Franco Manni
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Il
tema dell'amicizia sembra essere rilevante nel mondo creativo tolkieniano.
Una prova esterna è il desiderio di comunità che si sperimenta nelle
riunioni di appassionati di Tolkien, come ha fatto una volta notare Paul
Bibire (1). Ma una dimostrazione convincente deve scaturire da prove
interne, che qui ora provo a dare. Turin versus Frodo"Ma nell'orgoglio del suo cuore Turin
rifiutò il
perdono del Re, né valsero le parole di Beleg a
fargli cambiare parere." dal Silmarillion "E' vero che desidero
tornare nella Contea - disse Frodo - Ma prima mi devo recare a Gran Burrone. Perché,
se è possibile sentire la mancanza di qualcosa
in questi giorni pieni di ogni benedizione, io ho
sentito la mancanza di Bilbo." dal Signore
degli Anelli Tom
Shippey (filologo, successore di Tolkien all'università di Leeds) ha notato
come nel Silmarillion, diversamente che nel Signore
degli Anelli
(SdA),
i personaggi sono "fixed, static, even diagramatic", guidati nelle
loro azioni non tanto dalle esperienze individuali quanto - come nella
tradizione nordica - da un destino di stirpe: "people are their
heredity". (2) Inoltre, il Silmarillion
è un
"romance", mentre L'Hobbit e il SdA
sono "novels", e solo nel "novel" l'Autore, mantenendo
l'onniscienza, può spiegare cosa sta realmente accadendo, al di là delle
limitate percezioni del personaggio. Così che l'Autore può descrivere la
complessità del cuore di un personaggio - con i suoi conflitti e le
dubbiose potenzialità delle sue scelte - meglio di quanto lo possano le
azioni, le parole e i pensieri di questi. (3) Questo
fenomeno letterario, secondo me, può essere visto anche nel particolare
tema dell'amicizia. Confrontiamo un personaggio del Silmarillion,
Turin, e uno del SdA,
Frodo. Per Turin l'"heredity" sono i caratteri dei suoi genitori
e, al di là di essi, delle rispettive loro stirpi, la Casa di Hador e la
Casa di Beor. Come la madre egli "non era allegro, era laconico...lento
era Turin a dimenticare ingiustizie o le beffe; ma in lui era anche il fuoco
del padre, ed egli poteva mostrarsi impetuoso e feroce,...". (4) Gli
amici - che più dei genitori sono parte dell'esperienza libera
dell'individuo - non sembrano incidere nel carattere di Turin, che in realtà
non si sviluppa dalle premesse iniziali. L'unica eccezione è Sador (il
vecchio famiglio zoppo di quando Turin è bambino): "a un unico amico
si rivolgeva in quel periodo, a lui parlando del suo dolore e di quanto
vuota fosse la casa". (5) Ma Sador è una di quelle cose che - per
volere della madre di Turin, Morwen, e,
al di là di lei, di Morgoth - la fine dell'infanzia porta via per sempre.
Gli altri amici di Turin - Beleg, Mablung, Gwindor, Brandir - sono una serie
di persone più anziane e più sagge che cercano di proteggerlo dai pericoli
e soprattutto da se stesso, ma non riescono a farsi ascoltare né a
suscitare in lui - se non quando è troppo tardi - una gratitudine
consapevole. In
particolare, l'elfo Beleg Arcoforte lo introduce a re Thingol, gli insegna
l'arte della guerriglia nei boschi, testimonia
a suo favore contro gli accusatori, lo cerca dopo l'allontanamento
dal Doriath, e infine lo salva dagli Orchi. Ma non riesce a far nascere in
Turin la riconoscenza verso gli Elfi e a distoglierlo dalla vita di fuori
legge e infine viene da lui addirittura ucciso, per quanto per errore. Beleg
è figura del biblico Gionata verso il
suo amico Davide, ma con una mancanza rispetto al personaggio della Sacra
Scrittura: Beleg è attratto da Turin solo per le qualità
"pagane" di questi (bellezza, lealtà, orgoglio, coraggio, sobrietà,
indipendenza) (6), mentre Gionata in Davide vede, oltre a queste qualità,
anche umiltà, generosità, pazienza, capacità di perdono, gratitudine,
sensibilità. (7) Molto
diversamente vanno le cose per Frodo (pur essendo come Turin un eroe del
sacrificio (8) ). Turin ha vivi entrambi i genitori, anche se essi sono
divergenti nella mente e poi separati di fatto tra loro e dal figlio (9), e
sotto la loro ombra si compie il suo fato (il legame tra stirpe e fato
notato da Shippey (10) ). Frodo invece rimane orfano da bambino, la
primitiva idea che Tolkien aveva di farne un figlio di Bilbo viene presto abbandonata (11), e così viene creata la discontinuità
dalla "stirpe" (e dunque dal "fato"). Bilbo non è il
padre di Frodo, ma è un amico, oggetto di una libera scelta. (12) Entrambi
celibi, entrambi "diversi", cosa sono l'uno per l'altro Frodo e
Bilbo? Ciascuno per l'altro rappresenta l'incarnazione dell'hobbit lontano
dalle strettezze dei luoghi comuni ( ma anche "segnato" da tale
lontananza), che scopre in sé e attorno a sé potenzialità misteriose e
ampie, a volte sconcertanti a
volte invitanti. Quando Bilbo lascia la Contea, Frodo lo rimpiange e sogna
"montagne sconosciute" (13); "segretamente"
(compatibilmente ma indipendentemente dai consigli di Gandalf) vuole
lasciare a sua volta la Contea proprio nella data del comune compleanno,
sapendo che avrebbe avuto cinquanta anni
proprio come Bilbo quando partì per la prima volta con Thorin (14); nel
momento della partenza la paura è forte ma il desiderio di raggiungere
Bilbo è più forte (15). Però, una volta ritrovatolo a Gran Burrone, vede
che Bilbo "non aveva un granché da raccontare sul proprio conto"
e che non avrebbe più "vagabondato per il mondo" (16): come se
avesse già concluso il suo personale processo di "nobilitazione"
(17), processo che è il simbolo ma non duplicazione di quello di Frodo. A Gran Burrone Frodo e Bilbo, dopo aver parlato dei pericoli e dopo aver chiacchierato sugli avvenimenti minuti della Contea, si mettono a parlare "di tutte le cose meravigliose che avevano visto vagabondando assieme: degli Elfi, delle stelle, degli alberi, ecc.", e poi Bilbo legge le sue poesie e ascolta le avventure di Frodo per completare il suo libro (18). I due sentono di fare parte di una storia unica, anche se in fasi diverse: Bilbo depreca che "le avventure non finiscono mai", ma si consola pensando che "qualcun altro prosegue la storia"; davanti a Frodo si domanda "vivrò abbastanza a lungo per vedere i tuoi capitoli della nostra storia?" e, quando Frodo alfine ritorna, a lui Bilbo affida l'incarico di scrivere la Storia, ripromettendosi appena di correggerlo senza severità (19). Se
Frodo si sente amico per alcuni motivi (la confidenza, l'imitatio
vitae)
a un Hobbit più anziano di lui, per altri motivi si sente amico di hobbit
più giovani e "vagabondava con loro nella Contea" (20). Si tratta
di Fredegario, Folco, e soprattutto Merry e Pipino. Sono gli
"amici" nel significato "adolescenziale" della parola:
le persone con cui ci si diverte; e infatti oltre a girare assieme fanno
cene e feste, scherzano scambiandosi battute (come al risveglio dopo
l'incontro con gli Elfi), o anche proprio giocando (come nel bagno a
Crifosso). Ma anche questo tipo di relazione ha i suoi sviluppi: Merry e
Pipino non sono solo compagnoni, ma si accorgono degli stati d'animo di
Frodo, si preoccupano per lui e vogliono aiutarlo, e ordiscono una
amichevole "congiura" (21) che li porterà a condividere gran
parte della lunga e pericolosa avventura di Frodo, per il quale, dunque,
sono disposti a rischiare la vita (22). Agente principale di tale
"congiura" è Sam. Anche
Sam Gamgee è un giovane hobbit, ma è un "servitore" e non è un
parente. Egli sospira mentre origlia la conversazione tra Gandalf e Frodo e
apprende che il suo padrone deve partire, ma non è solo dolore per i
pericoli che attendono Frodo, è anche dolore perché lui, Sam, non potrà
seguirlo a vedere le immancabili cose meravigliose che attendono lontano. Si
era infatti messo a origliare proprio perché aveva sentito parlare di Elfi,
e quando Gandalf gli permette di accompagnare Frodo, egli è "felice
come un cane per la passeggiata" e si mette a piangere pensando che
potrà finalmente vedere gli Elfi. Frodo riveste dunque per Sam il ruolo di
tramite per la propria "nobilitazione", come in una lettera nota
Tolkien stesso: immaginate che hobbit ordinario sarebbe rimasto Sam senza
l'educazione di Bilbo e il fascino per gli Elfi! Basta guardare il Gaffiere.
Egli era troppo sicuro e un po' presuntuoso, ma tale presunzione fu
trasformata dalla sua devozione per Frodo. (23) Una
devozione, a me sembra, "materna": si arrabbia con Maggot perché
tanti anni prima questi aveva preso a scappellotti Frodo; veglia il coma di
Frodo a Gran Burrone; gli prepara da mangiare nell'Ithilien così come
faceva nella Contea. E a Mordor prende la mano del suo padrone e la bagna
con le lacrime, lo fa dormire sulle sue ginocchia con una mano sulla fronte
e, nella torretta di Cirith Ungol, lo tiene in braccio "felice" e
lo bacia sulla fronte (24). Sam è un po' come quelle madri con poca cultura
che vedono nel figlio che "studia" una via per aprirsi esse stesse
ad orizzonti più vasti, mai dimenticandosi del bisogno di protezione del
figlio e donandoglielo con estrema generosità, e ugualmente non
dimenticandosi di avere il proprio baricentro affettivo nel coniuge e non
nel figlio (proprio come Sam che ha fermo il suo progetto di vita con Rosie
e non diventa un Frodo-dipendente). La
famiglia elettiva di Frodo comunque (Bilbo-padre, Sam-madre, Merry e
Pipino-fratelli), assieme agli Amici Grandi (Gandalf, Aragorn, gli Elfi) che
fungono da maestri, diventa essenziale per ciò che Frodo fa. Mentre Turin
agisce nonostante la presenza e il consiglio degli amici, Frodo è un hobbit orfano senza
particolari intelligenza o coraggio o forza, il quale senza i suoi amici non
riuscirebbe a fare niente di ciò che via via invece riesce a fare. Questo
fino alla paradossale trasformazione di Gollum nell'ultimo amico di Frodo e
in quello determinante per la riuscita finale dell'impresa: in una lettera
lo stesso Tolkien nota che Gollum, per quanto inciampi e dunque
involontariamente distrugga l'Anello, lo avrebbe distrutto anche se non
fosse inciampato, e l'avrebbe fatto per amicizia verso Frodo (25). Invece,
la grande impresa di Turin, l'uccisione del drago Glaurung, è compiuta da
solo, a nulla servendogli Dorlas e Hunthor, i due compagni che avevano osato
seguirlo almeno fino a un certo punto. Ma
se pure le due imprese - quella dell'Uomo Solo e quella dell'Hobbit della
Compagnia - hanno entrambe un successo esterno, i loro esiti per la felicità
o l'infelicità dei protagonisti sono molto diversi. Il
primato dell'amicizia
"Pido
mellon a minno" dal
Signore
degli Anelli Nella
storia del pensiero occidentale il tema dell'amicizia è stato soprattutto
analizzato dagli Antichi Greci e Romani, e questo o quell'aspetto di tale
analisi sono stati poi ripresi, sottolineati e anteposti agli altri dagli
autori medievali e moderni. Dalle trattazioni di Socrate, Platone,
Aristotele, Epicuro, Cicerone, Seneca corroborate e propagandate dai molti exempla dei poeti e degli storiografi, l'amicizia è
stata via via collegata alla conoscenza di se stessi, alla saggezza, alla
sapienza, alle virtù etiche (giustizia, fortezza, temperanza, liberalità),
all'utilità, al piacere, alla salute, alla benevolenza, alla reciprocità,
al bene comune della società e dello stato. Tolkien nel SdA non lascia fuori nessuno di questi aspetti
tradizionali, ma, essendo un uomo del Ventesimo Secolo, tende a dare
all'amicizia nel suo complesso un primato
rispetto agli altri valori della vita. L'Antichità
aveva notato il rapporto essenziale dell'amicizia con la virtù, la sapienza
e il bene dello stato, e a questi valori l'aveva subordinata. Il Medio Evo
aveva mantenuto la subordinazione, pur
trasformando - a causa soprattutto del cristianesimo - i valori
subordinanti: tra le virtù cominciano a comparire l'umiltà, la
compassione, il perdono; la sapienza si estende dalla conoscenza del mondo e
delle idee alla notitia Dei e all'experientia
crucis;
il bene dello stato (polis, res publica, imperium) viene relativizzato rispetto a quello della più
vasta comunità ecclesiale da difendere dai musulmani e dagli eretici. L'Età
Moderna mantiene la subordinazione, ma tra i valori subordinanti accentua il
peso del bene comune: la lealtà verso la propria chiesa (cattolica,
anglicana, luterana, calvinista, ecc.), il proprio partito, la propria
nazione, la propria classe sociale diventa più importante dei valori
"individualistici" della sapienza e della virtù. Il Ventesimo
secolo, e cioè l'Età Contemporanea, è stato il secolo dei nazionalismi,
della lotta di classe, dei totalitarismi politici, degli integralismi
religiosi. In questo secolo, cioè, l'Età Moderna giunge al suo
epilogo, e, attraverso la sofferente difesa dalle devastanti conseguenze di
questi fenomeni, almeno in Occidente si è sviluppata una nuova e diversa
coscienza. Per
il mondo laico la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
dell'ONU (1948) e per il mondo religioso la dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II (1965) hanno affermato che la vita della
persona è più importante della prosperità (vera o presunta) di qualsiasi
stato, chiesa o classe sociale, è più importante del bene (vero o
presunto) di qualsiasi tavola etica o progetto educativo, è più importante
della verità (vera o presunta) di qualsiasi fede, ideologia o scienza.
Naturalmente poeti e filosofi hanno precorso e accompagnato lo sviluppo di
tale coscienza; e tra loro Tolkien. Se
la vita della persona è al centro, allora lo è anche l'amicizia:
nell'amicizia la cosa più importante è l'individualità
(unicità, irripetibilità) dell'amico, e che dunque l'amico viva e stia
bene. Virtù, sapienza, bene comune sono importanti ed è impossibile
dimenticarli; ma non sono il centro. Tolkien
si allinea alla tradizione, certamente, nel mostrare l'amicizia più
importante dei beni esteriori : del potere (Faramir, Aragorn, Galadriel non
prendono l'Anello a Frodo), della ricchezza (Bilbo per il bene degli amici
rinuncia alla sua parte di tesoro), degli onori (Frodo, nella gloria di
Minas Tirith liberata, desidera andarsene per rivedere Bilbo), del piacere e
della tranquillità (Sam lascia il giardino e Rosie Cotton per sbrigare quel
"lavoretto" col suo padrone). E alla tradizione Tolkien si allinea
privilegiando l'amicizia contro i pregiudizi sociali: di classe (Sam e
Frodo, Merry e Theoden), di razza (Legolas e Gimli (26) ), di età (Bilbo e
Frodo, Frodo e i giovani hobbit, Pipino e Bergil), di livello culturale
(Gandalf e Frodo, Aragorn e Eomer). Tolkien
va, però, più in là della tradizione nel privilegiare l'amicizia rispetto
al bene dello Stato (Aragorn
non va a Minas Tirith, ma s'imbarca nell'incerta ricerca di Merry e Pipino),
rispetto alla sapienza (mentre Saruman usa il suo tempo tra le rune degli
archivi per indottrinarsi sulla
"tradizione degli anelli" Gandalf va in giro e si fa coinvolgere
nelle vicende di Thorin, Bilbo, Frodo, Beorn, Grampasso, di sui diventa
amico), e rispetto alla stessa virtù:
Frodo stringe un'alleanza con Gollum - pur conoscendone lo spessore etico -
spinto a ciò non solo da motivi utilitaristici, ma anche da sincera
compassione. E gli atti di fiducia (e di salvezza, come nello "stagno
proibito" di Faramir) di Frodo per Gollum non passano senza effetto:
Tolkien stesso in una lettera parla di "completo cambiamento" in
Gollum, purtroppo involontariamente interrotto da Sam. (27) Una
delle virtù è la saggezza (phronesis,
prudenza).
C'è un passo del SdA
in cui essa è esplicitamente subordinata all'amicizia: quando, contro il
parere di Elrond, Merry e Pipino si offrono di far parte della Compagnia
dell'Anello per non lasciare Frodo, Gandalf dice: "Credo, Elrond, credo
che in questo caso sarebbe bene fidarsi piuttosto della loro amicizia anziché
della grande saggezza di un altro" (28) . Allora anche Elrond dà il
suo consenso, e da questa decisione nascono eventi benefici
ed essenziali che effettivamente nessun saggio avrebbe mai potuto
prevedere: Faramir rimane in vita perchè Pipino è a Minas Tirith e avverte
Gandalf; Eowyn rimane in vita e il Signore dei Nazgul muore perchè Merry è
sui Campi del Pelennor; Barbalbero convoca l'Entaconsulta e tempestivamente
interviene al Fosso di Helm e a Isengard perchè i racconti di Merry e
Pipino gli chiariscono i piani di Saruman; i Nazgul e gli orchetti di Sauron
avrebbero cercato Frodo e Sam se non avessero creduto che l'Anello fosse
nelle mani di Merry e Pipino. Come
si vede eventi piuttosto importanti. (29) I limiti dell'amicizia"Ebbene
cari amici, qui sulle rive del Mare finisce
la nostra compagnia nella Terra di Mezzo" Gandalf
nel Signore
degli Anelli L'amicizia
ha il primato, ma non viene assolutizzata, o, come anche si dice
"idealizzata". Contro l'idealizzazione romantica e decadente
dell'amicizia Tolkien era vaccinato dal suo cristianesimo. L'uomo, qualsiasi
uomo, è imperfetto e, se non vizioso (o non troppo vizioso), egli è comunque debole, incerto, ignorante,
mortale. E dunque nessuna amicizia verso un uomo deve essere idealizzata,
perchè l'idealizzazione ottunde la facoltà critica e promuove una fiducia
cieca. Spesso
è il potere (della forza, della sapienza, della bellezza) a indurre
amicizie idealizzate. E Tolkien mette molta cura nel mostrare il rifiuto
dell'idealizzazione da parte dei personaggi positivi. Bilbo potrebbe
essere abbagliato dalla maestà di Thorin, diventato Re sotto la Montagna, e
dalle sue promesse di riconoscenza, ma
a conti fatti non lo è e porta l'Archepietra a Bard e Thranduil. Aragorn potrebbe
subito rivelarsi nella sua regalità agli hobbit nella locanda di Brea, ma preferisce mantenere tutte le caratteristiche umili
da "Grampasso"; e quando sul prato di Parth Galen si accorge che
gli hobbit non ci sono più, accetta la fine del suo ruolo di guida della
Compagnia e di protettore di Frodo: "il destino del Portatore, non è
più nelle mie mani. La Compagnia ha recitato la sua parte" (30) .
Gandalf per lungo tempo non si presenta quale "membro di un Antico
Ordine" e anche a Pipino , che lo conosce da tempo, nei confronti di
Denethor - se osservato superficialmente - sembra meno bello, meno regale,
meno potente, anziano; e Gandalf puntualizza rivolto a Denethor: "io
non comando in nessun reame, nè a Gondor nè in altri ... Ma di tutte le
cose di valore che in un momento come questo si trovano in pericolo, io mi
preoccupo". Galadriel rifiuta il ruolo di regina "bella e
terribile" che "tutti ameranno disperandosi", e preferisce
"rimpicciolire", essere "un'esile donna elfica, vestita di
semplice bianco, dalla voce morbida e triste". Ancora:
Pipino, fronteggiando la morte davanti al Cancello Nero, pensa: "se
almeno Merry fosse qui... potremmo morire insieme Merry e io... ma poiché
non è qui, spero che la sua fine sia più facile"; Pipino cioè
accetta la separazione dei destini e non idealizza l'amicizia fino al punto
di trasformarla in un legame fusionale (31) (diversamente da quello che
aveva pensato Denethor per Faramir). Frodo non idealizza Bilbo, che pur
tanto ama, e, realisticamente accorgendosi della sua senescenza, non insiste
affinchè anche egli faccia parte della Compagnia. Frodo trova gioia
nell'amicizia con i giovani hobbit, ma non dimentica la differenza di età e
di aspirazioni, e, pur "vagabondando con loro", la maggior parte
delle volte "vagabonda da solo" (32). E
Sam, quando crede che Frodo sia morto punto da Shelob, è tentato di
rimanere a difenderne il cadavere (con il quale intesse una conversazione) e
di morire insieme a lui, in un'idealizzazione (e autoidealizzazione) di
fedeltà all'amico. Ma
poi buon senso e ragione prevalgono. Nel capitolo Messer
Samvise e le sue decisioni
egli via via scarta - per quanto lacerato nel cuore - le varie alternative
(rimanere con Frodo, cercare Gollum per vendicarsi, suicidarsi) e poi
sceglie di proseguire la missione, giustamente interpretando la Compagnia
(l'amicizia) nei limiti ad essa imposti dalla realtà: "Come? Io solo
andare alla Voragine del Fato e tutto il resto?...Come? Io
togliere l'Anello dalla sua
mano? Il Consiglio lo affidò a lui." Ma la risposta giunse immediata:
"E il Consiglio gli diede dei compagni affinchè la missione non
fallisse. E tu sei l'ultimo della Compagnia: la missione non deve
fallire!". (33) L'amicizia
vista come "compagnia" esclude che essa, pur se riconosciuta come
il migliore dei mezzi, possa essere considerata come un fine. Essa è
sostegno esterno per l'azione (la Compagnia dell'Anello), ma anche è
sostegno interno nonostante la lontananza materiale: a Mordor Sam dice:
"Mi domando se [i nostri amici] pensano a noi di tanto in tanto";
e in effetti "in mezzo alle loro preoccupazioni e paure, il pensiero
degli amici si dirigeva costantemente verso Frodo e Sam" (34). La
compagnia allevia ma non cancella il peso della vita: Merry, Pipino e Sam
tornano insieme verso la Contea dai Rifugi Oscuri e "ognuno trovava
molto conforto dalla presenza degli amici sulla lunga strada grigia";
ma poco prima Gandalf li aveva invitati a non trattenere le inevitabili
lacrime. Come
si vede un'amicizia vista come compagnia che conforta gli esseri umani
"gementes et flentes in hac lacrymarum valle", è molto diversa
dall'idealizzazione antica (greco-romana) e moderna (romantica)
dell'amicizia. Però
un cristiano - e Tolkien lo era - dovrebbe
credere che la "Carità" non è solo la virtù massima ma
è anche l'essenza stessa di Dio e scopo della vita. Opportunamente Tommaso
d'Aquino, chiedendosi "se la carità sia una specie di amicizia",
rispondeva di sì, perché sulla scorta del suo maestro Aristotele,
riconosceva nella carità tutte le caratteristiche generiche dell'amicizia:
utilità, piacere, autosufficienza, benevolenza, reciprocità, legame con la
virtù, convivenza. Però, per il dottore medievale, la carità è una
specie
del genere "amicizia", perché è quella specifica amicizia che
Dio ha per l'uomo e che l'uomo ha per Dio e per gli altri uomini a causa del
fatto che Dio è amico di loro (35). Se
dunque l'amicizia non è solo un mezzo, ma, in quanto carità, è anche un
fine, essa è collegata a Dio ed è collegata al mistero della morte e della
risurrezione, mistero che permette la "clara notitia Dei" (la
chiara conoscenza di Dio). Ma, mentre il Vangelo usa come metafora di questo
mistero immagini esplicite di rapporto interpersonale e cioè di amicizia
(il "seno di Abramo"; il "banchetto nuziale"; la
"casa del padre"; l'"oggi sarai con me in Paradiso" di
Gesù in croce al buon ladrone), Tolkien invece non lo fa e preferisce altre
immagini: le Montagne (36) , il Mare (37) , il lago Tasarinan (38), un prato
all'alba (39) . E
questo fatto per me indica l'onesto riconoscimento della difficoltà di
rappresentare - se mai è possibile farlo - l'amicizia finale, quella senza
limiti, al di fuori di un "libro sacro" – come la Bibbia - che si appella alla fede del lettore , in ciò che
alla fin fine non è altro che un romanzo – come il Signore
degli Anelli
- che si appella alla sensibilità estetica del lettore. Note (1)
nella sua conferenza a Tolmezzo (UD) il 25.04.95 (2)
Tom Shippey, The Road to Middle Earth,
Grafton of Harper Collins, London, 1992, pp. 220-221. (3)
Ibidem, pp. 238-239. (4)
JRRT, Racconti incompiuti (1980),
Rusconi, Milano, 1988, p. 87. (5)
Ibidem, p. 88. (6)
Ibidem, pp. 107, 111, 122. (7)
Il modello biblico - finora forse non notato - è certo: Davide e Turin si
allontanano da un re (Saul, Thingol) e vivono tra i "fuorilegge";
l'amicizia sia della copia biblica sia di quella tolkieniana nasce quando i
protagonisti sono celibi; sempre Beleg di discolpare Turin agli occhi del re
così come fa Gionata per
Davide; aala morte di Beleg Turin intona il Canto dell'Arcoforte (JRRT,
Il Silmarillion, Rusconi, Milano,
1988, p. 262) così come alla morte di Gionata Davide canta:" l'arco di
Gionata non si ritrasse mai" (2
Samuele: 1,23). (8)
Entrambi figure "sacrificali": con fatiche e sofferenze salvano i
popoli della Terra di Mezzo (uccidendo Glaurung, distruggendo l'Anello), ma
dalla Terra di Mezzo devono allontanarsi, Turin subito col suicidio, Frodo
dopo poco tempo ai Rifugi Oscuri. (9)
Come, anche se in maniera meno estrema, nella storia di Aldarion e Erendis e
loro figlia Ancalime (JRRT, Racconti incompiuti, cit., pp. 240-294). (10)
T. Shippey, The Road, cit.,
pp.221-225. (11)
JRRT, The return of the Shadow,
Harper Collins, London, 1993, pp. 28-35. (12)
JRRT, IL Signore degli Anelli,
Rusconi, Milano, 1978, p.47:"[Bilbo] non ebbe amici intimi fino a
quando alcuni suoi cugini non cominciarono a diventare grandi. Il maggiore e
il preferito era Frodo Baggins." (13)
Ibidem, p. 73. (14)
Ibidem, p. 101. (15)
Ibidem, p. 98. (16)
Ibidem, p. 295. (17)
"Processo di nobilitazione" che era per JRRT uno dei due temi
principali (l'altro essendo la morte) del SdA, ma che era presente anche nello Hobbit (cfr. la lettera a Milton Waldman n° 131 in JRRT, Letters,
George Allen & Unwin, London, 1981, p. 159). E in effetti Bilbo da
quando era solo superficialmente socievole con Gandalf (fumiamo! c'è il
sole e niente da fare!) ma rifiutava ogni offerta di "avventure"
con fastidio e paura, aveva poi evoluto il suo carattere, si era messo a
salvare i Nani (dagli Orchi, dai Ragni, dagli Elfi) e quando infine Thorin
è morente a lui dice: “Addio, Re sotto la Montagna!....Amara è stata la nostra
avventura, se doveva finire così.....Tuttavia sono felice di avere
condiviso i tuoi pericoli: questo è stato più di quanto un Baggins possa
meritare." (JRRT, L'Hobbit,
Milano, Adelphi, 1989, p. 324). (18)
JRRT, SdA, cit., pp. 303, 349. (19)
Ibidem, pp. 296, 303, 1177. (20)
Ibidem, p. 73. (21)
Ibidem, pp. 146-149. (22)
A testimonianza del valore umano di questa amicizia
"adolescenziale", "di gruppo" e - bisogna aggiungere -
di gruppo maschile. Questo tipo di amicizia fa la sua comparsa anche nella
storia di Aldarion e Erendis ambientata nella Seconda Era a Nùmenor (Racconti
incompiuti). Il gruppo maschile è quello dei marinai con cui Aldarion
passa la maggior parte della sua vita mentre il matrimonio con sua moglie va
in rovina. Nel SdA invece Frodo "vive solo", come nota JRRT appena prima
di parlare del suo gruppo di amici, e in ciò (nel celibato di Frodo) si può
vedere forse l'autocritica di JRRT il quale, per la maggior parte della sua
vita, aveva vissuto una situazione con qualche somiglianza con quella di
Aldarion. A proposito della (almeno) tendenziale autosufficienza non solo
intellettuale ma anche affettiva del gruppo maschile di amici, Humphrey
Carpenter (JRRT: a Biography,
Grafton, London, 1992, p. 148) scrive:" it is the great mistery of
Tolkien 's life", e aggiunge "we can find something of it
expressed in The Lord of the Rings" (23)
Lettera a Eileen Elgar n° 246, cit., p. 330: se non fosse inciampato Gollum
avrebbe capito che Sauron si sarebbe impossessato dell'anello, e avrebbe
allora deciso di buttarsi volontariamente nella Voragine:"possession
satisfied, I think he would then have sacrificed himself for Frodo 's sake....he
may have seen that this would also be the greatest service to Frodo". (26)
Nelle opere di JRRT continui e multiformi sono i rapporti amichevoli "interraziali":
Uomini e Elfi e Maiar e Elfi arrivano addirittura a sposarsi, e poi vediamo
amicizie tra Hobbit e Istari, Hobbit e Nani, Hobbit e Uomini, Hobbit e Ent,
ecc.. Ad essere esatti bisognerebbe chiamare "interspecifiche"
tali amicizie perchè fatte da "specie" biologiche diverse, e
riservare il nome di "interrazziali" alle amicizie tra gli Elfi
Vanyar e gli Elfi Noldor (Indis e Finwe) o tra Uomini Rohirrim e Uomini
Numenorean (Eorl e Cirion, Aragorn e Eomer, Faramir e Eowyn). Ma questa
distinzione non mi sembra avere conseguenze pratiche. L'amicizia
tra Legolas e Gimli, comunque, assurge a simbolo dell'amicizia possibile tra
due individui appartenenti a gruppi con tradizioni e aspirazioni
notevolmente diverse. Cosa unisce i due? Subito (dalla convocazione di
Elrond in poi) li unisce la comune opposizione al Male che minaccia i
"popoli liberi della Terra di Mezzo". Solo dopo un certo tempo di
convivenza e mutua conoscenza emerge un secondo fattore di unione. Essi
scoprono nell'"altro" un simile amore per le proprie origini e per
le cose belle: origini e cose belle sono diverse, ma l'amore è lo stesso.
Alla fine essi partono insieme per l'Occidente, poichè scoprono che ciò
che hanno in comune (la missione di aprire il proprio gruppo culturale verso
quello dell'altro) era più proprio e importante per entrambi di quanto lo
fossero le specifiche qualità culturali derivate dai rispettivi gruppi. (27)
Lettera a Eileen Elgar n° 246, cit., p. 330. (28)
JRRT, SdA,cit., p. 348. (29)
Cfr. T. Shippey, The Road, cit.,
pp. 148-149. (30)
JRRT, SdA, cit., p. 514. (31)
Ibidem, p. 1069. (32)
Ibidem, p. 73. (33)
Ibidem, pp. 881-882. (34)
Ibidem, pp. 1073-1074. (35)
Tommaso d'Aquino, "Utrum caritas sit amicitia", articulus 1,
quaestio XXIII, pars secunda secundae partis, Summa
Theologiae, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1988. (36)
JRRT, Albero e foglia, Rusconi,
Milano, 1988, p. 133. (37)
JRRT, SdA, cit., p.1175. (38)
Ibidem, p. 1169. (39)
Ibidem, p. 1226.
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