Franco Manni
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La mente interpersonale
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Iperuranio, Spirito Assoluto, Mondo Tre, Noosfera: una rivisitazione contemporanea dell'Idealismo : Platone,
Averroè, Hegel, Mazzini,
De Saussure, Freud, Popper, McCabe Introduzione Ma
fra tanta ciurma semimorta si erge in alto qualche fronte che sembra
illuminarsi d'una luce sovrumana: dinanzi a questa il cinico va
balbettando confuse parole; ma non può impedire che non gli tremoli in
cuore o speranza o spavento d'una vita futura. - Quale? chiedono i
filosofi. - Non chiedetelo a me, se sventura vuole che non vi faccia
contenti quella sapienza secolare che si è condensata nella fede.
Chiedetelo a voi stessi. - Ma certo se la materia organica anche
sciolta la compagine umana seguita a fermentare ed a vivere
materialmente nel grembo della terra, lo spirito pensante dovrà
agitarsi tuttavia e vivere spiritualmente nel pelago dei pensieri. Il
moto, che non si arresta mai nel congegno affaticato delle vene e dei
nervi, potrà retrocedere o acquietarsi nell'instancabile e sottile
elemento delle idee?
Ippolito
Nievo No
one can have my sensations; everyone can have my thoughts, If
they could not they would not be thoughts. You do not have a similar
meaning for a word to the one that I have (as your sensations might be
similar to mine). You have the identical idea I have” Herbet
McCabe
1)
oggi alcune persone di una
certa età pensano che la politica tipo sessantotto sia tramontata ma ne
sentono la mancanza... senza malinconici rimpianti bisognerebbe vedere
se oggi la istanza “politica” che era legata troppo alla assunzione
o sostituzione “rivoluzionaria” del Potere (come si è anche visto)
potrebbe essere vista diversamente, cioè come una comunicazione
consapevole dei pensieri e delle esperienze libera da aspirazioni al
potere , più vasta nella sfera degli interlocutori possibili, non
soffocata da una ideologia come marxismo (potere, rivoluzione,
dittatura, violenza, filosofia della storia)
2)
contrastare la malinconia della “tenda pasoliniana” (brano da
Pierpaolo Pasolini, Lettere Luterane, Einaudi, 1975, pp.
34-37) : vedere cioè come il pensiero è libero e vivo e non siamo
schiavi delle cose... riflessioni sulla libertà di McCabe: una
tendenzialmente infinita molteplicità di punti di vista (idee) sulle
“cose” 3)
contrastare l'attuale ricatto
superegoico della “socializzazione” con la “interiorizzazione”
della istanza che sembra non solo provenire dall'esterno
essere separata nell'esterno... contro la idea delle altre
persone come sostanze esterne... 4)
complementarmente, contrastare la residuale eredità romantica del Genio
come Io-Monade che porta in pratica a sottomettersi a verità altrui per
es degli “esperti”, e anche a pensare del “genio” o dello
“esperto” il “sit
divus ne sit vivus” e a sviluppare – dunque e di fatto -
una misologia pratica anche se non dichiarata... Popper – per
es. - spinge invece sempre al “dibattito critico”... 5)
esortare alla conoscenza storica e cioè alla consapevolezza della
origine di molte idee nelle menti delle persone passate... il che sia
porta allo spirito critico, sia alla umiltà e
gratitudine, sia al principio di economia (non
correre sul posto e di utilizzare i Classici senza perdersi dietro la
falsa novità delle mode... 6)
come nel primo punto, alcune riflessioni sul senso della vita che non è
individualistico quale che esso sia... e dunque sulla “escatologia comunitaria” laica o confessionale che essa sia
7)
svecchiare a concezione dal Sé … per es dal modello positivistico
delle pulsioni a quello delle relazioni oggettuali...
il che per es. impedisce il “devastante confronto con gli altri”
perchè le relazioni oggettuali sono uniche e tendenzialmente infinite,
mentre le pulsioni sono poche e fisse e standard per tutti... 8)
cautela: esser consapevoli che gli Altri influiscono su di noi... esempi
attuali ( “tutto bene?” ; la “eccellenza del privato”) 9)
criticando la biologizzazione della mente è possibile una apertura
fiduciosa al futuro, al
cosmopolitismo, alla “diversità”....
senza rassegnarsi a sottomettersi alle presunte fatalità
“caratteriali” della famiglia e della nazione proprie
del mondo conservatore-spaventato...
Iperuranio
TESTI
PLATONICI
A questo punto , un' anima umana può
passare anche in una vita di bestia , e chi era stato una volta uomo può
tornare ancora una volta da
animale ad essere uomo . In effetti , l' anima che non ha mai
contemplato la verità non
potrà mai giungere alla forma di uomo . Bisogna infatti che l' uomo
comprenda in funzione di quella che
viene chiamata Idea , procedendo
da una molteplicità di sensazioni ad una unità colta con il pensiero .
E questa é una reminiscenza di quelle cose che un tempo la nostra anima
ha visto quando procedeva al seguito di un dio e guardava dall'alto le
cose che diciamo
che sono essere , alzando la testa verso quello che é veramente essere
.
Platone, Fedone : «Dunque, se noi, prima di nascere, possedevamo questa conoscenza e,
con la nascita, ne potemmo disporre, ne consegue che già prima e, poi,
una volta nati, noi avevamo non solo il concetto di Eguale in sé e
quello di Maggiore e di Minore, ma anche tutte le altre Idee. Perché il
nostro discorso, ora, non vale solo per l'Eguale in sé ma anche per il
Bello, per il Buono, per il Giusto, per il Santo, insomma per tutto ciò
che noi, parlando, definiamo coi termine di ‹realtà in sé›, sia
nelle questioni che poniamo che nelle risposte che diamo. Dunque,
necessariamente, di tutte queste realtà, noi dobbiamo averne avuto
conoscenza prima di nascere.»
«È così.»
«E se una volta acquistata, noi non perdessimo con la nascita,
questa conoscenza, nasceremmo sempre sapienti e tali saremmo
per tutta la vita. Esser sapienti, infatti, significa aver
acquistato conoscenza di qualcosa e conservarla, non perderla; perché
forse, dimenticanza non è, Simmia, perdita di conoscenza?»
«Senza dubbio, Socrate.»
«Al contrario, se dopo aver perduto con la nascita questa
conoscenza precedentemente acquisita, in seguito, con l'uso delle
sensazioni, noi veniamo riacquistando le cognizioni che un tempo
avevamo, ciò che noi chiamiamo imparare non consiste forse in un
riacquisto di quel sapere che era già nostro? E se questo noi chiamiamo
‹reminiscenza›, non diciamo bene?»
«Sì, certo.»
«Infatti, si è dimostrato, che, percependo noi una data cosa
con la vista o l'udito o con qualche altro organo di senso, ci si
presenta alla mente un'altra cosa, che avevamo dimenticato, ma
che ha una relazione con la prima, che può assomigliarle o
meno. Da qui, una delle due: o siamo nati con la conoscenza,
ripeto, delle realtà in sé e continuiamo ad averla per tutta la vita,
oppure, quelli che noi diciamo che imparano dopo non fanno che
ricordarsi e, in tal caso, la sapienza non è che reminiscenza.»
«Effettivamente è così, Socrate.» Platone,
Menone: “E però gli vien
fatto d'avere scienza, sí veramente che gli si domandi; e, niuno
insegnando, quella trae fuori da entro di sé medesimo. MENONE
Sí. SOCRATE
E cotesto trarre fuori la scienza da entro di sé medesimo, non è
rimemorare? MENONE
Per certo. SOCRATE
E cotesta scienza, la quale presentemente egli ha, ovvero la ricevette
alcuna volta, o ebbela sempre? MENONE
Sí. SOCRATE
E se ebbela sempre, fu sempre sciente; se la ricevette poi alcuna volta,
non la ricevette già in questa vita. O l'ammaestrò della geometria
alcuno? E da poi che di cotali prove farebbe egli nella geometria tutta
e in ogni disciplina, di': alcuno è che abbia insegnato a lui ogni
cosa? bene l'hai a sapere tu, se egli ti è nato e cresciuto in casa. MENONE
Io so che non gli ha insegnato mai niuno. SOCRATE
Ma le ha coteste notizie, o non le ha egli? MENONE
Le ha, sí. SOCRATE
E se le ha, senza che avessele apprese in questa vita, è cosa chiara
che l'ebbe e le apprese egli in alcuno altro tempo. MENONE
Chiara. SOCRATE
E questo tempo non è quello, nel quale egli non era peranco uomo? MENONE
Sí. SOCRATE
Se adunque sono in lui vere opinioni sino da quando era uomo egli, e sin
da quando non era ancora uomo, le quali, deste per virtú
d'interrogazioni, si fanno scienza; non ne seguita che ebbe sempre
quelle opinioni l'anima sua, da poi ch'egli fu sempre o come uomo, o
come non ancora uomo? MENONE
Manifestamente. SOCRATE
E però è sempre nella nostra anima la verità degli enti; e immortale
è l'anima. Onde, preso ardire, conviene che tu veda di ridurre alla
memoria quello che presentemente non sai, cioè quello che non ricordi. MENONE
Non so, ma e' mi par che tu dica bene. SOCRATE
Par anche a me: certo è ch'io non mi metterei a fare battaglia per
niun'altra cosa al mondo, ma per sostenere che, se noi credessimo s'ha a
cercare quello che non si sa, piú buoni ne diverremmo e piú forti e piú
vigili che se credessimo che né trovar si può, né cercare si dee
quello che non si sa; battaglierei, potendo, con lingua e con mani per
cotesto. MENONE
E, anche in ciò, pare a me che tu dica bene.
COMMENTO ·
Stanford
Encyclopedia of Philosophy: Many people associate Plato with a few central doctrines that are
advocated in his writings: The world that appears to our senses is in
some way defective and filled with error, but there is a more real and
perfect realm, populated by entities (called “forms” or “ideas”)
that are eternal, changeless, and in some sense paradigmatic for the
structure and character of our world. Among the most important of these
abstract objects (as they are now called, because they are not located
in space or time) are goodness, beauty, equality, bigness, likeness,
unity, being, sameness, difference, change, and changelessness.
The most fundamental distinction in Plato's philosophy is between
the many observable objects that appear beautiful (good, just, unified,
equal, big) and the one object that is what beauty (goodness, justice,
unity) really is, from which those many beautiful (good, just, unified,
equal, big) things receive their names and their corresponding
characteristics. Nearly every major work of Plato is, in some way,
devoted to or dependent on this distinction.
Many of them explore the ethical and practical consequences of
conceiving of reality in this bifurcated way. We are urged to transform
our values by taking to heart the greater reality of the forms and the
defectiveness of the corporeal world. . · Nel Fedro tutte le anime vedono le Idee: c'è una oggettività basata su una esperienza comune originaria. Poi, con la “caduta”, l'individuo è sviato soggettivamente ... Nella Repubblica si descrive come si crea una nuova e sviata intersoggettività attraverso il confronto degli sviamenti soggettivi. Allora la verità viene basata sull'individuo fortunato, e non più sul gruppo... se la verità è oggettività essa è individuale e non interpersonale... l'individuo fortunato (e raro) arriva alle idee cioè a qualcosa di più chiaro e più stabile delle “ombre” Averroè
e altri commentatori aristotelici
·
De anima,
II, 1 413a 5-10,
p.119: «E’ quindi manifesto che l’anima (od alcune sue parti, se
per sua natura è divisibile in parti) non è separabile dal corpo,
giacché l’attività di alcune sue parti è l’atto delle
corrispondenti parti del corpo. Ciononostante nulla impedisce che almeno
alcune parti siano separabili, in quanto non sono atto di nessun corpo». ·
De anima,
III, 4 429a 24-27, p.
213: «(…) Perciò non è ragionevole ammettere che [l’intelletto]
sia mescolato al corpo, perché assumerebbe una data qualità e sarebbe
freddo o caldo, ed anche avrebbe un organo come la facoltà sensitiva,
mentre non ne ha alcuno». ·
De anima,
I, 4, 408b 25-30, p. 93-5: «Il pensiero quindi, e l’attività
intellettiva, viene meno qualora un organo interno si corrompa, ma in se
stesso è impassibile. Pensare, amare od odiare non sono proprietà
dell’intelletto, ma di questo determinato soggetto che lo possiede, in
quanto lo possiede. Perciò, quando questo soggetto si corrompe,
l’intelletto non ricorda né ama, poiché queste funzioni non erano
sue, ma del composto che è perito. L’intelletto invece è forse
qualcosa di più divino e impassibile» ·
De anima,
III, 5 430a 14-2: “C'è
pertanto un intelletto analogo alla materia perchè diventa tutte le
cose e un altro alla causa agente perchè le produce tutte [...]e questo
intelletto è separato, immisto ed impassivo, per sua essenza atto: e
infatti l'agente è sempre più eccellente del paziente, e il principio
della materia. Ora la scienza in atto è identica al suo oggetto; la
scienza in potenza è anteriore nel tempo in un individuo, ma, -
assolutamente parlando – non è anteriore nel tempo: pertanto non si
può credere che questo intelletto talora pensi, talora non pensi.
Separato, esso è solo quel che realmente è, e questo solo è immortale
ed terno. E noi non ricordiamo perchè è impassivo, mentre l'intelletto
che può essere impressionato è corruttibile, e senza questo non pensa
niente”. ·
il “karaoke” lungo
1500 anni tra pagani, ebrei, islamici, cristiani ·
Stanford Encyclopedia of Philosophy:
The impression that, from very early on, the interpreters were
struggling to understand Aristotle is confirmed by the commentary
tradition on the De anima. Consider, for example, De anima
3.5. Here Aristotle famously argues for the existence of an intellect
that is separate, unaffected, and unmixed (430 a 17-18). In antiquity
commentators traditionally referred to this intellect as the active (or
productive) intellect, nous poiêtikos. Discussion on how
exactly this intellect is to be understood started very early. There is
evidence that already Theophrastus puzzled over it (Themistius, In
DA 110.18-28). Among other things, it is not obvious what sort of
thing the active intellect is supposed to be. More directly, it is not
clear whether it is a human or a divine intellect. What Aristotle says
outside of the De anima is equally perplexing. In the Generation
of animals Aristotle speaks of an intellect that enters “from
without” (GA 736 b 27). But it is not at all clear how the
comment that Aristotle makes in this context is to be understood. What
exactly is the status of this enigmatic intellect? How does it fit with
the discussion offered in the De anima? ·
Alessandro di Afrodisia
( fine II – inizio III sec. d. C.) e il suo commento ·
Per Alessandro d'Afrodisia l'intelletto attivo è immortale, in quanto
è la mente divina: esso sovrasta l'anima individuale senza farne parte,
dunque l'anima umana è senz'altro "mortale". ·
Come si sa, nella sua
interpretazione egli mette insieme tre testi: An. III 4 sgg., Metafisica
Λ e De gen. anim. II 3, 736b 27- 29, dove Aristotele accenna
alla possibilità che il solo νοῦς, a differenza
delle facoltà vegetativa e sensitiva veicolate dal seme paterno, si
introduca dall'esterno (θύραθεν) e
che sia il solo ad essere divino ·
SEP: Alexander of Aphrodisias developed a line of
interpretation that made the active intellect a non-human intellect and
identified it with God. His commentary on the De anima is lost.
Instead we have the De anima that he wrote following the
principles that Aristotle had established in his own De anima.
There, Alexander identifies the active intellect with “the first
cause, which is the cause and principle of existence to all the other
things” (Alexander, DA 89. 9-10). The intellect so understood
is not only the cause of human thought; it is also the cause of the
existence of everything that there is in the universe. ·
SEP: Another text that has important implications
for the reception of Aristotle's treatment of the intellect is the
paraphrase of the De anima that Themistius
wrote around 350 AC. There, Themistius argues that the active intellect
is the most accurate specification of the human form (In DA
100.35-36). Put differently, our essence as human beings is the active
intellect (In DA 100.36-101.1). Although Themistius does not
name names, he is clearly reacting against the reading advanced by
Alexander of Aphrodisias. For Themistius the active intellect is
not God or the supreme principle upon which everything depends for its
existence. For him, the active intellect is an integral part of the
human soul: “the active intellect is in the soul and it is like the
most honourable part of the human soul” (In DA 103.4-5).
Although the active intellect so understood is a human intellect, it is
emphatically not conceived of as a personal intellect.
What is perishable is only the common or passive intellect, koinon
or pathêtikos nous. This intellect is mixed with the body and
its fate is to perish along with the body (In DA 105.28-29;
106.14-15). ·
Averroè (Abu’l-Walîd
Muhammad b. Ahmad ben Rushd, 1126-1198d. C.)
e il suo commento ·
la paradossale vicenda di Averroè nella storia del pensiero (Augusto
Illuminati, Averroè e l'intelletto pubblico, Manifesto Libri,
Roma, 1996, p.7) ·
nel 1270 in un memoriale inviato a Alberto Magno leggiamo le tesi
averroiste diffuse a Parigi; le prime due sono: 1) l'intelletto umano è
solo e identico per tutti; 2) è falsa e impropria la proposizione:
questo uomo intende. ·
gli intellegibili sono eterni in assoluto (intelletto agente) , si
attualizzano individualmente solo per brevi momenti (attività di
pensiero della singola persona) , ma sono memorizzati nella cultura
della specie (intelletto potenziale unico)
(Illuminati 73) ·
quando tutti gli intellegibili saranno in atto nell'intelletto
potenziale, allora l'intelletto agente si unirà all'umanità in atto;
al punto culminante “l'uomo sarà simile a Dio” (36simo commento al De
Anima) ·
competenza linguistica di una persona
e codice linguistico si relazionano reciprocamente, senza che vi
sia innatismo nella prima e trascendenza nel secondo. Sono le due facce
dell'intelletto, secondo la definizione di Averroè nel Commento
Medio al De Anima (Illuminati, 88) ·
Per Averroè l'intelletto attivo è intermedio tra la mente divina e
l'uomo, è "comune" agli uomini e implicato nell'anima
individuale: quella parte dell'anima, che ascendendo all'intelletto
attivo passa dall'individualità alla collettività (consentendo
all'uomo di pensare alle nozioni comuni), è dunque
"immortale". Attraverso Sigieri di Brabante questa lettura
giunge sino a Dante, suo grande estimatore, che la traduce nel primato
della forma politica comunitaria (l'Impero) come garanzia della pace tra
gli uomini. ·
SEP: Averroes held to the view of the Agent Intellect as a form of
forms throughout his life ·
SEP: he
presents the Material
Intellect as a disposition in the body or imaginative faculty; and then,
to guarantee its immaterial objectivity, as a substance essentially
outside the soul.The Material Intellect is is our “first perfection,”
while the Agent Intellect represents an ultimate perfection, or “final
form” for us. Averroes retains the separate, i.e., immaterial yet
substantial nature of the Material and Agent Intellects, and their
relation of potential to actual intelligibility. However, he treats them
as two separate substances, not two aspects of the same intelligence.
The material intellect is thus hypostatized. ·
SEP: Averroes involves the Material Intellect, and even the Agent
Intellect, with a person's intellectual development. Their presence is
essential to the individual striving for rational perfection, however
non-essential from the standpoint of the universal substances themselves.
The location of these immaterial substances in the soul is nowhere
explicit, but their function and internal dynamic is similarly presented.
While the internal senses, as of course the external senses, have
physical locations in the organs of the body, the rational faculty has
not. The individual perfects his/her intellect, and the more it is
perfected, i.e., the more abstract truths accumulate, the less
particular and individual it is, the less it “belongs” to that
person. · Averroè, Lungo Commento al De Anima: Stando le cose cosí, mi parve che da parte mia meritasse lo scrivere su ciò quanto io ne pensai; e se quanto io sento su questa questione non sarà soddisfacente ed esatto, io scongiuro i miei fratelli che leggeranno questi miei scritti che scrivano anche essi le loro opinioni; che forse si troverà la verità su questo affare se ancora io non l’ho trovata. E se l’ho trovata, come penso, con i loro dubbi resterà confermata e manifestata. La verità infatti, come dice Aristotele, corrisponde a se stessa ed in ogni senso offre testimonianza di sé. […] Ma poiché da quanto sopra siamo indotti a ritenere che l’Intelletto Materiale è uno in tutti gli individui […] Perciò l'Intelletto Materiale non avrà nessuna generazione e corruzione se non in ragione della molteplicità contingente agli individui, non già in ragione dell’essere essi uno solo in esso. ·
Alessandrismo e
Averroismo nel Rinascimento italiano del XVI secolo :
·
Tra il XV e il XVI secolo il dibattito sull'anima diventa il tema
dominante nell'aristotelica, ma non dogmatica, università di Padova, a
partire dalla nuova traduzione latina dei commenti al De anima di
Averroè (1472) e del De anima di Alessandro d'Afrodisia (1495).
Il "partito" averroista (Nifo, Achillini, Zimara) si fa
talmente agguerrito da essere minacciato di scomunica dal vescovo di
Padova (1489) nel caso dibatta la questione al di fuori dell'università.
Ma cresce anche la fazione degli "alessandristi" (nelle cui
fila Nifo, ora loro acerrimo awersario, ha brevemente militato), alla
cui testa sono De Vio e Pomponazzi. ·
Già Marsilio Ficino nel
Proemio al commento di Plotino puntualizzava la differenza tra
Alessandristi ed Averroisti: “I primi ritengono che il nostro
intelletto è mortale, gli altri sostengono che è unico in tutti gli
uomini, gli uni e gli altri distruggono dalle fondamenta ogni religione,
specialmente perché negano l'azione della provvidenza divina sugli
uomini, e gli uni e gli altri sono infedeli allo stesso loro
Aristotele.” (in Plotin., pr.) ·
Tommaso d'Aquino (
1225-1274 d. C.) versus Averroè: ·
il De Unitate
Intellectus contra Averroistas: qui lui dice che Averroè sbaglia a
porre un unico Intelletto (possibile) per tutti gli uomini... altrimenti
non vi sarebbe più responsabilità morale del singolo e non avrebbero
funzione le punizioni e i premi... ·
l'intelletto è quella
parte dell'anima che è priva di un
organo del corpo (mentre li hanno le parti vegetativa e
sensitiva) e, però, è “forma del corpo fisico” … Come è
possibile? Dice: non è difficile a capire perchè succede anche in
altre cose, dove vediamo che una forma è atto di un corpo fatto da
varie componenti ma essa ha un potere che non è proprio di nessuno
degli elementi componenti il corpo; questo succede per esempio nel
“magnete” in esso la forma struttura le parti del ferro che
compongono il corpo del magnete ma il poter di attrarre non deriva da
queste parti bensì da un principio superiore. Secondo la scienza dei
tempi di Tommaso tale principio erano gli astri, secondo la nostra è il
campo elettro-magnetico che “orienta”i domini delle molecole di
ferro ·
l'intelletto è dunque
(come il potere magnetico del magnete) separabile perchè
è una capacità non presente nel corpo (in un organo) ma
è una capacità presente nell'anima
razionale nel suo complesso , e questa anima nel suo complesso
è la forma del corpo umano ·
l'intelletto solo per
accidente ha bisogno di un organo corporeo perchè il suo oggetto da cui
astrae gli universali (i concetti) sono le “immagini sensibili” che
hanno bisogno di un organo corporeo (il cervello) ·
Averroè – secondo
Tommaso sbagliandosi – pensava che l'Intelletto Agente Unico astrae i
concetti dalle immagini sensibili che gli vengono fornite dai singoli
uomini e attua l'Intelletto Possibile Unico... Cosa significa? ·
Anche l'Intelletto Agente
per Tommaso non è unico: infatti mentre Platone lo paragona al sole che
è unico per tutti gli uomini, Aristotele lo paragona ai raggi di luce
che sono molti per molti uomini · per Herbert McCabe (On Aquinas, p. 140) l'intelletto possibile è la capacità umana di avere un linguaggio, mentre l'intelletto agente è la capacità umana di creare un linguaggio, cioè stabilire regole convenzionali di comunicazione
Lo
Spirito Assoluto Hegel
(n. 1770 –
m. 1831)
Giuseppe
Mazzini e i quattro livelli dei “doveri dell'uomo”
Il
Dovere non contro i Diritti, ma prima e al di là dei Diritti ·
Perché
vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri diritti? ·
Certo esistono diritti; ma
dove i diritti di un individuo vengono a contrasto con quelli di un
altro, come sperare di conciliarli, di metterli in armonia, senza
ricorrere a qualche cosa superiore a tutti i diritti ·
la differenza tra gli
uomini dei diritti e quei del Dovere. Ai primi la
conquista dei loro diritti individuali, togliendo ogni stimolo, basta
perché s'arrestino: il lavoro dei secondi non s'arresta qui in terra
che colla vita. ·
Come
e in nome di chi convincerli che i pericoli e le delusioni devono farli
più forti, che hanno a combattere non per alcuni anni, ma per tutta la
loro vita? Chi può dire ad un uomo: segui a lottare per i tuoi
diritti, quando lottare per essi gli costa più caro che non
l'abbandonarli? ·
E chi può, anche in una
società costituita su basi più giuste che non le attuali, convincere
un uomo fondato unicamente sulla teoria dei diritti, ch'egli ha
da mantenersi sulla via comune e occuparsi di dare sviluppo al pensiero
sociale? ·
Si tratta dunque di trovare
un principio educatore superiore a siffatta teoria, che guidi gli uomini
al meglio, che insegni loro la costanza nel sacrificio, che li vincoli
a' loro fratelli senza farli dipendenti dall'idea d'un solo o dalla
forza di tutti. E questo principio è il DOVERE. Bisogna convincere gli
uomini ch'essi, figli d'un solo Dio, hanno ad essere qui in terra
esecutori d'una sola legge - che ognuno d'essi deve vivere, non per sé,
ma per gli altri ‑ che lo scopo della loro vita non è quello
d'essere più o meno felici, ma di rendere sé stessi e gli altri
migliori - che il combattere l'ingiustizia e l'errore a benefizio dei
loro fratelli e dovunque si trova, è non solamente diritto, ma dovere:
dovere da non negligersi senza colpa ‑ dovere di tutta la vita. ·
Quand'io dico, che la
conoscenza dei loro diritti non basta agli uomini per operare un
miglioramento importante e durevole, non chiedo che rinunzino a questi
diritti; dico soltanto che non sono se non una conseguenza di doveri adempiti
e che bisogna cominciare da questi per giungere a quelli. E quand'io
dico, che proponendo come scopo alla vita il benessere, interessi
materiali, corriamo rischio di creare egoisti, non intendo che
non dobbiate occuparvene; dico che gli interessi materiali, cercati
soli, proposti non come mezzi ma come fine, conducono
sempre a quel tristissimo risultato. ·
Dio v'ha dato il consenso
dei vostri fratelli e la vostra coscienza, come due ale per innalzarvi
quanto è possibile sino a lui. Perché v'ostinate a troncarne una?
Perché isolarvi, assorbirvi nel mondo? Perché voler soffocare la voce
del genere umano? Ambe sono sacre: Dio parla in ambe. Dovunque
s'incontrano, dovunque il grido della vostra coscienza è ratificato
dal consenso dell'Umanità, ivi è Dio, ivi siete certi di avere in
pugno la verità: l'uno è la verificazione dell'altro. ·
Perché fra dieci individui
appartenenti in sostanza alla stessa credenza, quella che impone lo
sviluppo e il progresso della razza umana, troviamo dieci convinzioni
diverse sui modi d'applicare la credenza alle azioni, cioè sui doveri?
Evidentemente, il grido della coscienza dell'individuo non basta, in
ogni stato di cose e senz'altra norma, a rivelargli la Legge. La
coscienza basta solo a insegnarvi che una legge esiste, non quali sono
questi doveri. Per questo il martirio non s'è mai, e comunque l'egoismo
predominasse, esiliato dall'Umanità; ma quanti martiri non
sacrificarono l'esistenza per presunti doveri, a beneficio d'errori oggi
patenti a ciascuno! ·
V'è dunque bisogno d'una
scorta alla vostra coscienza, d'un lume che le rompa d'intorno la
tenebra, d'una norma che ne verifichi e ne diriga gl'istinti. E questa
norma è l'Intelletto e l'Umanità. ·
Dio ha dato intelletto a
ciascun di voi, perché lo educhiate a conoscere la sua Legge. Oggi, la
miseria, gli errori inveterati da secoli e la volontà dei vostri
padroni, vi contrastano fin la possibilità d'educarlo; e per questo v'è
necessario rovesciare quegli ostacoli colla forza. Ma quand'anche gli
ostacoli saranno tolti di mezzo, l'intelletto di ciascun di voi sarà
insufficiente a conoscere la legge di Dio, se non appoggiandosi
all'intelletto dell'umanità. La vostra vita è breve: le vostre facoltà
individuali sono deboli, incerte, e abbisognano d'un punto d'appoggio.
Or Dio v'ha messo vicino un essere la cui vita è continua, e le cui
facoltà sono la somma di tutte le facoltà individuali che si sono, da
forse quattrocento secoli, esercitate; un essere che attraverso gli
errori e le colpe degli individui migliora sempre in sapienza e moralità:
un essere nel cui sviluppo Dio ha scritto e scrive ad ogni epoca una
linea della sua Legge. Quest'essere è l'Umanità. ·
L'Umanità, ha detto un
pensatore del secolo scorso, è un uomo che impara sempre. Gl'individui
muoiono; ma quel tanto di vero che essi hanno pensato, quel tanto di
buono ch'essi hanno operato non va perduto con essi: l'Umanità lo
raccoglie e gli uomini che passeggiano sulla loro sepoltura ne fanno lor
pro. Ognuno di noi nasce in oggi in una atmosfera d'idee e di credenze
elaborata da tutta l'Umanità anteriore: ognuno di noi porta, senza pur
saperlo, un elemento più o meno importante alla vita dell'Umanità
successiva. ·
Dio s'incarna successivamente
nell'umanità. La legge di Dio è una, sì come è Dio; ma noi lo
scopriamo articolo per articolo, linea per linea, quanto più s'accumula
l'esperienza educatrice delle generazioni che precedono, quanto più
cresce in ampiezza e in intensità l'associazione fra le razze,
fra i popoli, fra gl'individui. Nessun uomo, nessun popolo, nessun
secolo può presumere di scoprirla intera: la legge morale, la legge di
vita dell'umanità tutta quanta raccolta in associazione, quando tutte
le forze, tutte le facoltà che costituiscono l'umana natura saranno
sviluppate e in azione. Ma intanto, quella parte dell'Umanità ch'è più
inoltrata nell'educazione c'insegna col suo sviluppo parte della legge
che noi cerchiamo. Nella sua storia leggiamo il disegno di Dio; ne' suoi
bisogni i nostri doveri: doveri che mutano o per dir meglio
crescono coi bisogni, perché il nostro primo dovere sta nel concorrere
a che l'Umanità salga prontamente quel grado di miglioramento e di
educazione al quale Dio e i tempi l'hanno preparata. Voi dunque, a
conoscere la legge di Dio, avete bisogno d'interrogare non solamente la vostra
coscienza, ma la coscienza, il consenso dell'Umanità; a conoscere i
vostri doveri, avete bisogno d'interrogare i bisogni attuali dell'Umanità. ·
Chi può impedirvi, solo
che voi vogliate, di ricevere alcuno degli scritti che i vostri fratelli
stampano qui nell'esilio per voi? Leggeteli e ardeteli, sì che il
giorno dopo, l'inquisizione dei vostri padroni non li trovi fra le
vostre mani e non ne faccia argomento di colpa alle vostre famiglie; ma
pur leggeteli e ripetete, quel tanto che avrete potuto serbare a mente,
ai più fidati dei vostri amici. Aiutateci colle offerte ad allargare la
sfera dell'Apostolato, a compilare, a stampare per voi manuali di storia
generale e di storia patria. Aiutateci, moltiplicando le comunicazioni,
a diffonderli. Convincetevi che senza istruzione, voi non potete
conoscere i vostri doveri: convincetevi che dove la Società vi contende
ogni insegnamento, la responsabilità d'ogni colpa è non vostra, ma
sua: la vostra incomincia dal giorno in cui una via qualunque allo
insegnamento v'è aperta, e la negligete: dal giorno in cui vi si
mostrano mezzi per mutare una società che vi condanna all'ignoranza, e
voi non pensate ad usarne. Non siete colpevoli perché ignorate; siete
colpevoli perché vi rassegnate a ignorare ‑ perché mentre la
vostra coscienza v'avverte che Dio non v'ha dato facoltà senza imporvi
di svilupparle, voi lasciate dormire nell'anima vostra tutte le facoltà
del pensiero ‑ perché, mentre pur sapete che Dio non può avervi
dato l'amore del vero senza darvi i mezzi di conseguirlo, voi,
disperando, rinunziate a farne ricerca e accettate, senza esame, per
verità l'affermazione del potente e del sacerdote venduto al potente. Doveri
verso la Umanità ·
I
vostri primi doveri, primi non per tempo ma per importanza e perché
senza intendere quelli non potete compiere se non imperfettamente gli
altri, sono verso l'Umanità. Avete doveri di cittadini, di figli, di
sposi e di padri, doveri santi, inviolabili, dei quali vi parlerò a
lungo tra poco; ma ciò che fa santi e inviolabili quei doveri, è la
missione, il Dovere che la vostra natura d'uomini vi comanda.
Siete padre per educare uomini al culto e allo sviluppo della
Legge di Dio. Siete cittadini, avete una Patria, per potere facilmente,
in una sfera limitata, con concorso di gente già stretta a voi per
lingua, per tendenze, per abitudini, operare, a beneficio degli uomini
quanti sono e saranno, ciò che mal potreste operare perduti, voi
soli e deboli, nell'immenso numero dei vostri simili. Quei che
v'insegnano morale, limitando la nozione dei vostri doveri alla
famiglia o alla patria, v'insegnano, più o meno ristretto, l'egoismo,
e vi conducono al male per gli altri e per voi medesimi. Patria e
Famiglia son come due circoli segnati dentro un circolo maggiore che li
contiene; come due gradini d'una scala senza i quali non potreste salire
più in alto, ma sui quali non è permesso arrestarvi. Siete uomini: cioè
creature ragionevoli, socievoli e capaci, per mezzo unicamente
dell'associazione, d'un progresso, a cui nessuno può assegnar
limiti: e questo è quel tanto che oggi sappiamo dalla Legge di vita
data all'Umanità. Questi caratteri costituiscono la umana natura, che
vi distingue dagli altri esseri che vi circondano e che è fidata a
ciascuno di voi come un seme da far fruttare. Tutta la vostra vita deve
tendere all'esercizio e allo sviluppo ordinario di queste facoltà
fondamentali della vostra natura. Qualunque volta voi sopprimete o
lasciate sopprimere, in tutto o in parte, una di queste facoltà, voi
scadete dal rango d'uomini fra gli animali inferiori o violate la legge
della vostra vita ·
Poco importa che voi
possiate dirvi puri: quando anche poteste, isolandovi, rimanervi tali,
se avete a due passi la corruzione e non cercate combatterla, tradite i
vostri doveri. Poco importa che adoriate nell'anima vostra la Verità:
se l'errore governa i vostri fratelli in un altro angolo di questa terra
che ci è madre comune, e voi non desiderate e non tentate, per quanto
le forze vostre vel concedono, rovesciarlo, tradite i vostri doveri. ·
Ma nel vostro cuore è una
voce che grida: “Quegli uomini di due mila anni addietro, quelle
popolazioni ch'oggi combattono lontane da voi, quel martire per le idee
del quale voi non morreste, furono, sono fratelli vostri: fratelli non
solo per comunioni di origine e di natura, ma per comunione di lavoro e
di scopo. Quei Greci antichi passarono; ma l'opera loro non passò, e
senza quella voi non avreste oggi quel grado di sviluppo intellettuale e
morale che avete raggiunto. Quelle popolazioni consacrarono col loro
sangue una idea di libertà nazionale per la quale voi combattete. Quel
martire insegnava morendo che l'uomo deve sacrificare ogni cosa e,
occorrendo, la vita a quel che egli crede essere la Verità.
Importa che, fortificata dagli esempi, la natura umana migliori e
verifichi più sempre il disegno di Dio sulla terra. E in qualunque
luogo la natura migliori, in qualunque luogo si conquisti una verità,
in qualunque parte si mova un passo sulla via dell'educazione, del
progresso, della morale, è passo, è conquista che frutterà presto o
tardi a tutta quanta l'Umanità. Siete tutti soldati d'un esercito che
move per vie diverse, diviso in nuclei diversi, alla conquista d'un solo
intento ·
Una nazione straniera che
impoverisca, nella quale diminuisca la cifra dei consumatori, è un
mercato di meno per voi. Un commercio straniero che, in conseguenza dei
cattivi ordinamenti, soggiaccia a crisi o a rovina, produce crisi o
rovina nel vostro. I fallimenti d'Inghilterra o d'America trascinano
fallimenti Italiani. Il credito è in oggi istituzione non nazionale, ma
Europea. E inoltre, ogni tentativo di miglioramento nazionale che voi
farete avrà nemici, in virtù delle Leghe contratte dai principi, primi
ad accorgersi che la quistione è in oggi generale, di tutti i governi.
Né v'è speranza per voi se non nel miglioramento universale, nella
fratellanza fra tutti i popoli dell'Europa e, per l'Europa, dell'umanità. ·
Amate l'Umanità. Ad ogni
opera vostra nel cerchio della Patria o della Famiglia, chiedete a voi
stessi: se questo ch'io fo fosse fatto da tutti e per tutti,
gioverebbe o nuocerebbe all'Umanità? e se la coscienza vi risponde:
nuocerebbe, desistete, desistete quand'anche vi sembri che
dall'azione vostra escirebbe un vantaggio immediato per la Patria e per
la Famiglia. Doveri
verso la Patria ·
Ma
che cosa può ciascuno di voi, colle sue forze isolate, fare pel
miglioramento morale, pel progresso dell'Umanità? ·
La parola della fede
avvenire è l'associazione, la cooperazione fraterna verso un
intento comune, tanto superiore alla carità, quanto l'opera di
molti fra voi che s'uniscono a inalzare concordi un edifizio per
abitarvi insieme è superiore a quella che compireste innalzando
ciascuno una casupola separata e limitandovi a ricambiarvi gli uni cogli
altri aiuto di pietre, di mattoni, di calce. Ma quest'opera comune voi,
divisi di lingua, di tendenze, d'abitudini, di facoltà, non potete
tentarla. ·
Oh miei fratelli! amate la
Patria. La Patria è la nostra casa: la casa che Dio ci ha data,
ponendovi dentro una numerosa famiglia, che ci ama e che noi amiamo,
colla quale possiamo intenderci meglio e più rapidamente che non con
altri, e che per la concentrazione sopra un dato terreno e per la natura
omogenea degli elementi che essa possiede, è chiamata a un genere
speciale d'azione ·
La Patria è il segno della
missione che Dio v'ha dato da compiere nell'umanità. Le facoltà, le
forze di tutti i suoi figli devono associarsi pel compimento di quella
missione. Una certa somma di doveri e di diritti comuni spetta ad ogni
uomo che risponde al chi sei? degli altri popoli: sono
Italiano ·
Non vi seduca l'idea di
migliorare, senza sciogliere prima la questione Nazionale, le vostre
condizioni materiali: non potrete riuscirvi. Le vostre associazioni
industriali, le consorterie di mutuo soccorso son buone com'opera
educatrice, come fatto economico: rimarranno sterili finché non abbiate
un'Italia. ·
La Patria è la nostra
casa: la casa che Dio ci ha data, ponendovi dentro una numerosa
famiglia, che ci ama e che noi amiamo, colla quale possiamo intenderci
meglio e più rapidamente che non con altri, e che per la concentrazione
sopra un dato terreno e per la natura omogenea degli elementi che essa
possiede, è chiamata a un genere speciale d'azione. La Patria è la
nostra lavoreria; i prodotti della nostra attività devono stendersi da
quella a beneficio di tutta la terra; ma gli istrumenti del lavoro che
noi possiamo meglio e più efficacemente trattare, stanno in quella e
noi non possiamo rinunziarvi senza tradire l'intenzione di Dio e senza
diminuire le nostre forze. Lavorando, secondo i veri principii per la
Patria, noi lavoriamo per l'Umanità ·
Non v'è dunque veramente
Patria senza un Diritto uniforme. Non v'è Patria dove l'uniformità di
quel Diritto è violata dall'esistenza di caste, di privilegi,
d'ineguaglianze Doveri
verso la famiglia ñ
La
famiglia è la Patria del core. V'è un Angiolo nella Famiglia che
rende, con una misteriosa influenza di grazie, di dolcezza e d'amore, il
compimento dei doveri meno arido, i dolori meno amari. La
famiglia ha in sé un elemento di bene raro a trovarsi altrove, la
durata. Gli affetti, in essa, vi si stendono intorno lenti, inavvertiti,
ma tenaci e durevoli siccome l'ellera intorno alla pianta ·
Ciò che la Patria è per
l'umanità, la Famiglia deve esserlo per la Patria. Come io v'ho detto
che la parte della Patria è quella d'educare gli uomini, così
la parte della Famiglia è quella di educare i cittadini ·
In una società nella quale
il merito è pericoloso, e la ricchezza è la sola base della potenza,
della sicurezza, della difesa contro la persecuzione e il sopruso, il
padre è trascinato dall'affetto a dire al giovane anelante la Verità:
bada! la ricchezza è la tua tutela: la Verità sola non può esserti
scudo contro l'altrui forza, contro l'altrui corruttela ·
mate, rispettate la donna.
Non cercate in essa solamente un conforto, ma una forza, una
ispirazione, un raddoppiamento delle vostre facoltà intellettuali e
morali. Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità: non ne
avete alcuna. ·
Amate i figli che la
Provvidenza vi manda; ma amateli di vero, profondo, severo amore; non
dell'amore snervato, irragionevole, cieco, ch'è egoismo per voi, rovina
per essi. ·
poche madri, pochi padri
pensano che le molte vittime, le lotte incessanti e il lungo martirio
dei nostri tempi son frutto in gran parte dell'egoismo innestato trenta
anni addietro nell'animo da madri deboli o da padri incauti, i quali
lasciarono che i loro figli s'avvezzassero a considerare la vita non
come dovere e missione, ma come ricerca di piacere e studio del proprio
benessere ·
Infondete
nelle tenere menti, insieme ai germi della ribellione contro ogni autorità
usurpata e sostenuta dalla forza, la riverenza alla vera, all'unica
Autorità, l'autorità della Virtù coronata dal Genio Doveri
verso se stesso ·
Tutti i
sofismi d'una misera filosofia, che vorrebbe sostituire una dottrina di
non so quale fatalismo al grido della coscienza umana, non valgono a
cancellare due testimonianze invincibili a favore della libertà: il
rimorso e il martirio. Voi
siete liberi e quindi responsabili.
Da questa
libertà morale scende il vostro diritto alla libertà politica, il
vostro dovere di conquistarvela e mantenerla inviolata, il dovere altrui
di non menomarla. ·
Voi
siete educabili.
Esiste in
ciascun di voi una somma di facoltà, di capacità intellettuali, di
tendenze morali, alle quali l'educazione sola può dar moto e
vita, e che, senza quella, giacerebbero sterili, inerti, non rivelandosi
che a lampi, senza regolare sviluppo. ·
L'educazione è il pane
dell'anima. Come la vita fisica, organica, non può crescere e svolgersi
senza alimenti, così la vita morale, intellettuale, ha bisogno per
ampliarsi e manifestarsi, delle influenze esterne e d'assimilarsi parte
almeno delle idee, degli effetti, delle altrui tendenze. L'individuo è
un rampollo dell'UMANITÀ e alimenta e rinnova le proprie forze nelle
sue. Quest'opera alimentatrice, rinnovatrice, si compie coll'Educazione
che trasmette direttamente o indirettamente all'individuo i risultati
dei progressi di tutto quanto il genere umano. È dunque non solamente
come necessità della vostra vita, ma come una santa comunione
con tutti i vostri fratelli, con tutte le generazioni che vissero: cioè
pensarono ed operarono prima della vostra, che voi dovete conquistarvi,
nei limiti del possibile, educazione: educazione morale ed
intellettuale, che abbracci e fecondi tutte le facoltà che Dio vi dava
siccome deposito da far fruttare, e che istituisca e mantenga un legame
tra la vostra vita individuale e quella dell'Umanità collettiva. ·
Dio v'ha fatto esseri
essenzialmente sociali. Ogni essere al disotto di voi può
vivere da per sé, senz'altra comunione che colla natura, cogli
elementi del mondo fisico: voi nol potete. Avete a ogni passo necessità
dei vostri fratelli e non potete soddisfare ai più semplici bisogni
della vita senza giovarvi dell'opera loro. ·
Voi siete,
finalmente, esseri progressivi.
Questa parola PROGRESSO, ignota all'antichità, sarà d'ora innanzi una
parola sacra per l'Umanità. Essa racchiude tutta una trasformazione
sociale, politica, religiosa. *
* * mio
commento: la
vita stessa di Mazzini (centinaia di migliaia di lettere....) e queste
sue idee sul “dovere” (“debito”) fuori e dentro noi stessi ci
danno un forte messaggio: la inconsistenza e degradazione della vita
Individualistica e la ricchezza e progressività della vita
Interpersonale Ferdinand
De Saussure e la Linguistica ñ
nato nel
1857 a Ginevra e a Ginevra morto nel 1923. E' il fondatore della
linguistica del XX secolo. Dopo aver dato prova di sè nella linguistica
storico-comparativa (Mémoire sur le système primitif des voyelles
dans les langues indo-européennes, 1879), si dedicò
all'insegnamento prima a Parigi e poi a Ginevra e a una ricerca
fortemente teoretica sulla natura stessa del Linguaggio. Dopo la sua
morte, i discepoli con gli appunti delle lezioni composero il Cours
de linguistique générale (1916), classico fondamentale,
a cui è affidata la sua fama. ñ
Il
linguaggio è l'aspetto sociale dei discorsi individuali, al di là
dell'individuo che non può modificarlo.
Esiste solo per una specie di contratto tar i membri di una
comunità. L'individuo per appropriarsene ha bisogno
di un intenso e graduale apprendistato. ñ
È concepibile una scienza che studi la
vita dei Segni in una società, essa sarebbe parte della psicologia
sociale e quindi della psicologia generale. La chiamerò semiologia. Di
essa la linguistica è la parte più importante. ñ
Il segno è sociale ma non va enfatizzato
il ruolo dei suoi rapporti con altre istituzioni sociali come quelle
giuridiche, familiari, etc. La sua caratteristica distintiva è che esso
elude sia la volontà individuale sia quella sociale. ▪
La parola ha due facce: da una parte,
dipendendo dal linguaggio che è sociale e non individuale, è
esclusivamente mentale, dall'altra – quella che concerne l'atto
individuale del parlare – è psicofisica. Certo, i due aspetti sono
strettamente collegati: è necessario il linguaggio affinché il parlare
possa essere intelligibile e comunicativo,
ma il parlare è necessario per costruire il linguaggio e
cronologicamente sempre viene prima. Noi infatti impariamo il linguaggio
ascoltando le altre persone; inoltre è il parlare che fa evolvere il
linguaggio. Ma la interdipendenza di questi due aspetti non impedisce
che essi debbano esser assolutamente distinti.
▪
Il linguaggio esiste come somma di
impressioni depositate nella mente di ciascun membro di una comunità
come un dizionario distribuito in tot copie per ciascuno di tot
individui. Il parlare invece esiste come combinazioni individuali di
parole dovute alla volontà del parlante. Esso dunque non è uno
strumento collettivo, le sue manifestazioni sono individuali e
momentanee ñ
il linguaggio è comunque collegato al
parlare e non allo scrivere. Pensare diversamente sarebbe come credere
– grottescamente – di poter imparare di più su una persona
guardando la sua fotografia e che guardandola in carne e ossa. ñ
Il linguaggio non è un processo di
attribuzione di nomi alle cose. Ciò infatti presupporrebbe una cosa
falsa: che vi siano Idee già pronte prima delle Parole ñ
la parola non unisce un nome a una cosa,
ma una immagine uditiva a un concetto. La immagine non è solamente
fisica ma è l'impressione psicologica del suono, la chiamiamo
“materiale” solo perchè deriva dalle sensazioni, e per distinguerla
dal concetto che di essa è “meno materiale”. Che l'immagine uditiva
sia psicologica lo vediamo quando osserviamo il nostro stesso parlare:
senza muovere le labbra o la lingua, possiamo parlare a noi stessi o
recitare mentalmente una sequenza di versi . ñ
La parola è dunque una entità
psicologica che ha due facce o componenti: il significante (l'immagine
uditiva) e il significato (il concetto o idea) ñ
Primo Principio: il legame tra
significante e significato è arbitrario. Infatti ogni mezzo di
comunicazione usato in una società è per definizione basato sul
comportamento collettivo o – che è la stessa cosa – su
convenzioni. Anche i segni “non arbitrari” (esempio del giungere le
mani dei Cinesi) sono in realtà soprattutto convenzionali e quando i
segni sono totalmente arbitrari (parole) essi raggiungono assai meglio
lo scopo della comunicazione sociale. ñ
Secondo Principio: la natura del
significante – essendo uditivo e dunque temporale - è lineare. Questa
è la relazione sintagmatica tra le parole, diversa dalla relazione
associativa (immagine della colonna del tempio greco) ñ
sembra che il significante sia scelto
liberamente per collegarlo al significato. In realtà esso è fissato e
non libero, nei confronti della comunità che lo usa. Questo fatto, che
sembra contraddittorio, ci dice: “scegli!”, ma anche aggiunge:
“devi scegliere questa parola e non un'altra!”. Né l'individuo può
modificare, anche volendolo, la scelta, e, cosa più notevole, neanche
può farlo la comunità, essendo essa legata al linguaggio esistente ñ
quindi il linguaggio non è un semplice
contratto. Ecco perchè il linguaggio è interessante; infatti ci mostra
con più evidenza come la “legge” accettata da una comunità è una
cosa che è tollerata e non una regola cui tutti liberamente consentano.
Nessuna società infatti ha mai conosciuto un linguaggio che non fosse
un prodotto ereditato dalle generazioni precedenti e da accettare come
tale. Ecco perchè non è un problema teorico importante
la cosiddetta “origine del linguaggio”. Anzi non val la pena
neanche domandarselo. L'unico problema di studio della linguistica è la
normale vita di un linguaggio già esistente. ñ
Nel linguaggio la trasmissione storica
domina completamente e proibisce qualsiasi cambiamento vasto e
repentino. Sia perchè le generazioni tra di loro non sono sovrapposte
come dei cassetti, ma si fondono e interpenetrano, perchè ciascuna
generazione abbraccia individui di tutte le età. Inoltre se osserviamo
la grande fatica che ci vuole per imparare la lingua madre possiamo
vedere come una cambiamento generale sia impossibile. Inoltre la grande
maggioranza dei parlanti è inconsapevole delle leggi del linguaggio, e
dunque come potrebbero modificarle? E anche se fossero consapevoli molto
raramente vorrebbero cambiarle perchè sono soddisfatte dell'esistente. ñ
Ma soprattutto dobbiamo considerare delle
cause più basilari: 1) la natura arbitraria del segno lo protegge dal
tentativo di modifica. Per modificarlo bisognerebbe discuterlo: ma
mentre avrebbe senso discutere se sia migliore la monogamia o la
poligamia, e anche discutere un sistema di simboli (il simbolo – la
croce, la falce e martello, etc. - infatti non è arbitrario), non ha
senso discutere qualcosa di arbitrario, manca la base stessa per
discutere. Non c'è alcun motivo per preferire “sister” a “soeur”.
2) il numero delle parole è troppo grande e troppo complesso il
sistema delle regole: non solo per le masse ma anche per gli specialisti
di grammatica che a volte hanno provato.
3) l'inerzia della collettività verso al innovazione : infatti
il linguaggio è di continua e massima importanza quotidiana per ognuno,
coinvolge tutti e lo fa contemporaneamente come nessuna altra
istituzione sociale fa ; questo rende impossibile una rivoluzione ñ
d'altra parte possiamo parlare sia della
immutabilità sia della mutabilità del segno e che i due fatti siano
interdipendenti: il segno è esposto al cambiamento proprio perchè
perpetua sé stesso ñ
tutti i cambiamenti linguistici consistono
in uno spostamento del rapporto tra significante e significato. E,
siccome, il loro rapporto è arbitrario, il linguaggio è completamente
indifeso dal mutamento, menre non lo sono le altre istituzioni sociali
che – più o meno – hanno un qualche rapporto di relazione con le
cose e con gli scopi che abbiamo verso le cose. ñ
La cosa che più colpisce il linguista
storico (“diacronico”) è che dal punto di vista dell'individuo
parlante non esiste il cambiamento, egli parla solo avendo in mente un
codice, cioè un sistema statico (“sincronico”) ñ
i fatti diacronici non sono finalizzati a
cambiare il sistema: i parlanti non vogliono cambiare il codice , anche
se di fatto cambiano dei singoli elementi e, di conseguenza, il sistema
cambia. Il sistema (il linguaggio)
non è mai modificato
direttamente, in sé stesso, come sistema, è immutabile. ñ
Ogni singolo stato del linguaggio è del
tutto fortuito, e questa è una prova che il linguaggio non è un
meccanismo creato allo scopo di comunicare dei concetti già formati.
Non c'è nulla di più importante dal punto di vista filosofico. ñ
Il cambiamento è del tutto non
intenzionale (non significativo) mentre il fatto sincronico è sempre
significativo. Per es. in tedesco non è Gaste che significa da
solo il plurale ma lo è la opposizione Gaste/Gast. Invece il
fatto diacronico è lo opposto: affinché apparisse Gaste è
dovuto scomparire Gasti. ñ
Il linguaggio [io tradurrei: il pensiero!]
è un sistema le cui parti devono sempre essere considerate nella loro
solidarietà sincronica ñ
la migliore analogia per il linguaggio
(naturale) è col gioco degli scacchi (artificiale), entrambi sistemi di
valori con le loro modificazioni osservabili : 1) ogni tato della
scacchiera corrisponde a uno stato del linguaggio, il valore di ciascun
pezzo dipende dalla sua posizione nella scacchiera come il valore di
ciascuna parola dipende dalla sua opposizione a tutte le altre, 2)
inoltre il sistema è sempre momentaneo, esso varia da una fase a quella
successiva; 3) come negli scacchi vi sono regole generali della
linguistica che sono immutabili; 4) per passare da uno stato a un altro
solo un pezzo deve esser mosso , non c'è un movimento generale, proprio
come nel cambiamento linguistico. Ma una volta che un elemento è stato
mosso tutto il sistema ha delle ripercussioni, di importanza varia a
secondo delle circostanze, più o meno grave; 5) ogni mutamento (mossa)
è assolutamente distinto sia dal precedente sia dal successivo
stato di equilibrio. Il cambiamento non appartiene a nessuno degli
stati. Nel gioco ciascuna posizione di un pezzo ha la caratteristica di
essere libera dalle posizioni antecedenti : il percorso usato per
arrivarci non fa alcuna differenza: chi ha seguito l'intera partita non
ha nessun vantaggio rispetto al curioso che dà uno sguardo dopo ore
dall'inizio: per descrivere la situazione è irrilevante sapere cosa sia
successo 10 secondi prima; 6) in un solo punto la analogia non tiene:
negli scacchi la mossa è fatta intenzionalmente, nel linguaggio il
cambiamento di un elemento non lo è. ñ
Dunque abbiamo due biforcazioni. La prima
è tra linguaggio (langue) e discorsi parlati (parole) .
La seconda è tra sincronia e diacronia. Ecco che ora possiamo affermare
che il linguaggio è diacronico (esiste una storia delle lingue) solo a
causa del discorso parlato, è in questo ultimo che ogni cambiamento
risiede ñ
ecco allora uno schema:
attività umana del linguaggio [pensiero] :
- codice
linguistico [cultura, sistema delle idee]:
- sincronia
- diacronia - atto individuale di parlare [pensare] ñ
la linguistica sincronica tratta le
relazioni logiche e psicologiche che legano assieme parole coesistenti e
formano un sistema nella mente collettiva dei parlanti. La
linguistica diacronica invece tratta le relazioni che legano parole
derivanti una dall'altra e non percepite dalla mente collettiva dei
parlanti ñ
la linguistica diacronica è più facile perchè i suoi fatti sono evidenti
e anche “divertenti”, invece penetrare le relazioni tra i valori
delle parole coesistenti è molto più sottile e difficile ñ
un segno è sempre significato +
significante: le entità mentali “casa”, “bianco” (significato)
etc considerate senza la loro associazione con le immagini uditive sono
solo immagini, anche se di altro
tipo, diventano concetti solo se associate e segmentate con le immagini
uditive dei suoni ñ
gli esempi delle associazioni sia
semantiche sia foniche tra le parole: esempio della parola francese
enseignement ñ
le parole nel sistema sincronico hanno una
identità di “valore” e non “materiale” (paragone con l'espresso
Parigi-Ginevra delle 8.25 e un singola strada nel tempo) . Anche qui
vale la analogia con gli scacchi : un cavallo del gioco ha un valore
indipendentemente dalla sua materia e figura , ma per il suo ruolo. ñ
Il nostro pensiero se no è espresso in
parole è solo una massa indistinta ed informe, una vaga nebulosa. Prima
della espressione linguistica non ci sono idee preesistenti. Lo stesso
vale per i suoni che senza la associazione ai significati
sarebbero una catena senza delimitazioni e senza scopo. ñ
Il ruolo caratteristico del linguaggio
verso il pensiero NON è di cercare dei mezzi fonici materiali per
esprimere delle idee, MA per fornire un legame tra suoni e indistinta
attività mentale [io così interpreterei, siccome
il linguaggio esiste solo come comunicazione interpersonale:
“l'importanza della comunicazione
interpersonale rispetto al vissuto mentale dell'animale razionale non è
quello di fornire uno strumento per per far sì che l'Animale Razionale
dia agli altri Animali Razionali quello che nella sua mente già ha (cioè
le cosiddette sue Idee), ma è quello di permettere che l'animale
razionale colleghi (unisca) (qui
ho difficoltà a capire ).... l'indistinto mentale... l'onirico marasma
delle immagini sensibili , della memoria sensitiva aristotelico-tomista
(cioè la persistenza delle passate esperienze di “virtus
aestimativa” verso beni e mali particolari), … lo unisca all'azione
corporea (sensi esterni e facoltà motrice) presente, e – in
tale modo – si formi una qualcosa da dare agli altri animali
razionali, un qualcosa che si forma ora e non c'era 'già prima'...”.] ñ
La natura arbitraria del segno spiega
perchè la socialità da sola può creare un sistema linguistico: le
parole sono valori di scambio e l'individuo da solo è incapace di
fissare un singolo valore di scambio ñ
vediamo che i valori delle
parole non provengono da “Idee” preesistenti, ma dal sistema
linguistico, cioè dal rapporto con tutte le altre parole. Esse non sono
relazionate ai ”concetti” se non in quanto i “concetti” sono
formati e definiti (e non indefiniti ed informi)
non dal loro contenuto positivo, ma negativamente dalle relazioni
con gli altri termini, la loro principale caratteristica è di essere ciò
che non sono gli altri ! …...* ….................................. *
…..... ñ
forse: una analisi
fenomenologica della attuale scomparsa del congiuntivo in Italia: la
mente interpersonale forse sta obliterando la idea del dubbio e della
ipotesi, della incertezza.. Mondo
Tre Sir
Karl Raymund Popper (n. 1902 in Austria – m. 1994 a Londra), è il
maggiore epistemologo del XX secolo: da La logica della scoperta
scientifica (1936) in poi con molte opere fondò il
“falsificazionismo” e il “razionalismo critico”, andando contro
il neo-positivismo logico di Wittgenstein
e del Circolo di Vienna. Per sfuggire al Nazismo scappò prima in
Inghilterra e poi in Nuova Zelanda, dove scrisse il suo fondamentale
libro sul liberalismo filosofico : La società aperta e i suoi nemici
(1942-1944). Peter
Skagestad, Making Sense of History (Univeristetsforlaget, Oslo,
1975, p. 57) ñ
Gottlob F. L. Frege riteneva che la Idea deve
esser distinta sia da ciò di cui è la Idea – che Frege chiama
“referente” - sia dalla soggettiva attività di pensiero di un
individuo umano che pensa quel concetto. Per Frege questa seconda
distinzione è non-problematica, perchè a lui sembra ovvia la natura
pubblica delle Idee, nella sua differenza dalla natura privata della
attività di pensiero (intesa come “combinazione” di Idee): infatti
lui scrive che è innegabile che la Umanità abbia un magazzino di Idee
che è trasmesso da una generazione all'altra. Invece per Frege è
problematica la distinzione tra una Idea e il suo referente (cioè la
cosiddetta Cosa). Questo schema a tre uscite (fondamentale per la logica
e per la linguistica del XX sec.) è un
contributo originale di Frege, al quale si ispirò poi Karl R.
Popper per la sua teoria dei Tre Mondi. K.
R Popper, Objective Knowledge (1972) ñ
i tre Mondi: Mondo 1 (gli
oggetti fisici), Mondo 2 (gli stati mentali soggettivi delle singole
persone, sentimenti, ricordi, pensiero pensante), Mondo 3 (le idee, cioè
i pensieri pensati, patrimonio comune comunicabile interpersonalmente) ñ
per vedere la autonomia di
Mondo 3 propongo due esperimenti mentali (pp. 151-2) ñ
critica a Platone: egli
scoprì il Mondo 3 e la sua influenza sulle nostre menti umane, ma per
lui esso era “divino” cioè: A. mai generato, B.
immutabile, C. vero. Invece per Popper esso
è: A. fatto dall'uomo, B. mutevole, C. contiene
non solo teorie vere ma anche teorie false ñ
il Mondo 3 non solo è
non-padroneggiabile da un singolo uomo, ma anche da tutta la umanità,
come mostra l'esistenza di problemi insolubili (p. 217) [e
questa - aggiungo io - è
una bella differenza tra il Mondo 3 di Popper e lo Spirito Assoluto di
Hegel!] ñ
il confronto col re-enactment
di Robin G. Collingwood: questi ha ragione a dire che per
capire un autore del passato si deve ricostruire la situazione
problematica affrontata dalla sua mente. Ma ha torto a richiedere che si
ripercorrano gli atti mentali individuali e soggettivi di quella
persona, sia perchè è spesso impossibile sia perchè è sempre
inutile. (pp. 244-245) K
R Popper, Unended quest (1974) ñ
ñ
il Mondo 1 e il Mondo 2
possono interagire , e così anche il Mondo 2 e il Mondo 3; ma il Mondo
1 e il Mondo 3 non possono interagire direttamente senza la mediazione
del Mondo 2. ñ
collegato alla sua relativa
autonomia è la sua relativa atemporalità: le relazioni del teorema di
Pitagora, per es. sono vere quando le stabilì Pitagora e sono vere ora
come sempre erano vere anche prima ñ
ma Popper diversamente da
Platone penso che il Mondo 3 sia il prodotto della Mente Umana, la quale
crea i suoi oggetti, e questi oggetti hanno delle leggi interne ed
autonome che creano delle non intese e non previste conseguenze … e
questa è solo un caso della più generale regola, che tutte le nostre
azioni hanno delle conseguenze... ñ
ci sono due tipi di valori
: 1) quelli creati dalla vita, da problemi inconsci; 2) e valori cercati
dalla mente umana, sulla base di previe soluzioni, nel tentativo di
risolvere dei problemi che possono - più o meno -
esser capiti. Ecco perchè per Popper i valori sono dei
“fatti”, fatti del Mondo 3 perchè creati dalla mente umana, e non
del Mondo 1. ñ
ma il nucleo più intimo di
Mondo 3 è fatto dai problemi teorici, dalle
teorie, e dalle loro discussioni critiche . E un valore domina
questo nucleo: il valore della “verità oggettiva” e della sua
“crescita”. Ci sono anche altri valori nel Mondo 3, ma questo è il
più importante: infatti per qualsiasi altro valore sorge questa
domanda: “è vero che X è un valore?” ñ
Ma il Mondo 3 include anche
i miti, le arti, le tradizioni (p. 228)... un difetto di tanta filosofia
contemporanea è di non capire che
questi Enti - benché
siano prodotti della nostra mente, e sebbene poggino su delle esperienze soggettive - essi hanno anche un
lato oggettivo. Una maniera di vivere può essere incompatibile
con un'altra maniera di vivere proprio come una teoria è logicamente
incompatibile con un'altra teoria: e queste incompatibilità
esistono oggettivamente, anche se ne siamo inconsapevoli! ñ
Senza il Mondo 3 le nostre
menti non possono esistere! Esse sono ancorate al Mondo 3. Noi dobbiamo
alla interazione col Mondo 3 la nostra stessa razionalità. K.
R. Popper, The Self and its Brain (1977) ñ
Vi sono oggetti di Mondo 3
incorporei cioè non incarnati in libri, dischi etc, né esistenti come
ricordi o intenzioni di Mondo 2 ? Sì! Per esempio la serie dei numeri
primi esiste incorporea anche prima della sua scoperta da parte della
mente umana. ñ
Sembra che Platone per
primo abbia distinto i tre Mondi (p. 60)
però Popper diversamente da Platone pensa che noi comprendiamo
gli oggetti di Mondo 3 producendoli o ri-producendoli e non
“contemplandoli” (p 62) ñ
gli oggetti di Mondo 3
hanno effetti su quelli di Mondo 1 solo grazie alla attività mentale
umana, al loro essere “afferrati”, e questo è un processo di Mondo
2. Dobbiamo ammettere – anche se questo è sgradito al Materialismo
– che gli oggetti di Mondo 3 e di Mondo 2 esistono! ñ
Il Mondo 2 è attivo
nel selezionare gli oggetti di Mondo 1 così come quelli di Mondo 3 .
Esso non è un recipiente passivo, ma è attivo, proprio come pensava
Kant. ñ
L'uomo costruisce oggetti
fisici ma nessuno, neanche il bastone, è predeterminato
geneticamente... l'unico ad esserlo è il linguaggio o meglio la capacità
linguistica. Anche se esistono i parlanti questo o quel linguaggio, il
bisogno di linguaggio è più importante! È un bisogno impellente,
vedi il caso di Helen
Keller (p. 67) ñ
ogni bambino si
impadronisce di una lingua compiendo una gran mole di lavoro con una
impresa intellettuale tremenda. E il bambino è, in parte, il prodotto
della sua impresa, è in qualche modo un prodotto di Mondo 3. ñ
Popper ritiene erronea la
concezione per cui le nostre percezioni ci vengano “date”: esse
invece sono “fatte” dal nostro lavoro attivo. Lo stesso “cogito
ergo sum” di Cartesio presuppone il linguaggio e la capacità di usare
il pronome. ñ
Le nostre personalità, i
nostri Io sono ancorate a tutti e tre i mondi ma specialmente al Mondo
3. ñ
Come otteniamo la
auto-coscienza? Non per auto-osservazione. Una coscienza di sé comincia
a svilupparsi attraverso la mediazione delle
altre persone. Nello stesso modo in cui impariamo a vedere noi
stessi in uno specchio, così il bambino diventa cosciente di sé stesso
riflettendosi nella coscienza che di lui hanno le altre persone.... Il
bambino comincia a conoscere il suo ambiente ma l'ambiente principale
per lui sono le Persone e mediante loro egli comincia a diventare una
Persona. ñ
Secondo Popper questa è la
serie cronologica di esperienze conoscitive del bambino: prima
la categoria delle persone, poi la distinzione tra persone
e cose, poi la scoperta del proprio corpo, infine
la consapevolezza del proprio Io. ñ
Noi facciamo atti di
routine in maniera inconscia. Solo gli atti di confronto con situazioni
nuove impongono e creano la coscienza.. essa è necessaria per
selezionare criticamente le teorie che servono a risolvere il nuovo
problema. ñ
È solo formulando nel
linguaggio le nostre aspettative e le nostre congetture, che esse
possono diventare oggetti di analisi ñ noi dobbiamo il nostro status di Io al linguaggio, e quindi alle altre persone. Si può dire così: come esseri umani siamo tutti prodotti di Mondo 3, il quale - a sua volta – è il prodotto di innumerevoli menti umane. Nella misura in cui siano il prodotti di altre menti e delle nostre stesse menti, possiamo dire che noi stessi apparteniamo a Mondo 3.(p. 179)
Herbert
McCabe e
i livelli di Integrazione del Significato “Il
segno linguistico coi suoi due aspetti inseparabili (significante e
significato) è stato
spesso paragonato alla persona umana, fatta di 'anima' e di 'corpo'.” Ferdinand
De Saussure “La razionalità non è altro che una speciale
maniera di essere in un gruppo.” Herbert McCabe Herbert
McCabe (nato nel 1926 - morto nel 2001) era un domenicano che ha vissuto
in Inghilterra, a Oxford, insegnando e scrivendo.
In vita ha pubblicato pochi libri; altri sono stati pubblicati
postumi dai suoi amici. Nessuno è tradotto in italiano. È stato
definito “one of the outstanding intellectuals of the post-war period”
e “a thinker of astonishing originality” sia nel campo della
teologia sia in quello della filosofia. Concordo. Le
Facoltà dell'Animale Umano
I
Livelli di Integrazione tra gli Enti
[mia
riflessione: - 4) è diverso da 1) perchè in 1) le parti sono indipendenti, e la
macchina è solo un aggregato con una finalità data dall'esterno. - 4) è diverso da 2) perchè in 2) le parti servono funzionalmente il
tutto con scopi già assegnati e immutabili, e non lo trasformano (non
cambiano il “progetto” complessivo, cioè il DNA), mentre in 4) esse
cambiano da sé gli scopi della loro funzione verso il tutto e inoltre
lo trasformano (cambiano il “progetto” complessivo, e cioè i valori
morali e culturali comuni. - 4) è diverso da 3) perchè in 3) quelle parti che sono i progenitori
(fossili) sono il “documento esterno (uso una espressione crociana che
devo spiegare) sia del positivo sia del negativo, mentre quelle parti
che sono gli individui attuali hanno i sé il documento interno solo del
positivo; invece in 4) il documento interno è sia del positivo sia del
negativo. Inoltre in 3) quelle parti che sono gli altri individui
viventi attualmente nell'ecosistema sono agenti con funzioni
predeterminate ed immutabili; invece in 4) quelle parti che sono gli
altri individui viventi
attualmente nell'ecosistema sono agenti con funzioni non predeterminate
e in continuo mutamento. ]
Riflessioni
sulla Eredità dell'Aristotelismo
Riflessioni
sull'Eredità della Linguistica
Riflessioni
sul Problema Politico
BIBLIOGRAFIA E LEGENDA 10)
Herbert McCabe, On
Aquinas, Continuum Books, London,
2008 (OA) 11)
Herbert McCabe, God
Matters, Continuum Books, London, 1987 (GM) 12)
Herbert McCabe, The
Good Life, Continuum Books, London, 2005 (GL) 13)
Herbert McCabe, Law,
Love, Language, Continuum Books, London, 2003 (LLL) 14)
Herbert McCabe, Faith within Reason, Continuum Books,
London, 2003 (FWR)
Conclusioni Una
interpretazione della Storia della Filosofia: la “noosfera”
non-divina, ma umana
15)
L'esistenza di una “Noosfera” (uso l'espressione di Teilhard de
Chardin, vedi appendice A) non significa
affatto che essa sia qualcosa di più del pensiero umano,
per quanto interpersonale. Non è qualcosa di “divino”,
essa non è come lo “Iperuranio” di Platone, dallo
“intelletto Agente” di Alessandro e Averroè, dallo “Spirito
Assoluto” di Hegel... Perché? Un primo motivo è questo : perché
la “Noosfera” (come la “Langue” di De Saussure, come il
“Superio” di Freud, come il “Mondo Tre” di Popper) contiene le
teorie vere ma anche quelle false, le idee giuste ma anche quelle
perverse... 16)
Un secondo motivo è
questo: come dimostra convincentemente De Saussure riguardo la evoluzione
linguistica, e Popper riguardo il progresso scientifico, e Croce nella sua
critica alla filosofia della storia di Hegel, la Mente Interpersonale
evolve in direzioni e con esiti da essa stessa non previsti, essa è
sempre incompleta, ha sempre bisogni, ed evolve sempre, sì …. ma verso
l'Ignoto... De Saussure ha sottolineato la inconsapevolezza del
Cambiamento, Croce e Popper hanno invece radicalmente distinto il “progetto”
(che pur c'è nella Mente Interpersonale) dalla “previsione”
(che ritengono non solo assente di fatto,
ma anche impossibile logicamente) 17)
se la comunicazione c'è sempre, però bisogna vedere se e quanto essa sia distorta... Come spiegava Freud in Psicologia
delle masse e analisi dell'Io... e come possiamo leggere nelle
realistiche e durissime narrazioni di Manzoni sui comportamenti della
“mente collettiva” durante la Peste a Milano (specialmente la
resa del medico Tadino!: vedi Appendice C).... e come potremmo
osservare in vari di storti e distorcenti Luoghi Comuni circolanti nelle
menti degli Italiani di oggi... 18)
Platone e il mito della caverna in La Repubblica: «E se allora si scambiavano
onori, elogi e premi, riservati a chi discernesse più acutamente gli
oggetti che passavano e si ricordasse meglio quali di loro erano soliti
venire per primi, quali per ultimi e quali assieme, e in base a ciò
indovinasse con la più grande abilità quello che stava per arrivare, ti
sembra che egli ne proverebbe desiderio e invidierebbe chi tra loro fosse
onorato e potente, o si troverebbe nella condizione descritta da Omero e
vorrebbe ardentemente "lavorare a salario per un altro, pur senza
risorse" e patire qualsiasi sofferenza piuttosto che fissarsi in
quelle congetture e vivere in quel modo?» «Io penso», rispose, «che
accetterebbe di patire ogni genere di sofferenze piuttosto che vivere in
quel modo». /.../ «E se dovesse di nuovo valutare quelle ombre e
gareggiare con i compagni rimasti sempre prigionieri prima che i suoi
occhi, ancora deboli, si ristabiliscano, e gli occorresse non poco tempo
per riacquistare l'abitudine, non farebbe ridere e non si direbbe di lui
che torna dalla sua ascesa con gli occhi rovinati e che non vale neanche
la pena di provare a salire? E non ucciderebbero chi tentasse di liberarli
e di condurli su, se mai potessero averlo tra le mani e ucciderlo?» «Certo!»,
esclamò. 19)
Problema in Platone: Nel Fedro tutte le anime vedono le Idee: c'è una
oggettività basata su una esperienza comune originaria. Poi, con la
“caduta”, l'individuo è sviato soggettivamente ... Nella Repubblica
si descrive come si crea una nuova e sviata intersoggettività attraverso
il confronto degli sviamenti soggettivi. Allora la verità viene basata
sull'individuo fortunato, e non più sul gruppo... se la verità è
oggettività essa è individuale e non interpersonale... Direi che la
soluzione di questa problematica diversità
tra i due Dialoghi, sia questa: l'individuo “fortunato” rifiuta
la intersoggettività sviata ma non in base a una verità individuale, ma
grazie alla verità interpersonale Non-Sviata.. in altre parole: chi è
l'individuo “fortunato”? Non colui che trae da dentro di sé dei
“tesori” a parte un solo “tesoro”, quello di sapere trarre dalle
altre (o almeno da alcune altre) persone i loro “tesori”... è
colui che rimane in contatto con le parti veritative delle altre persone e
le promuove alla stessa prospettiva di vita! 20)
Esempio di una idea o verità, quella di Mazzini (Italia una,
indipendente, etc.) e la sua presenza nella mente interpersonale a vari
livelli: quelle idee da tempo sono state realizzate e dunque influenzano
almeno nella pratica le nostre vite di Italiani, MA sono anche date per
scontate e non vengono più capite col senso che gli dava lui... Infatti
ciascuna generazione deve “riappropriasi” (che le
Tradizioni siano tramandate da una generazione all'altra non è per
nulla un fatto “automatico”)... Come diceva De Saussure, cambiando
diacronicamente un elemento del sistema poi il sistema deve
riorganizzarsi... ma come si riorganizzerà? Non
sempre in maniera veritativa (e questa è la mia critica a
Alessandro di Afrodisia...l'Intelletto Umano non è Dio!...e anche ad
Averroè: non c'è per forza la progressiva attuazione dell'Intelletto
Potenziale della Umanità)... allora il “documento esterno” (i testi
di Mazzini ) può diventare eloquente solo se ripesca il
“documento interno” … De Saussure: Ogni singolo stato del linguaggio è del tutto fortuito, e
questa è una prova che il linguaggio non è un meccanismo creato allo
scopo di comunicare dei concetti già formati. Non c'è nulla di più
importante dal punto di vista filosofico. [è la comunicazione interpersonale in cui
l'individuo fa un élan
vital per collegarsi alle altre “menti” e così si forma la Mente
Interpersonale di cui l'individuo è un “terminale”. Questa frase
inoltre distingue l'Intelletto Umano da Dio, diversamente che in
Alessandro di Afrodisia, perchè dice che il cambiamento è
“fortuito”, cioè NON è voluto e progettato dalla Comunità
Linguistica (dalla Umanità)] De Saussure: “ogni mutamento (mossa)
è assolutamente distinto sia dal precedente sia dal successivo
stato di equilibrio. Il cambiamento non appartiene a nessuno degli stati.
Nel gioco ciascuna posizione di un pezzo ha la caratteristica di essere
libera dalle posizioni antecedenti : il percorso usato per arrivarci non
fa alcuna differenza: chi ha seguito l'intera partita non ha nessun
vantaggio rispetto al curioso che dà uno sguardo dopo ore dall'inizio:
per descrivere la situazione è irrilevante sapere cosa sia successo 10
secondi prima”. [come se si
giustificasse così il classico problema di Etica: come fare
la valutazione del bene e del male per es. nella società
antico-romana del primo secolo dopo Cristo con Nerone, Giochi Gladiatori,
etc ? E con De Saussure si rispondesse che in ogni singolo sistema la
valutazione è relativa solo a quel sistema stesso.... e questo è il bene
o male che interessano l'Individuo... mentre la storia o diacronia dei
sistemi riguarda il bene e male della Umanità e i piani di Dio] De Saussure : “in un solo
punto la analogia non tiene: negli scacchi la mossa è fatta
intenzionalmente, nel linguaggio il cambiamento di un elemento non lo è”.
[cioè il cambiamento
diacronico non è un piano della Umanità ma lo è di Dio.... e questo sia
detto contro Hegel, il suo immanentismo dello Spirito
e qualunque costruttore di Filosofie della Storia] Mazzini: due testimonianze invincibili a favore della libertà: il Rimorso
e il Martirio. Voi siete liberi e quindi responsabili.
Da questa libertà morale scende il vostro diritto alla libertà
politica, il vostro dovere di conquistarvela e mantenerla inviolata, il
dovere altrui di non menomarla /.../ Educazione! Educazione morale ed
intellettuale, che abbracci e fecondi tutte le facoltà che Dio vi dava
siccome deposito da far fruttare, e che istituisca e mantenga un legame
tra la vostra vita individuale e quella dell'Umanità collettiva. Alcuni
altri spunti 21)
se rivedo le “motivazioni
di questo corso” nella Introduzione,
penso che quasi tutte esse - dallo sviluppo del Corso - possano essere
state “servite”... cioè abbiano potuto dare ispirazioni di pensiero
ai Corsisti per progredire nelle
varie situazioni problematiche della vita allora indicate...
( e che invito a rileggere nella prima dispensa) 22)
più in specifico – anche
se se solo rapsodicamente – elencherei alcune tra le idee proposte
durante il Corso: 1) la comunicazione umana non è frutto di un
Genio Talentuoso ma è frutto di un “democratico” sforzo (vitale,
necessario) di tutte le persone per conoscere sé stesse e il
mondo; 2) la comunicazione non è solo interpersonale ma è anche
intrapersonale: il dottor De Masi mi diceva: “dopo la fine dell'analisi
deve riferirsi e parlare a sé stesso”...
3) la ricerca interna delle origini etero-personali ed
inter-personali dei propri pensieri intra-personali.... 4)
l'incoraggiamento nel pensare i propri pensieri immessi e conservati come
esseri viventi nel Mondo Tre.... 5) come dire che
l'intelletto e dunque la noosfera sono forma del corpo? Esso è in noi
(Tommaso) ma viene dal di fuori (Aristotele, Averroè) … e come plasma i
nostri organi? Non direttamente ma attraverso le altre parti della anima,
cioè quelle sensitiva
e vegetativa... esempio degli effetti psicosomatici e della dieta prodotti
dai rapporti interpersonali vicini (famiglia, amici) e lontani (la società
con le sue varie ideologie ed abitudini). 23)
Tre schemi concettuali:
i 4 livelli dei “doveri” interpersonali per Mazzini, e i 4 livelli di
McCabe della “organicità dei significati”... propongo di integrarli
secondo tre modelli: psiche, etica, trascendenza (vedi tavola) 24)
una distinzione:
due dipendenze mentali interpersonali: quella “intellettuale” e
quella “affettiva”. Esse rimandano
a due diversi aspetti della vita individuale nel suo bisogno delle altre
persone: la prima al bisogno di crescere nella comprensione della realtà;
la seconda al bisogno di ricevere e dare solidarietà nelle tristezze e
difficoltà della vita BIBLIOGRAFIA è stata già
- parte dopo parte - riportata nelle dispense relative ai vari
Autori e temi via via presentati durante il Corso APPENDICI APPENDICE
A
- NOOSFERA Noosfera wikipedia.it "sfera
del pensiero
umano" e deriva dall'unione della parola greca
νους ("nous"),
che significa mente,
e della parola sfera, in analogia con i termini "atmosfera"
e "biosfera". Nella
teoria originale di Vladimir
Vernadsky, la noosfera è la terza fase
dello sviluppo della Terra,
successiva alla geosfera
(materia inanimata) e alla biosfera
(vita biologica). Così come la nascita della vita ha trasformato in
maniera significativa la geosfera, così la nascita della conoscenza
ha trasformato radicalmente la biosfera. A differenza di quanto affermato
dai teorici dell'ipotesi
Gaia (elaborata nel 1979
da James
Lovelock e Lynn
Margulis) o dagli studiosi del cyberspazio,
la noosfera, secondo Vernadsky, emerge nel momento in cui l'umanità,
attraverso la capacità di realizzare reazioni nucleari, è in grado di
trasformare gli elementi chimici. Per
Pierre
Teilhard de Chardin, la noosfera è una
specie di “coscienza collettiva” degli esseri umani che scaturisce
dall'interazione fra le menti umane. La noosfera si è sviluppata con
l'organizzazione e l'interazione degli esseri umani a mano a mano che essi
hanno popolato la Terra. Più l'umanità si organizza in forma di reti
sociali complesse, più la noosfera
acquisisce consapevolezza. Questa è un'estensione della Legge
di complessità e coscienza di Teilhard,
legge che descrive la natura dell'evoluzione dell'universo. Pierre
Teilhard de Chardin sostenne, inoltre,
che la noosfera sta espandendosi verso una crescente integrazione e
unificazione che culminerà in quello che egli definisce Punto
Omega, che costituisce il fine della
storia. Noosphere www.noosphere.princeton.edu.com The Noosphere - literally,
“mind-sphere” or Earth’s mental sheathe - is a word and concept
jointly coined by Jules le Roi, French philosopher and
student of Henri Bergson, Jesuit paleontologist Pierre Teilhard de
Chardin, and Russian geochemist, Vladimir Vernadsky, in Paris,
1926. At the root of the primary definition of noosphere is a dual
perception: that life on Earth is a unity constituting a whole system
known as the biosphere; and that the mind or consciousness of life - the
Earth’s thinking layer - constitutes a unity that is discontinuous but
coextensive with the entire system of life on Earth, inclusive of its
inorganic support systems. A third critical premise arising from the first
two is that the noosphere defines the inevitable next stage of terrestrial
evolution, which will subsume and transform the biosphere. How this evolutionary shift might occur is at
the crux of the experiment, Noosphere II. Though little else is known concerning Jules le Roi, our ideas about
the noosphere and the transition from the biosphere to the noosphere are
largely derived from the perceptions of Teilhard de Chardin and Vernadsky,
along with the work of American Physicist, Oliver Reiser. We will
summarize these viewpoints below. Pierre Teilhard de Chardin foresaw the emergence of the noosphere at a peak mystical moment referred
to as the Omega Point. This moment would be the result of the interactions
of increasing activity of human networks creating a highly charged
“thinking layer.” Teilhard speaks of there being planets with
noosphere - planets in which the thinking layer advances to the stage
where it produces a noosphere, the mental sheathe “above and
discontinuous with the biosphere.” Thus Teilhard de Chardin wrote of a
“... network of links ... more and more literally present, in the
immensity of their organism, as the image of a nervous system...” This
nervous system would be the function of a “... geotechnology extending a
closely interdependent network of its enterprises over the whole earth
...” Since Teilhard de Chardin’s death in 1955
when his books could finally be published, most notably the Phenomenon
of Man (1959) and the Future of Man (1964), the advance of the
biosphere into a transitional stage, the technosphere, has seen the virtual
fulfillment of de Chardin’s prerequisite for the manifestation of the
noosphere, a global information network - a geotechnology - the Internet.
As the penultimate stage in the development of an actual freely
functioning thinking layer, the Internet is the means of electronically
linking up the noosphere prior to the mystical moment of the Omega Point -
“At that node of ultimate synthesis, the internal spark of consciousness
that evolution has slowly banked into a roaring fire will finally consume
the universe itself. Our ancient itch to flee this woeful orb will finally
be satisfied as the immense expanse of cosmic matter collapses like some
mathematician’s hypercube into absolute spirit.” Brian
Davies o.p. (amico ed esecutore letterario di Herbert McCabe) “Chardin was
a famous Jesuit. Another famous Jesuit was Karl Rahner, a
twentieth-century theologian. Karl Rahner, I believe, was on one occasion
asked what he thought of Teilhard de Chardin. He said, “Ah, de Chardin,
that’s the man whom all the theologians think is a scientist and all the
scientists think is a theologian.” I suspect that might partly answer
the question as to why Chardin is not so much read these days.” Pierre
Teilhard de Chardin Encyclopedia Britannica
, 1997
(b. May 1, 1881, Sarcenat, Fr.--d. April
10, 1955, New York City), French philosopher and paleontologist known for
his theory that man is evolving, mentally and socially, toward a final
spiritual unity. Blending science and Christianity, he declared that the
human epic resembles "nothing so much as a way of the Cross."
Various of his theories brought reservations and objections from within
the Roman Catholic Church and from the Jesuit order, of which he was a
member. In 1962, the Holy Office issued a monitum, or simple warning,
against uncritical acceptance of his ideas. His spiritual dedication,
however, was not questioned. Son of
a gentleman farmer with an interest in geology, Teilhard devoted himself
to that subject, as well as to his prescribed studies, at the Jesuit
College of Mongré, where he began boarding at the age of 10. When he was
18, he joined the Jesuit novitiate at Aix-en-Provence. At 24 he began a
three-year professorship at the Jesuit college in Cairo. Although
ordained a priest in 1911, Teilhard chose to be a stretcher bearer rather
than a chaplain in World War I; his courage on the battle lines earned him
a military medal and the Legion of Honour. In 1923, after teaching at the
Catholic Institute of Paris, he made the first of his paleontological and
geologic missions to China, where he was involved in the discovery (1929)
of Peking man's skull. Further travels in the 1930s took him to the Gobi (desert),
Sinkiang, Kashmir, Java, and Burma (Myanmar). Teilhard enlarged the field
of knowledge on Asia's sedimentary deposits and stratigraphic correlations
and on the dates of its fossils. He spent the years 1939-45 at Peking in a
state of near-captivity on account of World War II. Most
of Teilhard's writings were scientific, being especially concerned with
mammalian paleontology. His philosophical books were the product of long
meditation. Teilhard wrote his two major works in this area, Le Milieu
divin (1957; The Divine Milieu) and Le Phénomène humain (1955;
The Phenomenon of Man), in the 1920s and '30s, but their
publication was forbidden by the Jesuit order during his lifetime. Among
his other writings are collections of philosophical essays, such as L'Apparition
de l'homme (1956; The Appearance of Man), La Vision du passé (1957; The
Vision of the Past), and Science et Christ (1965; Science and Christ). Teilhard
returned to France in 1946. Frustrated in his desire to teach at the Collège
de France and publish philosophy (all his major works were published
posthumously), he moved to the United States, spending the last years of
his life at the Wenner-Gren Foundation, New York City, for which he made
two paleontological and archaeological expeditions to South Africa. Teilhard's
attempts to combine Christian thought with modern science and traditional
philosophy aroused widespread interest and controversy when his writings
were published in the 1950s. Teilhard aimed at a metaphysic of
evolution, holding that it was a process converging toward a final
unity that he called the Omega point. He attempted to show that what is of
permanent value in traditional philosophical thought can be maintained and
even integrated with a modern scientific outlook if one accepts that the
tendencies of material things are directed, either wholly or in part,
beyond the things themselves toward the production of higher, more complex,
more perfectly unified beings. Teilhard regarded basic trends in
matter--gravitation, inertia, electromagnetism, and so on--as being
ordered toward the production of progressively more complex types of
aggregate. This process led to the increasingly complex entities of atoms,
molecules, cells, and organisms, until finally the human body evolved,
with a nervous system sufficiently sophisticated to permit rational
reflection, self-awareness, and moral responsibility. While
some evolutionists regard man simply as a prolongation of the Pliocene
fauna--an animal more successful than the rat or the elephant--Teilhard
argued that the appearance of man brought an added dimension into the
world. This he defines as the birth of reflection: animals know, but man
knows that he knows; he has "knowledge to the square." Another
great advance in Teilhard's scheme of evolution is the
socialization of mankind. This is not the triumph of herd instinct
but a cultural convergence of humanity toward a single society. Evolution
has gone about as far as it can to perfect human beings physically: its
next step will be social. Teilhard saw such evolution already in progress;
through technology, urbanization, and modern communications, more and more
links are being established between different peoples' politics, economics,
and habits of thought in an apparently geometric progression. Theologically,
Teilhard saw the process of organic evolution as a sequence of progressive
syntheses whose ultimate convergence point is that of God. When humanity
and the material world have reached their final state of evolution and
exhausted all potential for further development, a new convergence between
them and the supernatural order would be initiated by the Parousia, or
Second Coming of Christ. Teilhard asserted that the work of Christ
is primarily to lead the material world to this cosmic redemption, while
the conquest of evil is only secondary to his purpose. Evil is represented
by Teilhard merely as growing pains within the cosmic process: the
disorder that is implied by order in process of realization.
Teilhard de Chardin and the
Noosphere
by Rev. Phillip J. Cunningham,
C.S.P. In 1964, while attempting to adjust my thinking to
the many changes following the Second Vatican Council, I first encountered
the writings of the French geologist/paleontologist, Pere Pierre Teilhard
de Chardin. Though he had died nine years earlier, it was only after the
Council that his works began appearing in the United States. That
circumstance necessitates some biographical information. Pere Teilhard was born in 1881 to a pious, provincial
French family. He chose early on to join the Society of Jesus (Jesuits)
and in the course of his studies pursued geology and later paleontology.
It was his intention to begin a career of teaching and research in the
these fields. He was well on his way to doing so when he was conscripted
for military service during the First World War. As a stretcher bearer during the ghastliest battles
of that conflict, Teilhard's personal faith was severely challenged. I
believe it was his effort to understand this human tragedy (thousands of
men killed and maimed in minutes to no purpose) that lead Teilhard to
begin developing a vision that combined both his religion and his science.
After the war, Teilhard returned to the pursuit of
his career as both teacher and researcher. His career took a fortuitous
turn when he was invited in 1923 to join an expedition in China. In the
following twelve years he was to be part of nine more such exploratory
treks. Much of his growing reputation rested on these missions. This was
particularly true of his association with the discovery of fossil remains
of Sinanthropus or Peking man in 1929. Sadly, on another front, Teilhard faced the crisis of
his life. He had continued to explore the lines of thought that had begun
with his "Cosmic Life." Perhaps inevitably, his observations
came to the attention of Church authorities. The reaction to some of
Teilhard's ideas was ultimately severe. He was deprived of his teaching
position and admonished not to publish his observations on religion and
science. He observed that restriction until his death in 1955. It was only
afterward that collections of his essays were published as well as his
central work, The Phenomenon of Man. In 1925, Teilhard wrote in an essay entitled Hominization: "And this
amounts to imagining, in one way or another, above the animal biosphere a “human
sphere, a sphere of reflection, of conscious invention, of conscious souls
(the noosphere, if you will)" (1966, p. 63). It was a neologism employing the Greek word noos
for "mind." The same question rises which confronted us in discussing biogenesis:Does
noogenesis have a direction? In The
Phenomenon of Man, Teilhard posits: "In truth, a neo-humanity
has been germinating round the Mediterranean for the last six thousand
years" (1961, p. 212) He thought that a "new layer of the
noosphere" would soon be formed. "The proof of this lies in the
fact that from one end of the world to the other, all peoples, to remain
human or to become more so, are inexorably led to formulate the hopes and
problems of the modern earth in the very same terms in which the West has
formulated them." Teilhard was convinced that the shape of the
noosphere's future would be determined by those developments he saw taking
place in the Europe and the U.S. The Emergence of the Noosphere
Teilhard was convinced that geogenesis moved in the
direction of an ever increasing conscious that brought about a biogenesis
that evolved in the same direction. The process then led to the advent of
though/reflection. However, the process did not cease there. "Man
discovers that he is nothing else than evolution become conscious of
itself. The consciousness of each of us is evolution looking at itself and
reflecting upon itself." (p. 221) The direction then was toward such
a growth in consciousness. Teilhard was hardly alone in that dream of human
unity and its chief benefit, peace. He was also aware of the formidable
barriers that lay in the path of its achievement. Indeed, the very
awareness of the challenges plays its own role in noogenesis. "I can
now add that what disconcerts the modern world at its very roots is not
being sure, and not seeing how it ever could be sure, that there is an
outcome-a suitable outcome-to that evolution." (p. 229) It was Teilhard's conviction that should humanity
lose hope for the future, the hope of transcending the barriers to human
unity and peace, noogenesis would cease. "Between these two
alternatives of absolute optimism or absolute pessimism, there is no
middle way because by its very nature progress is all or nothing."
(p. 232) Yet, does not evolution itself offer hope. It has gone from
geogenesis to biogenesis and has entered up noogenesis. Will it now be
frustrated at this stage and fail to evolve further into the future?
Teilhard clings to hope, "there is for us, in the future, under some
form or another, a least collective, not only survival but also
super-life." (p. 234) I Towards Omega
There we continue Teilhard's treatment of noogenesis:
"We are faced with a harmonized collectivity of consciousnesses to a
sort of superconciousness. The earth not only becoming covered by myriads
of grains of thought, but becoming enclosed in a single thinking envelope,
a single unanimous reflection." (1961, pp. 251-2) Yet such a
unanimity of consciousness implies a condition that humans generally
reject, depersonalization. Indeed, the conclusion seems inevitable:
"So that at the world's Omega, as at its Alpha, lies the Impersonal."
(p. 258) At this point, "Omega," the last letter in the Greek
alphabet, simply refers to the final stage of evolution. At the end the
noosphere become an "all" that absorbs all. APPENDICE B – INTERNET Internet:
la
maggioranza delle persone del Mondo occidentale oggi la usa. Fino ad ora
l'enorme numero degli utenti, le tecnologie esistenti e le decisioni
politiche dei paesi occidentali liberali in cui essa è nata e soprattutto
diffusa, hanno fatto sì che Internet sia A) libera da controlli di
“autorità” e B) non gerarchica nelle possibilità per un
qualsiasi utente di accedere alle informazioni e di farsi strada nel
proporsi con le proprie idee agli altri utenti. Demitizzazione:
la apertura a 360 gradi di immissione dei dati (gratuita, immediata,
planetaria) permette la “demitizzazione” (cioè la discriminazione
tra aspettative soggettive e risposte empiriche) di : 1)
cosa (cultura, politica, etc) interessa effettivamente alle persone da
dare a te e agli altri; 2)
cosa interessa effettivamente alle persone di ciò che tu hai da dare
loro, o almeno cosa esse
pensano che gli interessi. FaceBook:
con questo e altri “social network”è possibile per una persona: 1)
avere in atto una costante comunicazione di informazioni fattuali,
esposizioni teoriche, espressioni emotive, valutazioni morali e politiche
a e da un tot numero definito di “amici” suoi; 2)
avere in potenza tale comunicazione verso un tot numero indefinito di
altre persone “amici” dei “propri “amici”; 3)
acquisire nuovi “amici” sia per propria ricerca sia per ricerca
di persone interessate al tuo “profilo” personale; 4)
esser
stabilmente in comunicazione con “gruppi” di interesse tematico; 5)
tale comunicazione, in primis verbale, è però anche multimediale
attraverso la condivisione di file grafici, audio e video; 6)
tale comunicazione in primis riguardante temi del “privato” delle
persone, però facilmente diventa anche comunicazione su temi
“pubblici” e sostituzione dei media di “informazione e di
stampa”; 7)
tale comunicazione è sempre paritetica ed aperta nei due sensi : da me
agli altri e dagli altri e me; 8)
essa
è sempre protetta dalla privacy (seleziono io i miei amici, le esclusioni
delle categorie di amici a cui indirizzare i post miei, la cancellazione
dei post miei o altrui); 9)
essendo costantemente aperta e in tempo reale e duratura, essa
permette la demitizzazione di molte fantasie ed aspettative verso
le persone della propria vita passata ed in genere verso quelle che non si
ha occasione – date le circostanze – di frequentare nel presente: di
solito -anche se non sempre - appare chiaro perchè il Passato sia
… passato ! “Peer
to peer” in the Internet: this aspect refers to the fact that people
functioning in a tertiary culture consider each other as fundamentally
equal, competent and capable to participate to the integration process,
and, in fact, as indispensable for this process, that outreaches
individual possibilities. It also advocates free access and use of the
intellectual insights and productions ("open sources"). Hierarchy
in the Internet:
Internet has replaced both
the earlier hierarchical mainframe form, but also the client-server form,
which posited a central server with associated dependent computers,
associated in a network. Instead, in a peer to peer network, intelligence
is distributed everywhere. Every node is capable of receiving and sending
data. The original file
sharing systems, such as Napster, AudioGalaxy, and Kazaa, still used
central servers or directories which could be tracked down and identified,
and thus attacked in court, as indeed happened, thereby destroying these
systems one by one. But today, the new wave of P2P systems avoid such
central servers altogether. The most popular current system, an expression
of the free software community, has tenths of millions users, and as they
are indeed distributed and untraceable, have been immune to legal
challenge. Proposta di ricerca: data la limitatezza delle mie risorse di
tempo ed energie, chiedo ai Corsisti volenterosi di fare una qualche ricerca storica, tecnica, sociologica sul
fenomeno di Internet... selezionando saggi/studi – stampati o presenti su internet stessa – seri ed
illuminanti ed originali... aggiungendo magari le proprie riflessioni e
valutazioni, e poi di condividere tale
ricerca con me e gli altri Corsisti... Domanda ai corsisti: dopo una opportuna attività di memoria e di
riflessione, provate a rispondere a questa domanda: “cosa ha cambiato
Internet (con tutte le sue possibili applicazioni epistolari, ludiche,
commerciali, pratiche, informative, conoscitive) di importante nella
vostra vita ?”. APPENDICE
C
– CITAZIONI “Prima
che noi come individui fossimo consapevoli della nostra esistenza,
siamo stati profondamente influenzati per un tempo considerevole
(anche da prima della nostra nascita)
dalle nostre relazioni con altri individui che hanno storie
complicate e che sono membri
di una società che ha una storia enormemente più complicata e lunga
della loro. E dal momento in
cui siamo stati capaci di fare scelte consapevoli noi stavamo già usando
un linguaggio che si era sviluppato attraverso le vite di una innumerevole
serie di generazioni di esseri umani prima di noi.
Noi siamo creature sociali nel nucleo più intimo del nostro
essere. ”
Bryan Magee, Intervista a Popper
(1973) “Quando
gli parve d'essersi allontanato abbastanza, rallentò il passo, per non
dar sospetto; e cominciò a guardare in qua e in là, per isceglier la
persona a cui far la sua domanda, una faccia che ispirasse confidenza. Ma
anche qui c'era dell'imbroglio. La domanda per sé era sospetta; il tempo
stringeva; i birri, appena liberati da quel piccolo intoppo, dovevan senza
dubbio essersi rimessi in traccia del loro fuggitivo; la voce di quella
fuga poteva essere arrivata fin là; e in tali strette, Renzo dovette fare
forse dieci giudizi fisionomici, prima di trovar la figura che gli paresse
a proposito. Quel grassotto, che stava ritto sulla soglia della sua
bottega, a gambe larghe, con le mani di dietro, con la pancia in fuori,
col mento in aria, dal quale pendeva una gran pappagorgia, e che, non
avendo altro che fare, andava alternativamente sollevando sulla punta de'
piedi la sua massa tremolante, e lasciandola ricadere sui calcagni, aveva
un viso di cicalone curioso, che, in vece di dar delle risposte, avrebbe
fatto delle interrogazioni. Quell'altro che veniva innanzi, con gli occhi
fissi, e col labbro in fuori, non che insegnar presto e bene la strada a
un altro, appena pareva conoscer la sua. Quel ragazzotto, che, a dire il
vero, mostrava d'esser molto sveglio, mostrava però d'essere anche più
malizioso; e probabilmente avrebbe avuto un gusto matto a far andare un
povero contadino dalla parte opposta a quella che desiderava. Tant'è vero
che all'uomo impicciato, quasi ogni cosa è un nuovo impiccio! Visto
finalmente uno che veniva in fretta, pensò che questo, avendo
probabilmente qualche affare pressante, gli risponderebbe subito,
senz'altre chiacchiere; e sentendolo parlar da sé, giudicò che
dovesse essere un uomo sincero. Gli s'accostò, e disse: - di
grazia, quel signore, da che parte si va per andare a Bergamo?
- Per andare a Bergamo? Da porta
orientale.
- Grazie tante; e per andare a porta
orientale?
- Prendete questa strada a mancina; vi
troverete sulla piazza del duomo; poi...
- Basta, signore; il resto lo so. Dio
gliene renda merito -. E diviato s'incamminò dalla parte che gli era
stata indicata. L'altro gli guardò
dietro un momento, e, accozzando nel suo pensiero quella maniera di
camminare con la domanda, disse tra sé: "o n'ha fatta una, o
qualcheduno la vuol fare a lui ".
Alessandro Manzoni, I promessi sposi,
capitolo XVI “Di
quell'odio ne toccava una parte anche agli altri medici che, convinti come
loro, della realtà del contagio, suggerivano precauzioni, cercavano di
comunicare a tutti la loro dolorosa certezza. I più discreti li
tacciavano di credulità e d'ostinazione: per tutti gli altri, era
manifesta impostura, cabala ordita per far bottega sul pubblico spavento. Il protofisico
Lodovico Settala, allora poco men che ottuagenario, stato professore
di medicina all'università di Pavia, poi di filosofia morale a Milano,
autore di molte opere riputatissime allora, chiaro per inviti a cattedre
d'altre università, Ingolstadt, Pisa, Bologna, Padova, e per il rifiuto
di tutti questi inviti, era certamente uno degli uomini più autorevoli
del suo tempo. Alla riputazione della scienza s'aggiungeva quella della
vita, e all'ammirazione la benevolenza, per la sua gran carità nel curare
e nel beneficare i poveri. E, una cosa che in noi turba e contrista il
sentimento di stima ispirato da questi meriti, ma che allora doveva
renderlo più generale e più forte, il pover'uomo partecipava de'
pregiudizi più comuni e più funesti de' suoi contemporanei: era più
avanti di loro, ma senza allontanarsi dalla schiera, che è quello che
attira i guai, e fa molte volte perdere l'autorità acquistata in altre
maniere. Eppure quella grandissima che godeva, non solo non bastò a
vincere, in questo caso, l'opinion di quello che i poeti chiamavan volgo
profano, e i capocomici, rispettabile pubblico; ma non poté salvarlo
dall'animosità e dagl'insulti di quella parte di esso che corre più
facilmente da' giudizi alle dimostrazioni e ai fatti. Un
giorno che andava in bussola a visitare i suoi ammalati, principiò a
radunarglisi intorno gente, gridando esser lui il capo di coloro che
volevano per forza che ci fosse la peste; lui che metteva in ispavento la
città, con quel suo cipiglio, con quella sua barbaccia: tutto per dar da
fare ai medici. La folla e il furore andavan crescendo: i portantini,
vedendo la mala parata, ricoverarono il padrone in una casa d'amici, che
per sorte era vicina. Questo gli toccò per aver veduto chiaro,
detto ciò che era, e voluto salvar dalla peste molte migliaia di persone:
quando, con un suo deplorabile consulto, cooperò a far torturare,
tanagliare e bruciare, come strega, una povera infelice sventurata, perché
il suo padrone pativa dolori strani di stomaco, e un altro padrone di
prima era stato fortemente innamorato di lei (Storia di Milano del Conte
Pietro Verri; Milano, 1825, Tom. 4, pag. 155.), allora ne avrà avuta
presso il pubblico nuova lode di sapiente e, ciò che è intollerabile a
pensare, nuovo titolo di benemerito.” Alessandro
Manzoni, I promessi sposi, capitolo XXXI “Del
pari con la perversità, crebbe la pazzia: tutti gli errori già dominanti
più o meno, presero dallo sbalordimento, e dall'agitazione delle menti,
una forza straordinaria, produssero effetti più rapidi e più vasti. E
tutti servirono a rinforzare e a ingrandire quella paura speciale
dell'unzioni, la quale, ne' suoi effetti, ne' suoi sfoghi, era spesso,
come abbiam veduto, un'altra perversità. L'immagine di quel supposto
pericolo assediava e martirizzava gli animi, molto più che il pericolo
reale e presente. " E mentre, - dice il Ripamonti, - i
cadaveri sparsi, o i mucchi di cadaveri, sempre davanti agli occhi, sempre
tra' piedi, facevano della città tutta come un solo mortorio, c'era
qualcosa di più brutto, di più funesto, in quell'accanimento
vicendevole, in quella sfrenatezza e mostruosità di sospetti... Non del
vicino soltanto si prendeva ombra, dell'amico, dell'ospite; ma que' nomi,
que' vincoli dell'umana carità, marito e moglie, padre e figlio, fratello
e fratello, eran di terrore: e, cosa orribile e indegna a dirsi! la mensa
domestica, il letto nuziale, si temevano, come agguati, come nascondigli
di venefizio ". La
vastità immaginata, la stranezza della trama turbavan tutti i giudizi,
alteravan tutte le ragioni della fiducia reciproca. Da principio, si
credeva soltanto che quei supposti untori fosser mossi dall'ambizione e
dalla cupidigia; andando avanti, si sognò, si credette che ci fosse una
non so quale voluttà diabolica in quell'ungere, un'attrattiva che
dominasse le volontà. I vaneggiamenti degl'infermi che accusavan se
stessi di ciò che avevan temuto dagli altri, parevano rivelazioni, e
rendevano ogni cosa, per dir così, credibile d'ognuno. E più delle
parole, dovevan far colpo le dimostrazioni, se accadeva che appestati in
delirio andasser facendo di quegli atti che s'erano figurati che dovessero
fare gli untori: cosa insieme molto probabile, e atta a dar miglior
ragione della persuasion generale e dell'affermazioni di molti scrittori.
Così, nel lungo e tristo periodo de' processi per stregoneria, le
confessioni, non sempre estorte, degl'imputati, non serviron poco a
promovere e a mantener l'opinione che regnava intorno ad essa: ché,
quando un'opinione regna per lungo tempo, e in una buona parte del mondo,
finisce a esprimersi in tutte le maniere, a tentar tutte l'uscite, a
scorrer per tutti i gradi della persuasione; ed è difficile che tutti o
moltissimi credano a lungo che una cosa strana si faccia, senza che venga
alcuno il quale creda di farla.”
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, capitolo XXXII “Ma
l'uscite, i ripieghi, le vendette, per dir così, della caparbietà
convinta, sono alle volte tali da far desiderare che fosse rimasta ferma e
invitta, fino all'ultimo, contro la ragione e l'evidenza: e questa fu bene
una di quelle volte. Coloro i quali avevano impugnato così risolutamente,
e così a lungo, che ci fosse vicino a loro, tra loro, un germe di male,
che poteva, per mezzi naturali, propagarsi e fare una strage; non potendo
ormai negare il propagamento di esso, e non volendo attribuirlo a que'
mezzi (che sarebbe stato confessare a un tempo un grand'inganno e una gran
colpa), erano tanto più disposti a trovarci qualche altra causa, a menar
buona qualunque ne venisse messa in campo. Per disgrazia, ce n'era una in
pronto nelle idee e nelle tradizioni comuni allora, non qui soltanto, ma
in ogni parte d'Europa: arti venefiche, operazioni diaboliche, gente
congiurata a sparger la peste, per mezzo di veleni contagiosi, di malìe.
Già cose tali, o somiglianti, erano state supposte e credute in molte
altre pestilenze, e qui segnatamente, in quella di mezzo secolo innanzi.
/.../ In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto:
proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l'idea
s'ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste, vale a dire
peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale
non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza
contrasto: ma già ci s'è attaccata un'altra idea, l'idea del venefizio e
del malefizio, la quale altera e confonde l'idea espressa dalla parola che
non si può più mandare indietro. Non
è, credo, necessario d'esser molto versato nella storia dell'idee e delle
parole, per vedere che molte hanno fatto un simil corso. Per grazia del
cielo, che non sono molte quelle d'una tal sorte, e d'una tale importanza,
e che conquistino la loro evidenza a un tal prezzo, e alle quali si
possano attaccare accessòri d'un tal genere. Si potrebbe però, tanto
nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso
così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo,
d'osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare. Ma
parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte
quell'altre insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un
po' da compatire.”
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, capitolo XXXI “Da' trovati del volgo, la gente
istruita prendeva ciò che si poteva accomodar con le sue idee; da'
trovati della gente istruita, il volgo prendeva ciò che ne poteva
intendere, e come lo poteva; e di tutto si formava una massa enorme e
confusa di pubblica follia.
Ma ciò che reca maggior maraviglia, è il
vedere i medici, dico i medici che fin da principio avevan creduta la
peste, dico in ispecie il Tadino, il quale l'aveva pronosticata, vista
entrare, tenuta d'occhio, per dir così, nel suo progresso, il quale aveva
detto e predicato che l'era peste, e s'attaccava col contatto, che non
mettendovi riparo, ne sarebbe infettato tutto il paese, vederlo poi, da
questi effetti medesimi cavare argomento certo dell'unzioni venefiche e
malefiche; lui che in quel Carlo Colonna, il secondo
che morì di peste in Milano, aveva notato il delirio come un accidente
della malattia, vederlo poi addurre in prova dell'unzioni e della congiura
diabolica, un fatto di questa sorte: che due testimoni deponevano d'aver
sentito raccontare da un loro amico infermo, come, una notte, gli eran
venute persone in camera, a esibirgli la guarigione e danari, se avesse
voluto unger le case del contorno; e come al suo rifiuto quelli se n'erano
andati, e in loro vece, era rimasto un lupo sotto il letto, e tre gattoni
sopra, " che sino al far del giorno vi dimororno " (Pag. 123,
124.). Se fosse stato uno solo che connettesse così, si dovrebbe
dire che aveva una testa curiosa; o piuttosto non ci sarebbe ragion di
parlarne; ma siccome eran molti, anzi quasi tutti, così è storia dello
spirito umano, e dà occasion d'osservare quanto una serie ordinata e
ragionevole d'idee possa essere scompigliata da un'altra serie d'idee, che
ci si getti a traverso. Del resto, quel Tadino era qui uno degli
uomini più riputati del suo tempo. Due
illustri e benemeriti scrittori hanno affermato che il cardinal Federigo
dubitasse del fatto dell'unzioni (Muratori; Del governo della peste,
Modena, 1714, pag. 117. - P. Verri; opuscolo citato, pag. 261.). Noi
vorremmo poter dare a quell'inclita e amabile memoria una lode ancor più
intera, e rappresentare il buon prelato, in questo, come in tant'altre
cose, superiore alla più parte de' suoi contemporanei, ma siamo in
vece costretti di notar di nuovo in lui un esempio della forza
d'un'opinione comune anche sulle menti più nobili. S'è visto,
almeno da quel che ne dice il Ripamonti, come da principio, veramente
stesse in dubbio: ritenne poi sempre che in quell'opinione avesse gran
parte la credulità, l'ignoranza, la paura, il desiderio di scusarsi
d'aver così tardi riconosciuto il contagio, e pensato a mettervi riparo;
che molto ci fosse d'esagerato, ma insieme, che qualche cosa ci fosse di
vero. Nella biblioteca ambrosiana si conserva un'operetta scritta di sua
mano intorno a quella peste; e questo sentimento c'è accennato spesso,
anzi una volta enunciato espressamente. " Era opinion comune, - dice
a un di presso, - che di questi unguenti se ne componesse in vari luoghi,
e che molte fossero l'arti di metterlo in opera: delle quali alcune ci
paion vere, altre inventate " (Ecco le sue parole: Unguenta uero haec
aiebant componi conficique multifariam, fraudisque uias fuisse complures;
quarum sane fraudum, et artium aliis quidem assentimur, alias uero fictas
fuisse comentitiasque arbitramur. De pestilentia quae Mediolani anno 1630
magnam stragem edidit. Cap. V.). Ci
furon però di quelli che pensarono fino alla fine, e fin che vissero, che
tutto fosse immaginazione: e lo sappiamo, non da loro, ché nessuno fu
abbastanza ardito per esporre al pubblico un sentimento così opposto a
quello del pubblico; lo sappiamo dagli scrittori che lo deridono o lo
riprendono o lo ribattono, come un pregiudizio d'alcuni, un errore che non
s'attentava di venire a disputa palese, ma che pur viveva; lo sappiamo
anche da chi ne aveva notizia per tradizione. " Ho trovato gente
savia in Milano, - dice il buon Muratori, nel luogo sopraccitato, - che
aveva buone relazioni dai loro maggiori, e non era molto persuasa che
fosse vero il fatto di quegli unti velenosi ". Si vede ch'era uno
sfogo segreto della verità, una confidenza domestica: il buon senso
c'era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune.” Alessandro
Manzoni, I promessi sposi, capitolo XXXII APPENDICE
D
– Schemi
di Livelli
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Franco Manni indice degli scritti
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Maurilio Lovatti main list of online papers
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