Franco Manni Recensione
del film L'odio
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Regia
:
Mathieu Kassovitz Produzione
:
Christophe Rossignon, Francia 1995 Sceneggiatura
:
Nathalie Vierne Scenografia
:
Giuseppe Ponturi Cast
:
Vincent Cassel (Vince), Hubert
Kounde (Hubert), Said Taghmaoui
(Said), Karim Belkhandra, Edouard Montoute, Francois Levantal, Solo Diko,
Marc Duret, Eloise Eauh, Rywka Wojsbit, Mathieu Kassovitz (il Naziskin su cui Vice punta la pistola), Christophe Rossignon (il
Tassista) dura
95 minuti, è in bianco e nero, il titolo originale è La
Haine
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Dalle
10.38 di un mattino alle 6.00 del mattino successivo il film mostra cosa
fanno tre amici, giovani sottoproletari della periferia parigina :Vince
(bianco), Said (arabo) e Hubert (negro).La prima scena mostra un centinaio
di giovani che assaltano un commissariato per
vendicare il pestaggio di uno di loro da parte dei poliziotti ; il
ritrovamento casuale di una pistola da parte di Vince e altri
incontri/scontri con la polizia danno l’esile “trama” a un film che
sembra piuttosto una documentaristica e prolungata candid-camera. Cosa fanno questi giovani ?
Sembrano “ciondolare” come adolescenti in vacanza (non sembrano andare a
scuola né lavorare) : chiaccherano su una terrazza mangiando salsicce , si
raccontano spettacoli della TV, ascoltano
musica per strada e guardano le esibizioni rappistiche di alcuni di loro. Ma
anche spacciano e consumano stupefacenti. Sono controllati ma anche
perseguitati dalla polizia e reagiscono contro di essa sia per difendersi
sia per divertirsi in un’atmosfera di “avventura”. Vanno in giro per
la città e tentano il furto di un’ auto. Nelle loro famiglie non compare
il padre, mentre compaiono nonne, madri, sorelle abbastanza estranee a ciò
che loro fanno tutto il giorno. Questi giovani sono e sanno di
essere emarginati dalla società : glielo ricorda continuamente la polizia
con gli abusi che si permette di fare su di loro (in un episodio Said è
meravigliato che un poliziotto del centro città lo tratti con cortesia,
poiché nella sua periferia non aveva mai sperimentato una cosa del genere)
; una telegiornalista li intervista facendo loro chiaramente vedere di
considerarli come bestie del giardino zoologico ; quando si
intrufolano nel vernissage al
centro attaccano bottone con
alcune ragazze “normali” ma non riescono a comunicare, si sentono
dileggiati, ci litigano e poi litigano con tutti i presenti e si fanno
cacciare. Non sono particolarmente buoni
con le altre persone : restano indifferenti ai lamenti dell’uomo cui viene
bruciata l’auto necessaria per il lavoro, insultano e spintonano il
giovane poliziotto dell’ospedale che non li aveva trattati male e faceva
solo il suo dovere, trattano con durezza o sufficienza le proprie sorelle
minori, non aiutano la ragazza drogata del metrò, ignorano il dramma
dell’ubriaco abbandonato dalla moglie. Inoltre sono succubi di una
violenza adirezionale e non da loro controllabile : sono forse alcuni amici
di Vince ad avere devastato la palestra di Hubert ;
si sfidano alla roulette russa ;
si interpellano a vicenda con insulti ; Hubert sta per prendere a
pugni Vince a causa della pistola ; odiano
e insultano tutti i poliziotti anche quello, loro amico, che più volte cerca di
toglierli dai guai. La odiosa violenza di quei poliziotti sadici che pestano
Hubert e Said , presi per “controlli”, non li indigna perché gli sembra
quasi normale. Il valore morale forte che
sostiene le loro vite è l’amicizia : Hubert
vuole che Vince si sbarazzi della pistola perché gli vuole bene;
egli istruisce il più giovane Said su chi è il tipo del “LePenista”;
Said e Hubert capiscono che Vince fantastica di uccidere un
poliziotto e lo distolgono dal suo raptus ;
Vince vede che Said e Hubert sono aggrediti dai naziskin e li salva
proprio brandendo la famosa pistola ; Hubert , nell’emozionante scena col
naziskin ormai fatto prigioniero, opera su Vince un’ efficace
“terapia” che solo lui, che come amico conosceva bene Vince, poteva
fare, e Vince consegnandogli la pistola riconosce e rinsalda il patto della
loro amicizia. Il finale è tragico e sembra
confermare l’inquietante massima già ripetuta due volte nel film : ”il
problema non è la caduta , ma l’atterraggio”. Ma anche se il film fosse
finito con tutti e tre gli amici che tornano a casa loro per ritrovarsi il
giorno dopo a riprendere la vita di sempre, a noi sarebbero rimaste alcune
non pacificanti domande : perché la società “civile” conserva dentro
di sé simili sacche di ingiustizia ? sono solo “sacche” o sono
conseguenze necessarie di quello che una volta veniva chiamato “sistema”
? è solo l’amicizia privata che può - quando può - dissolvere la oscura
fantasia di odio che si forma dentro la mente di un Vince e può formarsi in
situazioni analoghe dentro la nostra mente ? Per quanto il doppiaggio italiano
dia un vago accento romanesco ai giovani protagonisti, ritroviamo ben poco
del pasoliniano Accattone in
questo film sui “ragazzi di borgata” : questo è un film molto meno
romantico e molto più “politico”. Le “vittime” non vengono
idealizzate, anche i “carnefici” vengono mostrati come succubi delle
circostanze, e tutti noi veniamo interpellati e come invitati a uscire dalle
nostre comode nicchie e a fare qualcosa, perché sentiamo che quelle
circostanze sono dovute anche alla nostra indifferenza.
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