mercoledì 9 novembre 2011, ore 20.30 Auditorium Centro civico di Castegnato (BS) Incontri d'autunno promossi dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Castegnato
Tradizione e tradizionalismo prof. Franco Manni, docente di filosofia al Liceo
Leonardo di Brescia.
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“Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo quasi come nani sulle spalle di giganti, sì che possiamo veder di più e più lontano di essi, non per merito dell'acutezza della nostra vista nè per la prestanza del corpo,ma perchè siamo sorretti ed innalzati dalla grandezza dei giganti” Giovanni di Salisbury, XII secolo
introduzione
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la trasmissione della conoscenza ha vari scopi, uno dei quali è il
permettere la “Innovazione” -
ma questo scopo particolare può sembrare l’unico, può esser
idealizzato , e allora si arriva al comportamento di darsi alle mode ,
alla innovazione di facciata e , come dice Lucio Russo, è più spesso consumo
della innovazione che produzione di essa, in quanto le abilità
necessarie alla produzione non sono state esercitate -
Si pensa che il non aggiornamento sia il vizio più grave, ma
guardiamo i difetti di questa impostazione nell’insegnamento della
Fisica (pp. 33-34-35-36-37) e
possibili terapie da adottare nella scuola (pp. 106-107 e 115) Le
Tradizioni: i soggetti in gioco : giovani, non giovani, generazioni,
maestri
A.
Per i giovani di quegli anni le parti cattive erano: i
privilegi socio-economici, il militarismo, il nazionalismo,
l’autoritarismo, il bigottismo religioso, il basso livello di
istruzione, il mondo contadino con le sue chiusure interpersonali, la
struttura patriarcale della famiglia.
Le parti buone erano : il liberalismo, il coraggio, l’amore per
il proprio popolo, la obbedienza, i valori religiosi, le creazioni
letterarie e filosofiche francesi, il cosmopolitismo francese, la
solidarietà sindacale e socialista, l’amore per la famiglia. B.
che le parti buone sono da conservare, e le altre no : ma non lo
fecero e caddero in due errori simmetrici : i comunisti abbandonarono sia
le parti buone sia quelle cattive, e gli altri – i qualunquisti, i
sottomessi, i collaborazionisti - con il governo fantoccio di Vichy
mantennero solo quelle cattive C.
il progresso avvenne con Charles De Gaulle e la quarta e quinta
repubblica francese dopo la seconda guerra mondiale : patriottismo ma non
nazionalismo, libertà ma non anarchia, maggiore uguaglianza ma non
uniformità, coraggio ma non beau gestes autodistruttivi (tipo il
cosiddetto – pseudoeroico e in realtà criminale - élan vital predicato dai generali della Prima Guerra
Mondiale come Pétain), ordinata disciplina ma non servilismo, famiglia ma
non patriarcalismo, cosmopolitismo ma non internazionalismo , solidarietà
sociale ma non abolizione della proprietà, etc. D.
dunque la continuità storica fu preservata da persone come De
Gaulle le quali non dimenticarono il proprio passato, ma
neanche lo imbalsamarono.
Le Tradizioni: la difficoltà nel
mantenerle vive
·
Direi che il ricordo del
passato, sia del male sia del
bene, almeno in certe sfere della vita mi sembra problematico, difficile,
latitante. Ora non voglio indagare la “vita privata”: credo che anche
in essa la memoria sia difficile e l’oblio o i falsi ricordi
costituiscano un costante problema. In questo mio intervento di ora però
mi limito al problema della memoria nella cosiddetta “vita pubblica”:
sociale, politica, culturale. ·
La grande maggioranza delle
persone non ha memoria dei fatti della vita pubblica sia vecchi sia
recenti sia, spesso, recentissimi. Il fatto che esistano dei gruppetti che
parlano e scrivono tipo le associazioni dei partigiani o gli storici può
confondere le idee e far credere che la memoria sia diffusa. Non è così
: quei piccoli gruppetti parlano e fanno bene a parlare, ma la grande
massa delle persone o non ascolta o, se ascolta, rimane indifferente.
Anche le tradizioni famigliari sono insufficienti in questo campo (la vita
pubblica), è molto infrequente che il nonno o il padre prendano i loro
discendenti per raccontare loro le ideologie, le istituzioni, i
comportamenti della società passata. E, così, infrequenti sono le
domande dei nipoti rivolte al nonno (eri fascista? Eri partigiano? Eri –
come è più probabile- un
imboscato?), o le domande dei figli fatte al padre sul PCI o la DC o il
Sessantotto o gli anni di piombo. Lo
scenario in cui queste domande vengono fatte mi sembra uno scenario da
film edificante, nella realtà quasi mai vengono fatte e, se vengono
fatte, ricevono risposte evasive nella grande maggioranza dei casi. Le
poche eccezioni - che pure esistono - non cambiano in maniera
significativa il quadro generale che sto descrivendo. ·
Ci si dovrebbe chiedere : si
ricorda la liberazione dal nazifascismo e la nuova libertà della stampa e
dei partiti venuta dopo di allora? Si ricorda la lunga pace venuta dopo la
prima metà del XX secolo funestata da guerre per l’Italia
(continuazione della guerra di Libia, prima guerra mondiale, guerra di
Etiopia, Seconda guerra mondiale, guerra civile)? Si ricorda la
ricostruzione e il boom economico? Si ricorda l’espansione di massa
della istruzione attraverso la scuola pubblica?
Si ricordano le conquiste dei lavoratori? Le conquiste delle donne
per la parità giuridica e sociale? L’espansione dei servizi sociali per
le categorie deboli? Queste cose ora ci sono, ma non ci sono sempre state:
sono venute dopo lotte, dibattiti e lungo impegno. ·
Nonni e padri magari parlano
della società del passato (del loro passato), ma quando lo fanno spesso
intonano la “laus temporis acti”, questa è una forma della memoria
del bene – sì - ma una
memoria deformata e non un vero ricordo, inquinata da ideologie e da
inconsce proiezioni psicologiche. I
“lodatori del tempo che fu” (loquaci e schifiltosi, come diceva
Orazio) sostengono che oggi
le leggi, la scienza e la complessità sociale avrebbero reso gli uomini
più infelici e più cattivi che nel passato. Per loro, oggi la vita
sarebbe grigia, nevrotica, stancante, pericolosa e violenta, superficiale,
solitaria, disonesta, corrotta, quando invece ieri essa sarebbe stata
semplice, emozionante, sana, riposante, sicura e pacifica, profonda,
conviviale, onesta, pura. Quante esagerazioni! e quante vere e proprie
falsificazioni in questa lode del tempo che fu! ·
Dunque, come fare a
tramandare la memoria e a mantenerla e ad approfondirla?
A questo compito la famiglia avrebbe il potere di dare il nucleo
principale, ma, come già ho accennato, se va bene riesce a tramandare gli
aspetti privati della tradizione familiare (se va bene!), l’ideologia
della famiglia reale italiana è ben lontana da quello che Mazzini,
Carducci e De Amicis descrivevano in maniera idealizzata come cellula
della educazione alla storia patria e ai suoi valori. Poi c’è la scuola
soprattutto nei suoi insegnamenti storico-umanistici. Ma essa non basta
perché le ore di insegnamento sono troppo poche e il coinvolgimento
emotivo troppo spesso è basso. La televisione non aiuta molto perché
essa è troppo volta ad altri interessi di spettacolo, di pubblicità
commerciale, di propaganda politica. La stampa in Italia è pochissimo
letta. La partecipazione agli incontri dei partiti politici e delle
associazioni sindacali nei nostri anni è in calo e, quando c’è, essa
è tutta volta ai problemi pratici contingenti. Ci sono, certo, numerose
iniziative culturali di Fondazioni, Associazioni ed Enti Locali
esplicitamente indirizzate alla memoria del passato; ma quello che io
vedo, avendo partecipato spesso a tali iniziative, è che, per un motivo o
per un altro, di fatto queste conferenze o convegni o cineforum o tavole
rotonde sono seguiti da un ristrettissimo gruppo di persone. ·
Ecco, vorrei citare una frase
di Alexis de Tocqueville: “Quando
un popolo raggiunge la prosperità materiale troppo velocemente rispetto
alla sua maturazione morale e intellettuale e alla sua abitudine alle
regole della civile convivenza, questo popolo tenderà a svalutare e a
dimenticare l’importanza della libertà ed è pronto a cadere sotto il
giogo della tirannia”. Non
credo che però ci sia bisogno di essere pessimisti. Questo è sempre
accaduto anche nel passato, e a questo proposito vorrei citare il discorso
pubblico di Esdra e dei leviti fatto al popolo di Israele tornato a
Gerusalemme - in patria - dopo la cattività di Babilonia (Neemia,
8-9) : il popolo insuperbisce, pecca e dimentica e ricorda solo in alcuni
rari momenti, quando la drammaticità
di certi eventi collettivi lo
costringe a ricordare. ·
Ma questa drammaticità e
questo ricordare succedono raramente,
gli eventi collettivi che fanno sorgere la coscienza e la memoria
collettive sono rari, credo che in Italia ne abbiamo avuto uno dal 1941 al
1945 quando i morti in Russia, i razionamenti alimentari, i bombardamenti
sulle città, la guerra civile e gli eserciti stranieri sul suolo patrio
hanno posto gli Italiani di fronte alle proprie colpe di avere supportato
il fascismo, il suo regime illiberale e la sua politica aggressiva e
guerrafondaia. Momento – però - presto
finito anche perché i partiti della nuova Repubblica hanno diffuso il
mito di un popolo italiano non responsabile della dittatura e della guerra
e, incredibilmente (ma fu creduto), addirittura “antifascista”. Il
mito di un popolo soggiogato “suo malgrado” dalla dittatura, un popolo
senza responsabilità e innocente : “Italiani brava gente”. Dopo la
liberazione avvenuta per mano non nostra ma degli Anglo-Americani (nobile
fu certamente fu la testimonianza dei “partigiani”, ma fu
fatta da un’esigua minoranza e fu irrilevante agli effetti
militari) una sbagliata pedagogia politica repubblicana per decenni ha
dislocato altrove le responsabilità del dramma vissuto e dunque non ha
aiutato il popolo italiano ad assumersi tali responsabilità. Quando leggo
i recenti discorsi fatti della cancelliera della Repubblica Federale
Tedesca Angela Merkel, che con grande chiarezza ed asprezza riconosce le
gravi responsabilità storiche del popolo tedesco, sento una certa
invidia, e non riesco a non pensare a come nessun uomo politico italiano
di oggi (ma anche, a mia conoscenza, del passato) sia di “destra” sia
di “sinistra” abbia avuto tale coraggio morale e onestà
intellettuale. La colpa era sempre dei “nazisti” o dei “fascisti”,
mai del popolo italiano, quasi
il popolo italiano non fosse stato fascista e alleato dei nazisti. Oggi
poi – addirittura - si
evita anche di parlare dei “fascisti”. ·
Cioè: il compito della
memoria dei beni ricevuti e, specificamente nel mio discorso, dei beni
“pubblici”, quelli della comunità, normalmente
è adempiuto solo da piccole minoranze di persone. Minoranze però fluide
di cui ciascuno di noi può, secondo i casi della vita, far parte. Quando ne farà parte? Quando io ne farò parte? Credo: quando la
mia storia singola in qualche modo diventa problematica, difficile,
sofferente. Allora emerge una chance
di cercare di dare un senso alla mia storia singola, e di cercare di
capire come e perché essa si è formata e quali sono state le risorse
buone in essa e quali gli influssi cattivi. Allora il mio sguardo ha una chance di allargarsi perché sono alla ricerca di quelle idee o
ideali, di quei valori, di quelle persone, di quelle comunità, di quelle
consuetudini, di quelle norme, di quelle istituzioni che hanno favorito
nel passato il crescere e il rafforzarsi della mia vita; e - ora e domani
- se io le riconosco, se le
mantengo in mente, se agisco e magari mi sacrifico in loro favore,
potranno o potrebbero ancora dare del bene a me e a altre e nuove persone.
Dico “una chance”, non un automatismo. Se però ho la fortuna di cogliere
questa chance , grazie alle
risorse mie interne e a quelle dei miei amici, la mia memoria, credo, si
scongela, resuscita. Così in qualche misura posso riconoscere la
mia singola storia all’interno della Storia. Le Tradizioni: le dinamiche della Dimenticanza e della Memoria Dinamiche
della dimenticanza : -
presunzione
(gli Illuministi, cioè gli intellettuali del XVIII, tanto orgogliosi (ma
anche, almeno in parte, boriosi) per i tempi vissuti da loro stessi (ah!
la Lumière de la Raison!), credevano che l’antico Aristarco di Samo fosse solo un
“precursore” del moderno Copernico),
-
pregiudizi :
pregiudizio praticistico
(aneddoto di Vespasiano riportato da Lucio Russo[1]
e il luogo comune sulla natura ludica” delle macchine di Erone[2])
; pregiudizio etnocentrico (la Mesopotamia e le migliaia di
tavolette cuneiformi non ancora tradotte, diversamente dalle lapidi greche
e latine: sono arabi inferiori!) ; pregiudizio ideologico
(filosofia medievale in massima parte ancora non tradotta : ah ! il Medio
Evo!... sono “secolo bui”!); -
mancanza di un linguaggio
condiviso (citazione di Stephen
J. Gould in The Dinosaur in the Haystack a p. 86, in cui egli
deplora che non si conoscano più Shakespeare e la Bibbia, e
l’unico patrimonio di citazioni condiviso è quello della musica rock
che però cambia velocemente e allora nascono nuove barriere di
intelligibilità tra le generazioni ; esempio delle divisioni politiche
che portano in Italia a non avere un patrimonio condiviso sul Risorgimento
e la Resistenza diversamente che in USA e in Francia);
-
sistema scolastico
soggetto alle mode (Plinio non
riesce a capire i tecnicismi di Archimede, oggi gli studenti di ingegneria
non riescono a dimostrare i teoremi di Euclide), -
mancanza di professionalità
negli insegnanti
(l’aristotelismo accademico e ripetitivo criticato da Galilei ;
l’analogia odierna è la rigidità dell’insegnamento
“libresco” per cui i manuali copiano altri manuali : esempio di Gould
per cui il mito – falso - che i medievali pensassero che la Terra fosse
piatta comincia con le opere di John Draper del 1874 e di Andrew White del
1896 ; e – esempio
più grave - l’insegnamento
della teoria dell’evoluzione di Darwin come se essa fosse un progresso
finalistico verso la “perfezione” delle specie viventi) -
barriere culturali
: i 238 manoscritti bizantini portati da Giovanni Aurispa dal suo viaggio
del 1423, solo per paura della caduta imminente di Costantinopoli... prima
la barriera di ostilità tra Bizantini e Latini era troppo radicata ; oggi
le scuole di pensiero nazionali ( per esempio il pensiero del Risorgimento
e il neoidealismo di Benedetto Croce) e l’esempio della funzione del del
PCI e del PSI marxismo
citato da Bobbio per l’oscuramento del pensiero liberale di John
Stuart Mill dagli Anni Cinquanta agli Anni Ottanta a causa dei pregiudizi
degli intellettuali comunisti e sessantottini; -
traumi e sensi di colpa
(la mancata trasmissione delle esperienze del fascismo e della guerra
civile a figli e nipoti da parte di chi in Italia le aveva vissute, cioè
dei padri e dei nonni), -
miti ed idealizzazioni (la
condotta dalla guerra da parte dell’esercito del Kaiser durante la prima
guerra mondiale e il mito della pugnalata alla schiena riportato da
William Shirer nella Storia del Terzo Reich; i racconti delle
esperienze belliche precedenti abbellite dai menestrelli durante la Guerra
dei Cento Anni raccontato da Barbara Tuchman nel suo libro sul XIV secolo,
A Distant Mirror) ; -
ribellione generazionale
(i giovani fascisti rispetto alla “italietta” della età Giolittiana ;
i sessantottini rispetto al boom economico e alle abitudini “borghesi”
dell'Italia degasperiana e di centrosinistra). -
Ma soprattutto: il bisogno di vivere ed imparare in prima
persona coi propri errori e le proprie sofferenze e le proprie
responsabilità : questa è l'unica dinamica fisiologica (e
dunque inevitabile) e non patologica come le altre sopraelencate:
citazione dal libro del cardinal Martini pp. 14, 16 sull'inevitabilità
dei “fallimenti educativi” a causa della libertà dell'educando quale
che sia il valore dell'educatore; esempio del liberalismo per i
sessantottini che hanno dovuto – nel mentre via via invecchiavano –
progressivamente imparare l’importanza delle istituzioni del Liberalismo
che da giovani con arrogante sufficienza disprezzavano) Dinamiche
della memoria
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inquietudine
per insoddisfazione della propria vita ( la propria ideologia affetta
dall’oblio non è capace di spiegare perchè le acquisizioni della vita
presente non soddisfano, e allora si può indagare la propria vita passata
alla ricerca di esperienze che spieghino cioè rendano consapevoli quei
desideri che rendono insoddisfatti) ; -
fallimenti esistenziali
( nella vita affettiva, nel lavoro, nelle scelte politiche, nelle scelte
filosofico-religiose : allora si ricerca nel passato personale gli
insegnamenti dimenticati e le cause dimenticate del costruirsi della
propria ideologia) ; -
crollo di miti
(per esempio il crollo del comunismo storico che ha messo in moto la
riscoperta del liberalismo da parte della sinistra) ; -
umiltà
( solo se viene raggiunta ci si accorge che – come diceva Bernardo di
Chartres morto nel 1124 – “ siamo dei nani sulle spalle dei
giganti”, Norberto Bobbio preferiva la metafora – presa dalle
escursioni in montagna coi propri bambini – “siamo portati a spalla
dai giganti”, perchè non era sicuro che noi vedessimo più in là dei
grandi classici del passato) ; -
autoanalisi
(la lezione di Sigmund Freud e la lotta contro la rimozione) -
l’amore per nuove
persone e nuove attività (per
esempio uno si innamora, si iscrive a un partito politico, comincia un
nuovo lavoro, partecipa a una associazione di volontariato e allora gli si
apre un mondo – che già esisteva – che lo spinge a conoscere le
proprie ignote radici, conoscere una storia che lo ha costruito, e allora
si dice : “ah! Ecco cosa significavano quelle parole che ho sentito,
quei fatti a cui ho assistito!”) ; -
una buona scuola ( qui ecco cosa dice Lucio Russo : essa sia
nella cultura generale sia nelle discipline speciali è buona quando
parte dalle basi e non dalla fine , e quando
entra nel merito del
processo inventivo dell’intellettuale e abilita a verificare di persona
e a cercare di persona , Umberto Eco scriveva (in Come si fa una tesi
di laurea) che nessuna
buona scuola può insegnarti tutto, ma una buona scuola può insegnarti a
cercare e trovare quello che ti serve quando esso ti serve) ; -
l’approccio storico
a tutte le conoscenze (ciò abilita a essere libero e non schiavo dalle
teorie del momento perchè si vede come si sono formate e contro quali
altre teorie erano - e sono
ancora oggi - in competizione) ; -
la lotta per la libertà (generazionale dei figli verso i
padri non solo biologici ma anche politici e culturali : si va “ a
vivere da soli” e ciò costringe a recuperare le abilità delegate ai
Padri e Capi) ; -
movimenti collettivi
(come nel risorgimento e nella resistenza essi portavano le persone a
ricercare le radici passate della propria lotta) Il
Tradizionalismo: la Laus Temporis Acti
Una condotta viziosa è
quella di coloro che fanno l’elogio del passato, la cosiddetta «laus
temporis acti»[3],
e contemporaneamente disprezzano il presente, intonando i lamentosi «o
tempora! o mores!»[4]
e «ubi sunt?» [5].
Questi tali sostengono che oggi scienza e complessità sociale avrebbero
reso gli uomini più infelici e più cattivi che nel passato. Per loro,
oggi la vita sarebbe grigia, nevrotica, stancante, pericolosa e violenta,
superficiale, solitaria, disonesta, corrotta, quando invece ieri essa
sarebbe stata semplice, emozionante, sana, riposante, sicura e pacifica,
profonda, conviviale, onesta, pura.
Siccome è vero il contrario, mi chiedo
come sia potuta nascere un’idea tanto falsa. C’è un Motivo
Psicologico che è – in generale – un’oscura invidia e un oscuro
senso di colpa che questi tali hanno verso i propri «genitori» (ed è
giusto, quindi, l’aforisma di Erasmo da Rotterdam : «Quis patrem laudet,
nisi proles indigna laudis?»[6]).
C’è poi un Motivo Intellettuale, e
cioè una grave ignoranza della storia. Infatti,
in realtà, ieri la vita era più «grigia» di oggi, la grande
maggioranza della gente era fatta da contadini che vivevano sempre nello
stesso posto, facendo sempre le stesse cose e vedendo sempre le stesse
persone. La
vita era anche più «nevrotica», solo che allora coloro che si
ammalavano per traumi psicologici, anziché essere curati, venivano
incanalati in tunnel distruttivi e, a seconda delle classi sociali,
venivano chiamati aristocratici «viziosi» o almeno «originali»,
artisti «decadenti» e «maudit», «streghe», «indemoniati»,
criminali per «tare ereditarie», o «scemi del villaggio» dileggiati,
sfruttati e abbandonanti in sostanziale solitudine. La
vita, inoltre, era più «stancante», nei campi si lavorava dal buio
prima dell’alba al buio dopo il tramonto, senza macchine e spezzandosi
la schiena, nelle fabbriche lavoravano anche i piccoli bambini, anche di
notte, per 12-14-16 ore al giorno, con tassi di inquinamento dei luoghi di
lavoro inimmaginabili oggi. La
vita era più «pericolosa» e «violenta», perché su due bambini nati
uno moriva, la medicina era impotente verso quasi tutte le malattie, la
criminalità era così poco controllata che tra una città e l’altra non
si poteva viaggiare di notte, carestie e guerre erano così frequenti che
ogni generazione ne vedeva più di una, nei posti di lavoro, in famiglia,
nelle osterie, in caserma i conflitti venivano «risolti» non con una
discussione ma con le mani e con i bastoni, e anche con i coltelli. La
vita era più «superficiale», perché la mancanza di mobilità sociale e
geografica delle persone e la diffusione prevalente dell’analfabetismo
costringevano spesso a giudicare la realtà in base solamente
all’abitudine, alla tradizione, alla superstizione. La
vita era meno «conviviale», perché, non essendoci mobilità, si
conoscevano poche persone, perché c’era troppo lavoro materiale e
troppo poco tempo libero, perché i bambini lavoravano da subito e non
avevano l’adolescenza libera per il gioco, le discussioni e le amicizie
coi coetanei, perché agli uomini veniva sconsigliato di essere affettuosi
e spontanei e alle donne di essere intraprendenti e razionali. La
vita era meno «onesta», perché c’erano meno controlli e meno
trasparenza, i nobili non venivano tassati e ricchi borghesi venivano
sempre preferiti dallo stato per i posti belle varie burocrazie, un
povero, allora, non aveva possibilità perché il sistema clientelare «degli
amici degli amici» era quasi totalitario; le merci venivano vendute
adulterate – in genere ai più poveri – senza controlli statali né
possibilità di ricorrere e denunciare, e a prezzi – essendo poca la
concorrenza e pochissima la pubblicità – estremamente variabili ed
arbitrari. La
vita era anche meno «pura», perché l’incesto era molto diffuso nelle
isolate famiglie contadine, perché bambini e bambine erano spesso
molestati dagli adulti senza poter far sentire in alcun modo la loro voce
di protesta, perché nei collegi e nei vari convitti la moralità era
spesso degradata, perché esistevano postriboli addirittura gestiti dallo
stato, perché uomini e donne vivevano sempre in sedi e attività separate
e, dunque, non conoscendosi, si incontravano più come maschi e femmine
che come amici. Ora,
non voglio veramente dirti che la vita oggi sia più felice di ieri: la
felicità è un discorso molto complesso, noi abbiamo i nostri guai e
questi per noi sono quelli decisivi, perché viviamo una vita sola e
questa è oggi. Però chi c’è tra noi che realmente – se potesse –
vorrebbe vivere, poniamo, nell’Ottocento o nel Medioevo o
nell’antichità greco-romana? Non senti, al solo pensarci, un disgusto
immediato, un senso di oppressione soffocante, di
noia e di solitudine invincibili? Bisogna dunque affermare che il
passato, preso come ideale del presente, è un’assurdità, è
cenere! Se ci pensi, chi oggi loda il passato lo fa perché
considera dei piccoli spicchi di realtà – i boschi verdi, il pane fatto
in casa, l’onore cavalleresco – e li amplifica molte volte,
dimenticando, d’altra parte, tutto quanto è spiacevole: le belve nei
boschi, il sudore nel fare il pane e soprattutto il fatto che il pane
mancava troppo spesso, la prepotenza feudale e i duelli per «la dritta è
mia!». Questi
nostalgici sono simili, in questa loro manipolazione del passato, a chi,
avendo paura delle responsabilità e delle libertà adulte, idealizza la
propria infanzia, protetta e guidata da genitori presunti onnipotenti e
presuntivamente del tutto amorevoli: ricorda tutte le buone esperienze ed
ha rimosso tutte le debolezze e le angosce, sia quelle proprie sia quelle
dei genitori. E
– inoltre! - è scontento della propria vita: non la vede come
dotata di Senso, ma, al
contrario, come un Fallimento. Il Presente lo deprime e rincorre con
fantasie nostalgiche il Passato (il suo passato, quando era bambino
o giovane!): quando, per così
dire, i giochi della sua vita erano ancora da fare... Non
dico certo che il passato non abbia avuto delle cose buone, ma queste,
proprio perché buone, e cioè vitali, sono ancora presenti. Più
precisamente: sono la capacità che il
Passato aveva di arrivare a produrre il Presente e di diventare
Presente. Le cose cattive sono invece il Passato per quella parte che è
stata incapace di sopravvivere ed è divenuta, appunto, Passato. Non
disprezziamo, dunque, il passato né lo rinneghiamo, ma lo demitizziamo:
se la Ragione ci aiuta a demitizzare, cioè a togliere la sottomissione
servile e la crudeltà superstiziosa, non per questo ci costringe allo
scetticismo, cioè a perdere la fede e l’entusiasmo. Come diceva
Cicerone: «Nec vero superstitione tollenda religio tollitur». I
nostalgici, questi «difficiles, queruli laudatores temporis acti»[7], in genere sono
anti-liberali, aspirano a un mondo chiuso e immobile e dedito – quasi
come una droga – a forti e continue eccitazioni esterne, sommerso
nell’ignoranza e comandato da una sapienza per pochi eletti, di
provenienza magica, in cui i rapporti umani sono senza amicizia (perché
si immaginano ruoli e non conoscono storie personali) e sono sostituiti da
un astratto cameratismo. Jünger, Spengler, Rosemberg – scrittori
tedeschi di anteguerra – hanno, tra gli altri, descritto, con un tono
tra l’eccitato, il languido e il disperato, mondi del genere, e li hanno
chiamati, appunto: «Mito del XX Secolo». Il Tradizionalismo : un diretto ostacolo alla valorizzazione delle Tradizioni ·
il Tradizionalista non
valorizza le Tradizioni perchè non ne capisce la loro vera natura... di
essere Organismo Vivente in evoluzione continua... che ha bisogno sia di
purificazioni di ciò che oramai è obsoleto, sia di arricchimenti
innovativi ·
l'Antitradizionalista non
valorizza la Tradizioni perchè – sentendosi disgustato e soffocato
dal Tradizionalismo - si
confonde e crede che il Nuovo nasca dal niente e come “di colpo”...
diventa schiavo della Mode e delle Utopie... cade nella superficialità,
nello scoprire l'acqua calda, nel velleitarismo, nel delirio di
onnipotenza, nella petulanza vuota... ·
… in maniera molto simile
al Tradizionalista (“quaerulus” = “petulante”) !
I Vizi comuni a Tradizionalista e Antitradizionalista sono : la
Superbia, la Ingratitudine, la
Idealizzazione, il Rifiuto del Pensiero... il rifiuto della difficile ma
remunerativa attività del Pensiero,
il quale, con costanza e gradualità, discerne ciò che è vivo da ciò
che è morto in una idea e in una abitudine del passato, per lasciare il
morto e modificare e migliorare il vivo … per una vita migliore... non
Ideale , non Perfetta … ma migliore! Bibliografia
Ø
March
Bloch, La strana disfatta. Testimonianza del 1940
Ø
Carlo Maria Martini, Itinerari
educativi Ø
Lucio Russo, Segmenti e
bastoncini Ø
Lucio Russo, La
rivoluzione dimenticata Ø
Benedetto Croce, La storia
come pensiero e come azione Ø
Norberto Bobbio, Politica
e cultura Ø
Norberto Bobbio,
Liberalismo e democrazia Ø Herbert Vorgrimer, le voci “Tradizione” e “Tradizionalismo” nel Nuovo dizionario teologico, EDB 2004 [1]
Quando all'imperatore Vespasiano fu
proposto di usare il paranco idraulico (una delle tecnologie in uso
nei regni ellenistici conquistati da Roma), egli rispose di no, per
“non togliere lavoro al popolino romano”. [2]
I manuali e le
storie di scienza e tecnologia, quando parlano (con grande
superficialità di cognizione e copiando meccanicamente il giudizio
dei manuali precedenti, senza una ricerca propria delle fonti) dei
robot e macchine automatiche inventate da Erone, se ne sbarazzano
subito dicendo che furono “irrilevanti” per la storia della
scienza e della tecnologia perchè “privi di scopi pratici”, erano
solo “dei giocattoli” [3]
Lode del tempo che fu (Orazio) [4]
Che tempi! Che costumi !
(Cicerone) [5]
Dove sono andati [sottointeso : quegli Uomini famosi, quei
Tempi Meravigliosi] ? (Cicerone) [6]
Chi starà a lodare continuamente
suo padre, se non un figlio indegno lui stesso di lode? [7]
Schifiltosi
e chiacchieroni lodatori dei tempi di una volta (Orazio)
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Franco Manni indice degli scritti
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maurilio lovatti main list of online papers
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