, mutila, molto incompleta... e anche
impaurita e affannosa... soprattutto per il futuro :
«A
ciascun tempo infatti
appartiene la propria sollecitudine, o preoccupazione: all'estate si
addice la preoccupazione del mietere, all'autunno quella della
vendemmia. Perciò se in estate uno già fosse preoccupato della
vendemmia, anticiperebbe senza
motivo la preoccupazione per il futuro. Ecco perché il Signore
proibisce codesta preoccupazione come eccessiva, dicendo:
"Non siate solleciti per il domani". E aggiunge: "Poiché
il domani sarà sollecito di se stesso", avrà cioè la propria
sollecitudine, che basterà per affliggere l'animo.
Di qui la conclusione: "A ciascun giorno basta il suo
affanno", cioè l'affanno della preoccupazione. »
cosa
significa ? La preoccupazione per il futuro è un aspetto di quel
“Superio” di cui dicevo prima: invece il badare al presente
significa “stare a contatto” con la propria personalità, coi propri
sentimenti più individuali, senza “consegnarsi” a ideologie
generiche, standard “altrui”
- Astuzia.
“L'astuzia può portare a deliberare sia per un fine buono sia per un
fine cattivo: però si deve arrivare a un fine buono non con vie false e
ingannevoli, ma sincere.
Perciò l'astuzia è peccato, anche se è ordinata a un fine buono. La
messa in opera dell'astuzia per ingannare ricorre in maniera primaria e
principale alla parola, che tiene il primo posto tra i segni con i quali
l'uomo indica qualche cosa agli altri, come nota Agostino. Ecco perché
l'inganno viene attribuito specialmente alla parola. ”
cosa significa ?... che la cosiddetta “pia fraus”, cioè
l'inganno per un fine ritenuto buono dall'ingannatore è in realtà anch'esso un male... perchè corrompe la mutua fiducia nello strumento più
proprio della natura (razionale e sociale) dell'uomo, la parola... per
es. il “buon”
consigliere che con ragionamenti abili ed efficaci convincesse una
persona a non
fare azioni illecite – tipo evadere le tasse o
fare le scarpe a un collega -
dimostrandogli che tali azioni sarebbero facilmente scoperte e probabilmente fallirebbero,
mentre invece dentro di sé pensa che al contrario probabilmente esse
riuscirebbero... ecco: questo consigliere distoglierebbe
in effetti quella persona dal compiere la azione illecita... ma,
ingannandola nell'esame della realtà, indebolirebbe
in lei (anche se lei non ne è consapevole!) la forza del
pensiero e la fiducia nella sincerità...
se poi guardiamo all'astuzia direttamente volta a fare il male, si può
fare questa osservazione: “Tutti quelli che
vogliono compiere del male sono costretti a escogitare delle vie per
soddisfare il loro proposito: e per lo più escogitano vie ingannatrici,
con le quali è più facile raggiungere lo scopo. Sebbene capiti che
talora alcuni compiono il male, senza astuzia e senza inganno, ma
apertamente con la violenza. Questo però, essendo più difficile,
avviene in pochi casi.”
cosa
significa ? Beh... ci ammonisce a svegliarci, a non seguire i luoghi
comuni dei media e delle chiacchiere in cui la violenza fisica sembra
esser la causa principale se non l'unica dei Mali della Società... la
rapina, lo stupro, la violenza verso i minori... quando invece sono
molto più pervasivi gli inganni... i bambini o i lavoratori o una
fidanzata possono impazzire o anche suicidarsi per il terrorismo
psicologico, il mobbing, i falsi in bilancio... anche se l'osservatore
superficiale si stupisce e
dice che “andava tutto bene” perchè non vede traccia di una
antecedente violenza fisica...consiglio di veder il recentissimo film
canadese Monsieur Lazhar che illustra i pericoli di questo “buonismo”,
cieco verso i mali psicologici e spaventato invece solo dai presunti
mali fisici...
- l'origine
di
questi di questi due vizi ( Saggezza della Carne e Astuzia) è nella
Avidità. “la Saggezza della Carne e l'Astuzia hanno
una certa somiglianza con la Saggezza in quanto fanno uso della ragione.
Ora, tra tutte le virtù morali l'uso della ragione è più evidente
nella Giustizia, che risiede nell'appetito razionale. Perciò l'uso
disordinato della ragione è sommamente evidente nei vizi che si
oppongono alla Giustizia. Ma a questa si oppone specialmente l'Avidità.
Mentre la Lussuria per la forza del
piacere e della concupiscenza opprime totalmente la ragione,
impedendole di passare all'atto, invece nei vizi suddetti c'è
un un certo qual uso della ragione,
anche se disordinato. Perciò quei vizi non nascono direttamente dalla
Lussuria, ma specificamente dalla Avidità.”
cosa
significa ?...un collegamento (la “connessione tra le virtù”!) con
la Giustizia … se questa manca non si può essere saggi... la sua
mancanza nella Avidità è analizzata dettagliatamente da Tommaso
appunto nel trattato sulla Giustizia... qui cosa si può osservare ? Che
l'eccessivo attaccamento ai beni materiali rimanda alle variegate
discussioni sul Produttivismo e sul Consumismo cui nella nostra
epoca siamo abituati... Produttivismo e Consumismo come cause della
Non-Saggezza di tante
vite... che possono - dall'esterno e superficialmente
- esser considerate
“di successo” ma che per superlavoro, frodi finanziarie, avarizia,
fascinazione per le merci e gli acquisti, patologica preoccupazione per
la sicurezza del benessere futuro, etc possono perdersi … col
perdere le amicizie, la
cultura, la salute, la conoscenza di sé stessi...
Giustizia
- nella Tradizione
Occidentale dal Basso Medio Evo in poi, troviamo svariati
Simboli Iconografici della Giustizia : 1) la Bilancia
della G. commutativa (“tanto, quanto”, senza disuguaglianza) ; 2) la
Benda
della G. distributiva (“a ciascuno il suo”, senza parzialità)
; 3) la Spada
(il potere della autorità); 4) il Caduceo
( emblema del dio Ermes e del medico Esculapio, una bacchetta intorno
alla quale si attorcigliano a spirale due serpenti, di cui uno benefico
e uno malefico: ha il potere di ristabilire l'equilibrio tra le due
forze opposte) ; 5) lo Struzzo
( per la lentezza e la tenacia della sua digestione, simbolo della
pazienza nel giudizio); 6) il Gallo
(simbolo della Verità che si spera assista i giudizi umani) ; 7) il Fascio
Littorio (simbolo della pazienza nel giudizio: prima
di usare la scure bisogna togliere una a una le verghe attorno ad essa).
La Giustizia in sé stessa
·
Cosa è .
«Come
afferma Cicerone, "gli uomini si dicono buoni specialmente per
la Giustizia”. E la Giustizia
è “l'abito mediante il quale si
dà a ciascuno il suo con volere costante e perenne". E questa
definizione coincide con quella che dà il Filosofo nell'Etica»
che
significa? .. che gli uomini sono buoni soprattutto per come si comportano
con le altre persone e non per i propri sentimenti interiori...
È la scelta di un “tipo”
particolare di etica… tipo che possiamo
chiamare Occidentale, non Orientale...
- la
Giustizia è sempre verso le altre persone.
«Cicerone
afferma che "costitutivo" della Giustizia è "ciò
che forma la società degli uomini tra loro, e la comunanza di
vita". Perciò la Giustizia è solo per i doveri verso gli altri.
Materia di una virtù morale, definita dal Filosofo come retta ragione,
sono tutte le cose che dalla ragione possono essere regolate. Ora, dalla
ragione possono essere regolate, sia i sentimenti dell'anima, sia gli
atti esterni, sia le cose esteriori soggette all'uso dell'uomo: mentre
però l'ordinamento di un uomo ad un altro avviene mediante gli atti
esterni e le cose esteriori, l'uomo viene regolato in se stesso in
rapporto ai sentimenti interiori. Perciò, siccome la Giustizia dice
ordine ad altri, non abbraccia tutta la materia delle virtù morali, ma
soltanto le cose e le azioni esterne, sotto una
particolare ragione oggettiva, cioè in quanto un uomo con esse
entra in relazione con
altri. »
e
verso sé stessi ? «in
senso figurato
si possono considerare i diversi principi operativi di un medesimo uomo,
p. es., la ragione,
l'irascibile e il concupiscibile, come fossero altrettante
“persone”, cioè soggetti operativi distinti. Ecco perché
metaforicamente si può parlare della Giustizia di
un uomo verso sè stesso, in quanto la ragione comanda
all'irascibile e al concupiscibile,
e in quanto essi obbediscono alla ragione, e genericamente in quanto ad ogni facoltà umana viene attribuito ciò che
le conviene. Non per nulla
il Filosofo chiama "metaforica" questa Giustizia.»
cosa
significa? A me suggerisce la teoria del Freudismo, e cioè l'analisi
del mondo interiore nella Personificazione delle “parti interne”
della personalità (Io, Es, Superio, Oggetti interni)
- Volontà,
non Sentimenti . «SEMBRA che la
Giustizia abbia per oggetto i sentimenti. Infatti:il Filosofo ha
scritto, che "le virtù morali riguardano piaceri e tristezze. Ora
piaceri e tristezze sono sentimenti, come abbiamo visto sopra nel
trattato dei sentimenti. Perciò la Giustizia, essendo una virtù
morale, ha per oggetto i sentimenti.
MA : esistono due tipi di appetito: c'è la volontà, che appartiene
alla ragione; e c'è l'appetito sensitivo che segue alla percezione
sensitiva dei sensi, e che si divide in irascibile e concupiscibile.
Ebbene, rendere a ciascuno il suo non può derivare dall'appetito
sensitivo: perché
la conoscenza sensitiva non può estendersi a considerare il rapporto di
un soggetto con un altro, ma questo è proprio della ragione.
Perciò la Giustizia non può risiedere nell'irascibile, o nel
concupiscibile, ma soltanto nella volontà. La giusta soluzione del
quesito risulta evidente da due argomenti. Primo, partendo dal subietto
della Giustizia, che è la volontà, i cui moti o atti non sono
sentimenti, come sopra abbiamo visto; ché sentimenti si denominano
soltanto i moti dell'appetito sensitivo. Perciò la Giustizia non ha
per oggetto i sentimenti come la Temperanza e la Fortezza, le
quali risiedono invece nell'irascibile e nel concupiscibile.
Secondo, partendo dalla materia. Poiché la Giustizia riguarda i
doveri verso gli altri. Ora, noi non veniamo ordinati immediatamente verso
gli altri dai sentimenti che sono interni. Perciò la Giustizia non
ha per oggetto i sentimenti.»
Che
significa? Che nell'uomo l'inizio della sua riforma (correzione, cura,
guarigione) sta nell'osservare le sue distorsioni relazionali e nel
cominciare a mutarle... in un contesto di relazioni interpersonali
distorte, sarebbe impossibile avere, per es, una vera Temperanza
nel campo di quel particolare piacere che deriva dall'ira o una vera
Fortezza nel resistere a una prepotenza... es. delle comunità di
recupero dalle tossicodipendenze... mio esempio del 1988: cambiamento di
frequentazione dai “colleghi” all'Esagono e al Gruppo Orizzonti...
«Le azioni esterne stanno di mezzo, in qualche modo, tra le cose
esterne, che ne costituiscono la materia, e i sentimenti interiori, che
ne sono i principi. Ora, capita qualche volta che ci sia mancanza da un
lato, senza che vi sia dall'altro: come quando uno, p. es., toglie la
roba altrui non per il desiderio di possederla, ma per fare un danno;
oppure, al contrario, quando uno desidera
la roba altrui, che però non intende rubare. Perciò la guida
regolata delle nostre azioni in quanto queste hanno il loro termine
nelle cose esterne, appartiene alla Giustizia: ma in quanto nascono dai
sentimenti appartiene alle altre virtù morali, che hanno per oggetto i
sentimenti. Perciò il furto è contrastato dalla Giustizia, perché
incompatibile con l'uguaglianza da
rispettare nelle cose esterne: e dalla Generosità in quanto esso
deriva dal desiderio smodato delle ricchezze. Siccome però le azioni
esterne non ricevono la specie dai sentimenti interiori, ma piuttosto
dalle cose esterne che ne sono l'oggetto, di suo le azioni esterne sono
più materia di Giustizia che delle altre virtù morali.
Cosa
significa ? Come sia utile cominciare dalla Giustizia cioè dal
“necessario” anche se poi non è “sufficiente” fermarsi ad essa,
altrimenti escludendo l'analisi del proprio mondo interiore sentimentale
la Giustizia apparirebbe come una posticcia costrizione... e essa
sarebbe o non attuata o non mantenuta...
«D'ALTRA PARTE : Non è detto che qualsiasi virtù morale riguardi i
piaceri e le tristezze come propria materia: infatti la Fortezza ha per
oggetto timori ed audacie. Ogni virtù morale è invece ordinata al
piacere e alla tristezza come a scopi concomitanti: poiché, a detta del
Filosofo, "piacere e tristezza sono il fine principale in vista del
quale consideriamo ciascuna cosa buona, o cattiva". E sotto questo
aspetto essi appartengono anche alla Giustizia: poiché, a detta di
Aristotele, "chi non gode delle azioni giuste non è giusto".»
cosa
significa ? Che un piacere derivante da un atto giusto nelle relazioni
ci avverte che questa Giustizia è nostra (nostra “volontà”)
e non imitazione/sottomissione a norme e modelli altrui...
- Oggettività
. "La Giustizia è quella virtù che dà
a ciascuno il suo, che non
esige l'altrui, e che sacrifica il proprio vantaggio per
il bene comune. Materia della Giustizia, come abbiamo detto, sono
le azioni esterne in quanto esse - o le cose di cui ci serviamo con esse
- sono adeguate ad altri
individui verso i quali siamo ordinati mediante la Giustizia. Ora, si
dice proprio di ciascun
individuo ciò che a lui è dovuto secondo una certa uguaglianza di
rapporti. Perciò l'atto specifico della Giustizia non consiste in altro
che nel rendere a ciascuno il suo.”
cosa
significa ? … a me parla
della “oggettività” delle nostre vite individuali, una oggettività
che si capisce nel vederle tasselli di un soggetto organico
interpersonale... ciascuno di noi ha una missione in quanto svolge una
funzione, e svolge una funzione in quanto ha una collocazione
specializzata nella comunità umana... siamo chiamati ad “uscire” e
a capire quel sia tale nostra missione
nella comunità...
- Fondamentalità.
«SEMBRA
che la Giustizia non sia superiore a tutte le virtù morali. Infatti: 1)
La Giustizia ha il compito di rendere a ciascuno il suo. La Generosità
invece ha quello di dare
del proprio, il che esige maggiore virtù. Dunque la Generosità è una
virtù superiore alla Giustizia. Inoltre : 2) Come Aristotele ricorda,
la virtù ha per oggetto "il difficile" e "il bene".
Ma la Fortezza ha di mira cose più difficili che non la Giustizia, cioè
"i pericoli di morte", secondo l'espressione aristotelica.
Quindi la Fortezza è superiore alla Giustizia.
MA: La Giustizia è
la più nobile
fra tutte le virtù morali: poiché il bene comune è superiore al bene
particolare di un individuo. Di qui l'affermazione di Aristotele
nell'Etica, che "la Giustizia è la più eccellente delle virtù, e
né la stella della sera né quella del
mattino sono così ammirabili". Infatti le altre virtù
vengono lodate solo per il
bene della persona virtuosa. La Giustizia invece è lodevole anche per
il fatto che la persona virtuosa è ben ordinata nei rapporti con gli
altri: e quindi in qualche modo la Giustizia è un bene altrui, come
nota Aristotele.
E PERCIO' :
1) Sebbene la Generosità “giusta”
dia solo del proprio,
tuttavia lo fa mirando al bene della propria virtù. La Giustizia invece
dà ad altri ciò che loro appartiene, mirando al bene comune.
Inoltre l'atto della Generosità deve fondarsi sull'atto della
Giustizia: infatti, come nota Aristotele, "non sarebbe una
donazione generosa , se uno non desse del proprio". Perciò la
Generosità non potrebbe esistere senza la Giustizia, la quale
stabilisce ciò che appartiene a ciascuno. Invece la Giustizia può
esistere anche senza Generosità.
Quindi la Giustizia di per sé è superiore alla Generosità, perché più
comune e fondamento di essa: tuttavia la Generosità è superiore
secundum quid, essendo come una rifinitura della Giustizia, e un
complemento di essa.
2) La Fortezza ha per
oggetto cose più difficili, non già più eccellenti, essendo essa utile soltanto in guerra: invece la Giustizia è
utile in pace e in guerra.»
cosa
significa ? È un richiamo a questo “tipo” di etica, non
sentimentalistica … altre etiche invece valuterebbero maggiormente
Generosità e Fortezza in quanto valutano soprattutto i sentimenti e le
virtù che li regolano... a me come
insegnante vengono in mente molti esempi di “Generosità” non
giuste nella scuola... e come uomo di “Fortezze” non virtuose negli
sport...
cioè pseudo-generosità e pseudo-fortezze, non vere virtù perchè ad
esse manca la Giustizia!
Le due giustizie
- Commutativa
e Distributiva . “La Giustizia
è ordinata alle singole
persone, le quali stanno alla collettività come le parti al tutto. Ora,
verso le parti si possono considerare due tipi di rapporti. Il primo è
quello di una parte con l'altra: e ad esso somiglia quello di una
persona privata con un'altra. E codesti rapporti sono guidati dalla
Giustizia commutativa, la quale abbraccia i doveri reciproci esistenti
tra due persone. Il secondo tipo di rapporti considera il tutto in
ordine alle parti: e a codesti rapporti somigliano quelli esistenti tra
la collettività e le singole persone. E tali rapporti sono
guidati dalla Giustizia distributiva, la quale ha il compito di
distribuire le cose cioè quella commutativa e quella distributiva. Il
Filosofo insegna, che il giusto mezzo nella Giustizia distributiva è
determinato secondo "una proporzionalità geometrica"(
l'equivalenza delle assegnazioni: “così...come”), e in quella
commutativa secondo una proporzione "aritmetica"
(l'equivalenza della restituzione:
“tanto... quanto”).”
cosa
significa ? Che nel rapporto a due (mi hai salutato e io ti saluto.. etc) vivo il rapporto con
l'altra persona soprattutto
come Limite a un Me Esorbitante, mentre nel rapporto a tre vivo i
rapporti come Crescita della Mia Personalità … nel RaD sono
responsabile solo per me... nel RaT sono responsabile anche per te nei
tuoi rapporti verso il “terzo”
- Preferenza
di Persone, il vizio contrario alla giustizia
distributiva
. “La
parzialità, o preferenza di persone si contrappone alla Giustizia
distributiva. Infatti la perequazione della Giustizia distributiva
consiste nel distribuire cose diverse a persone diverse, secondo il loro
valore personale. Perciò se uno prende in considerazione le proprietà
di una persona che la rendono meritevole di quanto le è dovuto, non si
avrà un riguardo, o una preferenza per la persona, ma per la causa
determinante. Se uno, p. es., promuovesse al dottorato una persona per
la sua preparazione scientifica, si avrebbe riguardo alla giusta causa
movente e non alla persona; se invece in colui al quale conferisce
qualcosa uno riguardasse non il movente che rende proporzionato o dovuto
codesto conferimento, ma soltanto il fatto che si tratta di quel
determinato individuo, cioè di Pietro o di Martino, allora si avrebbe
una preferenza di persona, perché l'attribuzione sarebbe fatta
semplicemente alla persona, e non per le cause.”
cosa
significa ? mi sembra
ancora un messaggio anti-romantico... anche se non anti-sentimentale !
è vero che abbiamo le nostre “simpatie”, e non è ingiusto né
l'averle né il beneficare tali persone con beni che conferiamo solo a
loro e non ad altri. La cosa ingiusta
- invece - è attribuire in
maniera privilegiata alle persone a noi simpatiche dei beni che NON sono
nostri ma sono invece “comuni”, come nel chiaro esempio che qui
sopra fa Tommaso... il panorama molto ricco di esempi illustrativi è - purtroppo ! - nella Italia dei nostri giorni dove la
Imparzialità e la Meritocrazia quasi non esistono
e la maggior parte dei “posti” grandi, medi e piccoli nei vari
campi della vita associata (culturale, economico, politico,
amministrativo, ecclesiastico) sono dati proprio in base alla viziosa
Preferenza Di Persone...
- Vizi
contrari alla giustizia commutativa: oltre ai
“vizi giudiziali” come omicidio, lesioni, adulterio, furto e rapine,
frode ed usura, di cui Tommaso si occupa lungamente - ma che io qui
tralascio - ci sono anche i
“vizi extra-giudiziali” :
la Contumelia : “ l'insulto, o
contumelia, di sua natura implica una menomazione dell'onore, se
l'intenzione di chi lo esprime è quella di distruggere con le parole
l'onore di una persona, allora si ha propriamente e direttamente
un insulto, o una contumelia. E questo è peccato mortale non
meno del furto, o della rapina: una persona infatti ama il
proprio onore non meno dei suoi beni materiali. Se invece uno dice
parole d'insulto, o di contumelia, senza l'intenzione di disonorare il
prossimo, ma o per correggere, o per altre cose del genere, allora egli
dice una contumelia non formalmente o propriamente, bensì per accidens
e materialmente soltanto”.
La
Maldicenza: «ci sono due modi di
danneggiare il prossimo con le parole. Primo, apertamente con la
contumelia, di cui abbiamo già parlato; secondo, di nascosto con la
maldicenza, o detrazione. Ora, per il fatto che uno parla apertamente
contro una persona mostra di disprezzarla, e quindi la disonora: perciò
la contumelia compromette l'onore di chi ne è l'oggetto. Chi invece
parla di nascosto contro qualcuno, mostra di temerlo non già di
disprezzarlo: perciò direttamente non ne compromette l'onore, ma la
fama. La
detrazione, che si compie di nascosto, non nasce dall'ira, come la
contumelia, ma dall'invidia, che tenta di sminuire in qualsiasi modo la
fama del prossimo; perché l'ira, a
detta del Filosofo, “cerca di vendicarsi apertamente”.
A detta dell'Apostolo, "è degno di morte non solo chi commette il
peccato, ma anche chi approva coloro che lo commettono". E
l'approvazione può farsi in due modi. Primo, direttamente, cioè,
quando uno induce altri al peccato, o si compiace del peccato. Secondo,
indirettamente, cioè quando non reagisce, avendone la possibilità: e
questo non perché piace il
peccato, ma per un timore umano. Si deve quindi concludere che se uno
ascolta le detrazioni senza reagire, approva chi le fa; e quindi è
partecipe del suo peccato. Se poi si lascia indurre alla maldicenza,
oppure ne prova piacere per odio verso la persona che ne fa le spese,
allora non pecca meno di chi sparla del prossimo: anzi di più, in certi
casi. Di qui le parole di Bernardo:
"Non saprei decidere facilmente, se sia più condannabile chi fa
della maldicenza o chi
l'ascolta". Se invece
il peccato dispiace, ma si omette di reagire alla maldicenza per timore,
o per negligenza oppure per rispetto umano, allora si pecca, però in
modo assai meno grave di chi sparla, e per lo
più si fa un peccato veniale. Ma in certi casi tale omissione può
anche essere peccato mortale; o perché uno ha per ufficio il dovere di
correggere i maldicenti; o per i disordini che ne derivano; o per la
radice che la produce, poiché
in certi casi il rispetto umano è peccato mortale, come sopra abbiamo
notato. »
La
Mormorazione : « La
mormorazione e la maldicenza coincidono nella materia, e anche nella
forma, ossia nel modo di parlare: poiché l'una e l'altra consistono nel
dir male del prossimo a sua insaputa. Esse però differiscono nel fine.
Poiché il maldicente mira a denigrare la fama
del prossimo: e quindi insiste specialmente nel presentare quei
difetti che possono infamare una persona, o almeno diminuirne la fama.
Invece il mormoratore mira a distruggere l'amicizia, perciò il
mormoratore insiste nel presentare
quei difetti, che possono eccitare contro una persona l'animo di chi
ascolta. Ora, tanto più grave è un peccato contro il prossimo, quanto
più grave è il danno arrecato: e il danno è tanto più grave quanto
il bene compromesso è superiore. Ora, tra i beni esterni il più
importante è l'amicizia: poiché, come dice il Filosofo, "nessuno
può vivere senza amici". Perciò
la mormorazione è un peccato più grave della maldicenza, e persino
della contumelia: poiché, a detta del Filosofo, "l'amico
vale più dell'onore, e più vale essere amati che onorati". »
La
Derisione : «La derisione si fa per gioco: tanto è vero che si
denomina anche scherzo. Ora, nessuno dei peccati precedenti si fa per
gioco, ma sul serio.
Come con l'insulto si mira a menomare il prestigio di una
persona, con la maldicenza si vuol colpirne la fama e con la
mormorazione si attenta al
bene dell'amicizia; così con la derisione si mira a suscitare la
vergogna di chi viene deriso. E poiché tale scopo è distinto
dagli altri, il peccato di derisione è distinto dai peccati precedenti.
La Derisione è più grave
dell'insulto aperto: poiché chi insulta mostra di
prendere sul serio le altrui miserie, mentre chi deride le prende
in scherzo. E sotto quest'aspetto la derisione è peccato mortale: e
tanto più grave, quanto maggiore è il rispetto dovuto alla persona
derisa. Perciò è peccato gravissimo deridere Dio. Al secondo posto
troviamo la derisione dei genitori.
Segue la derisione grave dei giusti: poiché "premio della
virtù è l'onore". »
La
Maledizione : “La maledizione consiste nell'augurare del male a
qualcuno . Ora, volere il
male altrui per se stesso è incompatibile con la
carità, con la quale amiamo il prossimo volendo il suo bene.
Perciò la maledizione è peccato, e tanto più grave, quanto più siamo
tenuti ad amare e a rispettare la persona che malediciamo. È però
peccato meno grave dei
precedenti, infatti, come abbiamo spiegato nella Prima Parte, il male è
di due specie, cioè di colpa o di pena. Ora, il male colpa, come si
disse, è quello peggiore.
E quindi addossare al prossimo codesto male è peggio che addossargli il
male pena: purché venga espresso nello stesso modo. Ebbene,
è proprio dell'insolente, del mormoratore, del maldicente e
anche del derisore addossare
al prossimo il male colpa: invece è proprio di chi maledice,
addossargli il male pena, non già il male colpa ”
cosa
significano queste cose ? Che non sono solo “le grandi finanziarie”
o “Marchionne”, o “gli evasori delle Isole Cayman” a infrangere
la Giustizia... anche loro, sì!... Ma anche noi nella
vita quotidiana in cui pervasiva è l'invidia,
ubiquitaria è la
maldicenza, diffusa la misantropia
e onnipresente è la
ingratitudine e sempre risorgente il disprezzo...
Le parti integranti della
Giustizia e le loro negazioni
- Fa
il Bene e allontana il Male
.“La Giustizia , in quanto è una virtù specificamente distinta, ha
per oggetto il bene sotto l'aspetto di cosa dovuta al prossimo. E in tal
senso essa ha il compito:
1) di fare il bene sotto
l'aspetto di cosa dovuta al prossimo, e 2) di allontanare
il male contrario, cioè il male nocivo al prossimo. E queste due
son parti quasi integranti della Giustizia: poiché entrambe si
richiedono per un perfetto atto di Giustizia.
Infatti quest'ultima ha il compito di stabilire l'uguaglianza nei
nostri rapporti con gli
altri, come sopra abbiamo visto. Ora, spetta a una medesima virtù
costituire una cosa, e conservare ciò che viene così costituito.
Ebbene, uno costituisce l'uguaglianza
della Giustizia facendo il bene, cioè dando agli altri quello che loro
spetta, e ne conserva l'uguaglianza già costituita evitando il male,
cioè non infliggendo
nessun danno al prossimo.
Le altre virtù morali hanno per oggetto i sentimenti, nei quali fare il
bene consiste nel raggiungere il giusto mezzo, allontanandosi dai due
eccessi, come da due mali: e quindi nelle
altre virtù fare il bene ed evitare il male sono la stessa cosa.
Invece la Giustizia ha di mira operazioni e cose esterne, e in questo
campo una cosa è attuare il giusto mezzo, e un'altra il non
comprometterlo. L'allontanamento
dal male, in quanto costituisce parte integrante della
Giustizia, non implica una pura negazione, e cioè non fare il
male:
questo infatti non merita la lode e il premio, ma evita soltanto la
pena. Esso invece implica un moto della volontà di ripulsa contro il
male, come indica il nome stesso
di allontanamento. E questo è meritorio: specialmente quando uno viene
pressato a fare il male, e resiste.”
cosa
significa ? Che vi sono due peccati e non uno solo contrari alla
Giustizia: contro il “Fa il bene!” la Omissione, contro il “Non
fare il male!” la Trasgressione
- Omissione.
“Come
il peccato di trasgressione è in contrasto con i precetti negativi, che
mirano ad evitare il male, così il peccato di omissione è in contrasto
con i precetti affermativi,
che mirano al compimento del bene. L'omissione implica il tralasciamento
non di un bene qualsiasi, ma di un bene dovuto. Ora, il bene sotto
l'aspetto di cosa dovuta propriamente appartiene alla Giustizia, se il
dovere è visto in rapporto al
prossimo. Perciò come è una speciale virtù la Giustizia, secondo le spiegazioni date sopra, così è un peccato speciale
l'omissione, distinto dagli altri
peccati che si contrappongono alle altre virtù. E come fare il bene,
cui si oppone l'omissione, è una parte speciale della Giustizia
distinta dall'evitare il male, cui si oppone la trasgressione, così
anche l'omissione si distingue dalla
trasgressione.”
cosa
significa ? … beh, secondo me apre un campo vastissimo della vita...
il più difficile nei rapporti con le altre persone... vari
condizionamenti di educazione esterni
ci permettono con più facilità di non compiere attivamente ingiustizie
arrecando danni agli altri (Trasgressione) , mentre sia nell'educazione
sia nelle ideologie ed
istituzioni sociali latita l'aiuto a farci capire come sia essenziale
“fare il bene” (Omissione) ...
Un esempio dalla scuola è come la stragrande maggioranza dei miei
colleghi diano il 10 in condotta a chi si limita a non trasgredire e
ignorano il problema del “fare il bene” dello studente verso i
compagni e verso gli insegnanti. Un
altro esempio: il consiglio di classe in cui viene
fatto un abuso dal coordinatore e nessuno dei colleghi interviene
a denunciarlo e tentare di fermarlo...
Un esempio invece buono – nel quale cioè non c'è stata Omissione -
è: quei due miei studenti attuali che denunciano all'insegnante
un caso di bullismo, nel quel però loro non erano coinvolti né
come carnefici né come vittime...
- Trasgressione.
“Il
termine trasgressione è passato in campo morale dai moti corporali.
Ora, si dice che uno trasgredisce nel muoversi fisicamente, per il
fatto che passa oltre (trans graditur) il termine
prestabilito. Ora, in campo morale
all'uomo il termine da non oltrepassare viene prestabilito dai precetti negativi. Ecco perché la trasgressione si ha
propriamente quando uno agisce contro
un precetto negativo : è
proprio infatti della trasgressione
mirare al disprezzo della legge. E, poiché è più facile astenersi dal
fare il male che compiere il bene,
pecca dunque più gravemente chi non si astiene dal fare il male,
cioè dal trasgredire, che colui il quale non compie il bene, vale a
dire l'omette. Si ha, p. es., un peccato di omissione, se uno non usa
verso i genitori la debita gratitudine; mentre si ha peccato di
trasgressione, se infligge loro un insulto o un'ingiuria qualsiasi.”
cosa
significa ? … siccome evitare la Trasgressione è più
facile e invece il commetterla è più difficile e dunque è più grave
della Omissione, essa dovrebbe essere più rara...
Ma io penso all'Italia di oggi e la vedo molto diffusa! Comportamenti
trasgressivi di massa!.. evasione fiscale di massa , prepotenza stradale
di massa, prepotenza verso i dipendenti di massa,
clientelismo/raccomandazioni di massa, maldicenza/maledizione (verso
politici, “comunisti”, Europa, magistratura, welfare state, “giargianesi”)
di massa... Penso a un momento critico e buio della storia del nostro
Popolo Italiano..
Le nove virtù annesse alla
Giustizia
- Una
tradizione antica . “Cicerone ne
enumera sei, e cioè: la Religiosità, la Pietas, la Gratitudine, la
Correzione, la Riverenza, la Sincerità. Macrobio aggiunge la Affabilità.
Il peripatetico Andronico aggiunge la Generosità. Aristotele aggiunge
l'Equità”
cosa
significa ? Che Tommaso volutamente ha qui citato solamente autori
pagani per dirci che queste virtù hanno un carattere umano
universale e non
specificamente cristiano...
- la Religiosità.
“sia
che Religiosità derivi dalla frequente considerazione (re-legere)
, oppure da una rinnovata elezione (re-eligere) , o da un
rinnovato legame(re-ligare) , questa virtù propriamente
dice ordine a Dio. Egli infatti è colui al quale principalmente
dobbiamo legarci come a un principio indefettibile; e verso cui dobbiamo
dirigere di continuo la nostra elezione, come ad Ultimo Fine.
Siccome alla Religiosità spetta rendere l'onore dovuto a qualcuno, e precisamente a Dio, è
chiaro che la Religiosità è una virtù annessa alla Giustizia.
Il bene cui è ordinata la Religiosità è quello di rendere a
Dio l'onore a lui dovuto. Ma l'onore si deve a una persona a motivo
della sua eccellenza. Ebbene, a Dio compete un'eccellenza del tutto
singolare: poiché trascende tutti gli esseri all'infinito, sotto ogni
riguardo. Perciò a lui si deve un onore speciale. Del resto anche nei
rapporti umani vediamo che sono dovuti onori diversi secondo le
diverse eccellenze delle persone: altro è l'onore per il padre,
altro quello per il re, e così via. Dunque è evidente che la
Religiosità è una virtù specificamente distinta. La Religiosità non
è una virtù né teologale, né intellettuale, ma morale, essendo una
parte della Giustizia. E in essa il giusto mezzo non viene stabilito tra
opposti sentimenti , ma per una certa uguaglianza tra operazioni
indirizzate a Dio”
cosa
significa ? … lasciare o meglio dedicare un “giusto” (dovuto) posto a Dio, che non è né il
Vecchione Svolazzante per le Galassie, né il Dio Biblico che nella
Storia di incarna in Gesù di Nazareth sotto Augusto e Tiberio. NON è cioè né una nostra fantasia infantile
antropomorfica, né una particolare tradizione storica cui siamo
consapevolmente legati attraverso la fede interpersonale. Ma è il
“Dio della Ragione Naturale”, infatti nelle parole di Tommaso è
l'Ultimo Fine... quello che anche Aristotele e Cicerone ( o Voltaire)
potevano concepire nella loro filosofia...
Cosa significa dedicare un “giusto posto all'Ultimo Fine”? … in
quale senso è questa una virtù morale annessa alla Giustizia ? Ci ho
pensato, ma non so!... Tommaso dedica poi molte pagine al “culto”
(oblazioni nei sacrifici, devozione , preghiera), ma lo fa in
riferimento all'uomo medievale che è dentro la chiesa cristiana... Per
noi nel mondo secolarizzato di oggi cosa significa ?
ho solo percepito la idea di umiltà, gratitudine e debito... ma
non verso persone umane (come
invece nelle virtù annesse
alla Giustizia che seguono), ma invece verso … il Senso della mia
Vita? Il Mistero della Realtà? la Causa del Tutto? Il Destino del
Tutto?... quali “offerte sacrificali” facciamo oggi in questa linea
del “debito verso Dio” usando del nostro tempo e attraverso gesti
esterni come si fa nei riti religiosi delle religioni confessionali
storiche? … per Tommaso l'atto principale della Religiosità è la
preghiera che così descrive: “Non
presentiamo delle preghiere a Dio per svelare a lui le nostre
necessità e i nostri
desideri, ma per chiarire bene a noi stessi che in codesti casi bisogna
ricorrere all'aiuto di Dio.” Gli altri atti della Religiosità sono i
sacrifici, i voti, i giuramenti, gli scongiuri, la adorazione, la lode.
Il vizio per eccesso opposto alla Religiosità è nella
Superficialità Avida della Superstizione
(idolatria, divinazione, vana scienza).
Il vizio per difetto opposto alla Religiosità è nel Disprezzo
Superbo della Irreligiosità
(metter Dio alla prova,
spergiuro, sacrilegio, simonia)
- la Pietas.
«Cicerone
ha scritto: "La Pietas è l'esatto compimento dei nostri doveri
verso i genitori e i benefattori della patria". Dio è al primo
posto, perché infinitamente grande, e
causa prima per noi dell'essere e dell'agire. Al secondo posto
come principi dell'essere e dell'agire vengono i genitori e la patria,
dai quali e nella quale siamo nati e siamo stati allevati. Perciò
dopo che a Dio, l'uomo è debitore ai genitori e alla patria.»
cosa
significa questa triade “Dio,
Patria e Famiglia” odiata dai Sessantottini?... io nella mia vita ho
recuperato presto a 23 anni (anche
se fragilmente) il debito
di Giustizia verso Dio, molti dopo
a 35 anni quello verso la Patria Italiana occupandomi di politica contro
il pericolo per me letale Berlusconi/Bossi , e molto dopo
a 47 anni nell'ultima fase della mia lunghissima psicanalisi ho
recuperato quello verso i
Genitori … L'Ideologia Sessantottina (che è rimasta vigorosa solo in
Italia , nettamente meno in Francia, moltissimo meno in Germania, per
nulla nei Paesi Anglo-sassoni) ha voluto scardinare – con l'iniziale
occasione di combattere gli abusi (ma: abusus non tollit usum !)
- fondamenti della
Pietas...
- il Rispetto
: «Cicerone
insegna, che "l'osservanza è la virtù mediante la quale si presta
rispetto e onore alle persone che ci sono superiori in autorità".
Poiché il padre è principio, o causa, della generazione,
dell'educazione, della formazione
intellettuale, e di quanto appartiene al perfetto sviluppo della vita
umana; ma la persona costituita in autorità è quasi principio del
nostro vivere per certe determinate cose: così il capo dello stato è
principio negli affari civili;
il capo dell'esercito nelle cose di guerra, l'insegnante in quelle di
scuola, e così via. Ecco
perché tutte queste persone vengono denominate padri,
data la somiglianza dei compiti.»
cosa
significa? Che i genitori Sessantottini viziando cioè seducendo i
propri figli, da una parte in loro tendono a distruggere
la Pietas verso sé stessi, dall'altra il Rispetto verso le
autorità della vita associata extra-famigliare... come io ben vedo a
scuola...
il suo atto proprio è la
Obbedienza (che è una virtù per Tommaso, al contrario del
sessantottino don Milani), ma non è la più grande delle virtù
: “ "l'obbedienza non va osservata per timore
servile, ma per un trasporto di amore non per timore del castigo,
ma per amore della
Giustizia". Perciò l'amore è una virtù superiore
all'obbedienza”) e il suo atto contrario è la Disobbedienza
“essa
è incompatibile con l'amore del prossimo: poiché con essa uno nega al
prossimo, che è il suo superiore, l'obbedienza giustamente dovuta.
La
vanagloria mira a mostrare una qualche superiorità; e poiché il non
sottostare all'altrui comando sembra contribuire a codesta superiorità,
la disobbedienza nasce appunto dalla vanagloria.”
cosa
significa ?... nella mia vita (cfr. con la Pietas) invece ho sempre
avuto molto Rispetto per i superiori sia quando li stimavo (il mio
Maestro alle elementari, la Professoressa Sofia Vanni Rovighi, i miei
Direttori Spirituali, il mio Psicanalista, un paio di Presidi) , sia –
almeno un po' - anche
quando non li stimavo (per es. alcuni professori del Liceo, quasi tutti
i Professori della Università, quasi tutti gli Ufficiali dell'esercito,
alcuni Parroci, circa la metà dei Presidi) … perchè ? Non lo so, so
che è stato così... e so che il tentativo di annichilamento che il
Sessantottismo ha fatto e fa di queste cose è un mio Nemico lungo tutta
la mia vita...
- La Gratitudine
. «essa
riguarda i benefattori dai quali
abbiamo ricevuto dei benefici particolari, e privati, per cui
siamo loro particolarmente obbligati, e ci spinge a ringraziarli. come
il beneficio consiste più nell'affetto che nel fatto medesimo, così
anche il compenso è specialmente nell'affetto. Di qui le parole di
Seneca: "Chi riceve un beneficio
con animo grato, ne ha già pagato il primo compenso. E questa
gratitudine manifestiamola
con l'effusione degli affetti: non soltanto dinanzi all'interessato, ma
dovunque".»
a
cosa mi fa pensare ?.. a come la “laus temporis acti” così diffusa
anche oggi sia in pratica una forte velenosa Ingratitudine, che dobbiamo
combatter costantemente ogni giorno in noi e negli altri...
Invece, ciò di cui noi possiamo godere
oggi - leggi
liberali, istruzione,
welfare, alimentazione, medicina, trasporti, comunicazioni - sono cose
di cui esser grati quanto più spesso è possibile verso la schiera
degli innumerevoli benefattori che hanno lavorato e lottato per fare
esistere queste cose!...
E questa cupa rabbiosa costante mancanza di gratitudine che vedo diffusa
oggi tra gli Italiani mi repelle, mi scoraggia... l'ideologia
sessantottina anche questo male ci ha dato : “vogliamo tutto e lo
vogliamo subito!” …. contestazione, disprezzo e zero gratitudine!...
oggi all'italiano medio essere grato
per la pace il benessere etc. sembra far la parte “dello
stupido e del debole”...
Il vizio opposto alla Gratitudine è dunque l'Ingratitudine, la
quale : “
ha diversi gradi di gravità secondo l'ordine degli elementi richiesti
dalla Gratitudine. Il primo
di essi è che il beneficato riconosca il beneficio ricevuto; il secondo
è il ringraziare a parole; il terzo è il ricompensare a tempo
opportuno secondo le proprie capacità. Ora, siccome l'elemento che è
ultimo in ordine di generazione di una cosa è il primo nella sua
decomposizione, il primo grado – e meno grave - dell'ingratitudine si
ha nel non ricompensare il beneficio ricevuto; il secondo nel
dissimularlo, non mostrando di averlo ricevuto; il terzo, che è quello
più grave, nel non riconoscerlo, o per dimenticanza, o per altri
motivi.”
Ecco
perchè è così grave a
livello ideologico la “laus temporis acti”,
e a livello psicologico quella che Freud
chiamava”malinconia”!
- La Correzione
. «La
Correzione viene compiuta mediante un castigo inflitto al colpevole.
Perciò nella Correzione si deve considerare quale sia l'intenzione di
chi la compie. Se infatti codesta intenzione mira principalmente al male
del colpevole, per trovarvi
la propria soddisfazione, la Correzione è assolutamente
illecita: poiché rallegrarsi del male altrui è proprio
dell'odio, il quale è incompatibile
con la carità, che deve estendersi a tutti. E uno non è scusato
per il fatto che desidera del male a una persona, colpevole di
averne
procurato
ingiustamente a lui: come non si è autorizzati a odiare chi ci odia.
Infatti uno non può peccare contro altre persone, perché queste
hanno peccato contro di lui. Questo significa farsi vincere dal male,
mentre l'Apostolo ammonisce: "Non lasciarti vincere dal male, ma
vinci nel bene il male".
Se invece l'intenzione di chi aspira alla Correzione tende
principalmente a un bene che esige la punizione dei colpevoli, p. es.,
alla loro emenda, o almeno alla repressione del male per la pubblica
quiete, oppure tende alla tutela dell'ordine oggettivo della Giustizia,
allora la Correzione può esser lecita, purché siano rispettate le
altre debite circostanze.
Essa è una virtù specificamente distinta dalle altre perchè
la Fortezza predispone alla Correzione
togliendo gli ostacoli, ossia la paura del pericolo da
affrontare. Lo Zelo invece, in quanto sta a indicare un amore
fervente, implica la prima radice della Correzione, poiché uno
vendica le ingiurie fatte all'ordine oggettivo della Verità e della
Giustizia e le ingiurie al
prossimo, perché la vastità del suo amore
gliele fa considerare come se fossero fatte a
sé.
Alla Correzione si contrappongono due vizi. Il primo è per eccesso: cioè
il peccato di crudeltà o di durezza, che nel punire passa la misura. Il
secondo è per difetto, ed è proprio di chi nel punire è troppo
blando. Di qui l'ammonimento dei Proverbi: "Chi risparmia la verga,
odia il proprio figlio". »
cosa significa ? … qui in Italia quando si infliggono delle pene
(carcere contro gli extracomunitari,
diffamazione contro i giudici coraggiosi) lo si fa non per Correzione,
ma per Prepotenza verso chi si ritiene
ostacolo per propri scopi illeciti e abbastanza debole o impedito
da non esser pericoloso...
io lo vedo spesso a scuola! … quello
studente che è veramente
prepotente e pericoloso viene adulato e vezzeggiato, quello invece che
è solo coraggioso e anticonformista tanto da denunciare questa o quella
stortura viene punito in vario modo !
Io vedo spesso la perversione della Correzione col giustificare con
qualche rozzo sofisma abusi e malvagità... e il Sessantottismo chiamava
e chiama la giusta Correzione Fascismo o Autoritarismo o “Terrorizzare
gli Studenti” (slang scolastico) mentre il Berlusconismo la chiama
Giustizialismo e Forcaiolismo … la omissione e – anzi – la
diffamazione ideologica della Correzione
a tutti i livelli della comunicazione umana (dalla famiglia, al
bar, ai giornali e alla tv, al parlamento) è un male gravissimo
dell'Italia di oggi (e da una quarantina di anni) che permette il
proliferare dei cancri sociali di vario tipo con le le loro
prevedibili metastasi... dalla mafia alla corruzione alla
concussione al clientelismo alla truffa generalizzata all'evasione
fiscale di massa ai falsi in bilancio sistematici all'anarchia sulle
strade al corporativismo egoista allo sfruttamento e all'abuso del
debole etc etc etc...!!!... qui il “Garantismo” sessantottino si è
perfettamente saldato in una tradizione storica perfetta (e anche con
percorsi singoli di persone coinvolte nell'impresa) con il
“Garantismo” berlusconiano...
- la Sincerità
. «Chi
dice il vero proferisce dei segni conformi alla realtà: cioè parole,
gesti, oppure qualsiasi
altra manifestazione esterna. Ma di codeste cose esterne si
occupano solo le virtù morali, che hanno il compito di regolare
l'uso delle membra esterne,
il quale dipende dalla volontà. Perciò la veracità, o Sincerità non
è una virtù intellettuale, bensì morale.
Dichiarare le cose proprie in quanto ciò costituisce una
manifestazione della verità
è specificamente un bene. Ma non basta a farne un atto di virtù: poiché
per questo si richiede che l'atto sia vestito delle debite circostanze,
privo delle quali è vizioso. Per questo è riprovevole lodare se
stessi, senza i debiti motivi. Così pure è riprovevole che uno parli
apertamente dei propri peccati, come per vantarsene, oppure che ne parli
senza nessuna utilità
Ecco dunque che la virtù della Sincerità consiste nel giusto mezzo
tra l'eccesso e il difetto in due maniere: 1) in rapporto
all'oggetto, e 2) in rapporto all'atto.
1) In rapporto all'oggetto, poiché il vero implica nella sua
nozione una certa adeguazione, o uguaglianza. E ciò che è uguale sta
in mezzo tra il più e il meno. Perciò per il fatto che uno dice il
vero di se stesso, sta nel giusto mezzo tra chi esagera e chi dice di
meno. -
2) La Sincerità inoltre sta nel giusto mezzo in rapporto
all'atto, poiché dice il vero quando e come è opportuno. Invece si ha
l'eccesso in chi dice le sue cose quando non occorre; e si ha il difetto
in chi le nasconde quando bisognerebbe
manifestarle.
Il suo giusto mezzo però più vicino all'Attenuare che
all'Esagerare. L'Attenuare si ha quando uno, p. es., nel suo dire
non manifesta tutto il bene che è in lui, cioè il sapere, la virtù,
abilità, successi ecc. L'Attenuare
infatti, come dice il Filosofo, "sembra più saggio, perché
le esagerazioni sono insopportabili". Sicché coloro che esagerano
i propri meriti sono insopportabili
agli altri, sui quali sembrano voler sovrastare: invece quelli che
dicono meno di quel che valgono sono graditi, per la loro condiscendenza
e modestia nei riguardi del prossimo»
cosa significa ?.. mi sembra interessante il punto 2)
e cioè alle distorsioni del parlare di sé in circostanze in cui non si
deve: sottomissione a Superio interni e sociali... per esempio quando
racconti le esperienze positive di un viaggio che hai fatto a uno che
non è interessato, o le tue convinzioni politiche a uno che non è in
grado di ascoltare e capire... e soprattutto le distorsioni del non
comunicare sé stessi quando invece si deve, per es. quando non si
raccontano i propri dolori e insuccessi per paura che l'altro ti
disprezzi o i propri
conflitti con altre persone per paura che l'altro ti giudici polemico e
disadattato, o non si dicono i propri giudizi morali critici verso
l'altro - che, poniamo, ti
sta raccontano delle azioni che lui ha fatto - per paura di entrare in contrasto con lui...
I vizi contrari alla Sincerità sono : Menzogna, Ipocrisia, Millanteria,
Falsa Modestia.
La Menzogna: «la menzogna è una
dichiarazione falsa fatta con l'intenzione d'ingannare.
L'intenzione di una
volontà disordinata può mirare a due cose distinte: la prima è
l'enunciazione del falso; la seconda è l'effetto proprio di tale
enunciazione, cioè l'inganno di qualcuno. Perciò se nell'atto
concorrono queste tre cose: 1)
la falsità di quanto vien detto, 2) la
volontà di dire il falso, e finalmente 3)
l'intenzione d'ingannare,
allora si ha: falsità materiale, perché vien detto il falso; falsità
formale, per la volontà di dirlo; e falsità effettiva
per la volontà d'ingannare.
Tuttavia la ragione formale della menzogna si desume dalla falsità
formale, cioè dall'intenzione di dichiarare il falso, e non invece A.
dalla falsità in sé stessa né B.
dall'inganno.
A. Infatti il
termine menzogna deriva dal fatto che è una cosa "contro la
mente". Se uno,
quindi, dichiara il falso credendo che sia vero, si ha una bugia
materiale, ma non formale, essendo essa estranea all'intenzione
di chi la dice. Perciò
tale affermazione non ha vera e perfetta natura di menzogna: poiché le
cose preterintenzionali sono per accidens e quindi non possono
essere differenze
specifiche.
B. Se invece uno
dice il falso formalmente, cioè con
l'intenzione di dire il falso, anche se quel che dice fosse
vero,codesto suo atto, in quanto volontario e morale, di per sé
contiene la falsità, e solo per accidens la verità, e dunque
non si produce l'inganno »
cosa
significa ? Che la Sincerità è una v. morale e non intellettuale, gli
errori nelle scienze non la contrastano... la contrasta invece anche la
verità delle affermazioni, se
però essa è contro la Giustizia: per es. quando io calunniassi una
persona X presso una persona Y e, “per caso” e contro ciò che io
pensavo, in realtà la persona X avesse veramente commesso quelle azioni
cattive, allora la mia
affermazione sarebbe secondo Verità ma non secondo Sincerità ! Ecco
dunque che la Sincerità non riguarda quella cosa buona che è la
conquista e il possesso della verità, ma quell'altra cosa buona che è
il nostro reciproco e solidale
aiutarci nella ricerca della verità...
La Ipocrisia. «Agostino
afferma, che "come gli ipocriti, i simulatori fanno la parte di
persone diverse da loro (infatti chi fa la parte di Agamennone non è
costui, ma finge di esserlo); così chiunque vuol mostrarsi, in chiesa o
nella vita quotidiana, diverso da quello che è, è un'ipocrita: poiché
finge d'esser un giusto, senza esserlo". Perciò si deve concludere
che l'Ipocrisia è una simulazione:
però non una simulazione qualsiasi, ma la simulazione con la
quale uno assume le vesti di un'altra persona, cioè quando un peccatore
fa la parte del
giusto.»
cosa
significa ? A parte le
persone come Berlusconi etc, a me sembra che la Menzogna sia poco
diffusa nella maggioranza delle persone, mentre molto di più lo sia la
Ipocrisia: cioè nel mostrarsi agli altri solamente negli aspetti
positivi che si hanno
realmente, ma che - stralciati
costantemente da quelli negativi che non vengono mai comunicati - danno
agli altri la falsa impressione della nostra bontà e valore...
La Millanteria . «La Iattanza, o
Millanteria consiste propriamente nell'innalzare se stessi con le
parole: infatti le cose che un uomo vuol gettare lontano (iactare),
le scaglia in alto. Ora, uno innalza propriamente se stesso
quando dice di sé cose a lui superiori.»
cosa
mi fa pensare ? Alla diffusione di questo vizio nei rapporti amicali, in
quelli professionali, nella politica... “vendere merce
(virtù, successi, competenze, buone intenzioni) che non si ha”
… un gonfiamento di sé presso gli altri attraverso la comunicazione
interpersonale, gonfiamento che nasce dalla vanagloria... e produce
come effetto nella società o euforia drogata o pessimistica diffidenza
…
la Falsa Modestia . «C'è
Falsa Modestia quando uno finge di sottovalutare sé stesso. Uno può a
parole sottovalutare se stesso in due maniere.
Primo,
salvando la verità: cioè tacendo le qualità superiori di cui è
dotato, e scoprendo solo certi difetti, che però riconosce di avere.
Sottovalutare così se stessi non rientra nella Falsa Modestia: e nel
suo genere non è peccato, se non intervengono altre circostanze.
Secondo,
uno può sottovalutare se stesso a parole a scapito della verità: p. es.,
asserendo di se stesso delle cose ignominiose, di cui non è persuaso;
oppure negando dei meriti che invece riconosce in se stesso. Ebbene,
questo rientra nella Falsa Modestia , ed è sempre peccato.
La Falsa Modestia e la
Millanteria dicono bugie, a parole o a fatti, sulla stessa materia, e
cioè sulla condizione della persona che parla. Perciò da questo lato
esse sono alla pari. Ma
ordinariamente la Millanteria deriva da un motivo più riprovevole, cioè
dalla brama del lucro o degli onori: invece la Falsa Modestia deriva dal
fuggire, sia pure in modo peccaminoso, di esser di peso agli altri. Ecco
perché il Filosofo ritiene che la Millanteria sia un peccato più
grave della Falsa Modestia. Tuttavia può capitare che uno finga di
sottovalutare se stesso per altri motivi, mettiamo per tendere insidie
con l'inganno. E allora è più grave peccato la Falsa Modestia. »
cosa
mi fa pensare ? Che questo vizio riguarda la scostanza e la
freddezza, il fastidio che abbiamo per gli altri e la tiepidezza
nell'amore... non mostriamo le capacità buone che abbiamo allo scopo di
non esser disturbati, allo scopo che gli altri non ci chiedano aiuto in
questo e quello...
- La Affabilità.
«Il
Filosofo di questa virtù dice che
"di suo desidera di far piacere agli e rifugge dal
rattristarli". E l'uomo, essendo un animale socievole, è
moralmente tenuto a manifestare la verità agli altri, senza di che la
società umana non potrebbe sussistere. Ora, come l'uomo
non può vivere in società senza veracità, così non può
vivere senza soddisfazioni: poiché, come dice il Filosofo,
"nessuno può durare a lungo nella tristezza, e senza
soddisfazioni". Perciò per un debito naturale di Giustizia l'uomo
è tenuto a convivere in modo piacevole con gli altri: a meno che in
certi casi per un motivo di vera utilità non sia necessario
contristarli. I vizi opposti alla Affabilità sono:
1) per eccesso, la Adulazione:
come abbiamo detto nella questione precedente, l'Affabilità,
sebbene miri soprattutto a compiacere coloro con i quali si
convive, tuttavia quando il conseguimento di un bene o la prevenzione di
n male lo richiede, non
esita a contristarli. Perciò se uno vuol trattare gli altri
compiacendoli in tutto nelle sue parole, esagera nella compiacenza: e
quindi, pecca per eccesso. E se uno lo fa solo con l'intenzione di
compiacere, merita l'appellativo
di piaggiatore, a detta del Filosofo; se invece lo fa con l'intenzione
di un guadagno, allora è un lusingatore, o un adulatore.
2) per difetto la Litigiosità:
il litigio consiste propriamente nel contraddire a parole le
affermazioni di un altro, e
la contraddizione nasce per il fatto che uno non si preoccupa di
rattristare il prossimo. Ciò si contrappone alla
virtù dell'Affabilità, che ha il compito di farci convivere
piacevolmente con gli altri.
Scrive infatti il Filosofo, che "coloro i quali contraddicono in
tutto e non si preoccupano
di essere molesti, son detti intrattabili e litigiosi".
Questi due peccati li
possiamo considerare sotto due aspetti.
Primo, facendo attenzione alla specie dell'uno e dell'altro. E
sotto quest'aspetto un vizio tanto è più grave quanto più è
incompatibile con la virtù opposta. Ora, la virtù dell'Affabilità
tende più a compiacere che a rattristare.
Perciò il litigioso, che eccede nel rattristare, pecca più
gravemente dell'adulatore che esagera nel compiacere.
Secondo, li possiamo considerare in base ai motivi esterni. E da
questo lato talora è
peccato più grave l'adulazione: p. es., quando uno con l'inganno cerca
di acquistare onore o denaro.»
cosa
mi fa pensare ? Ai vizi degli Italiani contro questa virtù: per
difetto nel non saluto salendo in autobus o le scale del
condominio, nella tensione nervosa e villania nei luoghi affollati e
nelle code e nel traffico stradale.... per eccesso
sembrando sempre amiconi ed evitando di di parlare di cose sgradevoli e
problematiche anche se si dovrebbe (e così distruggendo al serietà),
o verso i potenti essendo compiacenti sia perchè li si idealizza
sia per ottenere da loro ingiusti privilegi a danno di altri (e così
distruggendo la meritocrazia)
- La Generosità
. «"La
Giustizia", dice Ambrogio, "è intimamente connessa con la
società umana. Infatti la natura di codesta società implica due parti,
o elementi, cioè la Giustizia e la Beneficenza, che viene anche
chiamata Liberalità, o Generosità". Dunque la Generosità
è una virtù annessa alla Giustizia. La Generosità però non è una
specie della Giustizia: perché mentre la Giustizia ha il compito di
rendere agli altri quanto loro appartiene, la Generosità ha quello di
farci offrire del nostro.
Il dono del misericordioso
deriva dai legami d'affetto che nutre
verso la persona beneficata. E quindi la sua donazione rientra nella
Amicizia. Invece il dare della Generosità deriva dai sentimenti che il
donatore ha nei riguardi del denaro, cioè dal fatto che non l'agogna e
non l'ama. Infatti l'uomo generoso
all'occorrenza non dà soltanto a coloro che
ama, ma anche a chi non conosce.
Gli uomini generosi, sono
amati più degli altri, non di un'amicizia fondata sulla virtù, cioè
perché sono migliori, ma di un'amicizia fondata sull'utilità, e cioè
perché sono più utili rispetto ai beni materiali, che d'ordinario gli
uomini bramano sopra ogni altro bene. E questo spiega anche la loro
rinomanza.
Ma "La Giustizia", dice Ambrogio, "risulta più sublime
della Generosità, nonostante la Generosità sia più gradita". E anche il Filosofo dichiara,
che "l'onore più
grande si concede ai forti e ai giusti, e dopo di essi ai
generosi". E questo perchè l'atto della Generosità deve fondarsi
sull'atto della Giustizia: infatti, come nota Aristotele, "non
sarebbe una donazione generosa , se uno non desse del proprio".
Perciò la vera Generosità cioè virtuosa non potrebbe esistere senza
la Giustizia, la quale stabilisce ciò che appartiene a ciascuno. Invece
la Giustizia può esistere anche senza
Generosità. Quindi la Giustizia di per sé è superiore alla
Generosità, perché più comune e fondamento di essa »
Cosa
mi fa pensare? Che spesso vediamo atti di “generosità” non virtuosa
in cui chi regala, regala
non del proprio ma dell'altrui, per es. del patrimonio del bene
comune... sia i tanti amministratori disonesti, sia per es. quegli
insegnanti lassisti che “regalano” voti ingiustamente alti
depauperando quel bene comune che è l'idea di Giustizia presente nella
classe degli alunni e la stima nella Qualità della Scuola...
I vizi opposti sono per difetto la Avidità e per eccesso la Prodigalità.
La Avidità. « la bontà dell'uomo
nei loro riguardi consiste in una certa misura: e cioè consiste nel
desiderare il possesso delle ricchezze in quanto sono necessarie alla
vita, secondo le condizioni di ciascuno. Quindi nell'eccedere codesta
misura si ha un peccato: e cioè nel volerne acquistare, o ritenere più
del dovuto. E questo costituisce l'Avidità, la quale viene definita
"un amore immoderato di possedere".
L'Avidità nell'oggetto materiale o corporeo non cerca il piacere del
corpo, ma quello dell'anima: cioè il piacere di possedere la ricchezza. Perciò essa non è un
peccato carnale. Tuttavia a motivo
del suo oggetto, l'Avidità sta di mezzo tra i peccati del tutto
spirituali, che cercano un
piacere spirituale in oggetti spirituali -
come fa, p. es., la Superbia,
che ha di mira il prestigio personale -
e i vizi carnali che cercano un piacere carnale in oggetti
materiali. »
La
Prodigalità . «In morale
l'opposizione dei vizi tra loro e con le virtù
correlative è impostata sull'eccesso e il difetto. Ora, Avidità
e Prodigalità si contrappongono come eccesso e difetto, ma in vari
modi. L'avaro infatti eccede nell'attaccamento alle ricchezze, amandole
più del dovuto; il prodigo invece manca, perché ne è meno sollecito
di quanto si deve. Al contrario rispetto
agli atti esterni il prodigo eccede nel dare, e difetta nel ritenere e
nell'acquistare; l'avaro invece difetta nel dare, ed eccede
nell'acquistare e nel ritenere.
Il prodigo esagera nel dare, non sempre però per i piaceri, che sono
oggetto dell'Intemperanza: ma talora perché è del tutto trascurato
verso le ricchezze, oppure
per altri motivi. Ordinariamente però i prodighi si orientano verso
l'Intemperanza: sia perché spendendo a profusione per altre cose, non hanno ritegno a spendere per i piaceri, ai
quali sono portati dalla concupiscenza della carne; sia perché essi,
non gustando il bene della virtù,
cercano un compenso nei piaceri corporali. Ecco perché il
Filosofo afferma, che "molti prodighi diventano intemperanti".
In se stessa considerata, la Prodigalità è un peccato meno grave
dell'Avidità. E questo per tre motivi. Primo, perché l'Avidità si
allontana maggiormente dalle virtù contrarie. Infatti alla Generosità
è più consono il dare, in cui esagera il prodigo, che il prendere e il
ritenere, in cui esagera
l'avaro. Secondo, perché, come dice Aristotele, "il prodigo è
utile a molti", cioè alle persone cui dà: "l'avaro invece
non è utile a nessuno, e neppure a se stesso". Terzo, la
Prodigalità è più curabile. Sia perché si va verso la vecchiaia, che
è contraria alla
Prodigalità. Sia perché presto si giunge all'indigenza, sperperando
inutilmente grandi somme: e allora il prodigo caduto nella miseria non
può continuare a scialacquare. »
- La Equità
. «Come
dice il Filosofo, l'epicheia [Equità] è "superiore a un
certo tipo di giustizia", cioè alla giustizia legale, che si
limita a osservare letteralmente la legge. Come abbiamo detto sopra nel
trattato sulla legge, non è possibile
fissare una norma che in qualche caso non sia inadeguata; perché
gli atti umani, che sono oggetto della legge, consistono in fatti
contingenti e singolari,
che possono variare in infiniti modi: perciò il legislatore nel fare la
legge considera quello che capita nella maggior parte dei casi.
Ma osservare codeste leggi in certi casi sarebbe contro la Giustizia e
contro il bene comune, che
è lo scopo della legge. La legge, p. es., stabilisce che la roba lasciata in deposito venga restituita, perché questo
nella maggior parte dei casi è giusto; ma capita il caso in cui sarebbe
nocivo: p. es., restituire la spada a un pazzo furioso mentre è fuori
di sé, oppure nel caso in cui uno la
richieda per combattere contro la patria. Perciò in simili casi
sarebbe peccato seguire materialmente la legge; è bene invece seguire
quello che esige il senso della Giustizia e il bene comune, trascurando
la lettera della legge. E tale è il compito dell'epicheia, che
noi latini chiamiamo Equità. Dunque l'Equità è una virtù, come dice
il Filosofo.»
cosa
significa ?... qui si vede il rapporto
tra la Saggezza e le v. morali... in questo caso la v. morale della
Giustizia ha scavato in me
il “solco”, anzi è
il “solco” (abito) lungo le esperienze della mia vita che riguardano
i miei rapporti interpersonali buoni (nei termini
aristotelico-tomisti, essa è la maniera in cui l'Intelletto cioè la
“naturale” tendenza verso il bene di tutti noi uomini
- e dunque comune sì, ma generica - in me si è incarnato nei
rapporti interpersonali della mia
vita ), però questo “solco” o disposizione ad avere rapporti giusti
con le altre persone non ha una soluzione prevista e standard per il
caso di rapporto interpersonale che mi si propone qui e ora!... è la
Saggezza (un altro “solco” o abito, che è però quello del pensare
pratico) deve ora agire nel cercare i mezzi qui e ora a disponibili,
giudicarli e comandarli
a me stesso...
Anche nel linguaggio comune
la Equità significa una
mia Libertà, Originalità, Anticonformismo, rispetto alla “lettera
della legge”, rispetto cioè alle sia altrui sia mie
catalogazioni di cosa siano i rapporti interpersonali buoni...
Forza
Introduzione
- vari
Simboli Iconografici della Forza : 1) la Colonna Spezzata per ricordare
la Morte che spezza la vita umana e che il coraggioso affronta (“frangar,
non flectar!”); 2) il Leone
per il Coraggio o per il Nemico Mortale; 3) la Colonna
Integra per indicare la Fermezza del carattere
che sostiene tutte le altre virtù; 4) la
Clava
di Ercole o la Lancia
per la Audacia nell'attacco contro il Nemico Mortale 5) lo
Scudo
o l'Armatura
per la Fermezza nella Difesa; 6) il
Giogo
per la Capacità della Pazienza; 7) il ramo di
Palma
simbolo del Martirio
- Nella Prima
Secundae già avevamo letto che la Forza è virtù umana
(acquisita) e non teologale (ricevuta), che però è virtù
morale
(in cui la ragione regola i sentimenti) e non intellettuale (in cui la
ragione regola sé stessa), ed è virtù cardinale
(cioè principale per le urgenze della vita presente), e – tra le virtù
cardinali morali - è
inferiore alla Giustizia (perchè essa di per sé regola l'interno
dell'individuo mentre la Giustizia è architettonica della comunità),
ma è superiore alla Temperanza (perchè la paura dei pericoli distoglie
dalla ricerca del bene più di quanto lo faccia la ricerca del piacere)
- Per una migliore
comprensione e un progressivo approfondimento di questa VC, (che è una
virtù morale, cioè moderatrice dei sentimenti) consiglio
di leggere - dal
trattato sui sentimenti della Pars Prima
- le questioni 41-44 sul Timore e
la questione 45 sull'Audacia.
La Forza in sé stessa
- Cosa
è . « A
detta del Filosofo, "virtù è quella disposizione che rende buono
chi la possiede e l'atto che egli compie"; e quindi le virtù
umane, di queste ora parliamo, sono le disposizioni che rendono buono un
uomo e buoni gli atti che egli compie. Ora, la bontà di un
uomo consiste nell'essere conforme alla ragione, come dice Dionigi.
Perciò le virtù umane hanno il compito di rendere conformi alla
ragione l'uomo e i suoi atti. -Ebbene,
questo può avvenire in tre modi. Primo, col rettificare la
ragione stessa: il che si
ottiene mediante le virtù intellettuali. Secondo, col portare la
rettitudine della ragione
nei rapporti umani; e questo avviene mediante la Giustizia. Terzo, col
togliere gli ostacoli all'attuazione di codesta rettitudine. -
Ora, la volontà umana trova due ostacoli nel seguire la rettitudine
della ragione. Primo, per il fatto che essa viene attratta da cose
dilettevoli a compiere atti diversi da quelli
richiesti dalla rettitudine della ragione: e tale ostacolo viene
rimosso dalla virtù della Temperanza. Secondo, per il fatto che la
volontà si allontana da quanto è conforme alla ragione per qualche
cosa di difficile che sovrasta. E per togliere
questo ostacolo si richiede la Forza dell'animo, capace di
resistere a tali difficoltà:
come si richiede la forza, ossia il vigore del corpo, per superare e
respingere il male fisico. Perciò è evidente che la Forza è una virtù,
in quanto rende l'uomo conforme alla ragione.»
cosa significa?... grande e
profondo argomento! Noi homo sapiens siamo “animali
razionali”...la nostra “virtus aestimativa” come nella
pecora fugge dal lupo... e la Ragione?... è sì “naturale” in noi
ma solo come “potenzialità” innata...la sua attuazione non è
automatica come negli altri istinti animali... siamo anche “animali
sociali” ma non come le formiche in cui la socialità è un istinto...
in noi la attuazione della ragione necessita una mente interpersonale la
quale - ulteriore
complessità ! - cresce, si sviluppa storicamente... la pecora fugge il
suo Nemico programmato, l'uomo può fuggire il suo Nemico ma anche non
fuggirlo ed affrontarlo e vedere come affrontarlo... e
in ogni caso il Nemico non è programmato...
Se la Ragione può organizzare la complessa struttura dei Beni in una
gerarchia, e decidere poniamo di rischiare un viaggio oceanico con una
Caravella come fece Colombo, o di fare una sortita nel campo nemico per
ucciderne il Capo come fece Muzio Scevola, o anche – senza speranza di
vittoria sul campo e di salvezza della vita individuale ! - resistere al
Passo delle Termopili come Leonida contro le Orde dei Barbari... c'è
però un problema: perchè la Ragione può esser distolta “da qualcosa
di difficile che sovrasta” ?... perchè il Timore del pericolo può
paralizzarla e distoglierla dai suoi Fini ?... una risposta è questa:
dipende da quanto la attuazione della Ragione (che è un
inserimento di Me nella Mente Interpersonale Storica) abbia pervaso il
Me Animale già “dotato” di una sua “virtus aestimativa”
programmata … tanto o poco? … Questa risposta – però - mi
convince poco... è quella Platonica del dualismo Anima/Corpo... e
implicherebbe che un bambino o un ragazzo non possa esser coraggioso,
perchè in lui il “quanto” sarebbe poco... Meglio rispondere così:
la Ragione è paralizzata e distolta da “qualche cosa di difficile che
sovrasta” quando essa stessa Ragione
è erronea, non quando è ignorante... quando le Ideologie mutuate dalla
Mente Interpersonale sono cattive, corrotte... un problema di qualità,
non di quantità...
«Può capitare
– però - che alcuni compiano atti esterni di una virtù, senza essere
virtuosi, mossi da altre cause. Ecco perché il Filosofo parla di
persone apparentemente forti,
in quanto compiono atti di Forza, senza avere
codesta virtù. E questo può avvenire in tre modi.
Primo,
perché uno affronta cose
difficili come fossero facili. Talora ciò si deve a ignoranza; cioè al
fatto che uno non percepisce la gravità del pericolo. Talora ciò si
deve al fatto che uno ha molta fiducia di superarle: come capita a chi
è sfuggito spesso ai pericoli.
Altre volte poi ciò si deve a una particolare perizia, o al mestiere,
come avviene nel caso dei soldati, i quali per la propria abilità
nel maneggio delle armi non considerano gravi i pericoli della guerra,
pensando di potersi difendere contro di essi col proprio mestiere; come
dice anche Vegezio: "Nessuno teme di fare quello che crede di avere
bene imparato".
Secondo, uno può compiere atti di Forza senza la virtù, mosso
dall'impeto di un sentimento: cioè o da un dolore che vuole
allontanare, o dall'ira.
Terzo,
perché mosso da una libera scelta non già del debito fine, ma di un
vantaggio temporale, come
la gloria, il piacere, il guadagno; oppure mirando a evitare dei danni,
come il disonore, la sofferenza, o altre disgrazie.»
cosa significa ? Che se il
Coraggio è una virtù e cioè una risorsa per il Bene, in molti casi
abbiamo solo un apparente coraggio: negli ignoranti superbi, nei
fortunati, negli egocentrici, negli intemperanti, negli avidi... è il
tema della “connessione tra le virtù” e cioè della Forza con
Saggezza Giustizia Temperanza...
- Due
sentimenti .
« Il Filosofo insegna, che "la Forza ha per oggetto il Timore e l'Audacia".
Come abbiamo già detto, la virtù della Forza ha il compito di
togliere gli ostacoli che impediscono alla volontà di seguire la
ragione. Ora, ritrarsi di
fronte a una difficoltà è proprio del Timore, il quale, come si è
detto nel trattato sui
sentimenti , implica una fuga dinanzi a un male arduo. Perciò la
Forza ha principalmente di mira il Timore di cose difficili,
capaci di ritrarre la volontà dal seguire la ragione. D'altra parte non basta sopportare con
fermezza la spinta di codeste difficoltà reprimendo il Timore,
ma bisogna affrontarle con moderazione: nei
casi in cui è necessario eliminarle, per la sicurezza futura. E questo
è proprio dell'Audacia.
Dunque la Forza ha per oggetto il Timore e l'Audacia, il primo per
reprimerlo, la seconda per moderarla. »
cosa significa ? Che sono due e
non uno solo i sentimenti regolati dalla ragione in questa virtù
morale...il Timore è più “basilare”, la l'Audacia è più
“lungimirante”...
- Fino
alla Morte .« Andronico afferma, che "la Forza è una virtù
dell'irascibile, la quale non si lascia facilmente spaventare dal Timore
della morte". È proprio della Forza, come abbiamo visto, impedire
che la volontà si ritragga dal Bene di Ordine Razionale per Timore di
un male fisico. Ora,
questo Bene va difeso con fermezza contro qualsiasi Male: poiché nessun Bene Fisico può reggerne il confronto.
È quindi necessario che la Forza d'animo consista nella virtù che
mantiene ferma la volontà dell'uomo
nel bene di ordine razionale contro i più gravi mali: perché chi
sta fermo contro i mali più
gravi, è logico che stia fermo anche di fronte a mali minori,
ma non è vero il rovescio»
cosa significa ? Che la Forza,
essendo una virtù cardinale (fondamentale) serve al Sommo Bene della
vita umana, al Senso Ultimo della Vita... essa non è – almeno
propriamente e in primo luogo - uno “strumento” nel calcolo
utilitario per il raggiungimento
di “Beni Intermedi”...
Mi sembra che possa esser illuminante
guardare questo concetto dal pdv della patologia mentale chiamata
“paranoia”: se io ho coraggio nel resistere a dei genitori arroganti
che chiedono privilegi per il proprio figlio mio studente a scuola, ecco
che - lungo il filo di pensieri persecutorio-paranoici - penso che essi
si rivolgeranno al preside, al ministero... e i colleghi non mi daranno
solidarietà, si muoverà una corrente di calunnie contro di me e
io..... pur se spaventato,
resisterò, non cederò (per il mio volere difendere
dei valori per me irrinunciabili di Giustizia) e allora ... verrò
licenziato!... e – se verrò licenziato - ecco che (così continua il
filo persecutorio-paranoico) io non avrò più il necessario ottimismo
per superare il risentimento e il pessimismo sul Mondo Crudele ed Iniquo
in cui vivo, e mi suiciderò... o in altre maniere più indirette
cercherò la Morte...
Voglio dire che la fantasia paranoica illumina ciò che sottostà al mio
“resistere” (diversamente da tutti i miei colleghi, da solo) contro
una arrogante infrazione della Giustizia … cosa sottostà ? La mia
valutazione della Giustizia qui messa in gioco in un caso particolare e
non mortale, vedendo essa come bene irrinunciabile. Cosa significa bene
“irrinunciabile”? Che lo perseguo anche con dolore, anche da solo,
anche se se la sua difesa da parte mia comportasse una escalation di persecuzioni, come vedendolo
superiore e non scambiabile coi
beni della tranquillità, della buona opinione altrui, del lavoro, della
posizione sociale, della prosecuzione del futuro...
- Nemici,
più che Ostacoli . «La Forza, come abbiamo visto, rende fermo l'animo umano
di fronte ai più gravi pericoli, che sono i pericoli di morte.
Ma essendo essa una virtù, e come tale dovendo sempre tendere al bene,
è chiaro che l'uomo forte
non indietreggia di fronte ai pericoli mortali pur di raggiungere un
bene. Ora, i pericoli di morte dovuti alle malattie, a una tempesta di mare,
all'incursione di briganti, o ad altre cause del genere, non incombono
su una persona perché
costei tenta di conseguire un bene. Invece i pericoli di morte ai quali uno è esposto in guerra minacciano
direttamente un bene: cioè per il
fatto che difende in una guerra giusta il bene comune.
- Ora, ci sono due tipi di guerra giusta. Primo,
la Guerra Collettiva: nella quale si combatte in campo di battaglia.
Secondo,
la Guerra Privata, o particolare: come quando un
giudice, o una persona privata non abbandona la sentenza giusta
per il Timore della spada, o di qualsiasi pericolo anche mortale. Perciò
la Forza ha il compito di
dare fermezza d'animo non solo contro i pericoli di morte che
minacciano in una guerra collettiva, ma anche contro quelli che
minacciano in un
combattimento privato, che possiamo chiamare col termine generico di
Guerra.
E con tale rettifica dobbiamo ammettere che la
Forza propriamente si esercita nei pericoli di morte dovuti alla Guerra.
Tuttavia i forti sanno ben affrontare i pericoli di morte di qualsiasi
altro genere: specialmente se pensiamo che si può affrontare per la
virtù qualsiasi genere di morte; come quando uno non rifiuta
l'assistenza a un amico infermo,
per paura del contagio mortale; oppure quando non si astiene dal
mettersi in viaggio per delle opere pie, per paura del naufragio o dei
briganti. »
cosa significa? Che i sentimenti
regolati dalla Forza sono due e non uno solo... e il Coraggio in Guerra
implica l'Audacia e cioè lo aggredire
attivamente un Ostacolo che si interpone tra me e un bene che perseguo... esso è oltre che
Ostacolo, anche pericoloso, e dunque devo regolare anche il sentimento
del Timore... Questo invece non
accade per il cancro che mi sopraggiunge e verso cui devo regolare solo
il Timore ma non l'Audacia.
Il Coraggio/Forza è più evidente
nella Guerra contro Nemici Umani (rispetto a nemici non umani)
perchè i Nemici Umani (almeno quelli “politici” della guerra
pubblica, e quelli “etici” della guerra privata, ma non i
“briganti” che cercano solo la preda e non lo scontro ideologico
contro di me!) proprio come me hanno in mente un Sommo Bene da
perseguire, ci facciamo guerra infatti per la divergenza dei nostri
Sommi Beni !... e dunque in una Guerra contro Nemici Umani si evidenzia
la lungimiranza e il carattere propriamente virtuoso della
Forza: “per la sicurezza futura” (Audacia) e per il “bene
comune” (Guerra) , dice Tommaso.
- L'Atto
Principale .
«Il Resistere
e non l'Aggredire è l'atto principale della Forza. Infatti il Filosofo insegna, che "gli uomini sono
denominati coraggiosi specialmente quando resistono al Timore".
Dalle parole di Aristotele risulta chiaro che la Forza mira più a
reprimere il Timore che a moderare l'Audacia. Infatti è più difficile
reprimere il Timore: poiché il pericolo, oggetto del Timore e
dell'Audacia, costituisce di suo un freno per l'Audacia, mentre
accresce il Timore.
Resistere è più difficile che Aggredire, per tre
ragioni.
Primo,
perché la resistenza si concepisce in rapporto alla prepotenza di uno
più forte: invece chi aggredisce lo fa mettendosi in posizione di
vantaggio e di forza. Ora, è più difficile combattere contro i più
forti che contro i più deboli.
Secondo,
perché chi resiste sente già i pericoli come imminenti; chi invece
aggredisce li considera come futuri.
Ed è più difficile non lasciarsi smuovere dalle cose presenti
che da quelle future.
Terzo,
resistere implica una certa durata di tempo: invece uno può aggredire
con un moto repentino. Ora, è più difficile rimanere immobili a
lungo, che muoversi con un moto repentino verso qualche cosa di
arduo. Infatti il Filosofo
afferma, che alcuni "sono temerari prima del pericolo, ma quando
questo incombe defezionano: invece i forti agiscono
all'incontrario"
Dunque l'atto
principale della Forza non è Aggredire, ma Resistere, cioè restare
fermi nei pericoli.
»
cosa significa ? Che se la Guerra
contro Nemici Umani che mette a repentaglio la Vita è l'oggetto proprio
della Forza e dunque in essa gioca la lungimiranza della Audacia, però
la Guerra di cui si parla è quella del “guerriero riluttante”...
cioè chi deve farla la fa non
per brama di conquista, non per gusto “sportivo” del
combattere, non per estetica sensuale della forza, non
per vendetta amara... ma perchè deve
! Deve difendere il minacciato valore della Giustizia... esempio:
Braveheart (cuore coraggioso) nel
film dallo stesso titolo... l'Aggressione Audace propria della Forza è
quindi quella della Guerra di Difesa (Resistere!):
è quella di Churchill contro Hitler, di Leonida contro
Artaserse, di Giovanni Falcone contro Totò Riina,
di Francesco Saverio Borrelli contro Berlusconi...
- Non
è fine a sé stessa .«Agostino scrive: "Alcuni [gli Stoici] cercano di
persuaderci che le virtù da noi amate per la sola Felicità, devono
essere amate per se stesse in maniera da non
amare la Felicità. Ma così facendo, cessiamo dall'amare le virtù
medesime, dal momento che non amiamo l'unico motivo per cui le
possiamo amare". Ma anche la Forza è una virtù. Quindi
l'atto della Forza non va indirizzato
a codesta virtù, ma alla Felicità»
cosa significa ? È un critica alla Estetica del Coraggio... la quale a
sua volta è un travestimento della sottomissione a un Superio Parassita
che sfida l'Io con ordini “insensati”... sembra volerlo rafforzare
ma in realtà lo indebolisce...
- Tristezza
moderata .« Il Filosofo insegna, che nel suo agire l'uomo coraggioso
"non sembra aver nulla di piacevole". Il coraggioso da
una parte, cioè secondo il godimento
spirituale, ha di che rallegrarsi: vale a dire il compimento
dell'atto virtuoso e la
prospettiva del fine; dall'altra ha di che dolersi, sia spiritualmente,
nel considerare la perdita della propria vita, sia corporalmente. Ora,
il dolore sensibile del corpo impedisce di sentire il godimento
spirituale della virtù,. Tuttavia la virtù della Forza fa sì che la
ragione non venga sopraffatta dai dolori fisici. Perciò il Filosofo
afferma, che "dall'uomo
coraggioso non si richiede che goda, come se sentisse piacere, ma basta
che non si abbandoni alla
tristezza".
Infatti le azioni virtuose sono piacevoli specialmente in vista del
fine: ma possono essere mortificanti per la loro natura. E questo capita
soprattutto nella Forza. Di qui le parole del Filosofo, il quale
afferma, che "non in tutte le virtù l'operazione è piacevole,
all'infuori del raggiungimento del fine" .»
cosa significa? ...la esclusione
del piacere “sadomasochista” della esposizione - per “sfida” del Superio! - a pericoli e dolori...
l'esclusione della superbia di chi non ammette la propria sensibilità
animale costitutiva della propria umanità... il realismo nell'essere
consapevoli della difficoltà
degli atti di Coraggio... la connessione
con la Temperanza e cioè con la abituale capacità di regolare
piaceri e dolori...
- Forza
ed Ira . «Il
Filosofo insegna, che "il furore è ausiliario dei forti". Come abbiamo già notato, a proposito dell'Ira e degli
altri sentimenti i
Peripatetici e gli Stoici espressero opinioni diverse. Infatti gli
Stoici escludevano l'Ira e
tutte gli altri sentimenti dall'animo del sapiente, ossia del virtuoso. Invece i Peripatetici, alla
cui testa è Aristotele, attribuivano alle
persone virtuose l'Ira e gli altri sentimenti, però moderati
dalla ragione. Può darsi che in sostanza non ci fosse divergenza, se
non per il modo di esprimersi.
Infatti i Peripatetici chiamavano sentimenti, come abbiamo visto,
tutti i moti dell'appetito sensitivo, buoni o
cattivi che siano: e poiché l'appetito sensitivo si muove sotto il comando della
ragione, per cooperare ad
agire con maggior prontezza,
essi ritenevano che le persone virtuose dovessero servirsi dei
sentimenti, moderati dal comando della ragione. Invece gli Stoici
chiamavano sentimenti gli affetti disordinati dell'appetito sensitivo (che denominavano malattie o morbi): e quindi
li escludevano del tutto dalla virtù.
Perciò il
forte nel suo agire si serve dell'ira, però moderata, non già
di quella sregolata.
La ragione non si serve dell'Ira nel suo atto per averne un
aiuto; ma perché si serve dell'appetito sensitivo come di uno
strumento, come si serve delle
membra del corpo. E non c'è niente di strano, se lo strumento è più
imperfetto dell'agente principale, cioè se il martello è più
imperfetto del fabbro.
La Forza avendo, come abbiamo visto, due atti, cioè resistere e
aggredire, non si serve dell'Ira nel resistere, poiché codesto
atto è compiuto direttamente
dalla ragione; ma nell'aggredire. E in tale atto la ragione si serve più
dell'Ira che degli altri sentimenti, poiché è proprio dell'Ira
scagliarsi contro ciò che rattrista, e quindi nell'aggredire coopera
direttamente con la Forza. Di qui le parole del Filosofo, il quale nota che tra
tutti gli atti di Forza derivanti dai sentimenti, "il più naturale
è l'Ira: e se la Forza che ne deriva è deliberata e ordinata al
debito fine, diventa vera virtù".
»
cosa mi fa pensare ?
Al Buonismo di oggidì: superbo perchè ipotizza un
uomo non animale che cioè non immerge i suoi pensieri nei sentimenti e
nel corpo, stupido perchè col suo spiritualismo dimezza
l'efficacia dello Zelo nelle imprese di Giustizia, malvagio
perchè presenta come accettabile l'Odio calmo e invece inaccettabile l'Ira senza Odio...
- Non
è la virtù suprema
. «SEMBRA che la Forza sia la virtù suprema. Infatti
la virtù ha per oggetto il difficile e il bene. Ma la Forza ha
per oggetto le cose più
difficili. Dunque è la virtù più eccellente.
MA IN CONTRARIO Cicerone afferma: "La virtù ha il suo massimo
splendore nella Giustizia, dalla quale l'uomo da bene riceve la
sua denominazione". E il Filosofo ha scritto: "Le virtù più
utili agli altri sono necessariamente quelle
più grandi". Ora, la Generosità è più utile della Forza.
Dunque è superiore.
Infatti il bene umano è in
conformità con la ragione, come afferma Dionigi.
E codesto bene appartiene essenzialmente alla Saggezza,
che è una perfezione della ragione.
La Giustizia
invece ha il compito di attuarlo: poiché spetta ad essa imporre
l'ordine della ragione
in tutte le azioni umane.
Le altre virtù hanno il compito di conservare codesto bene, moderando i
sentimenti, perché non distolgano l'uomo dal bene
della ragione. E tra queste ultime la Forza
occupa il primo posto: perché il timore
dei pericoli di morte è la passione più efficace nel distogliere
l'uomo dal bene di ordine razionale. Infatti ad abbandonare ciò
che è conforme alla ragione l'uomo può essere spinto, o dal bene che
piace, o dal male che affligge;
ma il dolore fisico è più violento del piacere. Dice infatti Agostino:
"Non c'è nessuno che non fugge il dolore più di quanto non cerchi
il piacere: poiché talora vediamo che la paura della sferza distoglie
anche bestie ferocissime
dai più grandi piaceri". Ma tra i dolori e i pericoli i più
temuti sono quelli che portano alla morte, contro i quali l'uomo forte
resiste.
Dopo viene la Temperanza:
poiché anche i piaceri del
tatto ostacolano più di ogni altro piacere il bene della ragione. Ora,
avere essenzialmente una qualità è più che produrla; e produrla è più
che conservarla eliminandone gli ostacoli.
Perciò tra
le virtù cardinali la prima è la
Saggezza ; seconda la Giustizia; terza la Forza; quarta la
Temperanza.
»
cosa significa ? Ancora un
richiamo a:
1) un'etica non
sentimentale (la Saggezza ha il primo sposto tra le v. cardinali) 2)
a un'etica non
individualistica (la Giustizia ha il primo posto tra le v. morali); 3)
a un'etica non epicureo/salutistica (la Forza è più
importante della Temperanza); 4)
a un'etica non romantico/stoica (ciò che è più
difficile non è ciò che è più importante) ; 5)
a un'etica non spiritual/platonica (la Saggezza è un v.
cardinale cioè “necessaria”, la Sapienza non lo è).
I
Vizi opposti alla Forza
- la Viltà.
«Un
atto umano è vizioso perché disordinato: infatti la bontà del nostro
agire consiste in un certo ordine, come sopra abbiamo
spiegato. Quando la
volontà fugge un male che la ragione detta di sopportare, per non
abbandonare un bene che deve essere perseguito, si ha un timore
disordinato, che è vizioso. Invece quando la volontà per paura
abbandona ciò che secondo la ragione dev'essere fuggito, allora l'atto
non è disordinato, e non è cattivo.»
cosa significa ?
Ricordiamo che non è la qualità del sentimento che decide in
morale, ma la sua regolazione da parte della
ragione... un sentimento di per sé non è né buono né
cattivo...qui Tommaso è come se dicesse che il Vile non è la persona
viva che nella sua vitalità prova tutti i sentimenti e dunque anche la
Paura, ma è una persona incapace di collegare la Paura alla gerarchia
dei beni (più importante, meno importante) : egli dà alla Paura il
primo posto nel suo cuore in ogni caso!... e forse fa
questo anche perchè nella sua mente
non ha una chiara visione della gerarchia dei beni...
«La paura è vizio in quanto è disordinata: e cioè
per il fatto che uno abbandona ciò che secondo la
ragione non si deve abbandonare. Ora, questo disordine della
paura talora si limita
all'appetito sensitivo, senza il successivo consenso della volontà: e
allora non può essere vizio mortale, ma veniale soltanto.»
cosa significa ?... che una
persona può aver una Paura disordinata
cioè eccessiva immediatamente, come primo moto del
suo cuore... ma poi - dovendo decidere la azione - da tale paura
non si fa bloccare... egli dunque fa la azione buona con poca efficacia
esterna e poca
partecipazione intima, ma
comunque la fa...
«Talora invece
tale disordine scuote anche l'appetito razionale, o volontà, la
quale in modo non
conforme alla ragione deliberatamente abbandona qualche cosa. E tale
disordine a volte è vizio mortale, a volte è veniale. Se uno
infatti per la paura che gli fa fuggire un pericolo di morte, o
qualsiasi altro danno temporale, è disposto a compiere cose proibite, o
tralascia quanto è comandato
dalla Verità e dalla Giustizia, la sua paura è vizio mortale. E per
questo leggiamo nell'Apocalisse: "Per i vili il destino loro sarà nello stagno di fuoco e di zolfo, che è la
seconda morte".
Altrimenti è veniale. »
cosa significa ?... che –
ricordiamolo noi Italiani ! - la Viltà non è un vizio “tutto
sommato” scusabile... ma essa può provocare i massimi mali!... Mio
padre, che era fascista e volendo giustificare il fascismo, a me bimbo
che gli chiedevo perchè Mussolini si fosse alleato con Hitler, rispose
che: “se no i nazisti ci avrebbero invaso!”... Da grande io poi
imparai che questa risposta era sia falsa sia immorale: falsa
perchè Spagna, Portogallo, Svizzera, Svezia, Vaticano
non si allearono col Terzo Reich eppure questo non tentò di
invaderli; immorale perchè la Gran Bretagna non si alleò
con esso e anzi ad esso fece guerra e rischiò di essere invasa da esso,
e fece questo per difendere dei beni più alti della vita dei suoi
cittadini e della sovranità dello stato, e cioè la Libertà e la
Giustizia per il Mondo!
- La Insensibilità
alla Paura .
« La Forza ha per oggetto il timore e l'audacia. Ora, ogni virtù morale impone al proprio
oggetto la misura stabilita
dalla ragione. Perciò spetta alla Forza determinare secondo la ragione
un moderato timore: in modo che si tema quello che si deve e quando
si deve temere. Ora, questa misura della ragione si può
trasgredire e per eccesso e
per difetto. Quindi, come la viltà si oppone alla Forza per un
eccesso di paura, in quanto si teme ciò che non si deve temere,
o come non si deve; così l'insensibilità al timore si contrappone
ad essa per difetto di paura,
in quanto non si teme ciò che si deve temere.
Poiché il timore nasce dall'amore, il medesimo giudizio va dato
dell'amore e del timore. Si tratta qui della paura dei mali temporali,
la quale deriva dall'amore di essi. Ebbene in tutti è innato l'amore
alla propria vita, e alle cose ad essa ordinate, però nel debito modo:
cioè amandole non come
fini, ma come mezzi ordinati al raggiungimento dell'ultimo fine. Perciò
quando ci si allontana dalla giusta misura in questo amore, si va contro
l'inclinazione naturale: e quindi si ha il vizio. Perciò può
capitare che uno tema la morte e gli altri mali temporali meno del
dovuto, perché:
1) ama i beni suddetti meno di quanto dovrebbe.
2)
Ma il fatto di non temere
per nulla non può derivare dall'assoluta mancanza di amore; bensì dal
non credere che gli possano capitare i mali contrari ai beni che ama. E
questo a volte capita per la superbia di un animo portato a presumere di
sé e a disprezzare gli altri, secondo le parole della Scrittura:
"Fu fatto per non temer nessuno: ogni essere eccelso egli mira con
disprezzo".
3)
A volte invece questo
capita per mancanza d'ingegno: come nota il Filosofo a proposito dei
Celti, i quali per stolidità non temono nulla. Perciò
è evidente che essere insensibili
al timore è un vizio: sia che derivi da mancanza di amore, sia che
derivi da superbia, sia che derivi da stolidità. »
cosa significa ?... la Giusta Paura è un indizio sentimentale
dell'amore, della Umiltà e della intelligenza... Attualizzo: la
insensibilità di molti Italiani alla paura di uscire dalla Unione
Europea potrebbe derivare 1)
sia dalla mancanza di amore per gli Ideali Europeisti cioè per
la Civiltà Occidentale, 2)
sia per superbia e cioè pensare di bastare
a sé stessi e disprezzo per i “perfidi” Inglesi, i
“cupi” Tedeschi, i “senzazadio” Francesi, 3)
sia per la stupidità di non capire come – una volta caduti
sotto la Tirannia - saremmo distrutti
economicamente e nei
comuni rapporti sociali della vita quotidiana ...
- La Temerarietà
. «L'audacia, come sopra abbiamo visto, è un sentimento.
Ma il sentimento talora è moderato e governato dalla ragione; talora
invece manca di
moderazione, o per eccesso, o per difetto. E in tal senso l'eccesso di
audacia costituisce il vizio della Temerarietà, la cui causa è la
Presunzione. Però la Temerarietà
non implica soltanto un eccesso di audacia. Poiché, come dice il
Filosofo, "i temerari sono impetuosi
e baldanzosi prima che giungano i pericoli; ma defezionano poi di fronte
ad essi", per eccesso di paura. »
mi viene da pensare a certi bulli spavaldi che - quando trovano una
vittima non sottomessa ma che reagisce – mostrano la propria viltà, o
ad alcuni rivoluzionari da operetta alle reazioni della polizia.... e a
gli Italiani che entusiasti baldanzosi dichiararono guerra alla
Repubblica Francese e al suo impero, all'Impero Britannico, all'Unione
delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, agli Stati Uniti d'America !...
e persero tutte le battaglie per terra, mare e aria !...
evidente esempio di compresenza della
eccessiva audacia con la eccessiva
paura nel vizio della Temerarietà !... i soldati italiani
riguadagnarono un tot di Coraggio solo quando esso fu connesso alla
Giustizia: nella battaglia di Cefalonia contro i Nazisti...
Le
quattro Virtù annesse alla (o parti della) Forza
·
La Magnanimità
( Giusta Autostima)
. «Il Filosofo afferma, che "il magnanimo riguarda gli Onori e i
Disonori". Un atto è grande in senso
assoluto quando consiste nell'uso eccellente delle cose più grandi.
Ora, le cose di cui l'uomo si serve sono le cose esterne. E tra queste
quella più grande è l'Onore: sia perché è quella più connessa con la
virtù, quale testimonianza
della virtù di una persona, come sopra abbiamo visto;
sia perché gli uomini tutto sacrificano per conseguire l'onore e per
evitare l'infamia.
Il magnanimo considera i grandi onori come cose di cui si sente degno; o
come inferiori ai suoi meriti, poiché la virtù, che merita l'onore di Dio,
non può essere adeguatamente onorata dagli uomini. Perciò egli non si
esalta per i grandi onori: poiché non li considera superiori a sè stesso.
Come pure egli non si abbatte per il disonore, ma lo disprezza come cosa
ingiusta.
SEMBRA che la Magnanimità non sia una virtù. Infatti:
1)
Nessuna virtù è incompatibile con un'altra. Ma la
Magnanimità è incompatibile con l'Umiltà: infatti il magnanimo, come dice
Aristotele, "si stima degno
di cose grandi, e disprezza gli altri". Dunque la Magnanimità non è
una virtù. E:
2)
Qualsiasi virtù ha proprietà degne di lode. Invece il magnanimo ha delle
proprietà riprovevoli: prima di tutto egli "non si ricorda dei
benefici ricevuti"; secondo,
"manca d'impegno e d'intraprendenza"; terzo, "coi più è
ironico"; quarto, "non sa convivere con altri"; quinto,
"preferisce le cose belle e infruttuose
a quelle fruttuose". Perciò la Magnanimità non è una virtù.
MA IN CONTRARIO:
1)
Nell'uomo si trova qualche cosa di grande, che deriva dai doni buoni che
riceviamo; e ci sono dei difetti dovuti all'infermità della sua natura. Ora,
la Magnanimità fa sì che
l'uomo "si consideri degno di grandi onori", considerando i doni
ricevuti. Se uno, p. es., ha un animo valoroso, la Magnanimità fa sì che
egli tenda alla perfezione
delle virtù. Lo stesso si dica per l'uso di qualsiasi altro
bene, come della scienza o dei beni di fortuna. Invece l'Umiltà fa sì
che uno si disprezzi in
considerazione dei propri difetti. Parimenti,
la Magnanimità disprezza gli
altri in quanto destituiti dei doni buoni ricevuti: infatti egli non fa
tanto caso degli altri da compiere qualche cosa di riprovevole. Invece
l'Umiltà onora gli altri
e li stima superiori, in quanto considera in essi i doni buoni che hanno
ricevuto. Perciò nei Salmi si
legge: "Ai suoi occhi nulla vale il malvagio", e questo si
riferisce al disprezzo proprio del magnanimo; "onora invece quei che
temono il Signore", e
questo si riferisce all'atteggiamento rispettoso dell'umile. - Così è
evidente che la Magnanimità e l'Umiltà non sono virtù contrarie, sebbene
sembrino tendere a cose opposte: poiché considerano aspetti diversi della
realtà. E:
2)
Le proprietà del Magnanimo indicate da Aristotele non sono riprovevoli, ma
lodevoli al massimo in quanto
appartengono alla Magnanimità. Infatti la prima che consiste nel "non
ricordarsi dei benefici ricevuti" è da intendersi nel senso che il
magnanimo non gradisce ricevere
benefici, senza renderne subito di maggiori [e dunque non si ritrova mai nel
dovere ricordare i propri debiti, perchè li ha già saldati e più che
saldati!]. Il che rientra nella perfezione
della gratitudine, in cui egli vuole eccellere come negli atti di tutte le
altre virtù. - Parimenti, si dice, in secondo luogo, che egli "manca
d'impegno e d'intraprendenza", non perché si rifiuti di
compiere le cose che lo riguardano; ma nel senso che non s'intromette in
tutte le faccende che lo riguardano, bensì
solo in quelle più grandi che son degne di lui. - Terzo, si dice
inoltre che egli "si serve dell'ironia", non in quanto questo è
un vizio contrario alla Sincerità, cioè nel senso che egli dica di se
stesso difetti che non ha, o neghi i propri
meriti; ma nel senso che non fa mostra di tutta la sua grandezza,
specialmente con la massa degli inferiori; poiché, come nota il Filosofo,
è proprio del magnanimo
"esser grande con i nobili e con i ricchi, e modesto con quelli di
media condizione". - Quarto, si dice che "egli non sa
convivere", cioè familiarmente,
"se non con gli amici": poiché rifugge dall'adulazione e dalla
simulazione, che sono proprie della Pusillanimità. Tuttavia, egli convive
con tutti, grandi e
piccoli, "con la misura a lui dovuta", secondo le spiegazioni
date. - Quinto, si dice finalmente che "egli preferisce cose
infruttuose", non “infruttuose” di qualsiasi tipo, ma quelle
"buone", ossia oneste. Infatti in tutti i casi egli
preferisce l'onesto all'utile, perché più nobile: infatti l'utile
si cerca per sopperire a delle
deficienze, che sono incompatibili con la Magnanimità.
»
cosa penso ? Meravigliosa virtù
questa ! E misconosciuta! Qui Tommaso “il cristiano” consente in pieno
con Aristotele “il pagano”: la Magnanimità è pienamente compatibile
con la Umiltà!... le speciali qualità del magnanimo lo fanno misconoscere
ai più e riconoscere solo da pochi o pochissimi, e questo a causa dei mille
pregiudizi, ideologie confuse a livello intellettuale, e invidie a livello
morale... l'Italia di oggi piena di
persone “forti coi deboli e deboli coi forti” ( e ingrate e impiccione e
narcisiste e presenzialiste e avide di successi materiali)
sembra avere mandato in esilio la Magnanimità! … e non ne
propagandano i Modelli Educativi (a parte in pochi eroi come Falcone e
Borsellino... ma solo dopo che sono morti!)
Altre qualità del magnanimo:
«Al magnanimo
vengono attribuiti atti di diverse virtù: infatti
Aristotele afferma che è proprio del magnanimo "non respingere
le critiche", che è atto
di Saggezza; "non commettere ingiustizie", che è un atto di
Giustizia; "esser pronto a beneficare", il che è un atto
di Amore; "elargire con prontezza",
che è atto di Generosità; essere "veritiero", che è un atto
della Sincerità; e "non essere facile al pianto", il che è un
atto della Pazienza.»
anche qui, se penso a noi Italiani di
oggi insofferenti alle critiche, ingiusti, egoisti, avari, mendaci e/o
millantatori, insofferenti e sempre lamentosi….
«La
Magnanimità è una virtù annessa alla Forza. Infatti quanto più è
difficile mantenersi fermi in
qualche cosa di arduo, tanto più è principale la virtù che dà all'animo
fermezza nell'affrontarla. Ora, è più difficile mantenersi fermi nei
pericoli di morte, in cui spetta alla Forza dare fermezza d'animo, che nello
sperare e nel conseguire i più grandi onori, in cui spetta alla Magnanimità
dare fermezza d'animo: poiché l'uomo rifugge sommamente i pericoli di morte
come ama al sommo la propria vita. Perciò è evidente che la Magnanimità
coincide con la Forza in quanto entrambe danno fermezza d'animo in qualche
cosa di arduo: tuttavia non ne
raggiunge la natura.»
I vizi contrari per eccesso alla
Magnanimità sono: Presunzione, Ambizione, Vanagloria.
Presunzione: «Si
riscontra comunemente nella natura che ogni
atto è adeguato alla virtù della causa agente, e nessun agente di
ordine naturale
tende a compiere ciò che sorpassa la propria capacità. Perciò è vizioso
e vizioso, perché in contrasto con l'ordine della natura, che uno
intraprenda cose che eccedono le proprie forze. E questo è proprio della
Presunzione: come il termine stesso sta a indicare.
Il magnanimo considera piccoli i beni esterni. Invece, a detta del
Filosofo, i presuntuosi "diventano spregiatori e oltraggiatori
degli altri" per i beni esterni
di fortuna, considerando questi come cose grandi.
Nessuno tenta qualche cosa che supera le proprie capacità, se non
perché stima le sue capacità superiori a quello che sono. E in
questo uno si può sbagliare in due modi.
Primo,
rispetto alla quantità: p. es., quando pensa
di avere virtù, scienza, o altro, superiori a quelle che ha.
Secondo,
rispetto alla natura delle cose: p. es., quando uno si crede grande o
degno di grandi onori,
per cose inconsistenti, quali le ricchezze, o altri beni di fortuna.
Infatti, come dice il Filosofo, "coloro che possiedono tali beni senza
la virtù, né stimano giustamente se stessi degni di grandi onori, né con
verità son detti magnanimi". Dunque
il presuntuoso non supera affatto il magnanimo rispetto alla cose cui tende:
ma talora rimane molto al di sotto. Eccede però nell'oltrepassare la
proporzione alle sue capacità, che il magnanimo invece rispetta. Ed è in
tal senso che la Presunzione si contrappone per eccesso alla Magnanimità.
»
Ambizione: «
L'onore, come abbiamo detto, implica una prestazione di
rispetto verso qualcuno a testimonianza della sua eccellenza. Ma
riguardo all'eccellenza
dell'uomo si devono considerare due cose.
Primo,
il bene per cui eccelle l'uomo non lo ha da se stesso, ma come per un dono .
Quindi l'onore principalmente non è dovuto a lui, ma a chi ha donato.
Secondo,
si deve tener presente che le doti per cui uno eccelle son state donate
per il bene degli altri. Cosicché
la stima e l'onore che un uomo riceve per la sua eccellenza, in tanto devono
piacergli, in quanto gli preparano la via per giovare agli altri. Perciò la
brama dell'onore può essere disordinata in due modi.
Primo, perché si cerca il proprio onore
senza riferirlo a chi ha donato a noi i beni che abbiamo. Secondo,
perché uno si limita a bramare il proprio onore,
senza ordinarlo al bene degli altri. E siccome l'Ambizione non è
altro che una brama disordinata
dell'onore, è chiaro che l'Ambizione è sempre un vizio. »
Vanagloria
: « La perfezione dell'uomo
implica il conoscere, non l'essere conosciuti Quindi quest'ultima cosa non
è da desiderarsi per sè stessa.
Tuttavia essa si può
desiderare in quanto serve a uno scopo: cioè affinché la Verità e la
Giustizia siano glorificate dagli uomini; o affinché gli uomini ricevano un
giovamento dal Bene che vedono
in altri, oppure affinché uno nel constatare i propri meriti per il
riconoscimento degli altri, s'impegni a perseverare e a migliorare.
È in tal senso che è cosa
lodevole "aver cura del proprio buon nome", e "fare le opere
buone dinanzi agli uomini"; non già farlo per il gusto meschino della
lode umana. Dunque il desiderio della gloria di suo non dice niente
di vizioso.
Invece il desiderio della Vanagloria implica un vizio: infatti è vizioso
desiderare qualsiasi cosa vana, come si legge nei Salmi: "Perché amate
la vanità, e cercate la menzogna?". Ora, la gloria può dirsi vana
prima di tutto per parte dell'oggetto nel quale si cerca: p. es., quando si
cerca in dati inesistenti, o in cose che non son degne di gloria, ossia in
cose fragili e caduche. - Secondo, [la gloria può esser vana] per parte di
coloro presso i quali si cerca:
cioè presso gli uomini, il cui giudizio non è sicuro. - Terzo, per parte di colui che la desidera, se egli non la ordina al
debito fine, cioè all'onore
della Verità e della Giustizia e
al Bene del Prossimo.
La Vanagloria è poi un Vizio Capitale e cioè generatore di altri vizi, che
sono: la disobbedienza, la
millanteria, l'ipocrisia, la contesa, la caparbietà, la discordia, la
pretesa di novità. »
consiglio di scrutinare noi stessi
rispetto a Presunzione, Ambizione e Vanagloria, in primo luogo! E poi anche
scrutinare il nostro popolo italiano di oggi di cui facciamo parte e in cui
si svolge la nostra avventura umana...
Il vizio per difetto che si oppone alla Magnanimità è la
Pusillanimità : «
Nella vita morale non è da evitarsi che il vizio. Ora,
Paolo comanda di evitare la Pusillanimità: "Padri, non
provocate a sdegno i vostri figli, affinché non si perdano d'animo".
Dunque la Pusillanimità è un vizio.
Tutto ciò che è contrario a un'inclinazione naturale è vizio, perché in
contrasto con la legge naturale. Ora, ogni essere possiede
l'inclinazione naturale a compiere azioni proporzionate alla propria
capacità: come è evidente in
tutti gli esseri corporei, sia animati che inanimati. Ma come si eccede la
misura della propria capacità mediante la Presunzione, tentando cose
superiori alle proprie facoltà; così il pusillanime non raggiunge
la misura della propria capacità, rifiutandosi di tendere a cose a
lui proporzionate. Perciò com'è
vizio la Presunzione, lo è pure la Pusillanimità.
Ecco perché il servo il quale sotterrò il denaro del suo
padrone, senza trafficarlo, per Pusillanimità, fu punito dal
padrone, come dice il Vangelo.
La Pusillanimità per sua natura è un vizio più grave della Presunzione:
perché con essa l'uomo si ritrae dal bene, il che, a detta del Filosofo, è
la cosa peggiore.
Anche la Pusillanimità può in qualche modo derivare dalla Superbia: quando
uno, cioè, basandosi troppo sul proprio parere, si reputa inadatto alle
cose di cui è capace. Di qui le parole dei Proverbi: "Ai suoi occhi il
pigro è più saggio di sette uomini che danno responsi assennati".
Niente infatti impedisce che da una parte si avvilisca, e dall'altra si
inorgoglisca. »
cosa significa ? È quello che oggi
si chiama “complesso di inferiorità”... sin da bambini possiamo
dubitare delle nostre capacità buone di sensibilità e giustizia coi
coetanei ai giardinetti e aver paura di esprimerle e allora diamo spazio a
quella cattive di alcuni altri bambini... e poi da grandi coi colleghi
dell'ufficio non mettiamo sul tavolo la nostra intelligenza e le nostre
rivendicazioni di giustizia per
la stessa paura e sfiducia che saranno ignorate o derise o combattute... e
più in generale dubitiamo e siamo sfiduciati nelle nostre capacità di
intelligenza creativa e rimandiamo all'infinito il loro uso, e della nostra
capacità di cambiare le abitudini di vita e di esplorare ambienti umani
nuovi e conoscere persone nuove... e impostare modalità di rapporto nuove
con le persone che già conosciamo...
- La Magnificenza
. « Cicerone ha scritto, che "la Magnificenza
è il disegno e l'esecuzione di cose grandi e sublimi con
ampiezza e splendidezza di
propositi", indicando nel "disegno" l'intenzione
interiore, e nella
"esecuzione" l'opera esterna. È dunque proprio della
Magnificenza fare qualche cosa di grande. E ciò che è
fattibile è prodotto dall'Arte. E nell'esercizio di questa è possibile
riscuotere una particolare bontà,
nel fatto che i suoi prodotti hanno della grandezza, o di proporzioni, o
di valore, oppure di finezza: e questo è oggetto della
Magnificenza.
Ma essa non è un'Arte:
come nota il Filosofo, "è necessario che ci sia una Virtù
dell'Arte", cioè una virtù morale, che inclini la volontà a
usare rettamente della propria Arte. E questo rientra nella
Magnificenza. Dunque essa non è un'Arte, ma una Virtù.
E siccome l'atto principale di ogni virtù è l'elezione
interiore della volontà, che si può aver sempre anche senza i beni di
fortuna, ecco che allora anche il povero può essere magnifico.
Ora, quanto riguarda il
singolo è cosa piccola in confronto a ciò che riguarda i valori morali
o il bene comune. Ecco perché il magnifico non mira soprattutto a
spendere per la propria persona: non perché non cerchi il
proprio bene, ma perché
esso non è grande. Tuttavia, se qualcuna delle sue cose private
presenta una certa grandezza, allora egli vi provvede con
Magnificenza. Tali sono
"le cose che capitano una volta sola, come le nozze, o altre cose
del genere"; e quelle che rimangono, come "costruire una
decorosa abitazione", per usare le parole di Aristotele.
Cicerone, Macrobio e Andronico mettono la Magnificenza tra le parti
della Forza. La
Magnificenza è affine alla Forza in questo, che tende come la
Forza a un bene arduo e difficile. La Magnificenza però è
inferiore alla Forza per il fatto che l'arduo, verso il quale tende la
Forza, è difficile per il pericolo
che minaccia la persona; invece l'arduo cui tende la Magnificenza è
difficile per il dispendio che minaccia le sostanze, assai meno grave
del pericolo personale.»
alla Magnificenza di oppongono per
difetto la Meschineria e per eccesso lo Spreco
…
questa virtù mi fa pensare all'aspetto estetico e festivo della vita...
ciascuno artista o no, facoltoso o no, ambisce a “fare qualcosa di
grande” nel campo delle Arti e cioè di ciò che “dalla persona si
distacca e rimane come espressione di bravura e di bellezza”... il
banchetto di nozze, la bella casa, il viaggio in Tibet la collezione di
oggetti costruita nei decenni, il romanzo che uno ha scritto, una anno
all'estero in full immersion
per imparare una lingua... tutte cose come legate alla nostra
animalità da homo faber più che da homo sapiens , in cui
ci vuole Coraggio per rischiare le spese di soldi tempo e speranze e la
possibilità del fallimento o del non riconoscimento...
Invece, l'abitudinario, il pigro, il meschino, l'avaro, il pessimista
non hanno la Forza per impegnarsi almeno una volta in un'Impresa
Straordinaria nel campo delle Arti (Abilità)....
E al contrario lo sprecone, lo spaccone, il facilone, l'esibizionista
si impegnano spesso in “imprese straordinarie” solo in
apparenza , ma prive di originalità, significatività, incisività...
- La Pazienza
. «Come sopra abbiamo detto, le virtù morali sono
ordinate al bene proprio,
perché salvano il bene di ordine razionale dagli impulsi dei sentimenti
sregolati. Ora, tra questi, la tristezza o dolore è quanto mai efficace
a impedire il bene di ordine razionale;
Paolo infatti scrive: "Il dolore del mondo produce la
morte"; e Siracide ammonisce: "Molti ha ucciso la tristezza, e
non c'è utilità in essa". Perciò deve esserci una virtù che
salvi il bene di ordine razionale dalla tristezza, impedendo alla
ragione di soccombere. Ma questo è il compito della Pazienza.
Come scrive Agostino, "è la forza del desiderio che produce la
sopportazione delle fatiche e dei dolori: e nessuno accetta di
sopportare il dolore, se non per ciò che piace". E questo perché
l'animo di suo aborrisce la
tristezza e il dolore: e quindi mai accetterebbe il dolore per
se stesso, ma solo per uno scopo. Quindi è necessario che il
bene per cui uno accetta di soffrire sia più bramato ed amato di quel
bene la cui privazione produce il dolore che sopportiamo con Pazienza.
La Pazienza
è virtù annessa alla Forza ma da essa distinta perchè la Forza ha di
mira principalmente il Timore che per natura spinge alla fuga,
mentre la Forza lo reprime. Invece la Pazienza ha per oggetto
principalmente i Dolori; infatti si dice che uno è paziente non perché
non fugge, ma perché sopporta con
onore quanto lo affligge, senza addolorarsi eccessivamente.
Tuttavia la Pazienza non è tra le parti della Temperanza, poiché la
Temperanza ha per oggetto austerità o dolori che contrastano i piaceri
del tatto, p. es., quelli relativi alla privazione del cibo e dei
piaceri venerei; mentre la Pazienza ha per oggetto le sofferenze o
dolori che provengono da altri, proprio come la Forza si oppone ai
pericoli che sorgono dalla Guerra pubblica o privata contro gli altri
che ci sono nemici »
si dice che “la pazienza è la
virtù dei forti” collegandola allo “stoicismo” : nel linguaggio
comune si chiama “stoica” la persona che sopporta i dolori più che
quella coraggiosa... e dunque lo Stoicismo predica un certo qual
distacco dai sentimenti dolorosi, non per negarli ma per finalizzarne la
sopportazione (ecco perchè – dice Tommaso -
la Pazienza è anche “Longanimità”) a dei beni futuri,
o anche a dei beni presenti ma di ordine più spirituale......
- La Perseveranza
. «
Come la Temperanza e la Forza sono virtù speciali, perché l'una ha il
difficile compito di moderare i
piaceri del tatto, e l'altra quello anche più difficile di moderare la
paura e l'audacia di fronte
ai pericoli di morte; così è una virtù speciale anche la
Perseveranza, che ha il compito di sopportare, per quanto è necessario,
lo sforzo prolungato nel tempo di codesti atti e di tutte le altre
azioni virtuose.
Essa è una virtù annessa alla Forza perchè tutte le virtù il cui valore consiste nell'affrontare
con fermezza qualche cosa di difficile, devono ricollegarsi alla Forza
come virtù secondarie a quella principale. Ora, la Perseveranza viene
lodata perché affronta la difficoltà
proveniente dalla durata
delle opere buone:
difficoltà che però non è così grave come
affrontare i pericoli di morte. Dunque la Perseveranza è
subordinata alla Forza come
una virtù secondaria alla principale. »
Alla
Perseveranza per difetto si oppone la Mollezza, per
eccesso la Caparbietà...
Ciò mi fa pensare per l'individuo alla Perseveranza verso le amicizie
importanti della propria vita ... cosa difficile e che richiede Forza
per resistere (a pro di un bene superiore) alle molte circostanze
avverse e mutevoli e nuove che via via si presentano e che sempre
potrebbero sbiadirle, inaridirle, cessarle......
E a livello dei “vizi degli Italiani” (filone che in questo corso
sto continuando a seguire, imitando quello che ai tempi del Risorgimento
avevano fatto persone come Pellico, Mazzini o D'Azeglio...) penso alla
Mollezza della indiscriminata richiesta di eguaglianza economica negli
Anni Settanta e alla radicalmente mutata accettazione di grandi
disuguaglianze in questi anni attuali... e alla Caparbietà del
coltivare senza mai autocritica idee sessantottine come il materialismo
economicistico o il lassismo verso la necessità delle Correzioni...
Temperanza
- vari
Simboli Iconografici della Temperanza: 1) due Brocche di Acqua e Vino
per miscelare e così moderare la fonte del Piacere; 2) le Redini
e la Frusta per le due mosse (freno e stimolo)
sui piaceri; 3) l'Orologio
che indica i tempi per
questo e per quello, e la
pazienza e Continenza; 4) l'Elefante,
animale ritenuto di costumi temperanti; 5) il
Fuoco e l'Acqua per le due energie (stimolo e freno) da
miscelare
- se penso io alla
Temperanza la prima cosa che mi serve per la mia vita e che mi preme
dire a voi è la idea di produrre e godere i Piaceri Buoni che
contrastano il nostro cadere nei Piaceri Cattivi... ma... è solo la
Ragione che può discernere tra i due gruppi …
non è – per così dire – il Piacere stesso che possa dire :
“Sono buono !” oppure “No, sono cattivo!”
Per una migliore comprensione e un progressivo approfondimento di questa
VC, (che è una virtù morale, cioè moderatrice dei
sentimenti) consiglio di leggere -
dal Trattato sui Sentimenti
della Pars Prima -
la questione 39 sul Desiderio (concupiscentia) , le questioni
31-34 sul Piacere, le
questioni 35-39 sul Dolore, la questione 40 sulla Speranza e sulla
Disperazione, le questioni 46-48 sull'Ira.
La Temperanza in sé stessa
·
Modera i
piaceri corporei
. «La natura inclina ciascuno a ciò che per lui è conveniente. Quindi per
natura l'uomo brama il piacere che a lui si conviene. Ma siccome l'uomo
proprio in quanto tale è ragionevole, è chiaro che i soli piaceri a lui
confacenti son quelli conformi alla ragione. E la Temperanza non ritrae da
questi piaceri; bensì da quelli che sono contrari alla ragione. Perciò è
evidente che la Temperanza non contrasta l'inclinazione della natura umana,
ma s'accorda con essa.»
cosa significa ? Dal Gorgia di
Platone in poi : la idea che esistono i “piaceri cattivi”... cioè non
tutti i piaceri sono buoni... e invece noi tendiamo infantilmente a
identificare Piacere e Bene..
Gli altri animali hanno i piaceri “programmati” nell'istinto e dunque (a
parte rari casi patologici) tutti “buoni”... noi umani no!... d'altra
parte dal Fedone platonico in poi e passando soprattutto per lo
Stoicismo e il monachesimo medievale i
piaceri sono visti solo come forze cattive... Ma qui Tommaso col
Filosofo dicono che i
piaceri buoni esistono e sono quelli che “seguono la inclinazione della
natura”... non c'è una ragione che tarpa la natura ma piuttosto –
nell'uomo – la salva...
« Ciò che forma
l'oggetto della Temperanza sono tra le cose maggiormente capaci di turbare
l'animo, trattandosi di cose connaturali all'uomo. Perciò la tranquillità
dell'animo viene attribuita soprattutto allaTemperanza, sebbene essa
convenga genericamente a tutte le virtù.»
cosa significa ? … che i sentimenti
vari (speranza, audacia, timore, desiderio, amore, ira, etc) hanno sempre a
che fare col piacere insidente nel corpo, di una natura animale che
costituisce la base della vita quotidiane e segue sempre il “resto”
(razionale) di noi e lo precede
e lo accompagna fino alla morte... la loro mal regolazione - le intemperanze
o vizi “carnali” - sono la distorsione della nostra animalità... mentre
i vizi spirituali (avidità, invidia, odio, Superbia, menzogna, ipocrisia,
etc) non distorcono questo, almeno non direttamente e non in primis...
e nel corpo i piaceri di base derivano dal senso del tatto e non dagli altri 4 sensi : «poiché il piacere accompagna le operazioni connaturali, i
piaceri sono tanto più intensi, quanto più naturali sono le operazioni che accompagnano. Ora, le
operazioni che per gli animali sono
più secondo natura son quelle con le quali viene conservata la natura
dell'individuo mediante il cibo e la bevanda, e la natura della specie
mediante l'unione del maschio con la femmina.
Perciò la Temperanza propriamente ha per
oggetto i piaceri relativi ai cibi, alle bevande, e ai piaceri venerei. Ma
codesti piaceri dipendono dal senso del tatto. Perciò rimane che la
Temperanza riguarda i piaceri del tatto.
I piaceri degli altri sensi nell'uomo si producono diversamente che negli
altri animali. Infatti negli altri animali gli altri sensi non producono un
piacere, se non in ordine alle sensazioni del tatto: il leone, p. es., sente
piacere nell'avvistare un
cervo, o nel sentirne la voce per il pasto imminente. Invece l'uomo sente piacere nelle sensazioni degli altri sensi non
solo per questo, ma anche per
la loro intrinseca bellezza.
Perciò la Temperanza ha per oggetto i
piaceri degli altri sensi solo in quanto si riferiscono ai piaceri
del tatto. Infatti nella misura in cui
l'oggetto degli altri sensi è
piacevole per la sua bellezza intrinseca, come quando uno si diletta nella
bella armonia di un suono, questo piacere non riguarda la conservazione
della natura. Perciò codeste sensazioni non hanno quella proprietà per cui
appartengono alla Temperanza per antonomasia»
- Non
una Inclinazione, ma una Virtù .
« La Temperanza in quanto vera virtù non può trovarsi senza la
Saggezza, che invece è
assente in tutti i viziosi. Perciò coloro che mancano di altre virtù,
perché affetti da vizi contrari, non possiedono la vera virtù
della Temperanza: ma ne compiono gli atti per naturale disposizione, in
quanto certe virtù imperfette
sono all'uomo naturali, come sopra abbiamo visto; oppure per
un'abitudine acquisita, che però, non essendo corredata della
Saggezza, non ha la
perfezione di ordine razionale»
cosa significa?... si torna al
tema della apparenti virtù che sono solo inclinazioni... i Quieti, i
Regolari, i Tiepidi, i Sommessi, i Silenziosi, gli Immoti non sono gli Equilibrati!
- Il
giusto mezzo
. « la Temperanza ritrae dalle cose che
attraggono l'appetito contro la ragione: mentre la Forza spinge a
sopportare, ad affrontare cose che spingono l'uomo a trascurare il bene
di ordine razionale»
cosa significa? Che il “giusto
mezzo” per la Temperanza è più vicino al vizio per difetto, mentre
per la Forza è il contrario , come insegnava Aristotele e già (i due
cavalli della biga nel Fedro) aveva visto Platone... che i
piaceri buoni che la Temperanza certamente promuove sono – però -
sempre “calmi” e non “eccitati”... come già vide Epicuro
(piacere “catastematico” o in quiete) ... e qui dovrebbe aprirsi per
ciascuno di noi una interessante auto-analisi di verifica di questa
tesi...
- Bellezza
. « Sebbene essa sia ornamento di tutte le virtù, tuttavia la Bellezza si
attribuisce in modo
speciale alla Temperanza,
perché le cose nelle quali ci modera la Temperanza sono quelle più
basse, che convengono all'uomo per la sua natura animalesca, come
vedremo: perciò l'uomo è specialmente da queste che viene deturpato »
cosa significa ? … che ciò che
è sensibile riguarda il corpo e il corpo è ciò che in primis è bello o brutto... i vizi contro la
Temperanza sono i meno gravi, ma sono i più brutti, quelli di cui più
ci si vergogna...
- Modera
i dolori . In secundis la T. modera anche i dolori: « la Temperanza, che implica
moderazione, consiste principalmente nel regolare i sentimenti
che tendono ai beni
sensibili, e cioè le concupiscenze e i piaceri; e indirettamente a
regolare le tristezze, o dolori che derivano dall'assenza di questi
piaceri.»
come già vide Epicuro il Piacere
Buono cioè Equilibrato ha due nemici: i Piaceri Eccitati e i Dolori...
il temperante non solo non è “troppo” (incongruamente,
intempestivamente, compulsivamente) attratto dai piaceri sensibili ma
neanche è squilibrato (somaticamente e moralmente) dalla loro
diminuzione e temporanea assenza... cioè egli è capace di sostenere
maggiormente il dolore della loro assenza...
- la T. è una
virtù cardinale cioè
principale, perchè...«Sembrerebbe
più importante di essa la Mitezza, infatti più una cosa è impetuosa,
più è difficile a frenarsi. E l'ira, che è tenuta a freno dalla Mitezza, è più impetuosa della
concupiscenza, che è tenuta a
freno dalla Temperanza.
MA: l'impeto dell'ira viene
causato da qualche cosa di occasionale, p. es., da un urto doloroso: e
quindi presto passa, sebbene abbia una grande veemenza. Invece l'impulso della concupiscenza relativa
ai piaceri del tatto deriva da una causa naturale; essa quindi è più
insistente e più comune. Perciò frenarla è compito di una virtù più
importante.
Inoltre: la virtù di una causa agente mostra di essere tanto maggiore,
quanto più lontano giunge la sua operazione.
Perciò la potenza della ragione si rivela più grande per il fatto
che può moderare anche le concupiscenze e i piaceri da essa più
lontani, quelli del corpo e specificamente del tatto. E
quindi questo fatto mostra la cardinalità o principalità della
Temperanza.»
cosa significa ? Che la
Temperanza nella vita buona ci accompagna continuamente
– mentre non così succede per la Giustizia e la Forza – e in questo
essa è simile alla Saggezza, cioè allo ininterrotto
“pensiero pratico”... è come la sua controparte corporea, è la
“Saggezza del Corpo”...
E dunque i disturbi psicosomatici delle emicranie, delle voracità e
disappetenze alimentari, delle insonnie e letargie, dei pruriti ed
insensibilità della pelle, delle contrazioni e dei rilassamenti
muscolari, delle chiusure e rovesciamenti dello stomaco, delle diarree o
stitichezze dell'intestino, delle bradicardie e tachicardie, delle
ipertensioni e ipotensioni arteriose, degli sbalzi involontari di volume
nella voce, delle allergie ed intolleranze, delle
iperestesie/satiriasi/ninfomanie o impotenze/frigidità
genitali, allucinazioni, sonnambulismo, etc etc (tic, respiro
affannoso, balbuzie, scotomie visive, singhiozzo e raffreddore
compulsivi, ipotermie o ipertermie, etc etc) cosa ci mostrano, posto
che noi volessimo accorgercene? Due cose: 1) l'effetto
corporeo di un nostro difetto di Saggezza, o di fondo o occasionale qui
ed ora; 2) il
campanello di allarme per percepire il problema di un pensiero
sbagliato, capirne l'errore e correggerlo ed esser saggi, o come
programma di fondo o occasionalmente qui ed ora...
- la
T. non è però la più grande delle virtù.
«SEMBRA
che essa lo sia, infatti:
1)
compiere ciò che è più difficile è proprio di una virtù superiore.
Ora, è più difficile
tenere a freno le concupiscenze e i piaceri del tatto, oggetto della
Temperanza, che tenere a freno le azioni esterne, oggetto della
Giustizia. Perciò la Temperanza è una virtù superiore alla Giustizia.
E inoltre :
2)
quanto più una cosa è universale e comune, tanto più è necessaria e
più nobile. Ma la Forza ha per oggetto i pericoli di morte, che sono
tanto più rari dei piaceri del tatto, i quali capitano tutti i giorni:
e quindi l'esercizio della Temperanza è più universale e comune che
quello della Forza. Dunque
la Temperanza è una virtù più nobile della Forza.
MA INVECE:
1) È
vero che la virtù "ha per oggetto il difficile e il bene"; ma
la grandezza di una virtù dipende più dalla bontà, in cui eccelle la
Giustizia, che dalla difficoltà in cui eccelle la Temperanza.
E inoltre:
2)
L'universalità desunta dal numero degli interessati contribuisce alla
bontà di una virtù, più di quella desunta dalla frequenza del suo
esercizio. Ora, il primo
tipo d'universalità appartiene di più alla Forza, il secondo alla
Temperanza. Perciò assolutamente parlando la Forza è superiore:
sebbene sotto certi aspetti la Temperanza possa
dirsi superiore non solo alla Forza, ma anche alla Giustizia.
E LE COSE STANNO COSI' PERCHE' :
come il Filosofo
scrive, "le virtù più
grandi son quelle che sono
più utili agli altri: e per questo noi onoriamo soprattutto i giusti e
i forti" e "il bene del popolo è più divino del bene di un
solo uomo". Perciò quanto più una virtù riguarda il bene comune,
tanto più è superiore. Ora, la Giustizia e la Forza riguardano il bene
comune più della Temperanza: poiché la Giustizia ha per oggetto i
rapporti reciproci, e la Forza si esercita nei pericoli di guerra,
affrontati per il bene comune; mentre la Temperanza regola solo le
concupiscenze e i piaceri individuali. Dunque è evidente che la
Giustizia e la Forza sono virtù superiori alla Temperanza: sebbene sia
ancora più importante di esse la Saggezza.»
cosa significa ? Consento con lui
e con Dante (vedi Inferno e Purgatorio...)! … è assai
meglio incontrare – per es. in un consiglio di classe... -
persone intemperanti che persone ingiuste e vigliacche! …
l'Intemperanza è la croce che corrompe
(se va male, cioè nell'intemperante) o fa soffrire (se va bene,
cioè nell'incontinente) la persona in sé stessa... invece
Ingiustizia e Vigliaccheria fanno soffrire gli altri !...
E le Due Stelle della Giustizia e della Forza, cosa fanno per
me ? … Detto con altre
parole: se esse giovano
agli altri, in quale senso giovano invece al giusto e al forte per sé
stesso?
Ecco: se guardo la mia vita passata cosa posso dire (senza troppi
particolari...)? Che l'Intemperanza mi bloccava la Saggezza... e il
difetto di Saggezza mi produceva l'Intemperanza...
MA
: le Due Stelle, la Giustizia e la Forza
- però ! - facevano
“occasionalmente” (perchè non sono “connaturali” e non sono
dunque continue) rivivere “occasionalmente” la Saggezza... e questa
Saggezza “occasionale” mi ha permesso di fare delle scelte profonde
della mia vita (lasciare i Manni e Civitanova ed emigrare, fare
l'università fuori sede, cambiare da Medicina a Filosofia, criticare
profondamente quasi tutti miei professori universitari e gli
intellettuali italiani, avvicinarmi ad alcune persone buone e poi alla
religione, smettere il precariato portaborse universitario e quello
giornalistico e fare i Concorsi per la Scuola e avere la indipendenza
economica, cercare Club-Gruppi-Parrocchie-Partiti-Relazioni Umane,
volere fare la psicanalisi, sperimentare ed escludere vari (5!)
psicanalisti e riconoscere – avendolo potuto trovare.... - il dottor De Masi...
E - con lui! - la Saggezza
è diventata via via -
lungo più di venti anni - meno occasionale, e così è germogliata la
Temperanza...
I vizi opposti alla
Temperanza
- L'Insensibilità
. «Alla virtù
non si contrappone che il vizio. Ma l'Insensibilità, come afferma il
Filosofo, si contrappone alla Temperanza. Dunque l'Insensibilità è un
vizio. Tutto ciò che è contrario all'ordine naturale è peccaminoso. Infatti,
la natura ha legato il piacere alle funzioni necessarie per la vita
dell'uomo.
Perciò l'ordine naturale richiede che l'uomo usi di codesti piaceri,
quanto è necessario al benessere umano, sia per la conservazione
dell'individuo, che per la conservazione della specie. Perciò se uno si astenesse da questi piaceri al punto di trascurare ciò
che è necessario per la conservazione
della natura, commetterebbe peccato, violando così l'ordine naturale.
L'uomo, come abbiamo spiegato nella Pars Prima, non può servirsi
della ragione, senza far uso delle potenze sensitive, le quali hanno
bisogno di un organo
corporeo. Per questo l'uomo deve dare sostentamento al corpo, per
servirsi della ragione. Ma il sostentamento del corpo si fa mediante
funzioni piacevoli. Perciò
in un uomo non può esserci il bene di ordine razionale, se egli si
astiene da tutti i piaceri.»
cosa significa? … Il messaggio
generale è questo: “Rifiuta il pessimismo ascetico!”...
l'essere umano infatti è armonico, coerente e il male è
qualcosa di estraneo a lui...
E l'accorgimento pratico è questo: “Sta in contatto con te
stesso!”... quando sento
delle tristezze credendo di fare una azione giusta spesso il dispiacere
mi segnala che invece quella non è
l'azione giusta (ma è una sottomissione, una sfida a me stesso, una
esposizione superba, una dichiarazione retorica, una idealizzazione
malinconica,etc etc...)
- l'Intemperanza
come Infantilismo
. «il Filosofo afferma, che "denominiamo l'Intemperanza dai
difetti dei bambini". Una cosa può dirsi infantile per due motivi.
A. perché propria
dei bambini. E il Filosofo non intende dire in questo
senso che l'Intemperanza sia un peccato infantile.
B. per una certa somiglianza.
Ed è in questo senso che i peccati d'Intemperanza si dicono
infantili. Infatti il peccato d'Intemperanza è un eccesso di
concupiscenza: e ciò somiglia al fanciullo sotto tre aspetti.
1) quanto all'oggetto che viene desiderato. Infatti, come il
bambino, così anche la
concupiscenza, brama qualche cosa di indecente. Questo perché il
decoro negli atti umani dipende dall'essere ordinati conforme
alla ragione: cosicché Cicerone afferma, che "è bello quanto si
addice alla grandezza dell'uomo
in quello che per natura si differenzia dagli altri animali".
Invece il bambino non bada all'ordine della ragione. Così pure, a detta
del Filosofo, "non ode
ragione la concupiscenza".
2) Intemperanza e fanciullezza coincidono negli effetti. Infatti
se il bambino viene
lasciato al proprio volere, crescono le sue brame; nella Scrittura
infatti si legge: "Un cavallo non domato diventa intrattabile, e un
figliuolo abbandonato a sé stesso diventa un rompicollo". Lo
stesso vale per la concupiscenza, la quale se viene soddisfatta,
acquista più vigore, come nota
Agostino: "Mentre si serve alla concupiscenza, ecco si forma
l'abitudine; e non resistendo all'abitudine, nasce la necessità".
3) esse coincidono nei rimedi consigliati per l'una e per
l'altra. Infatti il bambino viene corretto con la coercizione, secondo
le parole dei Proverbi: "Non sottrarre il fanciullo alla
disciplina; tu lo picchierai con la verga, ma lo scamperai
dall'inferno". Così nel resistervi si riporta la concupiscenza
alla misura dell'Onestà. Ecco perché Agostino afferma, che
"quando l'anima s'innalza e si fissa nelle cose spirituali, la
forza dell'abitudine", cioè della concupiscenza carnale, "si
spezza, e un po' per volta si smorza e si estingue. Se l'avessimo
assecondata, sarebbe diventata più grande: col reprimerla non è
annientata, ma è certo diventata più debole". E il Filosofo
scrive, che "come il fanciullo deve stare al comando del pedagogo,
così la concupiscenza deve adeguarsi alla ragione".
Cosa significa ?
1)
Ridicolo e grottesco e dunque poi vergognoso (indecente) non è ciò che
è irrazionale, ma ciò che è manifestamente
irrazionale... tante prepotenze ed avidità e machiavellismi infatti
sono irrazionali (e lo sono ben più gravemente!) ma non appaiono
facilmente esserlo, e non sono dunque “indecenti”... il bambino ci
fa sorridere per la sua manifesta irrazionalità, l'adulto intemperante
ci fa sorridere per lo stesso motivo ma anche lo disprezziamo e in lui
nasce allora la vergogna... cosa è nell'adulto infatti manifestamente
irrazionale? L'Intemperanza appunto, che è la brama smodata dei piaceri
corporei... si deride Berlusconi per il bungabunga ma non per gli
attacchi ai pilastri della Giustizia e della Libertà (che a molti
infatti appaiono segni di una più alta saggezza).
2)
che l'Intemperanza è una mancanza di freni o paletti al desiderio di
piaceri corporei, nel bambino i paletti sono messi per forza o quasi
data la sua fortissima dipendenza per i mezzi della vita verso gli
adulti, della quale si accorge e – intanto -
gli adulti sia gli forniscono i mezzi sia dli mettono i paletti
… Invece l'adulto Intemperante non ha o non crede di avere
questa continua e fortissima dipendenza dagli altri , e, inoltre, gli
altri la maggior parte delle volte non hanno il potere di mettergli i
paletti.
3)
che nell'adulto temperante i paletti sono dati dalla sua ragione stessa,
mentre nell'intemperante no perchè la sua ragione è già degradata e
nell'assenza dei paletti la Intemperanza gliela degrada ancora di più,
in un tragico circolo vizioso...
«E SE SI OBIETTA che i bambini non hanno altri desideri, o
concupiscenze, che quelli naturali. Ma in rapporto a questi desideri è
raro peccare d'Intemperanza, come nota il
Filosofo. Dunque l'Intemperanza non è un peccato puerile.
IO RISPONDO che una concupiscenza, o desiderio, può dirsi
“naturale” in due maniere:
Primo in senso generico. E in tal senso sia la Temperanza e
l'Intemperanza hanno per oggetto concupiscenze naturali: infatti
riguardano concupiscenze di cibi e di piaceri venerei, che sono ordinate
alla conservazione della natura.
Secondo, una concupiscenza può dirsi naturale in senso
specifico, e cioè per la specie di ciò che la natura richiede per la
propria conservazione. E in tal senso non è frequente il peccato
rispetto alle concupiscenze naturali. Infatti la natura non cerca, se
non quanto esige la necessità naturale: ma in questo desiderio non c'è
peccato. Invece le cose in
cui maggiormente si pecca sono di un'altra specie, e cioè certi
incentivi della concupiscenza escogitati dall'invadente fantasia umana:
come la elaboratezza dei cibi, e certi abbigliamenti delle donne.
»
cosa significa ? Una profonda
distinzione: il desiderio che rende schiavo l'intemperante riguarda
qualcosa che è di natura animale e cioè i piaceri corporei, ma non
per il motivo che sono di natura animale: egli cerca il piacere corporeo
non per sé stesso ma solamente se è “travestito” da particolari
pensieri (“sicut cibi curiose praeparati, et mulieres ornatae”),
come se esso fosse piacere spirituale, ma di uno
spirito (di una ragione) corrotto!... Il discorso non è semplice perchè
nell'uomo di necessità naturale la ragione pervade tutto: le cose
esterne con le tecniche, i rapporti con gli altri uomini con convenzioni
e istituzioni, e anche il corpo e le sue sensazioni e sentimenti...
Ma: la ragione distorta
pervade in maniera distorta, “invade” e non “pervade”! E così
rovina l'ecosistema, le relazioni sociali e anche la stessa corporeità...
In specifico nell'intemperante osserviamo la “invasione”
della ragione nella corporeità: alcool droghe cibo e sesso bulimici
sono dovuti al “feticismo”... questa categoria concettuale
(freudiana ma anche marxista) indica un trasloco di idee viziose
sui piaceri corporei... per esempio nel cibo “non a ragione”
la ragione omette di proiettare gratitudine per il cibo, empatia
con i commensali e solidarietà per gli affamati (tutte cose che “a
ragione” la ragione invece potrebbe proiettare sul cibo), ma piuttosto
l'idea che il cibo sia “sofisticato”, ed “esclusivo”e dia
superiorità verso gli altri, che esso abbia un magico potere di
restaurazione della personalità scompensata, che esso sia “schiavo”
e preda della proprio Potere di Dominio (tutte cose che “non a
ragione” - dunque - la
ragione proietta sul cibo) ... e analogamente per il sesso...
Osserviamo inoltre che l'Intemperanza - dal punto di vista della
volontarietà - è un
vizio più grave della Vigliaccheria : «quanto più un peccato è volontario, tanto più è
grave. E l'Intemperanza è più volontaria della Vigliaccheria. E questo
per due motivi.
Primo,
perché le cose fatte per paura hanno la loro causa in un fattore
esterno che minaccia: cosicché tali atti, come dice Aristotele, non
sono del tutto volontari, ma misti (di involontarietà). Invece le cose
che si fanno per il piacere
sono volontarie in senso assoluto, perchè la loro concupiscenza viene
dall'interno.
Secondo, perché gli atti dell'intemperante sono più volontari
nel particolare, e meno volontari in universale: nessuno infatti
vorrebbe essere intemperante; ma ci si lascia attrarre dai singoli
piaceri che rendono intemperanti. Ecco perché il rimedio migliore
per fuggire l'Intemperanza sta nel non fermarsi a considerare il
singolare.
Invece nella Vigliaccheria avviene il contrario. Infatti i singoli gesti
di paura sono meno volontari, come gettare lo scudo: invece è più
volontario lo scopo universale, cioè salvarsi con la fuga. Ora, in
senso assoluto è più volontario ciò che è più volontario sul piano
dei singolari, in cui l'atto si produce.
Perciò l'Intemperanza, essendo in senso assoluto più volontaria della
Vigliaccheria, è un peccato più grave.»
cosa significa ? Da una parte ci
dà un messaggio di “libera scelta” e cioè di responsabilità...
non è - per es –
quell'oggetto erotico “che mi attira” (quasi fosse un soggetto
attivo e fosse “colpa sua”), ma sono io che lo
“concupisco”... D'altra parte questo brano ci dà una profonda
osservazione sulla nostra Mente: sono i “singularia” ciò che
conosco io e non “gli altri” (attraverso le scienze e
le prediche che mi insegnano, ma con cui possono insegnarmi solo “universalia”),
e dunque sono i singularia gli oggetti principali del nostro
desiderio buono o cattivo... in altre parole Temperanza ed Intemperanza
riguardano un me pienamente Attore e non Spettatore della vita...
Ma la Vigliaccheria - dal punto di vista del bene Comune -
è un vizio peggiore dell'Intemperanza:«La superiorità della Forza sulla Temperanza si può desumere dal
fine, dal quale si desume la bontà di una cosa: la Forza infatti è più
ordinata al Bene Comune che la Temperanza. E da questo lato la
Vigliaccheria è più grave dell'Intemperanza: poiché per Vigliaccheria
alcuni tralasciano di difendere il Bene Comune. »
Osserviamo inoltre che la Intemperanza è un Vizio Vergognoso. Se
l'Onore è la attribuzione di
stima che io ho verso di me e gli altri hanno verso di me, allora la
vergogna è il sentimento che nasce dalla non attribuzione di stima, dal
Disonore; e « i vizi carnali, compresi sotto il nome
d'Intemperanza, sebbene siano di minore
gravità, sono però più infamanti. Infatti la gravità della
colpa si desume dal suo allontanamento dal fine della vita umana: invece
l'infamia si desume dalla Bruttezza, che
risulta in maniera particolarmente visibile dalla degradazione
di chi pecca. Il Filosofo insegna, che l'Intemperanza tra gli altri vizi
"sembra giustamente disonorante". E questo per due
motivi. Primo,
perché è la cosa più incompatibile con un'Eccellenza specifica
dell'uomo: infatti essa ha per oggetto i piaceri comuni a noi e
alle bestie. Di qui le parole dei Salmi: "L'uomo non
ha compreso il proprio onore: si è messo alla pari dei giumenti
irragionevoli e diviene simile ad essi". Secondo,
perché essa ripugna al massimo alla Bellezza dell'uomo: poiché nei
piaceri che sono oggetto dell'Intemperanza la luce della ragione, da cui
dipende tutto lo Splendore e la Bellezza ( cioè la facile, manifesta
visibilità agli altri) della virtù, viene oscurata al massimo. Cosicché
questi piaceri si dicono sommamente da schiavi. »
cosa significa ? Tommaso da
aristotelico distingue chiaramente la gerarchia della eccellenza degli
esseri dalla bontà e malizia degli esseri (due pdv che invece il
Platonismo confondeva) : piante, animali irrazionali, corpo umano, mente
umana sono enti via via più elaborati e potenti, ma questo non implica
affatto che siano più buoni (più legati al sommo bene)... ecco perchè
la “degradazione” (passare ingiustamente da una grado della
gerarchia a uno inferiore: corpificare la mente, bestificare
l'uomo, vegetalizzare l'animale) è un atto più Brutto che
Malvagio... di malvagio c'è solo che tale degradazione è
“ingiusta” perchè “contro la natura delle cose”...
Però io penso con una visione più moderna rispetto a Aristotele e
Tommaso, e aggiungo che la “vergogna” che si prova soprattutto nei
vizi carnali sia dovuta al fatto che in questi la persona si trova assai
più “dipendente” dal proprio corpo, dai beni esterni, dalle altre
persone... si sente più “piccola” ed umile... mentre molto di meno
si sente così nei vizi spirituali come la avidità, la violenza, la
frode, la Superbia... e questa dipendenza ci porta a vergognarci nella
misura in cui abbiamo una ideologia superba di autosufficienza, ma,
d'altra parte diminuisce il male della azione perchè
- anche se in maniera distorta, viziosa – rivela in qualche
modo una realtà vera, e cioè la nostra oggettiva strutturale
dipendenza dal corpo, dai beni esterni, dalle altre persone...
La
analisi delle parti della Temperanza
·
«Una virtù
cardinale può avere tre tipi di parti, e cioè: integranti,
soggettive e potenziali.
Parti INTEGRANTI di una virtù sono quelle condizioni che devono
concorrere a costituirla. E in tal senso due sono le parti integranti della
Temperanza: cioè il Pudore, che spinge a fuggire la turpitudine contraria
alla Temperanza; e l'Onestà, che porta ad amarne la bellezza.
Infatti la Temperanza, come abbiamo già spiegato, tra tutte le virtù è
quella che maggiormente implica
un certo decoro, e i vizi ad essa contrari sono appunto quelli più
indecorosi.
Parti SOGGETTIVE di una virtù sono invece le specie di essa. Ebbene,
le specie della virtù si distinguono in base alla materia, ossia
all'oggetto. Ora, la Temperanza ha per oggetto i piaceri del tatto, che sono
di due generi. Alcuni sono ordinati alla nutrizione. E rispetto ad essi in
rapporto al cibo abbiamo l'Astinenza;
e in rapporto alla bevanda abbiamo propriamente la Sobrietà. -
Altri piaceri sono ordinati alla generazione. E rispetto ad essi in
rapporto al piacere principale del coito stesso abbiamo la Castità; invece
in rapporto ai piaceri
connessi, come baci, toccamenti e abbracci, abbiamo la Pudicizia.
Parti POTENZIALI, poi, di una data virtù sono le virtù secondarie,
che in certe altre materie meno difficili si regolano come la virtù
principale rispetto alla sua materia. Ora, la Temperanza ha il compito di
moderare i piaceri del tatto, che sono i più difficili a moderarsi. Perciò
tutte le altre virtù che importano una certa moderazione o un freno
dell'appetito verso qualche cosa, possono considerarsi parti della
Temperanza, come virtù annesse. E questo può
avvenire in tre maniere: primo, nei moti interiori dell'anima;
secondo, nei moti e
negli atti esterni del corpo; terzo, nelle cose esterne.
Primo. Nell'anima oltre il moto della concupiscenza, tenuto a freno
dalla Temperanza, ci sono tre moti appetitivi. 1) Il primo è il moto della
volontà agitata dall'impeto della passione:
ebbene questo moto è tenuto a freno dalla Continenza, la quale fa sì
che, sebbene uno soffra i moti
incomposti della concupiscenza, tuttavia la volontà non sia sopraffatta. 2) Il secondo moto interiore che tende
verso qualche cosa è il moto dell'ira che tende alla vendetta: ed esso è
tenuto a freno dalla Mitezza, o Clemenza; 3) Il terzo è
il moto della speranza, e dell'audacia che l'accompagna: e questo
moto viene tenuto a freno dalla
Modestia e da due sue virtù annesse: l'Umiltà e
la Studiosità .
Secondo. Moderare e frenare gli atti del corpo è proprio di una
terza virtù annessa alla Modestia che si chiama Contegno e che Andronico
spartisce a sua volta nelle sue funzioni.
A. Negli atti seri esterni : 1) discernere ciò che è da farsi o da
omettersi, con quale ordine si deve procedere, e nel persistervi con
fermezza: e per questo egli assegna il Buon Ordine;
2) agire
rispettando le convenienze: e per questo egli parla di Decoro. B.
Negli atti ricreativi esterni: la Giocosità.
Terzo. Nell'uso delle cose esterne: 1)
che non si cerchi il superfluo: ecco perché Macrobio nomina la
Parsimonia; 2) che non si cerchino cose troppo delicate: e in proposito
Andronico parla di
Semplicità.»
Le
due parti “integranti” (cioè elementi costitutivi) della Temperanza
- Il Pudore
. «Il Filosofo insegna che il Pudore non è una virtù.
Il termine virtù si può prendere in due sensi: in senso stretto e proprio, e in senso lato.
Propriamente "la virtù è una perfezione", come dice
Aristotele. Perciò tutto quello che è incompatibile con la
perfezione, anche se buono,
non raggiunge la natura di virtù. Ora, il Pudore è incompatibile con
la perfezione. Infatti esso è il timore di cose indecenti, e
quindi vituperevoli: ché,
a detta del Damasceno, "il Pudore è il timore di un atto turpe cioè
brutto".
Ma: come la Speranza ha per oggetto il bene possibile e arduo, così il
Timore ha per oggetto un male possibile e arduo, secondo le spiegazioni
date nel trattato dei
sentimenti. Ebbene, per chi è perfetto nella virtù niente di
vituperevole e di indecente può considerarsi un male possibile e arduo,
cioè difficile ad evitarsi: del resto costui non compie nulla di
indecente, per cui debba
temere la vergogna.
In senso
stretto perciò
il Pudore non è una virtù, non
raggiungendo la perfezione propria di quest'ultima.
Infatti il Pudore non indica un abito, ma un sentimento. E i suoi
moti non dipendono da una deliberazione, ma da un impulso sentimentale.
Dunque esso non raggiunge la natura di virtù.
In senso lato
però si denomina virtù tutto ciò che di buono si trova negli atti
umani e nei sentimenti. E in tal senso talora si dice che è una virtù
il Pudore, trattandosi di un sentimento lodevole.»
cosa significa ? Che il Pudore è
“la virtù del sapersi non virtuosi”... se abbiamo questa inconscia
consapevolezza allora ci vergogniamo di cose innocenti in sé,
ma che - per noi mediocremente viziosi – possono essere
occasioni di male, come il nostro
corpo nudo o la nostra voracità
nel mangiare...
«SEMBRA
che il Pudore non abbia come oggetto le azioni turpi, infatti, se le
avesse, l'uomo dovrebbe vergognarsi
di più delle cose più turpi. Invece talora gli uomini si vergognano
maggiormente di atti che son peccati più piccoli: mentre si
gloriano di certi peccati gravissimi, come accenna il Salmista:
"Perché ti glori della malvagità?". Quindi il Pudore
propriamente non ha per oggetto le azioni turpi.
MA , come abbiamo nel trattato sui sentimenti, il
timore propriamente ha per oggetto il male arduo, che cioè
difficilmente si può
evitare. Ora, ci sono due tipi di turpitudine. La prima è peccaminosa:
e consiste nella
depravazione di un atto volontario. E questa non ha l'aspetto di male
arduo: infatti ciò che dipende dalla sola volontà [come accade negli
atti contro la Giustizia] non è difficile e superiore al potere di un
uomo, e per questo non si presenta come una cosa
temibile. Ecco perché il Filosofo afferma, che di questi mali
non si ha timore. Il
secondo tipo di turpitudine ha quasi carattere penale: essa consiste nel
disonore che colpisce una persona, come la gloria consiste
nell'onore verso di
essa. E poiché tale disonore è un male arduo, o grave, come l'onore è
un bene arduo, il Pudore, che è il timore di ciò che è turpe,
principalmente riguarda il
disonore, ossia la vergogna.
E, come l'onore dovrebbe
secondo giustizia esser tributato solo
alla virtù, pur essendo nei fatti accordato a ogni tipo di
superiorità; così il disonore
è dovuto propriamente solo
a una colpa, ma secondo l'opinione degli uomini ricade su qualsiasi
difetto. Ecco perché alcuni si vergognano della povertà, della
mancanza di nobiltà, della schiavitù, e di altre cose del genere.
E dunque
si risponde alla obiezione iniziale così:
talora capita che certi peccati più gravi siano meno vergognosi
di altri, o perché sono
meno turpi [meno “degradanti” nel senso già spiegato], come i
peccati spirituali rispetto ai peccati carnali;
oppure perché presentano una certa superiorità di doti umane:
l'uomo, p. es., si vergogna
più della Vigliaccheria che della Temerarietà, più di essere un ladro
che di esser un rapinatore, per una parvenza di Forza che c'è nel
rapinatore. Lo stesso si dica degli altri casi.»
cosa significa ? Anche qui:
Anti-sentimentalismo ! Un sentimento come il Pudore è in sé ambiguo e
solo la Ragione lo rettifica... ma, poiché siamo tutti un tot
irrazionali e dunque un tot
viziosi , ecco che ci vergogniamo (abbiamo uno scatto automatico di
questo sentimento) per cose innocenti... ci vergogniamo della nostra
animalità e delle più svariate situazioni di inferiorità sociale che
non sono per nulla cattive moralmente...Ma noi abbiamo in testa
ideologie di superiorità e disprezzo e le scontiamo quando ci troviamo
noi stessi nella casella che esse prevedono come
quella per “persona da ritenersi inferiore e da disprezzare”
Osserviamo inoltre che « Il Filosofo afferma, che "vergognarsi non è proprio
dell'uomo virtuoso". Infatti il Pudore è la paura di qualche cosa
di indecente. Ora, il fatto di non temere un male può capitare per due
motivi: perché non è
ritenuto tale; e perché non è ritenuto possibile,
ossia non difficile a evitarsi. E dunque , il Pudore può così
mancare in una persona
per due
motivi.
Primo,
perché le cose vergognose non sono da essa
ritenute turpi. E in questo modo mancano di Pudore gli uomini
immersi nei peccati, i
quali non ne provano dispiacere, ma si gloriano di essi.
Secondo, perché alcuni non considerano la turpitudine come una
cosa capace di sedurli, ossia
non facile a evitarsi. In questo modo son prive di Pudore
le persone virtuose.
Tuttavia queste sono così disposte, che se ci fosse in loro qualche
cosa di turpe, se ne vergognerebbero: ecco perché il Filosofo ha
scritto, che "il Pudore esiste solo ipoteticamente nella
persona virtuosa".
Perciò
il Pudore manca sia nelle persone molto cattive, che in quelle molto
buone, ma per motivi diversi, come sopra abbiamo detto. Si riscontra
invece in quelle mediocri, le quali hanno un certo amore del bene; pur
non essendo del tutto immuni dal male. »
cosa significa ? Che per quanto
riguarda invece ciò che è realmente oggetto della morale e cioè virtù
e vizi il Pudore è il sentimento dei più... di noi – cioè - che non
siamo del tutto virtuosi ma neanche del tutto viziosi, e per questo ci
vergognamo, cioè abbiamo quel tot di virtù sufficiente per capire di
esser viziosi e per reagire con dolore al disonore di esserlo...
- La Bellezza
Morale (“Onestà”). « Come
scrive Isidoro, Onestà significa "stato di onore". Perciò
una cosa è onesta in quanto è degna di onore. E l'onore, come sopra
abbiamo visto, è dovuto al valore di una cosa. Ma il valore di
un uomo si desume
specialmente dalla virtù.
E l'Apostolo ha scritto: "Le membra disoneste noi le circondiamo di
maggior onore; mentre le membra oneste non han bisogno di niente".
Ora, egli chiama qui disoneste le parti brutte, e oneste quelle belle.
Perciò Onestà e Bellezza s'identificano.
Come si può rilevare dalle parole di Dionigi, il bello viene
costituito sia dallo splendore sia dalle debite proporzioni.
Perciò la bellezza del corpo consiste nell'avere le membra ben
proporzionate, con la luminosità del colore dovuto.
Parimenti la Bellezza Morale consiste nel fatto che il comportamento e
gli atti di una persona sono ben proporzionati secondo la luce della
ragione. Ora, questo, è il
costitutivo dell'Onestà che s'identifica con la virtù, la quale ultima
modera tutte le azioni umane. Dunque l'Onestà s'identifica con la
Bellezza Morale. Infatti Agostino
ha scritto:
"Chiamo Onestà la Bellezza Morale", ma subito dopo aggiunge,
che "ci sono anche molte cose
Belle al Senso della Vista , che – pur
se in senso meno proprio - si dicono oneste".
L'Onestà, allora, è una certa Bellezza Morale. Ora, il bello si
contrappone al brutto. Ma gli opposti risaltano soprattutto nella loro
contrapposizione. Perciò l'Onestà appartiene specialmente alla
Temperanza, la quale contrasta ciò che nell'uomo vi è di più brutto e di indecente, cioè i piaceri corporei privi
del freno della ragione..»
cosa significa ?
1) Quali sono le “membra brutte” del corpo umano “che
“bisognano di maggiore onore” ? Sono le “pudenda”cioè
gli organi genitali? … sono essi brutti? … o sono le membra “infirmiora”
cioè quelle più fragili o quelle malate? ... sono esse brutte? … non
so! Non ho capito! Anche perchè il contesto paolino della citazione è
fortemente diverso da quello della Temperanza ma parla di una Superiore
Divina Giustizia nella metafora del Corpo di Cristo e delle Membra che
siamo noi (1 Cor: 12, 1-25)... in cui si rimanda al “primato
degli ultimi”, al “medico che viene per i malati e non per i
sani”, alla “urgenza per la pecorella smarrita” e per “il
figliol prodigo”.... contesto difficilissimo per un testo difficile!
2)
che la Temperanza come v. particolare abbia un privilegiato rapporto con
la bellezza … beh, mi quadra: viso e voce di una persona prigioniera
della lussuria o immersa nella abbuffata golosa o preda della ebrezza
alcolica o stravolta dalla ira sono viso e voce più brutti !... quasi
che con la assidua e silenziosa azione della Temperanza nel
proporzionare i sentimenti interni
di una persona, questa venisse trasformata tanto da apparire anche al di
fuori nella proporzione bella dell'aspetto e gestualità esterni...
- Commento : come l'acqua è composta da idrogeno e ossigeno, così la
Temperanza è composta da Pudore e Bellezza Morale... il Pudore è il
giusto timore di esser giustamente disonorati, mentre la Bellezza Morale
è la giusta fiducia/speranza di esser giustamente onorati …
Il temperante “si appoggia” su una sana natura animale
che miscela con equilibrio i piaceri del tatto, ed è “sostenuto
e sollevato” dalle altre tre VC... egli dunque – da una
parte - si “affloscerebbe
o crollerebbe” nei piaceri corporei se non fosse sostenuto e sollevato
dalle altre VC, ed egli dunque – d'altra parte -
si “slogherebbe o strapperebbe” se non si appoggiasse sui
piaceri corporei...
E potremmo così dipingere il ritratto del temperante: egli è schivo ma
non timido, è affettuoso ma non invadente, non è impacciato ma non è
neanche iperattivo, non è irascibile ma non è neanche sottomesso, non
è spudorato col suo corpo e non si esalta per esso ma neanche è
vergognoso o ansioso per il suo corpo e anzi è grato e anche orgoglioso
per esso, non è né chiacchierone né muto, è rispettoso ma non
scostante, è scherzoso ma non pagliaccio, è allegro ma non ha il
sorriso stereotipato, è triste quando le circostanze reali lo impongono
ma non è cupo e lamentoso, è affascinante ma non seduttivo, è
conviviale ma non orgiastico, è poetico ma non mieloso sentimentaloide,
etc etc...
Le tre parti
“soggettive” (cioè aspetti specifici) della Temperanza
·
Astinenza
(Dieta Sana): « I piaceri alimentari,
sebbene siano ordinati in qualche modo ai piaceri sessuali, sono già per se
stessi ordinati alla conservazione della vita umana singola. Ecco perché già
per se stessi hanno una speciale virtù, che è denominata Astinenza, che
però in qualche modo ordina il proprio atto al fine della Castità,
ordinata alla conservazione della specie umana.
Il termine “astinenza” implica sottrazione di alimenti. Esso perciò può
avere due significati. Primo, può indicare la semplice sottrazione
del cibo. E in tal senso l'astinenza è un atto indifferente.
Secondo, può indicare codesto atto in quanto è regolato dalla ragione e
allora l'Astinenza è una virtù. Come dice Agostino: rispetto alla virtù
"non ha nessuna importanza la qualità e la quantità degli alimenti;
purché uno ne usi secondo le esigenze delle persone con le quali convive, e
secondo le esigenze della propria persona e della propria salute; ma interessa la facilità e la serenità con
le quali uno ne sopporta la privazione quando la necessità, o il dovere lo
impone". »
cosa mi viene in mente ?.. che anche
io ho pensato in effetti alla Astinenza come “in qualche modo”
finalizzata alla Castità... e che quando ho pensato con serietà alla
Astinenza (alla linea e dunque alla “dieta”) ho dovuto pensare ai mezzi
possibili, opportuni ed efficaci
per me (scelta saggia dei modi, dei tempi, dei piaceri sostitutivi,
dei cibi etc. secondo la mia personalità individuale e secondo le
particolari circostanze che via via mi si presentavano) per raggiungere lo
scopo della Astinenza... e che essa sia costruita un tot in me in effetti lo
vedo dalla facilità e tranquillità con cui vivo la sottrazione di cibo...
Il suo vizio per eccesso e cioè la Golosità
: « la quale non origina dalla materialità
del cibo, ma nella brama di esso non regolata dalla ragione. Come scrive
Gregorio: "In cinque modi ci tenta il vizio della gola: ci fa
anticipare il pasto prima del bisogno; ricerca cibi squisiti; li fa
preparare con raffinatezza; talora passa i limiti della quantità richiesta;
e qualche volta pecca per la voracità d'una brama insaziabile". E
inoltre Gregorio indica la Golosità come vizio capitale e cioè generatore
di altri vizi che poi sono: "insipida allegria, buffoneria,
incontinenza, parlare a vanvera, ottusità della mente nell'intendere".
»
- Sobrietà
: « le bevande inebrianti costituiscono un
ostacolo speciale per l'uso della ragione: in quanto turbano con
i loro fumi le funzioni cerebrali. Perciò per togliere questo
impedimento della ragione si richiede una virtù speciale, che è
appunto la Sobrietà»
e il suo vizio per eccesso e cioè
l'Ebrietà : «può
capitare che uno avverta chiaramente che la bevanda è
troppa ed inebriante, e tuttavia preferisca ubriacarsi piuttosto
che astenersi dal bere.
Tale individuo è propriamente un ubriacone; poiché le azioni morali
ricevono le specie non da quello che avviene per caso e
involontariamente, ma da ciò
che è espressamente voluto. E in questo caso l'Ebrietà è peccato
mortale. Poiché con essa uno si priva scientemente e volontariamente
dell'uso della ragione, che è il mezzo per agire virtuosamente,
scansando il peccato: e così
pecca mortalmente, per il motivo che volontariamente si espone
al pericolo di peccare.
A detta del Filosofo, l'Insensibilità, che è il vizio per
difetto della Temperanza, "non capita di frequente". Ecco
perché, sia essa che le
sue specie, le quali si contrappongono alle varie specie
della Temperanza, non hanno un proprio nome. E quindi
anche il vizio contrario all'Ebrietà è senza nome. Però se uno
scientemente si privasse così tanto del vino, da compromettere
gravemente la salute e l'umore, non sarebbe immune
da colpa. »
penso che oggi dobbiamo associare
la dipendenza dall'alcool a tutte le altre dipendenze da sostanze
chimiche che provocano stati alterati ed esaltati della mente...
- Castità
(Sessualità
Buona) .
« Il termine “castitas” deriva dal fatto che la
concupiscenza viene “castigata” cioè corretta
dalla ragione, alla stregua di un bambino, come si esprime il
Filosofo. Ora, una tendenza ha natura di virtù proprio perché è
moderata dalla ragione, come sopra abbiamo detto. Perciò è evidente
che la Castità è una virtù. Ora, la concupiscenza dei piaceri
corporei è quella che più somiglia al bambino: poiché la brama del
piacere, e specialmente dei piaceri del tatto, ordinati alla
conservazione, è per noi connaturale. Ecco perché questa concupiscenza
aumenta enormemente, se venga nutrita mediante il consenso, come il
bambino abbandonato ai propri capricci. E quindi la concupiscenza di
questi piaceri più di ogni altra ha bisogno di essere castigata. Ecco
perchè il termine “castità” si può prendere in due sensi.
Primo,
in senso proprio. E allora
la Castità è una virtù speciale con la sua materia specifica, che è
la brama dei piaceri sessuali. L'ordine
della ragione esige che tutto sia ben ordinato al
proprio fine. Perciò non è peccato che l'uomo si serva di
determinate cose per il loro fine, nella misura e nell'ordine
conveniente, purché il fine sia qualcosa
di veramente buono. Ma come è un vero bene la conservazione della
vita fisica di un individuo, così è un bene superiore la conservazione
della specie umana. E come alla conservazione dell'individuo è
ordinato l'uso dei cibi, così alla conservazione di tutto il genere
umano è ordinato l'uso dei piaceri
sessuali; secondo le parole di Agostino: "Ciò che è il
cibo per la conservazione
dell'individuo, lo è la copula per la conservazione della specie".
Perciò come si può usare dei cibi senza peccato, se si fa nella
misura che si richiede alla
salute del corpo; così anche l'uso dei piaceri sessuali può essere
senza peccato, se si fa nella debita maniera, come è richiesto
dal fine della generazione umana.
Secondo,
in senso metaforico. Poiché come nell'unione dei corpi si ha il piacere
sessuale, oggetto della Castità e del vizio contrario, che è la
Lussuria; così nell'unione
spirituale dell'anima con determinate cose si ha un certo
piacere - piacere
che è l'oggetto di una certa Castità -
ma anche di una certa fornicazione
metaforica. Infatti quando l'anima umana gode nell'unione
spirituale con ciò cui deve unirsi, cioè con la Verità e la
Giustizia, e si astiene dal godere di altre cose unendosi con esse
contro il debito ordine razionale, si può parlare di Castità
spirituale. Se invece l'anima gode nell'unirsi alle altre cose contro
l'ordine dovuto, si ha una fornicazione spirituale. Presa in questo
senso la Castità è una virtù generale: poiché qualsiasi virtù ha il
compito di ritrarre l'anima umana dal piacere che si prova nell'unirsi
alle cose illecite.»
questo cosa mi fa pensare ?
A.
Al contributo della psicanalisi freudiana: 1) non è il
“bambino” in quanto tale a sviluppare mostruose concupiscenze se
abbandonato ai suoi capricci, ma la “persona” in generale... il
bambino solamente de facto si trova in una situazione in cui la
correzione sugli aspetti della corporeità trova ordinariamente - cioè
per lo più - una ambiente correttivo nei genitori, mentre la persona
adulta non la trova per l'ordinario in questo campo della vita... 2)
la concupiscenza si sviluppa in maniera eccessiva e distorta non per la
sua “naturalità” nel senso di “natura animale e dunque
corporea” sana, ma nel senso di “natura umana e cioè razionale”
malata, distorta, per vari motivi traumatici-ambientali e
ideologici-mentali scissa dal rapporto col mondo reale e – nel caso
specifico della sessualità – con le reali relazioni interpersonali, e
affascinata e avvinta da fantasie auto-create e poi proiettate sulle
altre persone viste (anche se non consapevolmente) come schermo-feticcio delle proprie proiezioni.
B.
al contributo della fede ebraico-cristiana (in cui il primo Casto/Fedele
è Jahvè, mentre il primo Adultero/Fornicatore è il Popolo di Israele)
: il concetto Castità e Lussuria “spirituali” ci illumina sul nesso
cioè sulla continuità (“natura non facit saltus”!) che c'è tra i vissuti implicati dalla sessualità casta
(reciprocità del piacere sessuale, intimità sessuale, fedeltà
sessuale, generazione sessuale) con
gli analoghi vissuti “casti” (cioè corretti secondo l'ordine della
ragione) implicati da quegli ambiti della vita in cui non vi sono
rapporti genitali corporei (reciprocità della relazione interpersonale,
intimità della relazione, fedeltà della relazione, generazione
spirituale) … infatti – qui più secondo la eredità platonica che
secondo quella aristotelica – la spiritualità cristiana per molti
secoli ha descritto la ricca fenomenologia dell'eros “platonico” cioè
spirituale, e della paternità spirituale con terminologia ed accenti in
continuità evidente con la terminologia e gli accenti
dell'eros sessuale e della paternità sessuale.
Tommaso poi tratta del vizio opposto per eccesso e cioè la Lussuria
. «Tra gli atti
umani è peccaminoso quello che è contro l'ordine della ragione. Ora,
l'ordine della ragione esige che tutto sia ben ordinato al
proprio fine. Perciò non è peccato che l'uomo si serva di
determinate cose per il
loro fine, nella misura e nell'ordine conveniente, purché il fine sia
qualcosa di veramente buono. Ma come è un vero bene la conservazione
della vita fisica di un individuo, così è un bene superiore la
conservazione della specie umana.
Il giusto mezzo della virtù, come sopra abbiamo detto, non va misurato
dalla quantità, ma in conformità con la retta ragione. Perciò la sovrabbondanza del piacere che è nell'atto sessuale
ordinato secondo ragione non
esclude il giusto mezzo della virtù.
Inoltre: alla virtù non interessa quanto sia il piacere dei
sensi esterni, che dipende dalle disposizioni fisiche; ma
quanto l'appetito interiore, o volontà, sia preso da codesto
piacere.
E neppure il fatto
che la ragione non è libera di considerare cose spirituali durante un
dato piacere dimostra che quell'atto è contrario alla virtù. Infatti
non è contro la virtù interrompere ragionevolmente le funzioni della
ragione per un po' di tempo: altrimenti sarebbe contro la virtù
abbandonarsi al sonno.
Perciò il vizio della Lussuria non dipende dalla quantità del piacere
sessuale né dalla
interruzione della ragione durante tale piacere, ma dipende dal fatto che il desiderio e il piacere sessuali
non sottostanno al comando e al governo della ragione.»
cosa significa ? Di nuovo:
Anti-sentimentalismo (e dunque anche Anti-ascetismo, visto che
l'ascetismo non è che l'altra faccia della medaglia del
sentimentalismo) ... queste affermazioni (che vanno contro i luoghi
comuni sulla sessualità presenti per ogni dove, in ambienti
“cristiani” esattamente come in ambienti “non cristiani”)
sottolineano che il Problema Morale nella sessualità non riguarda il
sentimento del piacere corporeo in
sé stesso né la sua intensità, ma – invece - riguarda il
sentimento del piacere corporeo solo dal punto di vista della sua
origine oggettiva nelle azioni governate dalla ragione o ribelli
alla ragione...
Alla discussione concettuale della Lussuria in sé stessa svolta nella
questione 153°, segue poi
nella questione 154° l'analisi minuziosa delle specie e sottospecie di
Lussuria, inquadrate in una gerarchia di gravità viziosa....
- commento
: le specie della Temperanza, quali Dieta alimentare, Sobrietà verso le
sostanze eccitanti, Buona Sessualità... e i loro vizi per eccesso
come la Bulimia, la Tossicodipendenza e la Sex Addiction...
e i loro vizi per difetto cui oggi – diversamente che ai
tempi di Aristotele e anche a quelli di Tommaso – viene dato un nome,
come : Anoressia e Intolleranze Alimentari, Intolleranze ed Insensibilità
ai Farmaci, Frigidità ed Impotenza Sessuali...
Tutti gli“abiti” virtuosi e viziosi che riguardano i piaceri
corporei sono però assai poco “animali” … più “scendiamo”
nella scala evolutiva animale (agli altri mammiferi, agli uccelli, e poi
ai rettili e poi ai pesci e infine agli invertebrati come gli insetti e
i molluschi) più troviamo in questo campo “virtù” standard cioè
istinti programmati e assenza dei “vizi” corrispondenti... mentre in
noi “animali razionali” la ragione scompone e ricompone sia la virtù
sia il vizio nei piaceri corporei...
In tale campo – infatti - in noi la ragione produce una virtù
essenziale per il benessere quotidiano dell'individuo, la Temperanza...
essenziale ma non la più grande... perchè non benefica direttamente le
altre persone!... e produce vari vizi che rovinano anche mortalmente
l'individuo (le varie forme di tossicodipendenze) , gravi sì ma non i
più gravi … perchè non danneggiano direttamente le altre persone!
Le tre parti
“potenziali” (cioè virtù annesse ) della Temperanza
·
«Passiamo ora
a considerare le parti potenziali della Temperanza:
primo,
la Continenza;
secondo,
la Mitezza;
terzo,
la Modestia.»
La Continenza
- Continenza
.«Alcuni ritengono che la Continenza sia la facoltà di resistere alle
cattive concupiscenze, che
si scatenano con violenza. È in tal senso che parlano di
essa l'Etica aristotelica e le Collationes Patrum.
Così intesa la Continenza ha un
aspetto di virtù, in quanto la ragione è fatta per resistere alle
passioni: ma non raggiunge la perfetta natura di una virtù morale,
che esige la sottomissione alla ragione dello stesso appetito sensitivo,
così da impedire l'insorgere in esso di passioni violente contrarie
alla ragione. Ecco perché il Filosofo afferma, che "la
Continenza non è una virtù, ma una certa mescolanza", in quanto
cioè ha certi elementi della virtù, e manca di altri.
Infatti: desideri hanno
la stessa disposizione, sia in chi è continente, sia in chi è
incontinente: poiché sia nell'uno sia nell'altro prorompono desideri
cattivi e violenti. Dunque è evidente che la Continenza non ha
sede nella facoltà di desiderare.
La facoltà della volontà – invece . si trova come in mezzo
tra la facoltà del ragionare e la facoltà del desiderare, e può esser
mossa da entrambe. In chi è continente essa viene mossa dalla ragione:
in chi è incontinente
viene mossa dai desideri. Perciò la Continenza può essere attribuita
alla ragione, come al suo primo movente, e l'incontinenza ai desideri:
sebbene entrambe abbiano la loro sede propria e immediata nella volontà.
E, sebbene i sentimenti non risiedano nella volontà, tuttavia è in
potere della volontà far
loro resistenza. È così che la volontà della persona continente
resiste a quei particolari sentimenti che sono i desideri.
Però:
prendendo però il termine
virtù per qualsiasi principio lodevole d'operazione, possiamo dire che
la Continenza è una virtù.
MA SEMBRA che che la Continenza sia migliore della
Temperanza. Infatti: Una virtù tanto è più grande, quanto maggiore è
il premio che merita. Ma la
Continenza merita un premio più grande; poiché l'Apostolo insegna:
"Non riceve la corona,
se non chi ha combattuto a dovere". Ora, combatte di più il
continente, il quale sente impetuose le concupiscenze cattive che il
temperante, il quale non le sente così impetuose. Perciò la
Continenza è una virtù superiore alla Temperanza.
EPPURE IN CONTRARIO: Cicerone e Andronico considerano la
Continenza una virtù secondaria annessa alla Temperanza. Infatti, la
Continenza indica la “resistenza della ragione contro l'assalto violento di cattivi desideri”. E allora si
vede perchè la Temperanza
sia molto superiore alla Continenza. Infatti,
un atto virtuoso è lodevole nella misura che è conforme alla
ragione. Ma vediamo con chiarezza che il bene di ordine razionale è
maggiore nella persona
temperante, perchè in lei il suo stesso appetito sensitivo è
sottoposto e come trasformato
dalla ragione, ed è invece minore nella persona continente, in cui
l'appetito sensitivo resiste con forza alla ragione contro i cattivi
desideri. Perciò la Continenza sta alla Temperanza come una cosa
imperfetta alla perfezione. Infatti
la volontà è più vicina alla ragione di quanto lo sia l'appetito
sensitivo. E vediamo allora che la
bontà di ordine razionale, che rende lodevole la virtù, si dimostra più
perfetta col raggiungere non soltanto la volontà, come avviene nella
persona continente, ma
anche l'appetito sensitivo, come avviene nelle persone temperanti.
RISPONDIAMO dunque così alla obiezione dell'Apostolo: la forza,
o la fiacchezza del desiderio può derivare da due cause diverse.
Talora infatti deriva da una causa fisiologica. Poiché alcuni sono più
portati di altri al desiderio dalla complessione naturale. Inoltre
alcuni hanno più di altri facili occasioni di abbandonarsi ai piaceri.
In questi casi la debolezza del desiderio diminuisce il merito: mentre
la sua forza lo aumenta.
Talora invece la minore forza del desiderio deriva da una causa
lodevole, p. es., dal vigore dell'amore, o della ragione, come avviene
nella persona temperante. E allora la fiacchezza del desiderio
aumenta il merito, a motivo della sua causa; mentre la sua forza lo
diminuisce.»
cosa significa ?1)
Unità psico-fisica: i sentimenti sono il completamento della
ragione,
e 2) contro il messaggio retorico -
e fomentatore di Superbia - del
diffuso luogo comune che dice che ciò che si fa con più fatica e
dolore (Continenza) sia più buono di ciò che si fa con più agio e più
piacere (Temperanza)
- Incontinenza.
«SEMBRA che l'incontinente pecchi più dell'intemperante.
Infatti: uno pecca tanto più
gravemente, quanto più agisce contro coscienza, secondo quelle parole
evangeliche: "Il servo che ha conosciuto la volontà del
padrone e ha fatto cose degne di castigo, sarà aspramente
battuto". Ora, agisce
più contro coscienza l'incontinente che l'intemperante; poiché, come
nota Aristotele, il primo si abbandona a certi desideri
sapendo che son cose
cattive, trascinato dalla passione; l'intemperante invece giudica buone
le cose che brama. Perciò l'incontinente pecca più
dell'intemperante.
MA IN CONTRARIO: L'impenitenza aggrava qualsiasi peccato: infatti
a detta del Filosofo, "l'intemperante non è pronto al pentimento,
poiché si fonda su una scelta: invece l'incontinente è pronto a
pentirsi". Dunque
l'intemperante pecca più dell'incontinente.
Come dice Agostino, il peccato consiste soprattutto nella volontà:
"Infatti è con la volontà che si pecca e si vive
rettamente". Perciò il peccato
è più grave là dove c'è maggiore inclinazione della volontà a
peccare. Ora,
nell'intemperante la volontà piega al peccato per propria
deliberazione, derivante
dall'abito vizioso acquistato peccando. Invece nell'incontinente la
volontà è portata a peccare solo da un impulso del sentimento.
E poiché l'impulso del sentimento passa presto,
mentre l'abito è una "qualità che difficilmente si
cambia", chi pecca d'incontinenza
subito si pente, allo svanire del sentimento: il che non avviene in
chi pecca di Intemperanza, che anzi gode di aver peccato, poiché
l'atto peccaminoso gli è
diventato connaturale in forza dell'abito vizioso. Agli intemperanti si
applicano le parole della Scrittura: "Godono del malaffare e
tripudiano nelle cose pessime". Perciò è evidente che
"l'intemperante è molto peggiore dell'incontinente", come
dice anche il Filosofo.
RISPONDIAMO dunque alla obiezione iniziale così:
Talora
l'ignoranza precede l'inclinazione dell'appetito, e ne è la causa. E in
tal senso quanto maggiore è l'ignoranza, tanto più diminuisce il
peccato, fino a scusarlo totalmente,
rendendolo involontario.
Talora,
al contrario, l'ignoranza
segue l'inclinazione della volontà. E tale ignoranza più è grave, più
aggrava il peccato: perché dimostra
la maggiore inclinazione dell'appetito. Ora, quest'ignoranza è quella
presente sia nell'incontinente sia nell'intemperante, e deriva dal fatto
che l'appetito, o volontà, è inclinato
a qualche cosa: o spinto dal sentimento, come nell'incontinente; o
portato dall'abito, come nell'intemperante. Ma l'ignoranza
prodotta così nell'intemperante è più grave che nell'incontinente.
Primo, per la durata. Poiché
nell'incontinente questa ignoranza dura solo quanto il sentimento: come l'accesso della febbre terzana dura quanto il turbamento
degli umori. L'ignoranza
invece dell'intemperante dura di continuo, per la stabilità del suo
abito: cosicché "viene paragonata all'etisia", o a qualsiasi
malattia cronica, come
scrive il Filosofo. Secondo, l'ignoranza dell'intemperante è più
grave anche per l'oggetto ignorato. Infatti l'ignoranza
dell'incontinente si limita a delle scelte particolari, giudicando cioè
che questo piacere momentaneamente è da
prendersi: l'intemperante invece è nell'ignoranza dello stesso
fine, in quanto giudica
cosa buona abbandonarsi sfrenatamente ai desideri cattivi. Ecco perché il Filosofo afferma, che "l'incontinente è
migliore dell'intemperante, poiché
in lui si salva il principio più importante", cioè la netta
valutazione del fine. »
cosa significa ? Che
l'intemperante che fa il male con convinzione fa più male
dell'incontinente che lo fa solo per debolezza... ma molto spesso si
ammira l'intemperante e si disprezza l'incontinente... Perché ? Perché
si segue la teoria che la debolezza e la sofferenza sono un male
maggiore rispetto alla proterva malvagità... che la protervia spudorata
è “vincente” e la debolezza dubbiosa è “perdente”...
Noi Italiani dovremmo specialmente riflettere su questo: sul pentimento,
atto proprio dell'incontinente e sconosciuto invece all'intemperante...
Noi Italiani disprezziamo il pentimento, lo riteniamo non un bene che
inizia il percorso di guarigione, ma bensì un male che ci attira il
disprezzo altrui e l'isolamento... Mai ci siamo pentiti del Fascismo (e
del comunismo staliniano e del berlusconismo e di tante altre cose... e
nella vita quotidiana – per es. - a una infrazione stradale che
facciamo aggiungiamo un gestaccio verso la persona che ne è stata
oggetto, non diciamo mai “Scusa!” pensando di essere diminuiti nel
farlo...)
La Mitezza
- Mitezza
. « La virtù morale consiste nella sottomissione degli appetiti alla
ragione, come insegna il Filosofo. Ora, questo si riscontra sia
nella Clemenza che nella Mitezza: poiché la Clemenza nel diminuire i
castighi "guarda alla
ragione", secondo l'espressione di Seneca; e anche la Mitezza
modera l'ira secondo la retta ragione, a detta di Aristotele.
Perciò è evidente che sia
la Clemenza che la Mitezza sono virtù.
Esse sono virtù annesse alla Temperanza perchè le virtù annesse
vengono assegnate a una virtù principale in
quanto la imitano, a proposito di materie secondarie, nel modo da
cui dipende il suo valore di virtù, e da cui ha preso il nome: il modo,
p. es., e il nome della Giustizia si ricava dall'uguaglianza; quello
della Forza dalla fermezza; e quello della Temperanza dal contenimento,
in quanto, cioè, essa tiene a freno i più violenti desideri dei
piaceri del tatto. Ora, anche la Clemenza e la Mitezza consistono in un
certo contenimento; poiché la Clemenza
tende a diminuire il castigo, e la Mitezza a moderare l'ira. Perciò
Clemenza e Mitezza sono virtù annesse alla Temperanza.
E se si chiede se il Mite a volte possa adirarsi, rispondiamo di sì:
propriamente parlando, l'ira è un sentimento dell'appetito sensitivo,
dal quale prende nome la facoltà dell'irascibile, come abbiamo
detto nel trattato sui sentimenti. Ora, nei sentimenti il peccato
può trovarsi in due maniere. Primo, per la natura stessa di un
sentimento, natura che si desume dal suo oggetto. L'invidia, p. es., per sua
natura implica un peccato, essendo il dispiacere per un bene altrui,
dispiacere che per se stesso ripugna
alla ragione. Perciò, come dice il Filosofo, l'invidia "nel
suo nome indica qualche
cosa di peccaminoso". Ma questo non è il caso dell'ira, che è
brama di vendetta: poiché il desiderio di vendicarsi può
essere buono o cattivo. Secondo, il peccato si può riscontrare
in un sentimento per l'intensità di esso, cioè per i suoi eccessi o
per la sua debolezza. E da questo lato nell'ira è possibile riscontrare
il peccato: cioè quando uno si adira di più o di meno di quel che
esige la retta ragione. Se invece uno si adira conforme alla retta
ragione, allora l'ira è lodevole. »
cosa significa ? Moderare l'ira
… Bobbio faceva lo “elogio della mitezza” bandendo da essa l'ira ,
e non mi aveva mai convinto... lui era bravo a indicare il bene non lo
era altrettanto a opporsi al male... e sceglieva come “successori”
persone come Galli della Loggia o Marco Revelli o Rocco Buttiglione...
La Mitezza come virtù è invece difficile (come in genere è difficile
la virtù, che come la nave di Odisseo deve navigare lontana sia da
Scilla sia da Cariddi): essa deve moderare l'ira , non eliminarla...
Essa è virtù annessa alla Temperanza perchè regola un sentimento come
l'ira, molto legato alla corporeità e legato anche al piacere... il
piacere di ripristinare la Giustizia (vera o presunta che essa sia...),
un piacere amaro ma certamente piacevole,
come credo tutti sperimentiamo...
- Iracondia,
cioè il vizio per eccesso opposto alla Mitezza.
« Propriamente l'ira, come sopra abbiamo detto nel trattato sui
sentimenti, indica un sentimento e non un vizio. Ora, un sentimento
dell'appetito sensitivo in tanto è buono in quanto è regolato dalla
ragione: se invece esclude l'ordine della ragione, allora è cattivo.
Ebbene, l'ordine della ragione interessa l'ira sotto due aspetti.
Primo, in rapporto a
ciò che con essa si desidera, ossia alla vendetta. Cosicché se uno
desidera che si faccia vendetta secondo l'ordine della ragione, allora
l'ira è lodevole, e si denomina Zelo. Se invece uno desidera che si
faccia vendetta in qualsiasi modo contro l'ordine della ragione, p. es.,
che sia punito chi non lo merita, o che uno venga punito più di quanto
si merita, ovvero non secondo l'ordine legittimo, o non per il fine
dovuto, che è la conservazione della Giustizia e la Correzione della
colpa, allora l'ira è peccaminosa. E abbiamo il vizio dell'Iracondia.
Secondo, l'ordine della ragione interessa l'ira per il modo di
adirarsi: il divampare dell'ira, cioè, non deve essere eccessivo né
internamente né esternamente. Se non si bada a questo, l'ira non sarà
senza peccato, anche se uno desidera la giusta vendetta.
L'Iracondia è un peccato mortale? Dipende: infatti i moti dell'ira
possono essere disordinati e peccaminosi in due maniere.
Primo, a motivo di ciò che si desidera: come quando uno brama
una vendetta ingiusta. E allora l'Iracondia nel suo genere può essere
peccato mortale: perché la vendetta ingiusta è in contrasto con
l'amore e la giustizia.
Secondo, i moti dell'ira possono essere disordinati per la
maniera di adirarsi: cioè se uno eccede nell'ardore interno dell'ira o
nelle manifestazioni esterne di essa. E da questo lato di suo
l'Iracondia non è peccato mortale.
L'Iracondia è il peggiore dei peccati? No. Infatti il disordine
dell'ira può dipendere, come abbiamo visto, da
due cose, cioè: da ciò che con essa si desidera,
e dal modo di adirarsi.
1) Ora, per
l'oggetto che l'irato desidera, l'Iracondia è tra i peccati più
piccoli. L'ira infatti desidera la sofferenza
di una persona sotto l'aspetto di bene, e cioè del punire una
ingiustizia. Perciò da questo lato l'Iracondia fa parte di quei peccati
che desiderano il male del prossimo, insieme all'Invidia e all'Odio:
mentre però l'Odio brama il male di una persona direttamente in quanto
male; e l'invidioso lo brama per il desiderio della propria gloria;
l'adirato – invece - vuole il male altrui sotto l'aspetto di giusta
vendetta. Da ciò è evidente che l'Odio è più grave
dell'Invidia, e l'Invidia è più grave dell'Iracondia: perché
desiderare il male sotto l'aspetto di male
è peggio che desiderarlo sotto l'aspetto di bene; e desiderare
il male in quanto bene esterno, ossia come onore, o come gloria, è
peggio che desiderarlo sotto l'aspetto di Giustizia.
2) L'Iracondia però, quale desiderio di un male sotto l'aspetto
di bene, si affianca ai peccati di desiderio del piacere, i quali anche
essi hanno di mira un bene. E anche da questo lato, assolutamente
parlando, l'Iracondia, e cioè il peccato d'ira,
è meno grave dei peccati di desiderio di piacere; e cioè nella
misura in cui il bene della Giustizia, bramato da chi si adira, è
superiore al bene piacevole bramato con il desiderio. Ecco perché il
Filosofo afferma, che "è più vergognosa l'incontinenza nella
concupiscenza che l'incontinenza nell'ira". »
cosa significa ? È un messaggio
antico ! della tradizione aristotelica... lo abbiamo noi oggi
dimenticato ? In grande parte credo di sì: non sempre l'ira è viziosa,
ma può anche esser virtuosa e c'è un vizio per la mancanza
dell'ira!...
Osservo poi nell'Iracondia (cioè il vizio morale, la malregolazione
- per eccesso - del sentimento dell'ira) che la prima serie di
motivi per la viziosità (desiderio di punire chi non lo merita, punirlo
più di quanto di merita, e non per il fine dovuto e cioè il Bene della
Giustizia) sono solo una parte! Cioè l'Iracondia sarebbe lo stesso un
vizio (e anche molto distruttivo!, o meglio: auto-distruttivo) anche se
io desiderassi di punire chi lo merita,
nella misura giusta e per il suo bene – cioè la correzione, il
suo migliorarsi – e non per distruggerlo!
potrei lo stesso esser vizioso per la seconda serie di motivi e
cioè il “divampare” del sentimento dell'ira dentro di me,
l'occuparmi tutta la mente, il crescere “a valanga” cancellando
qualsiasi altro pensiero e sentimento, e precipitandomi in un pessimismo
disperato...
- Insensibilità
all'Ira, cioè il vizio per
difetto opposto alla Mitezza.
«Col termine ira si possono intendere due
cose. Primo,
il semplice moto della volontà col quale uno infligge un
castigo, non per passione,
ma per un giudizio della ragione. E la mancanza d'ira in questo senso è
indubbiamente peccato. E così ne parla il Crisostomo là dove dice:
"L'ira motivata non è Iracondia, ma atto di Giustizia. Infatti per
“ira” propriamente
s'intende un turbamento passionale: invece se uno si adira per
un giusto motivo, la sua ira è un sentimento ma non deriva dal
sentimento. Perciò si dirà che egli giudica, non già che si
adira".
Secondo,
per ira si può intendere un moto dell'appetito sensitivo
accompagnato da un sentimento e da una trasmutazione corporale. E
questo moto accompagna
necessariamente nell'uomo l'atto della volontà: poiché per
natura l'appetito inferiore segue il moto dell'appetito
superiore, salvo particolari ripugnanze. Perciò nell'appetito sensitivo
non può mancare del tutto il
moto dell'ira, se non per la carenza, o per la debolezza dell'atto
volitivo. Perciò indirettamente anche la mancanza della passione
dell'ira è un vizio: come lo è la mancanza dell'atto punitivo della
volontà, richiesto dal giudizio della ragione.
Perciò Crisostomo insegna: "Chi non si adira quando c'è motivo di farlo, pecca.
Infatti la pazienza irragionevole semina i vizi, nutre la
negligenza, e invita al male non solo i cattivi, ma anche i buoni"»
cosa significa ? È una netta,
chiara, grave condanna del Buonismo che impera nella Italia di oggi:
tanti troppi Italiani con
le false scuse “morali” della Mitezza, Tolleranza, Rispetto della
Privacy, Non Invadenza, etc etc, ma in realtà per i ben più ignobili
motivi del Menefreghismo, dell'Egoismo, della Vigliaccheria, della
Pigrizia, evitano di indignarsi (arrabbiarsi) di fronte alle miriadi di
ingiustizie vicine e lontane e così evitano di correggere, evitano di
“immischiarsi”... e, così facendo, come dice Giovanni Crisostomo :
“seminano vizi, nutrono la negligenza, invitano al male non solo
i cattivi, ma anche i buoni”!
La Modestia
·
Modestia
in sé Stessa .
«Come abbiamo già visto, la Temperanza impone moderazione nelle cose in
cui è più difficile moderarsi, ossia nei desideri relativi ai piaceri del
tatto. Ora, come c'è una virtù speciale relativa alle cose più difficili, deve esserci nello stesso campo una virtù
relativa alle cose meno difficili, poiché la vita umana deve essere
regolata in tutto secondo la virtù. Perciò è necessario che ci sia una
virtù che moderi dei sentimenti presenti in altri ambiti della vita,
sentimenti che sono meno attraenti di quanto lo siano i piaceri corporei del
tatto, e dunque che non sono così difficili da moderarsi. E questa virtù
è la Modestia, che è virtù annessa alla Temperanza. »
·
Le Specie
della Modestia .
«gli specifici ambiti della vita che hanno bisogno di moderazione sono
quattro seguenti.
Primo,
l'aspirazione verso una particolare eccellenza: che viene moderata
dall'Umiltà, virtù contraria alla Superbia.
Secondo,
il desiderio di conoscere: che viene moderato dalla Studiosità, virtù
contraria alla Curiosità.
Terzo,
quanto si riferisce al Contegno nei moti e agli atteggiamenti del corpo
perché essi si compiano decorosamente: nei rapporti seri, moderati dal
Decoro e dal Buon Ordine; e nei rapporti ricreativi, moderati dalla Giocosità.
Quarto,
tutto ciò che riguarda il Contegno nell'apparato esterno, come le vesti e
altre cose del genere, ambito moderato dalla Parsimonia e dalla Semplicità.»
Umiltà
- Cosa
è . «Come
abbiamo detto nel trattato sui sentimenti, il bene arduo ha un aspetto
che attira l'appetito, ed è appunto la sua bontà: ed ha un aspetto
repellente, che è la difficoltà di raggiungerlo: dando luogo il primo
al moto della speranza, e
il secondo a quello della disperazione. Ora, sopra abbiamo
già notato che per i moti affettivi di attrazione si richiede
una virtù morale per moderarli
e frenarli; mentre per quelli di ripulsa si richiede una virtù morale
che fortifichi e stimoli.
Perciò per il bene arduo si richiedono due virtù. Una per
moderare e frenare l'animo, perché non esageri nel tendere verso
le cose alte, per esempio i grandi onori: e questo appartiene alla virtù
dell'Umiltà. L'altra per fortificare l'animo contro la
disperazione, e spingerlo, seguendo la retta ragione alla
conquista dei grandi onori: e questo è proprio della Magnanimità.
Perciò è evidente che l'Umiltà è
una virtù morale, annessa alla VC della Temperanza cui spetta in
primo luogo il moderare e il frenare.
MA SEMBRA spettare a un'identica virtù frenare lo slancio
eccessivo, e fortificare l'animo contro l'esagerata ripulsa: la sola
Forza, p. es., tiene a freno l'audacia e
rafforza l'animo contro il timore. Ora – invece -
la Magnanimità fortifica l'animo contro le difficoltà che
capitano nel perseguire le grandi cose, mentre un'altra virtù, e cioè
l'Umiltà, frena l'animo
perchè non esageri nel tendere a grandi cose.
RISPONDO che unico è -
però - il motivo per il quale la Forza frena l'audacia e fortifica
l'animo contro il timore: e cioè perché l'uomo deve preferire il bene
di ordine razionale ai pericoli di morte. Invece nel frenare la
presunzione della speranza, che è compito dell'Umiltà, e nel
fortificare l'animo contro la disperazione, compito della Magnanimità,
i motivi sono distinti.
INFATTI il motivo di fortificare l'animo contro la disperazione
è il conseguimento del proprio bene: ossia impedire che col disperare
uno si renda indegno del bene
che a lui si addice, e questo spetta alla Magnanimità. Invece nel
reprimere la presunzione della speranza il motivo principale deriva dal
rispetto verso la Verità e la Giustizia, che impedisce all'uomo di
attribuirsi più di quanto comporta il grado a lui assegnato dalla Realtà.
Perciò l'Umiltà implica soprattutto la sottomissione dell'uomo alla
Realtà e alla Verità e alla Giustizia. »
cosa significa ?... è il
complementare di quel che aveva detto sulla Magnanimità (tipica virtù
“pagana”) e della sua piena compatibilità con la Umiltà (tipica
virtù “cristiana”)... al di là degli aggettivi di tipo storico
(pagano/cristiano) esaminando in maniera più concettuale vediamo che: A. la Magnanimità
pone l'individuo in rapporto con le altre persone come facendo loro
questo discorsetto: “Io considero la mia condotta virtuosa e le mie
buone qualità, eppure assieme vedo che sono tentato di disperarmi che
esse siano inutili, come se fossero delle bizzarrie della natura, o dei
fiori recisi, belli ma non vivi, che non genereranno altre piante ed
altri fiori; allora voi onoratemi, cioè riconoscetemi senza invidia e
senza sottovalutazione, e facendo questo sarò incoraggiato io nel mio
percorso – sì - ma soprattutto
gioverà a voi per prendere esempio ed ispirazione per indirizzare il
vostro percorso di vita verso il bene! Infatti io cerco che voi mi
onoriate proprio perchè vedo che avete bisogno di qualità morali le
quali capita per ABCD motivi che siano incarnate ora in me, e sento in
me la missione di comunicarvele, per amor vostro!”; B.
la Umiltà pone l'individuo in rapporto con le altre persone come
facendo loro questo discorsetto : “Io considero l'imperfezione e
fragilità delle mie qualità e il pullulare in me,
di varie miserie, e assieme vedo la continua tentazione a
auto-ingannarmi e presumere che le mie qualità siano grandi e siano
trascurabili le mie miserie, e dunque di sentirmi a posto io e anche
desideroso che voi mi apprezziate ed onoriate ed imitiate; questa
tentazione mi impaurisce perchè capisco che cadessi sotto i colpi della
presunzione non solo non avrebbero vita le mie cose morte ma anche esse
sarebbero come 'esportate' a voi; ecco perchè mi rivolgo a voi
scrutandovi, cercando in voi le vostre qualità buone, cercando
in voi la ispirazione per la mia condotta, e
- con il riconoscervi ed onorarvi -
fortifico in me al consapevolezza della mia insufficienza e
libero dalla invidia voi!”.
Cioè entrambe sia Magnanimità sia Umiltà direttamente riguardano il
mondo dei sentimenti interni dell'individuo (lo “moderano” secondo
ragione), ma indirettamente sono sempre rivolte alle altre persone, al
collegamento vitale dell'Io con il Voi e con il Noi.
- Devo
averla verso tutti .
«Ciascun uomo riguardo ai
beni del corpo che ha e ai beni esterni che gli appartengono deve
mettersi al di sotto di qualsiasi altra
persona rispetto alle virtù che sono in essa.
Ma l'Umiltà non richiede che uno metta le virtù egli ha al di sotto virtù che scorge in qualsiasi altra
persona. Perciò, senza
pregiudizio per l'Umiltà,
si possono preferire le virtù ricevute
da noi a quelle che ci risultano conferite ad altre persone.
Parimente l'Umiltà non esige che uno metta se stesso, rispetto
ai vizi che da lui
derivano, al di sotto delle dei vizi del prossimo. Altrimenti
bisognerebbe che ognuno si considerasse più peccatore di ogni
altra persona.
Tuttavia uno può ipotizzare
che nel prossimo ci sia del bene occulto che egli non ha,
oppure che in sè stesso ci sia
del male di cui non è consapevole e che non si trova negli
altri: e così può sempre mettersi al di sotto del prossimo.
SEMBREREBBE PERO' CHE NON SEMPRE sia un bene
mettersi al di sotto degli altri . Infatti nessuno deve fare ciò
che mette in pericolo l'altrui virtù. Ma
sottomettendosi ad altri per Umiltà, talora uno provoca un danno
morale alla persona cui si
sottomette, la quale s'insuperbisce o disprezza, secondo l'osservazione
di Agostino: "Volendo troppo osservare l'Umiltà, si compromette la
forza dell'autorità". Perciò l'uomo per Umiltà non è tenuto a
mettersi al di sotto di tutti.
A QUESTA OBIEZIONE IO
RISPONDO che l'Umiltà, come tutte le altre virtù, si attua
principalmente nell'anima. Perciò
uno può sempre interiormente mettersi al di sotto degli altri,
senza dare occasione a
nessuno di compromettere la propria virtù.
MA negli atti esterni di Umiltà, come in quelli delle altre virtù,
ci vuole la debita moderazione, per non nuocere ad altri. Se però
uno fa quello che deve fare
cioè coi debiti modi e secondo le circostanze, e gli altri da questo
prendono occasione di peccato, non
va imputato a chi si comporta con Umiltà. : poiché questi
dal canto suo non produce confusione morale sebbene gli altri
- per un peccato, che
però è il loro – si possano confondere moralmente. »
cosa significa ? Osservo che è
una posizione di grande radicalità!
Però non è retorico/buonista perchè esclude sia la Falsa Modestia (
“'Umiltà non
richiede che uno metta le virtù che egli ha
al di sotto delle virtù che scorge in qualsiasi altra persona.
Perciò, senza pregiudizio per
l'Umiltà, si possono preferire le virtù ricevute
da noi a quelle che ci risultano conferite ad altre persone”), sia
la omissione della Correzione (“ l'Umiltà
non esige che uno metta se stesso, rispetto ai vizi che
da lui derivano, al di sotto delle dei vizi del prossimo.
Altrimenti bisognerebbe
che ognuno si considerasse più peccatore di ogni altra persona”).
Ma – d'altra parte - questa
è una posizione radicale, è estremista! Ci dice cioè che dentro di
noi sempre con costante lavorìo opera la forza dell'auto-inganno
presuntuoso, e che un mezzo efficace per contrastarlo è una
radicale fiduciosità di trovare nelle altre persone gli aiuti per
dissolvere l'auto-inganno e potersi nutrire di buoni consigli, buoni
esempi, buone ispirazioni (“ uno
può ipotizzare che
nel prossimo ci sia del bene occulto che egli non ha,
oppure che in sè stesso ci sia
del male di cui non è consapevole e che non si trova negli
altri: e così può sempre mettersi al di sotto del prossimo”)...cosa
dobbiamo fare noi? Questo: scrutinarci e vedere se questa radicale
affermazione è sballata ed esagerata o se invece corrisponde alla reale
nostra quotidiana esperienza passata e presente...
- I
vizi opposti per eccesso e difetto
. «Direttamente la Superbia si contrappone per eccesso
alla virtù dell'Umiltà, la quale ha in
qualche modo lo stesso oggetto della Magnanimità, come sopra
abbiamo visto. Perciò
anche il vizio contrario alla Superbia per difetto è affine al vizio
della Pusillanimità, che è contrario per difetto alla
Magnanimità.
Infatti come è proprio
della Magnanimità spingere l'animo a cose grandi contro la
disperazione; così è proprio dell'Umiltà distogliere l'animo
dalla brama disordinata di esse, contro la Presunzione. Quindi se la
Pusillanimità implica un difetto nel
perseguire cose grandi, propriamente si contrappone per
difetto alla Magnanimità; se invece implica l'applicarsi
dell'animo a cose più vili di quelle che si addicono alla persona, è per
difetto il contrario dell'Umiltà : ed entrambi i difetti derivano da meschinità d'animo.
Al contrario la Superbia si contrappone per eccesso e alla Magnanimità
e all'Umiltà, ma per ragioni diverse: all'Umiltà quale rifiuto di
subordinazione; alla Magnanimità quale smodata aspirazione a grandi
cose. E come la Pusillanimità, che implica meschinità d'animo di
fronte alle cose grandi, più direttamente si contrappone alla
Magnanimità, analogamente la
Superbia, che implica il
concetto di superiorità, più direttamente si contrappone per eccesso
all'Umiltà: »
cosa ci dice ? Prima della lunga
e profonda trattazione del vizio per eccesso (la Superbia) Tommaso fa
però cenno al vizio per difetto cioè la Pusillanimità, ma non per
l'aspetto con cui questa contrasta la Magnanimità (timore di non
riuscire a fare grandi e buone cose nella propria vita e ad esser
riconosciuti e onorati dalle altre persone per questo), ma per l'aspetto
con cui essa contrasta appunto la Umiltà: possiamo esser pusillanimi,
meschini, per la nostra attrazione per il
desiderio di cose
piccole e materiali, di vivere vite con piccole e opache mete fatte di
piccoli acquisti e piccole sicurezze, falsificando lo scrutinio di
noi stessi, cioè non riconoscendo quelle qualità, risorse,
capacità che invece realmente abbiamo e che ci permetterebbero di
aspirare a cose più grandi, più belle più ammirabili e anche più
piacevoli, sprecando insomma i doni che abbiamo...
- Commento: l'Umiltà non compare nell'Etica a Nicomaco come in
generale nell'etica pagana antica.... il che mi fa pensare a un certo
qual sviluppo direzionale dalla Storia Umana, che essa abbia un senso e
non sia uno sterile correre sul posto: le Vite Parallele di
Plutarco - che descrivono
con grande acutezza le vite di Cesare, Solone, Alcibiade, Catone,
Agesilao e tanti altri - ci raccontano di esperienze che sono servite ad
insegnare all'umanità una nuova percezione di sé stessa: le Poleis
Greche e la Repubblica Romana avrebbero avuto bisogno non solo della
Magnanimità per non esser bloccate dalla disperazione, ma anche della
Umiltà per non esser bloccate dalla presunzione... e questa è una
spiegazione storica di tipo morale (e non di tipo economicistico) del
declino e del crollo di quelle due grandi Civiltà...
Il
vizio opposto per eccesso alla Umiltà, cioè la Superbia
- Cosa
è . «Il
termine “Superbia” deriva dal fatto che uno tende a cose che son
sopra quello che egli è. "È chiamato superbo", scrive
Isidoro, "perché vuol sembrare più di quello che è; superbo
infatti è chi vuol andare al di sopra".
Ora, la retta ragione esige che la volontà di ciascuno cerchi le cose a lui proporzionate. Perciò è evidente che la
Superbia implica un contrasto con la retta ragione. E ciò costituisce
un peccato: poiché, a detta di Dionigi, il
male dell'anima sta "nell'essere in contrasto con la
ragione".
Il peccato di Superbia si può considerare sotto due
aspetti.
Primo,
nella sua specie, che deriva dalla ragione formale del proprio oggetto. E da questo lato la Superbia è un peccato
specificamente distinto, avendo un
proprio oggetto specifico: essa infatti è, come abbiamo detto,
la brama disordinata della
propria eccellenza.
Secondo,
si può considerare la Superbia nella sua ridondanza sugli altri
peccati. E da questo lato essa ha una certa universalità: poiché dalla
Superbia possono derivare tutti i peccati,
in quanto gli altri
peccati vengono ordinati al fine della Superbia, cioè alla propria
eccellenza cui è possibile indirizzare tutto ciò che si
desidera disordinatamente.
Osserviamo - perciò - che un
peccato può distruggere una virtù in due maniere.
Primo,
con una contrarietà
diretta. Ebbene, in questa maniera la Superbia non distrugge tutte le
virtù, ma solo l'Umiltà: come qualsiasi altro peccato specifico
distrugge la virtù particolare corrispettiva, agendo contro di essa.
Secondo,
un peccato può distruggere una virtù abusando di essa. E in tal senso
la Superbia può distruggere qualsiasi virtù: poiché da tutte
le virtù si può
prendere l'occasione di insuperbirsi, come da qualsiasi altro
pregio nei beni del corpo o
nei beni esterni.»
cosa mi dice ? Due messaggi: 1)
razionalismo e non retorica buonista: la esortazione a non insuperbirsi
non è motivata dal voler apparire buoni e così esser graditi agli
altri, ma su uno scrutinio realistico che la persona fa della situazione
interna ed esterna, quello scrutinio razionale che - diventando un abito - ci fa esser umili ; 2)
una visione del mondo umano, una impostazione particolare e non generica
di un “tipo” di etica: è la Superbia ad essere il vizio peggiore e
più pericoloso di tutti! Non la stoltezza, l'ignoranza, la violenza,
l'odio, l'invidia, la avidità, la tossicodipendenza chimica o
sessualizzata sono i vizi peggiori... ma lo è
la Superbia, e cioè non quei vizi che nascono nelle debolezze e
negli sviamenti e nelle attrazioni ingannevoli e distruttive, in mezzo
agli ostacoli e ai fallimenti, quei vizi cioè che nascono
in mezzo ai Mali... No
! Ma il vizio più grave è la
Superbia, quel vizio che nasce in mezzo ai Beni esterni e del
corpo e soprattutto a quelli dell'anima, e cioè … in mezzo alle altre
virtù!
Grande paradosso!
- Le
sue specie .«Quattro
sono le specie della Superbia proposte da Gregorio, là dove scrive:
"Quattro sono le manifestazioni che
rivelano l'orgoglio degli arroganti:
1) credere che il bene posseduto derivi da sè medesimi;
2) oppure, se si crede di averlo ricevuto dall'alto, esser
persuasi che sia dovuto ai
propri meriti;
3) vantarsi di avere quello che non si ha;
4) col disprezzo degli altri cercare di far apparire del tutto
singolari le doti che si hanno".
Infatti: la Superbia implica, come abbiamo visto, una brama
disordinata, ossia non conforme alla ragione retta, della propria
eccellenza. Ora, si deve
notare che ogni tipo di eccellenza deriva da un bene che si possiede. E
questo può essere considerato da tre punti di vista.
Primo, in sè stesso. È evidente infatti che a un bene più
grande corrisponde una maggiore eccellenza. Perciò con l'attribuirsi un
bene più grande di quello che ha, un uomo mostra che il suo desiderio
aspira a un'eccellenza superiore a quella
che gli spetta. Abbiamo così la terza specie della
Superbia: che consiste nel "vantarsi di avere quello che non si
ha".
Secondo, si può considerare il proprio bene nelle sue cause: e
sotto tale aspetto è più onorifico procurarsi un bene da se stessi,
che riceverlo da altri. Perciò quando uno considera il bene ricevuto
come se lo dovesse a se stesso,
mostra che la sua volontà brama eccessivamente la propria eccellenza.
Ora, si può esser causa del proprio bene in due modi: come causa efficiente; e come causa meritoria. Abbiamo così
la prima specie della Superbia: "credere che il bene che si
possiede derivi da se medesimi"; e la seconda specie
"esser persuasi che sia stato concesso dall'alto – sì –
ma per i propri meriti".
Terzo, il proprio bene si può considerare nella maniera di
possederlo: e da questo
lato è più onorifico possedere un bene in un grado superiore agli
altri. Di qui l'occasione
di aspirare disordinatamente alla propria eccellenza. E da questo è desunta la quarta specie della
Superbia, che consiste nel "cercare di apparire del tutto
singolari, disprezzando gli altri". »
Cosa mi fa venire in mente? Alla
mia vita e a come la terza specie (vantarsi di ciò che non si
ha) è stata sempre poco forte in me e dopo un'infanzia in cui ero
gasato dai miei genitori e auto-gasato e rivale di mia sorella, dopo una
preadolescenza che mi ha molto “abbassato la cresta” e dopo una
adolescenza in cui sentendomi
invisibile e nel tentativo di esser interessante ero millantatore
occasionalmente su cose peraltro bizzarre e aliene rispetto alla mia
personalità, nella mia giovinezza è via via rapidamente sparita...
la prima specie ( cedere che il bene che si ha lo si abbia da sé
stessi) - con la giovinezza
universitaria e l'inizio della risurrezione dal baratro di presunzione
della preadolescenza e disperazione dalla adolescenza, e l'incontro con
persone buone e la filosofia e la teoria freudiana e il ritorno alla
pratica religiosa - è
svanita!
La seconda specie (pensare che il bene che si ha lo si sia
ricevuto da altri ma in base all'esserselo meritato) più difficile da
combattere, vedo che - pur
se diminuita via via durante i decenni della mia vita
adulta e durante la cosa molto importante della psicanalisi col
dottor De Masi - dura ancora oggi, ma, solo se sono immerso nel flusso
praticistico del fare quotidiano!... Però, non appena mi metto anche
poco a pensare in maniera contemplativa conoscitiva, ecco che con
abbastanza facilità ed efficacia dissolvo
questa idea...
Invece più problematica ancora per il presente è la quarta specie
(cercare di apparire del tutto singolari, disprezzando gli altri) e qui
lo scrutinio conoscitivo e la ricerca saggia e difficile dei mezzi
opportuni per i particolari scopi della virtù morale
(“sentimentale”) della Umiltà che via via mi si presentano è una
battaglia ancora quotidiana... non dico frustrante, però difficile!
- È
il vizio più grave
. «SEMBRA che la Superbia non sia il più grave dei peccati.
Infatti: più un peccato è difficile ad evitarsi, più è leggero. Ma
evitare la Superbia è
difficilissimo: poiché, a detta di
Agostino, "mentre gli altri vizi spingono a cattive azioni;
la Superbia tende insidie anche a quelle buone, per distruggerle".
Dunque la Superbia non è il più grave dei peccati.
MA IN CONTRARIO dico che due
sono gli aspetti del peccato:
1) la conversione, o adesione ai beni minori, che
è l'aspetto materiale della colpa; e
2) l'aversione, o abbandono dei beni maggiori, che
ne è l'aspetto formale e costitutivo.
Ora, la Superbia sotto l'aspetto dell'adesione non è il peccato più
grave: poiché la grandezza, cui aspira disordinatamente la Superbia, in
sè stessa non ha un'incompatibilità estrema con la virtù. Invece
sotto l'aspetto dell'abbandono del Sommo Bene la
Superbia ha la massima gravità: poiché negli altri peccati l'uomo si
allontana dal Sommo Bene, o per ignoranza, o per fragilità, o per il
desiderio di altri beni; ma nella Superbia uno abbandona il Sommo Bene
proprio perché si rifiuta di sottomettersi a ciò che esso
richiede. Cosicché Boezio può affermare che, "mentre tutti i vizi
rifuggono da Dio, solo la Superbia si contrappone a Dio". Ecco il
perché di quanto dice Giacomo: "Dio resiste ai superbi".
Perciò allontanarsi da Dio e dai suoi comandamenti, che è come una
conseguenza secondaria e non cercata
negli altri peccati, è essenziale
invece nella Superbia, il cui atto è il disprezzo di Dio. E
poiché ciò che è essenziale ha sempre una priorità su ciò che è
accidentale o indiretto, è chiaro
che la Superbia è per il suo genere il più grave dei peccati: poiché
ha una priorità in fatto di aversione, che è il costitutivo formale
della colpa.
E RISPONDO alla obiezione iniziale così: Può esser difficile guardarsi dal peccato per due motivi.
Primo, per la violenza dei suoi attacchi: come nel
caso dell'Iracondia, per esempio. Ed
"ancora più difficile è resistere alla concupiscenza", a
detta di Aristotele, per la sua connaturalità. Ebbene, questo tipo di
difficoltà diminuisce la gravità del peccato: poiché, come dice
Agostino, quanto minore è la tentazione per cui uno cade, tanto pecca
più gravemente.
Secondo, può essere difficile evitare un peccato per la sua inavvertibilità.
E da questo lato è difficile evitare la Superbia: poiché essa prende
occasione anche dal bene, come sopra abbiamo visto. Ecco perché
Agostino afferma che "essa tende insidie anche alle opere
buone"; e nei Salmi il giusto
si lamenta: "I superbi hanno nascosto per me un laccio lungo
il mio sentiero". Perciò un moto di Superbia che sorprende
di nascosto non ha una gravità estrema, finché non è svelato dal
giudizio della ragione. Ma quando la
ragione lo scorge, si può evitare facilmente. È facile
infatti criticare e dissolvere questo errore, considerando il proprio
niente, e ripetendo con il Siracide: "Perché insuperbisce
la terra e la cenere?". Oppure considerando la grandezza di Dio:
"Perché si rigonfia contro Dio il tuo spirito". Ovvero
partendo dalla meschinità dei beni di cui l'uomo s'insuperbisce,
ricordando quel passo di Isaia: "Ogni creatura è come erba
e tutta la sua gloria è come fiore del campo"; e ancora:
"Tutta la nostra Giustizia è come un panno da mestrui". »
Cosa mi fa pensare? Due cose :
1)
che è fuorviante la parola “Dio” perchè la associamo al
michelangiolesco Vecchione
che Svolazza per la Galassie o al massonico Occhio nel Triangolo
Raggiante, immagini antropomorfiche contro cui giustamente è stata
rivolta la critica di Feuerbach, Marx, Nietzsche
e Freud... Meglio tradurre così: la “aversione” dai beni
maggiori della vita propria della Superbia
è quella mancanza di amore e quella illusoria soddisfazione di sé
che bloccano il cammino della nostra vita nei pensieri, nei sentimenti,
nelle azioni, negli incontri interpersonali.
2)
che se la paradossale nascita della Superbia nelle cose buone della vita
e anche in quelle più buone che sono le virtù la rende così
“invisibile” e “strisciante “(“occulta subrepens”,
come un serpente in un prato) nel mentre agiamo e lottiamo per acquisire
i Beni della vita, questa invisibilità della Superbia nella pratica
delle lotte e preoccupazioni quotidiane
la rende sì inevitabile ma anche scusabile e non così grave!... Ma:
non appena ci fermiamo, e ci mettiamo a pensare in maniera
“sapienziale” cioè contemplativo-conoscitiva, ecco che è facile
accorgerci della assurdità della mancanza di amore e della illusoria
soddisfazione per noi stessi e per il mondo in cui viviamo... E allora
subito potremmo intuire, percepire, vedere, capire: che “oggi ci siamo
e domani no”; che “non c'è giustizia a questo mondo”; che
“nessun uomo è buono” e non lo siamo noi; e che le Forze
dell'Inconscio sommergono le nostre buone disposizioni interne; e che le
Forze della Società sommergono le nostre buone azioni esterne; e che le
Forze A-Umane della Natura sommergono la società umana; e che le Forze
Ignote e Inconoscibili dell'Universo
e del Tempo sommergono le forze della natura...; e che solo la
Distruzione e la Morte sono una certezza conoscibile per il futuro di
tutte le cose: di me come
delle galassie...
Ecco allora che queste evidenze conoscitive tolgono la
scusabilità e la lievità viziosa della Superbia e ne fanno il rischio
morale più grave … ma anche – però - ci incoraggiano perchè ci
fanno capire che è possibile batterlo!
- È
“regina e madre” degli altri vizi .
«la Superbia non si identifica col vizio capitale della Vanagloria , ma
è la causa di essa. Infatti la
Superbia desidera disordinatamente di eccellere; mentre la Vanagloria
desidera di far conoscere la propria eccellenza. La Superbia è invece e
piuttosto la Regina e la Madre dei vizi capitali – Golosità,
Lussuria, Accidia, Vanagloria, Invidia, Iracondia, Avidità -
e dunque di tutti gli altri vizi.
Specificamente genera la Lussuria: come nelle argomentazioni per assurdo
la falsità delle premesse è tanto più chiara quanto più evidente è
l'assurdità delle conclusioni; così per
confondere l'orgoglio umano Dio punisce permettendo che certe
persone cadano nei peccati
della carne; i quali, sebbene siano meno gravi, tuttavia hanno una turpitudine più evidente. "La
Superbia", scrive Isidoro, "è il più
grave di tutti i vizi: sia perché si riscontra nelle persone più
eminenti; sia perché nasce
dalle opere giuste e virtuose, cosicché la sua colpa è meno avvertita.
Invece la Lussuria è così rilevante per tutti, perché essenzialmente
vergognosa. Tuttavia Dio ha voluto che, essendo essa meno grave della
Superbia, chi è vittima dell'orgoglio, quasi senza avvedersene, cada
nella Lussuria, affinché umiliato si desti grazie alla
vergogna". E questo dimostra la gravità della Superbia.
Infatti come un medico saggio, per curare una malattia peggiore,
permette che il paziente cada in una malattia meno grave, così il
fatto che Dio permette, per guarire l'orgoglio, che l'uomo cada
in altri peccati, dimostra
la maggiore gravità della Superbia»
cosa
significa ? ..
A. suggerisco di pensare ai “vizi di noi
Italiani” che crediamo di esserci liberati da noi stessi dal
Nazifascismo e non siamo grati a chi realmente ci ha liberato... che
quando andiamo all'estero ci sentiamo e diciamo con sorrisini ai nostri
compagni di viaggio che siamo più saggi di quegli Americani ingenui, di
quei Tedeschi “inquadrati”, di
quegli Inglesi eccentrici e di quei Francesi boriosi... noi: più
autentici, più furbi e più di buon senso... e nella nostra superbia
poi ci troviamo in realtà – inconsapevolmente, senza rendercene conto – a
scimmiottare quei popoli civili e a prendere schiavisticamente da
loro non le cose buone ed importanti della loro vita civica, politica e
culturale, ma i brillanti ammennicoli tecnologici e le mode e i look e
cose del genere...
B.
Tommaso inserisce questa analisi della Superbia in un Trattato sulla
Temperanza... virtù, questa, che
“frena e modera i
desideri dei piaceri corporei del tatto”... Egli è dunque andato
oltre!... Avendo egli
prima individuato
il contributo essenziale della Temperanza al complesso edificio della Virtù
nella
operazione del “frenare e moderare il desiderio”, ritrova poi
questa operazione – originata dalle necessità
della vita corporea o “materiale”
- nella sfera delle
attività “spirituali” dove il “desiderio immoderato”
riguarda qualcosa di assai sganciato dalla vita animale... infatti la
tradizione ebraico-cristiana gli
consegnava l'idea che il peccato proprio degli Angeli (non animali,
ma “puri spiriti”) era proprio la
Superbia (“non serviam!”) …
Ecco dunque spuntare una virtù morale, l'Umiltà, che non è
la più grande delle virtù ma a cui – senza
simmetria! – si oppone la Superbia che è il
peggiore dei vizi....Ma questa Umiltà (nella complessa,
originalmente tomistica e non aristotelica, e direi “grandiosa”
struttura sistematica di questo Trattato
sulla quarta VC) è “parte potenziale della Temperanza”, e cioè
una virtù a lei annessa, che “ruota
intorno” a lei come al suo “cardine”...
Cosa ci vuol dire Tommaso? Forse che l'ABC della umiltà si impara da
piccoli quando devi riconoscere
che se mangi troppo ti viene mal di pancia? E che - soprattutto –
il cibo che soddisfa il tuo desiderio del
piacere di mangiare devi riceverlo dalla madre, da altri cioè,
e devi umilmente riconoscere che da solo,
come bimbo, non puoi provvedere alle basi stesse della tua vita?
Non so, ditemi... Si accettano contributi!
la Studiosità
·
Cosa è .
«Lo “studium” implica soprattutto forte applicazione dell'anima
a qualche cosa. Ora, l'anima non si applica a qualche cosa, se non la
conosce. Perciò prima di tutto l'anima si applica alla conoscenza:
secondariamente si applica a quegli atti cui l'uomo viene indirizzato dalla
cognizione. Quindi lo studio riguarda innanzi tutto la conoscenza; e in
secondo luogo tutte le altre attività nelle quali abbiamo bisogno di essere
diretti dalla cognizione. Perciò la Studiosità riguarda innanzi tutto la
conoscenza, qualunque sia la materia cui ci si voglia applicare.
Gli atti delle potenze conoscitive possono essere comandati dalla
facoltà appetitiva, la quale, come abbiamo visto, può muovere tutte
le nostre facoltà. Perciò nella conoscenza si possono distinguere due tipi di
bontà. La prima riguarda
l'atto stesso della conoscenza. E tale
bontà è proprio delle Virtù Intellettuali: p. es., che su ogni
cosa si sappia la verità. - L'altro tipo di bontà riguarda l'atto delle
potenze
appetitive; e cioè che si abbia la volontà retta di
applicare le facoltà conoscitive in un modo o in un altro, a una
cosa o ad un'altra. E questo spetta
alla virtù della Studiosità. Perciò quest'ultima viene enumerata tra le
Virtù Morali.
La Temperanza ha il compito di moderare
i moti dell'appetito, perché non ecceda nel tendere verso ciò che
naturalmente si desidera. Ora,
l'uomo, come brama istintivamente con la sua natura corporea i
piaceri sessuali ed alimentari, così con la sua anima desidera
naturalmente
di conoscere, secondo
l'affermazione del Filosofo: "Tutti gli uomini per natura desiderano di
conoscere". Ebbene, la moderazione di
codesto desiderio appartiene alla virtù della Studiosità. Quindi
la Studiosità è parte potenziale della Temperanza, quale virtù
annessa di
detta virtù cardinale. E rientra nella Modestia, come sopra abbiamo
spiegato»
- Come
virtù morale ha due vizi opposti
. «Come dice il Filosofo, perché un uomo sia virtuoso, si richiede che
si guardi da ciò cui tende maggiormente per natura. Infatti, siccome la
natura inclina specialmente
a temere i pericoli di morte e a seguire i piaceri della carne, ecco che il valore della Forza consiste in una
certa fermezza di fronte a questi pericoli, e il valore della Temperanza
sta nel tenere a freno le attrattive della carne.
Ma rispetto alla conoscenza ci sono nell'uomo due
tendenze contrastanti. Poiché
per parte dell'anima l'uomo è inclinato a desiderare la
conoscenza delle cose: e da questo lato deve tenere a freno tale
desiderio, per non cercare
sregolatamente la conoscenza. Invece per parte della natura
corporea l'uomo è incline ad evitare la fatica per l'acquisto
della scienza.
Perciò rispetto alla prima di queste tendenze la Studiosità è un
freno: e per questo è tra le parti della Temperanza. Invece rispetto
alla seconda il valore di questa virtù sta in una certa forza di
applicazione nell'acquisto della scienza. La prima però di tali
tendenze è più essenziale della seconda in questa virtù. Infatti il
desiderio di conoscere è essenziale alla conoscenza, cui la Studiosità
è ordinata. Invece la fatica dello studio è un ostacolo alla
conoscenza; e quindi è una cosa secondaria
per questa virtù, che ha in essa una difficoltà da superare.»
cosa significa ? Che proprio come
per i desideri di piacere corporeo naturali per noi in quanto siamo
“animali” c'è anche il desiderio di piacere intellettuale naturale per
noi in quanto siamo “razionali”. E questo desiderio come quelli può
esser sregolato... la ragione può cioè sbagliarsi a regolare la volontà
di conoscere cosa, come e quando è giusto (utile, buono) conoscere.
È un ulteriore richiamo di questa idea: che la “natura” non basta,
non è sufficiente per la vita buona... i desideri naturali facilmente
si sviano e c'è bisogno delle virtù, cioè di una correzione della
ragione sia sui sentimenti sia su sé stessa...
- La
Curiosità, vizio per eccesso
. «SEMBRA che non vi possa esser un vizio per eccesso nel
desiderio di conoscenza. Infatti come insegna il Filosofo, nelle cose
che sono di suo buone o cattive non c'è posto per (la scelta virtuosa
tra) il giusto mezzo e i due estremi. Ora, la conoscenza intellettiva di
suo è buona: poiché la perfezione di un uomo consiste nell'attuazione
della sua intelligenza, il che avviene con la conoscenza della verità.
E Dionigi afferma, che "il bene per l'anima umana sta nell'essere
conforme alla ragione", la quale si perfeziona con la cognizione
della verità. Dunque nella
conoscenza intellettiva non può insinuarsi il vizio della Curiosità.
MA IO RISPONDO che la Studiosità, come abbiamo visto sopra, non
riguarda direttamente la conoscenza, ma la brama cioè desiderio di essa
e il laborioso impegno (“studio”) per acquistarla.
Ora, non è identico il giudizio da darsi sulla conoscenza della verità
e sulla brama o ricerca per acquistarla. Infatti la
conoscenza della verità è per sé stessa buona.
Invece la
brama o la ricerca della conoscenza può esser buona, ma anche può
esser cattiva.
E questo per due motivi.
A. perché
si tende a conoscere la verità includendo indirettamente nel proprio
studio un motivo vizioso: 1) così fanno, p. es.,
coloro che si applicano alla conoscenza della verità per
insuperbirsene. Di qui le parole di Agostino: "Ci sono delle
persone che, disprezzando la virtù , credono di fare una gran cosa con
l'investigare con sommo ardore e curiosità questa massa corporea che
chiamiamo mondo. E montano in tanta superbia, da sembrare che abitino in
quei cieli di cui spesso discutono". 2) Parimenti è
peccaminoso lo studio di coloro che, come dice Geremia, cercano
di conoscere per fare del
male: "Hanno ammaestrato la loro lingua a parlar falso,
s'industriano a mal fare".
B. ,
lo studio può essere cattivo per il disordine della
stessa ricerca conoscitiva.
E questo può avvenire in quattro maniere.
1)
perché uno studio meno utile può distogliere da uno studio di dovere.
Di qui le parole di Girolamo: "Noi vediamo dei sacerdoti che,
lasciando da parte i Vangeli e i Profeti, leggono commedie, e cantano i
versi lascivi delle bucoliche". -
2)
perché si cerca di conoscere da chi non si deve: ed è il caso di
coloro, p. es., che cercano di conoscere il futuro dai demoni con
curiosità superstiziosa.
3)
quando uno desidera di conoscere le creature, senza indirizzarle al
debito fine, cioè alla conoscenza di Dio. Ecco perché Agostino
ammonisce che "nello studio delle creature non si deve esercitare
una vana ed effimera curiosità, ma cercare in esse un gradino
per salire alle realtà immortali ed immutabili".
4)
quando si cerca di conoscere cose superiori alla capacità del proprio
ingegno: perché allora facilmente si cade nell'errore. Di qui
l'ammonimento della Scrittura: "non scrutare ciò che sorpassa le
tue forze... Molti sedusse la propria opinione, e
nella vuotezza li ritenne il loro sentimento".
»
cosa significa ? Per illustrare
questi punti faccio altrettanti esempi:
A.
1) sia vediamo continuamente come ci siano persone (e
magari anche noi: guardiamo con imparzialità! ) che usano le proprie
conoscenze verso fini narcisisti, per vantarsi, per insuperbirsi
rispetto agli altri... l'Italia nel mondo accademico purtroppo da
decenni sempre di più è
pieno di queste persone e questo è il principale motivo della decadenza
italiana in specifico universitaria e in generale culturale rispetto
agli altri Paesi Occidentali...; 2) sia vediamo anche –
pensiamo ai sociologi, agli psicologhi, agli avvocati, ai
“giornalisti” e faccendieri dello staff
di consulenti berlusconiani – persone che cercano conoscenze
allo scopo di nuocere ad altre persone: “ incastrare” Fini,
calunniare dei magistrati, “intortare”
il popolino italiano...
B.
1) per stanchezza, sfiducia, superficialità, frivolezza nostre
dedichiamo tempo ed energie a conoscenze secondarie per non affrontare
la fatica e i conflitti emotivi e la sfida morale del dedicarci a
conoscenze più importanti ed urgenti; 2) tutte quelle persone
che, se grezze e popolino ignorante
si rivolgono a maghi ed astrologi, medium, etc.,
o, se più - culturizzate - a sociologi futurologi da talk show
che pretendono di catechizzare su “dove stiamo andando, dove va il
mondo, etc”; 3) l'esser troppo attratti abitualmente da
conoscenze tecniche, professionali, specialistiche e settoriali, in sé
giuste, ma che diventano sbagliate se assolutizzate, e così omettendo
un pensiero più multidisciplinare, omettendo cioè:
di conoscere noi stessi, di scrutinare gli aspetti morali dei
nostri rapporti interpersonali, di interessarci di politica o degli
aggiornamenti scientifici, etc. ; 4) il perdere tempo (e poi -
nella frustrazione della sterilità dei tentativi - anche la fiducia
nella stessa attività del pensiero) nel pensare a temi ricevuti
forzosamente ed artificiosamente da
un Superio sociale, ma non emergenti dalla realtà
specifica delle nostre vite (per es. il “ruolo della morte nella
vita”, o il “far del bene nel volontariato”), o rimuginamenti sui
mondi interiori e sulle motivazioni di amici o altre persone con
cui abbiamo rapporti pur mancando quasi del tutto di informazioni, di
elementi per costruire con un minimo di realismo le nostre ipotesi.
Il
Contegno
·
Partizione
. «Moderare e frenare gli atti del corpo è
proprio di una terza virtù annessa alla Modestia che si chiama Contegno e
che Andronico spartisce a sua volta nelle sue
funzioni.
A. Negli atti seri esterni :
1) discernere ciò che è da farsi o da omettersi, con quale ordine si deve
procedere, e nel persistervi con fermezza: e per questo egli assegna il Buon
Ordine; 2) agire rispettando le convenienze: e per questo egli parla di
Decoro.
B. Negli atti ricreativi
esterni: la Giocosità.
C. Nell'uso delle cose
esterne: 1) che non si cerchi
il superfluo: ecco perché Macrobio nomina la Parsimonia; 2) che non si
cerchino cose troppo delicate: e in proposito
Andronico parla di
Semplicità. »
La Giocosità
- Cosa
è . « Scrive Agostino: "Voglio inoltre che
tu abbia compassione di te
stesso; poiché è bene che il savio allenti la tensione dell'animo". Ora, il rilassamento dell'animo dal
lavoro si compie con parole e con
atti scherzosi. Dunque alla persona sapiente e virtuosa spetta ogni
tanto ricorrere a queste
cose. - Inoltre il Filosofo a proposito del gioco parla
dell'Eutrapelia, che noi potremmo denominare Giocosità.
Infatti come la fatica fisica si smaltisce col riposo del corpo,
così la fatica dell'anima deve smaltirsi
con il riposo dell'anima. Ora, il riposo dell'anima è il piacere, come
abbiamo detto sopra nel trattato sui sentimenti. Ora, le parole e
gli esercizi in cui si cerca soltanto la distensione dell'animo, si
denominano appunto scherzosi, o giocosi. Quindi è necessario ricorrere
ad essi a ristoro dell'anima. Ecco perché il Filosofo afferma, che
"nel corso della vita si ha un riposo nel gioco": e quindi
talora bisogna ricorrervi.
Però in proposito si deve badare specialmente a tre cose: 1)
Prima di tutto che questo piacere non si cerchi mai in atti, o in parole
turpi o dannose. Cicerone scrive in proposito, che "c'è un tipo di
gioco scortese, insolente, delittuoso ed osceno".
2) La seconda cosa da badare è che l'anima non
abbandoni del tutto la sua gravità. Di qui le parole di Ambrogio:
"Nel rilassare l'animo badiamo a non sconcertare tutta la melodia e
l'armonia delle opere buone". E Cicerone scrive, che "come ai
fanciulli non diamo ogni libertà nel gioco, ma solo quella che non si
scosta dall'onestà; così anche nel nostro gioco deve brillare la luce
dell'animo retto". 3) In
terzo luogo si deve badare, come in tutte le altre azioni umane, a che
il divertimento sia adatto alle persone, al tempo, al luogo e a tutte le
altre debite circostanze: e cioè, come dice Cicerone, a che "sia
degno del tempo e dell'uomo".
Ora, tutte queste norme sono ordinate dalla ragione. Ma un abito che
agisce in conformità con la ragione è una virtù. Quindi il gioco può
essere oggetto di una virtù, che il Filosofo chiama "eutrapelia".
E si dice che uno è eutrapelos da
“buona girata”: poiché sa volger bene in scherzo fatti e
parole. E siccome questa virtù fa evitare gli eccessi nel gioco, essa
rientra nella Modestia che a sua volta rientra nella Temperanza. »
cosa
mi viene in mente? Il primo ministro di Enrico VIII ( e da lui
decapitato) Thomas More e la sua preghiera (che mi ricordava spesso il
mio amico Venanzio Marini) : “ O Dio , dammi il senso
dell'umorismo!”... E come il gioco per me, con gli annessi della
fantasia nei giochi di simulazione da tavolo e nei giochi di ruolo, e
della scherzosità conviviale concomitante, sia stato per me molto
importante per molti anni, e lo sia oggi, anche se magari in altre forme
… occasione di distacco da dolori e fatiche e preoccupazioni,
occasione di distacco teoretico ed emotivo dalla “aiuola che ci fa
feroci” per usare la parole care a Benedetto Croce, e occasione di
condivisone interpersonale...
- Il
vizio per eccesso . « L'eccesso del
gioco sta nel non rispettare la regola della ragione. E questo può
avvenire in due
modi.
Primo, a
motivo della natura stessa delle azioni, nelle quali si cerca il
divertimento; ed è appunto questo tipo di divertimento che Cicerone
chiama "scortese,
insolente, delittuoso ed osceno": poiché per gioco si ricorre a parole e ad atti turpi, oppure a cose che fanno male al
prossimo, e che sono peccati mortali. E allora è evidente che l'eccesso
nel gioco è peccato mortale.
Secondo,
l'eccesso nel gioco può avvenire, perché non si rispettano le
circostanze debite: quando, p. es., si insiste nel gioco nei tempi e nei
luoghi non adatti, oppure non si rispettano le convenienze delle cose e
delle persone. E anche questo talora può essere peccato mortale, per
l'attaccamento dell'affetto al gioco, fino al punto di preferire
il piacere di un divertimento all'amore e dedizione a beni più grandi,
a addirittura ad agire immoralmente per
non rinunziare a un gioco.»
per
attualizzare... I patiti esagerati del calcio che si vedono tutte le
partite anticipi, posticipi, recuperi e anche i talk show su di esse, e
le schedine e i “sistemi” anche dispendiosi se non di soldi in
termini di tempo della vita... Ma anche quelle persone che sotto scusa
di scherzosità fanno gli aggressivi e anche i bulli con gli altri
ritenuti più deboli auto-giustificandosi e giustificandosi esternamente
con : “ma è uno scherzo!”... E quei politici in primis
Berlusconi ma non solo, che fanno gli spiritosi e i compagnoni per
occultare i problemi importanti ed evitare il dibattito conflittuale e
per distrarre pensieri ed emozioni del pubblico...
- Il
vizio per difetto . «Il Filosofo
insegna che nel gioco si può peccare per difetto. Nelle cose umane
tutto quello che va contro la ragione è
peccaminoso. Ora, è contro la ragione essere di peso agli altri
col non mostrarsi mai
piacevoli, o con l'impedire il divertimento altrui. Di qui
l'ammonimento di Seneca: "Comportati con tale saggezza da
non mostrarti intrattabile
con nessuno, da non essere mai volgare". Ora, quelli che rispetto
al gioco peccano per difetto "non
dicono mai niente da ridere; e non tollerano che altri lo
facciano"; perché non accettano gli scherzi degli altri. Essi
quindi sono in difetto: e dal Filosofo sono denominati
"seriosi". »
per
attualizzare... quelle omelie di preti, quelle lezioni di insegnanti,
quelle conferenze di intellettuali, quelle interpretazioni di
psicanalisti che hanno a priori l'idea che scherzo fantasia e gioco
siano “poco seri” cioè impediscano o indeboliscano la trasmissione
di cose importanti...
Quando incontriamo e vediamo persone prive del senso dell'umorismo,
incapaci di fantasia e aliene dal gioco, non omettiamo di pensare
questo: che a loro ( o a noi quando ci capita) manca qualcosa di
virtuoso!... che tale mancanza magari serve a fare “sentire in
colpa” l'altro... a intimidirlo... a sottometterlo a pressioni
autoritarie di invadenza o di stupidità...
E se io mi auto-gaso pensandomi “morale” e mi arrabbio/indigno con
altre persone, e invece sono solo moralista e aggressivo e unilaterale,
ecco che devo pregare : “O Dio, dammi il senso dell'umorismo!” e così
sollevarmi, distaccarmi dal mio duro ed ingiusto moralismo...
Conclusioni
Questo Corso
- Il
Tema . Un tema antico in sé stesso, ma nuovo per noi Italiani di oggi, opacizzati e
istupiditi da 4 decenni di neo-marxismo sessantottino, ideologia zombie
che derideva (e in forme più sottili e con altre parole ancora oggi
deride) il discorso etico
come “vuota morale borghese” ...
È vero che oggi si parla
(diversamente che negli Anni Settanta maoisti ed operaisti) di
“bioetica”, di “morale ecologista”, di “deontologia
professionale”, e di
“diritti civili” dei gay o dei minori o dei disabili o dei soggetti
multiculturali...
Ma il più delle volte lo
si fa con una sconcertante
superficialità e trivialità di stile e di rigore intellettuale,
cercando di camuffare - col latinorum dei tecnicismi (e con
qualche colpevolizzante appello mieloso alla
retorica dei buoni sentimenti) -
vuoti contorcimenti mentali, vespai di contraddizioni,
lapalissiane banalità e
triti e magari falsi e disastrosi luoghi comuni. E, secondo me,
questo accade perchè mancano
le basi di una seria e approfondita e non narcisistica cultura, e manca
la valorizzazione e l'abitudine alla meditazione sui temi della
morale...
Queste due mancanze derivano direttamente (non dico come unica causa...)
dal disprezzo pluridecennale che il Sessantottismo ha propagandato
continuamente e che ha interrotto il fili della tradizione culturale e
della educazione inter-generazionale.
- Ambito
. Dal
IV sec a. C. di Platone al XIII d. C. di Tommaso d'Aquino si è
sviluppato ma anche si è sostanzialmente concluso il discorso originale
sulle “virtù cardinali”. Fino al XVI secolo la scolastica delle
università tardo-medievali lo prosegue ma con ripetitività e senza
contributi notevoli... con l'Età Moderna troviamo nella cultura
europea come due binari paralleli: quello della cultura
ecclesiastica e quello della cultura
“laica”: quella ecclesiastica
conserva il discorso sulle Virtù Cardinali, ma non lo innova e
lo capisce sempre meno; quella laico-moderna (per esempio Descartes,
Spinoza, Kant, Hegel) invece lo dimentica! Io ho scorso la bibliografia
esistente oggi sul tema e ho visto che gli unici libri pienamente validi
su di esso (che permettono cioè di approfondirne la comprensione) sono
quelli storici, che tracciano cioè la
storia del concetto di “virtù cardinali”.
Se è vero però – come diceva Giovanni di Salisbury – che “siamo
nani sulle spalle dei giganti”, riusciremo a vedere un pochino al di là
di quei “giganti” (della lunga serie di generazioni che ci ha
preceduto) solo se saliremo sulle loro spalle, cioè se accoglieremo e
impareremo dalla eredità della Tradizione. Certo: rivivificandola con
le opportune attualizzazioni, come ho cercato di fare in questo Corso...
- Il
Metodo : fare il contrario del metodo approssimativo,
manicheo e retorico del Sessantottismo. E – invece -
fare molte distinzioni! I medievali dicevano “distingue
frequenter!”, i freudiani oggi parlano di “analisi”... è la
stessa cosa!
Un esempio tra i tanti:
l'Intemperanza - dal punto di vista della volontarietà -
è un vizio più grave della Vigliaccheria : «quanto più un
peccato è volontario, tanto più è grave. E l'Intemperanza è più
volontaria della Vigliaccheria. Questo perchè
perché le cose fatte per paura hanno la loro causa in un fattore
esterno che minaccia: cosicché tali atti, come dice Aristotele, non
sono del tutto volontari, ma misti (di involontarietà). Invece le cose
che si fanno per il piacere
sono volontarie in senso assoluto, perchè la loro concupiscenza viene
dall'interno.»
Ma la Vigliaccheria - dal punto di vista del bene Comune -
è un vizio peggiore dell'Intemperanza: «La superiorità della Forza sulla Temperanza
si può desumere dal fine, dal quale si desume la bontà di una cosa: la
Forza infatti è più ordinata al Bene Comune che la Temperanza. E da
questo lato la Vigliaccheria è più grave dell'Intemperanza: poiché
per Vigliaccheria alcuni tralasciano di difendere il Bene Comune.
»
Alcuni spunti di
riflessione
- Inclinazione
Naturale e Virtù. Bisognerebbe discutere l'argomento
“abitudine/abito”, “abito razionale”, “inclinazione
naturale”... 1) come è possibile
che una inclinazione naturale favorevole
diventi una mia Virtù personale?... 2) come è possibile che una
inclinazione naturale favorevole diventi un mio Vizio personale
?... 3) come è possibile che una inclinazione naturale
sfavorevole diventi un mio Vizio personale ? 4) Come è possibile che
una inclinazione naturale sfavorevole diventi mia Virtù personale?...
Problema difficile !... se visualizzassimo dalla esperienza di vita
nostra e di persone che conosciamo da vicino degli esempi opportuni,
essi potrebbero aiutarci a trovare le risposte... e vedere come ,
per le quattro domande poste , ci sono quattro riposte assai diverse!...
Le cause – nei quattro casi - sono assai diverse !
- sulla
Importanza e Stabilità delle Virtù. Vediamo tre
passaggi (sulla falsariga di un episodio della mia vita):
1) il primo passo nella osservazione di comportamenti
di altre persone giovani: in palestra ho lo spunto
dell'istruttore giovane che dice a un altro di oggetti per allenamento
con aria sia di interesse sia di sicurezza sia di troppa importanza... e
penso a come lui cambierà presto queste cose dalla sua mente ,come
tanti altri giovani nella mia vita ho visto cambiare presto e
abbandonare interessi etc.. tipo arti marziali e altro... Questi sono
“abitudini transitorie” ma non “abiti virtuosi”.
2) il secondo passo dovrebbe essere di applicare questa fenomenologia
alla mia stessa vita passata...
3) il terzo passo è vedere come in me e forse negli altri le Virtù
emergano ( e si distinguano dalle “abitudini transitorie”) non come
uno snobistico ed ascetico distacco dagli entusiasmi giovanili ma come
invece: A) una scelta tra ciò che mi è connaturale e ciò
che invece credo mi piaccia, ma solo per sottomissione a Superio
sociali; B) una scelta – all'interno di ciò che mi è connaturale -
tra cosa è più importante e ciò che lo è meno.
4) il quarto passo è quello di rendere stabili le Virtù nell'unica
maniera possibile, e cioè coltivandole e approfondendole...
- il
senso di individuare alcune “Virtù Cardinali”
. Il senso sta nel concentrarsi su ciò che è:
1) più urgente;
2) su ciò che è per tutti e più quotidiano.
Esempi della Saggezza rispetto
alla Scienza, della Giustizia rispetto alla Generosità, della Forza
rispetto alla Magnanimità,
della Temperanza rispetto alla Mitezza
- Sulla
Saggezza. Uno spunto: leggiamo
la questione 66° della Ia-IIae della Summa
su come le v. teologali siano più importanti delle v.
intellettuali (e tra di esse la più importante sia la Carità), e su
come v. le intellettuali siano più importanti
delle v. morali (e tra di esse la Sapienza), e che tra le v.
morali la più importante sia la Giustizia...
E la Saggezza... non è più importante in nessuno di questi tre gruppi
(che esauriscono i gruppi delle virtù)...
Perché dunque la Saggezza è la VC più importante? … bisogna tornare
alle VC in sé stesse.. cosa sono ? … Esse sono le principali per la
vita umana in “stato di necessità” ... le più necessarie …: «Una
cosa può essere superiore o inferiore (a un'altra) in due
maniere: simpliciter e secundum quid. Infatti
niente impedisce che una cosa sia
simpliciter, o di per sé, superiore a un'altra, come "il
filosofare rispetto all'arricchire", e tuttavia non lo sia sotto un
certo aspetto, ossia secundum quid, cioè "per chi è in
necessità."»
E allora, in tale stato di necessità in cui sempre si trova la vita
umana (a causa della radicata presenza di un Male che precede la mia
nascita...), la virtù più importante è la Saggezza.
La Saggezza è dunque la prima tra le virtù cardinali, cioè la
principale tra le virtù principali, cioè “la più necessaria tra le
virtù più necessarie”...
Essa non è la virtù più buona (lo è la Giustizia), non
è la virtù più gradita (lo è la Generosità), non è la virtù
più difficile (lo è la Fortezza), non è la virtù più certa e
controllabile (lo è la Scienza), non è la virtù più
desiderabile e appagante (lo è la Sapienza), non è la virtù più
rasserenante e rassicurante (lo è la Temperanza)... non è la
virtù più super-umana o sopra-naturale (lo è l'Amore Intenso,
Profondo e Vasto e Imprevedibile e Gratuito cioè la Carità) … non
è la virtù più piacevole (lo è la Giocosità)... non è la
virtù più nobile ed aristocratica (lo è la Magnanimità)...
La Saggezza – invece - è
la virtù più necessaria ! Cioè: la cosa più necessaria è il pensare
continuamente ai casi singoli della vita su cui scegliere come agire
volta per volta...
- Sulla
Giustizia . Due spunti specifici per noi Italiani: 1)
basta
col lassismo (non correggere) e il
viziare (privilegiare) !; 2)
basta con le bugie! Cioè facciamo autocritica per il fascismo,
smettiamo di dirci “popolo di partigiani”, chiediamo scusa, invece
di auto-giustificarci, per le prepotenze fatte da noi sulla strada...
- Sulla
Fortezza . Tre spunti specifici per noi Italiani : 1)
cosa può motivare oggi l'atto principale di essa che è Resistere?
Qualcosa di buono che abbiano dentro di noi Italiani
e che c'è fuori di noi in Italia... cosa? Non sappiamo, dunque
cerchiamo ! ; 2) essere consapevoli che esistono i Nemici e
dunque esiste una Guerra con tante Battaglie e non finirà mai: alcuni
nemici potranno essere sconfitti, ma altri no!...; 3)
in Italia oggi domina il “deboli coi forti e forti coi deboli”...
Noi dobbiamo fare al contrario ! Come fa il Magnanimo !
- Sulla
Temperanza . Due spunti: 1)
essa è la “saggezza del corpo”... dunque non malediciamo come
fossero “sfortune” i
nostri disturbi corporei, ma
scrutiamoli per aiutarci a capire i nostri difetti morali di cui essi
sono sintomi ; 2)
il problema della Superbia ubiquitaria che risorge continuamente in
qualsiasi forma , per esempio “il pigro crede di esser sette volte più
saggio degli altri” (dai Salmi) … e dunque continuamente va
“frenata” con le temperanti briglie della Umiltà...
- L'Aumento
delle Virtù . Esse crescono lungo il corso della vita? Sì,
ma solo se esse sono coltivate!
cioè il Vizio nasce sì - come da sue cause dirette
- dalle ideologie sociali cattive e dalle intenzioni personali
cattive, ma nasce anche - come da causa indiretta
- dal nostro non impegnarsi nella Virtù!...
la Virtù o aumenta per il suo continuo esercizio o diminuisce
per il suo non esercizio: tertium non datur!... Detto con una
frase più vivace e popolaresca: “la vita è come la bicicletta:
per stare in sella bisogna pedalare!”
- Virtù
e Felicità . La Virtù non è finalizzata a
sé stessa, ma è finalizzata alla Felicità.
Scriveva Tommaso: «se parliamo
dell'Ultimo Fine dell'uomo inteso come oggetto desiderato, è
impossibile che l'anima stessa, o qualche suo accidente (sia che si
tratti di facoltà, di azioni, o di abiti virtuosi), sia l'Ultimo Fine
dell'uomo. Infatti il bene che costituisce l'Ultimo Fine è il bene
perfetto che sazia l'appetito.
Ma l'appetito umano, che è la volontà, ha per oggetto il bene
universale. Invece qualsiasi bene inerente all'anima è un bene
partecipato, e quindi particolare. Perciò è da escludersi che uno di
questi beni possa essere
l'Ultimo Fine dell'uomo.».
E
nell'ultimo capitolo dei Promessi Sposi scriveva Manzoni: «Dopo
un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì
spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta
e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono,
o per colpa o senza colpa, la fiducia nella Verità e nella Vittoria del
Bene
li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa
conclusione, benché trovata da povera gente, c'è parsa così giusta,
che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La
quale, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha
scritta, e anche un pochino a chi l'ha raccomodata. Ma se in vece
fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta.»
E
io commento: se è vero che quel che facciamo noi - per quanto ci impegniamo - non è certamente sufficiente per esser felici, e forse
esso non è nemmeno necessario
(“i ladri e le prostitute vi precederanno in paradiso!”...), però
… ecco! Vediamo anche che non
possiamo non farlo! Cioè non possiamo fare altro che impegnarci
a vivere in maniera personale la nostra personale avventura... “Siamo
imbarcati”, come diceva Blaise Pascal!... e le Quattro Stelle che
brillano nel “dolce color di oriental zaffiro” credo possano esserci
d'aiuto per farlo meglio...
*
☼
۞
ं
Bibliografia
Classici
- Platone: Fedro,
La Repubblica, Le Leggi
- Aristotele: Etica
a Nicomaco
- Cicerone, De
Inventione; De Officiis
- Seneca, Epistulae
ad Lucilium
- Agostino
d'Ippona, De Moribus Ecclesiae contra Manicheos
- Tommaso
d'Aquino, Summa Theologiae parte seconda
- Dante Alighieri:
Purgatorio, canto primo
Studi storici
sulla teoria delle “virtù cardinali”
(ottimi i primi tre, utile il quarto)
- Marco d'Avenia: L'aporia
del bene apparente. Le dimensioni cognitive delle virtù morali in
Aristotele, Vita e Pensiero, Milano, 1998
- R. E. Houser: The Cardinal Virtues. Aquinas,
Albert and Philip the Cancellor, P. Institute for Medieval Studies,
Toronto, 2004
- Istvàn P. Bejczy: The Cardinal Virtues in the
Middle Ages. A Study on Moral Thought from the Fourth to the Fourtheen
Century, Brill, Leiden-Boston, 2011
- Quentin Skinner,
Virtù Rinascimentali, Il Mulino, Bologna, 2006
Commenti teoretici recenti
sulle Virtù Cardinali (buoni entrambi)
- Josef Pieper:
The Four Cardinal Virtues (1959), University Press, Notre
Dame (Indiana), 1966
- Herbert McCabe, On Aquinas, Continuum Books.
London-New York, 2008
Opuscoli divulgativi sulle
Virtù Cardinali (buoni tutti e quattro nel loro genere)
- Joseph Rickaby: Four-Square. Or the Cardinal
Virtues. Addresses to Young Men (1789), Forgotten Books, 2012
- Livio Fanzaga, Le
Virtù Cardinali, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004
- Christopher Kaczor & Thomas Sherman (eds.): Thomas
Aquinas on the Cardinal Virtues Edited and Explained for Everyone,
Sapientia Press, Ave Maria (Florida) 2009
- Johannes Eckert,
Piccolo breviario delle virtù: Prudenza, Giustizia, Fortezza,
Temperanza, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2009
[1]
«La Mancanza di Esercizio produce la distruzione, o il
decadimento degli abiti come fa “tutto ciò che toglie un ostacolo”
(removens prohibens): cioè togliendo quegli atti che
ostacolavano le cause di codesta distruzione o decadimento. Infatti
abbiamo detto sopra che gli abiti – per esempio le Virtù - vengono
distrutti o menomati direttamente da agenti
contrari. Ora, crescendo col passar del tempo tutte le
disposizioni contrarie ai vari abiti, le quali invece andrebbero
eliminate con i loro atti, è chiaro che gli abiti vengono menomati,
oppure totalmente distrutti per la prolungata mancanza di esercizio;
com'è evidente nel caso della Scienza e delle Virtù Morali. Infatti
è evidente che l'abito di una Virtù Morale rende l'uomo pronto a
scegliere il giusto mezzo negli atti e nelle passioni. Ora, se
uno non fa uso dell'abito virtuoso nel moderare le proprie passioni e i
propri atti, è necessario che ne nascano molti atti e passioni contrari
alla virtù, portato dalle inclinazioni dell'appetito sensitivo, e dalle
altre cause che muovono dall'esterno. Perciò – di conseguenza -
la virtù viene distrutta o menomata dalla stessa cessazione del
suo atto. Lo stesso vale per le Virtù Intellettuali, che rendono l'uomo
pronto a giudicare le cose offerte dall'immaginativa. Perciò quando un
uomo si astiene dall'esercitare un dato abito intellettivo, insorgono
immaginazioni estranee, che orientano persino in senso contrario;
cosicché, senza l'uso frequente di codesto abito, che in qualche modo
le taglia e le soffoca, quest'uomo diviene meno pronto a giudicare
rettamente, e talora acquista addirittura una disposizione contraria.
Quindi la mancanza di esercizio può menomare e anche distruggere un
abito intellettivo.»
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