A
mio parere, affermare che Dio esiste è rivendicare il diritto e la
necessità di portare avanti un'attività, di essere impegnati in una
ricerca, e credo che questo getti luce su quello che facciamo quando
cerchiamo di dimostrare l'esistenza di Dio. Dimostrare l'esistenza di Dio
è dimostrare che alcune questioni pongono ancora domande, che il mondo
pone queste domande per noi.
Dimostrare l'esistenza di Dio, inoltre, sarebbe un po' come dimostrare la
validità della scienza - non intendo la scienza come un insieme di dati
dimostrati nei libri o sulle riviste, ma la scienza come un'attività
intellettuale, l'attività di ricerca attualmente in corso; e non solo
indagini di routine che consistono nella ricerca di risposte a domande
formulate in modo chiaro per mezzo di tecniche stabilite in modo chiaro,
ma la ricerca che è il punto di crescita della scienza, l'avventurarsi
verso l'ignoto.
È perfettamente possibile negare la validità di questa teoria. È
perfettamente possibile asserire che noi ora abbiamo la scienza (non
l'avevamo nell'Ottocento, diciamo, ma ora l'abbiamo). È proprio così:
d'ora in poi non si tratterà d'altro che di mettere in ordine alcuni
dettagli. Ora, naturalmente tutti i progressi veramente grandi nella
scienza sono venuti mettendo in discussione proprio idee come questa,
mettendo in discussione, diciamo, se il mondo newtoniano ha davvero
l'ultima parola, scavando in profondità e ponendo domande su ciò che
tutti abbiam finito per dare per scontato. Ma si può facilmente
immaginare una società che scoraggi simili radicali messe in discussione.
In questo secolo abbiamo visto società totalitarie che sono state
estremamente appassionate nel perfezionare la loro tecnologia e nel
rispondere a particolari questioni all'interno degli ambiti accettati
dalla scienza, ma estremamente ostili a quel tipo di pensiero radicale a
cui sto pensando; in quel tipo di società Wernher von Braun era onorato
ed Einstein esiliato. Penso inoltre che lo stesso effetto possa riprodursi
in modi più sottili in quelle società che non appaiono totalitarie. E,
naturalmente, fu notoriamente prodotto dalla Chiesa nei confronti di
Galileo. Il porre domande radicali è scoraggiato da qualunque società
che crede in sé stessa, che crede di aver trovato le risposte, che crede
che solo le domande autorizzate siano da legittimare.
Confrontandosi con una simile ostilità o una simile incomprensione si
può, ovviamente, dire: beh, aspettiamo e vediamo; vi accorgerete che,
nonostante tutto, la scienza opererà cambiamenti sorprendenti e del tutto
inaspettati e la nostra visione del mondo si sposterà in modi che non
possiamo prevedere né immaginare. Ma questo è solo affermare la vostra
fede. E questo, credo, è simile ad asserire la vostra fede in Dio. Penso
che credere in Dio - nel senso di credere alla validità di quel tipo di
domanda radicale a cui Dio sarebbe la risposta - sia una parte rigogliosa
dell'umanità e che chiudere completamente con quella parte renda carenti
in quel punto. Per questa ragione accolgo una simile fede in Dio, ma ciò
che sto chiedendo a me stesso, ora, non è se credo o meno, ma quali basi
ho per questa fede. E ancora una volta penso che l'analogia con il provare
la validità delle fondamenta del pensiero scientifico sia d'aiuto. Come,
dopo tutto, possiamo dimostrare che c'è ancora una strada lunga e
probabilmente inaspettata da percorrere nella scienza? Puntando alle
anomalie nell'immagine del mondo che la scienza attualmente dà. Se la tua
immagine del mondo include, ad esempio, l'idea dell'etere come mezzo in
cui si trovano le onde luminose, allora vi è un'anomalia se risulta
impossibile determinare la velocità di una sorgente luminosa rispetto
all'etere; e così via. Ora, in modo analogo, a me sembra che le prove
all'esistenza di Dio indichino un'anomalia nell'immagine del mondo di chi
esclude il problema di Dio. Mi pare che sia abbastanza anomalo ritenere
valida e legittima ogni domanda che chiede "da dove viene?" su
qualsiasi cosa o evento particolare nel mondo e ritenere invece
illegittima e non valida la stessa domanda in merito al mondo intero.
Sostenere che non siamo autorizzati a chiedercelo per il solo fatto che
non possiamo rispondere a me pare un modo per evitare il problema. Il
problema è: c'è una domanda senza risposta sull'esistenza del mondo?
Possiamo essere perplessi dall'esistenza del mondo invece del nulla? Io
posso esserlo e lo sono; e questo è essere perplessi riguardo a Dio.
La domanda "da dove viene?" può avere un sacco di significati
diversi ed essere posta a diversi livelli, e più è profonda la domanda
su una singola cosa, più essa è una domanda sul mondo a cui quella cosa
appartiene; c'è infine la più profonda delle domande su qualcosa, che è
al contempo una domanda su tutto. Lasciatemi spiegare quest'enigmatica
osservazione.
Supponiamo che tu chieda "da dove viene Fido?". Potresti stare
chiedendo se suo padre è Rover o se è quel bastardo promiscuo giù nel
vicolo. In questo caso la risposta viene data in modo soddisfacente
nominando i genitori di Fido. A questo livello non c'è altro da dire; la
domanda è pienamente risposta a questo livello. Ma ora supponiamo che tu
chieda: "ma come mai Fido è un cane?". La risposta potrebbe
essere: "I suoi genitori erano cani, e i cani nascono da altri
cani". Qui ti sei mosso verso ciò che io chiamo una domanda di
livello più profondo ed hai iniziato a parlare di quel che i cani sono.
Stai dicendo: per Fido esistere è essere un cane, e i genitori di Fido
sono quegli oggetti le cui attività risultano essere cose da cani. Ora la
tua domanda iniziale "da dove viene Fido?" s'è approfondita in
una domanda sull'origine della specie canina. Rimane una domanda su questo
cane individuale, Fido, ma è anche una domanda sui cani - non sui cani in
astratto, ma sulle attuali specie di cani nel mondo. La tua domanda
"da dove viene Fido?" a questo livello diventa la domanda
"da dove vengono i cani, comunque?".
E naturalmente c'è una risposta anche a questo, in termini di cose come
la genetica e la selezione naturale e quant'altro. Qui abbiamo un nuovo e
più profondo livello della domanda "da dove viene Fido?" -
ancora una domanda su questo particolare cucciolo, ma una la cui risposta
è in termini di appartenenza ad una comunità ancor più ampia; non si
tratta più, ora, della mera comunità dei cani, ma dell'intera comunità
biologica all'interno della quale i cani esistono e trovano la loro
collocazione. Poi, naturalmente, possiamo porre la domanda su Fido ad un
livello ancora più profondo. Quando chiediamo da dove viene la comunità
biologica, non vi è dubbio che la risposta sia in termini di biochimica.
(Ovviamente non posso pensare che si abbiano attualmente risposte a tutte
queste domande, come se avessimo completamente compreso come avviene, o
come sia avvenuto, che i cani si siano diffusi in giro per il mondo, ma ci
aspettiamo che un giorno ci siano finalmente risposte a queste domande).
Ed ora possiamo andare oltre, passando dal livello della biochimica a
quello della fisica, e tutte le volte che facciamo una domanda più
penetrante riguardo a Fido e tutte le volte che andiamo avanti col nostro
porre domande noi vediamo Fido in contesto sempre più ampio.
Ponendo la questione in un altro modo, possiamo dire che ogni volta che
facciamo quella domanda stiamo chiedendo quale sia l'origine proprio di
Fido rispetto a qualche altra cosa che avrebbe potuto esserci. La nostra
prima domanda significava semplicemente: perché Fido è questo cane
anziché un altro?; egli è figlio di Rover piuttosto che del bastardo. Al
livello successivo stiamo domandando: perché è un cane anziché,
diciamo, una giraffa? Al livello successivo: perché è vivo anziché
inanimato? E così via.
Ora voglio sottolineare che per tutto il tempo stiamo facendo domande su
questo particolare Fido. Semplicemente stiamo vedendo attraverso di lui
ulteriori problematiche. I genitori di Fido ci conducono al fatto che egli
è questo cane e non un altro, ma quello stesso atto fa sì che egli sia
questo cane (e non una giraffa), che sia questo cane vivo, che sia questo
biochimicamente complesso cane vivo; che sia questo molecolarmente
strutturato, biochimicamente complesso cane vivo e così via. Stiamo
ulteriormente esplorando che cosa sia per Fido l'esistere, osservando
sempre cosa non è, ma avrebbe potuto essere. Ogni "da dove
viene" chiede come si è giunti a questo al posto di ciò che non è.
Ed ogni volta, naturalmente, rispondiamo riferendoci ad una cosa o ad un
insieme di relazioni, ad alcune realtà esistenti, in virtù delle quali
Fido è questo al posto di ciò che non è.
Ora la nostra ultima domanda radicale non è come mai Fido esista in
quanto questo cane anziché quell'altro, o perché Fido esista in quanto
cane anziché in quanto giraffa, o perché Fido esista come vivente
anziché come inanimato, ma perché Fido esista anziché non esistere; e
proprio come nel chiederci come mai esista come cane ci permette di
inserirlo nel contesto dei cani, allora chiederci come mai egli esista
anziché non essere, ci permette di inserirlo nel contesto del tutto,
dell'universo o mondo. E questa è ciò che chiamo la "domanda su
Dio", perché qualunque sia la risposta, qualunque sia la cosa o
l'insieme di relazioni, qualunque sia la realtà esistente che risponde a
tale domanda, noi la chiamiamo "Dio".
Naturalmente è sempre possibile smettere di fare domande in un qualsiasi
punto; un uomo può rifiutarsi di rispondere alla domanda sul perché i
cani esistano. Può semplicemente rispondere che i cani ci sono e basta e
che è empio indagare il perché - ci sono persone che oggi affermano
questo riguardo a Darwin. Similarmente è possibile rifiutarsi di
rispondere a questa domanda finale, per dire come disse un tempo Russell:
l'universo è lì. Questo mi sembra arbitrario proprio come dire: i cani
sono lì. La differenza è che ora sappiamo, col senno di poi, che le
critiche a Darwin erano irrazionali perché abbiamo familiarizzato con una
risposta alla domanda "come mai esistono i cani?" Invece non
abbiamo familiarizzato con la risposta con la risposta alla domanda
"come mai esiste il mondo anziché il nulla?", ma questo non
rende meno arbitrario rifiutare di porsi la domanda. Porsela è entrare in
un'esplorazione che Russell semplicemente rifiutava di fare, a me sembra.
È naturalmente giusto sottolineare il mistero di una domanda sul tutto,
puntare al fatto che non abbiamo modo di rispondervi, ma non è affatto lo
stesso che dire che è una domanda senza risposta. Come disse
Wittgenstein: "Non come il mondo è, ma il fatto che è, è il
mistero".
C'è infatti una difficoltà nell'avere il concetto del "tutto",
perché di solito concepiamo cose che hanno, per così dire, un confine
attorno ad esse: questa è una pecora e non una giraffa. Ma il tutto è
circondato dal nulla, che è come condire che non è circondato affatto.
Per arrivare allo stesso punto in un altro modo: noi non possiamo avere
alcun concetto del nulla, parlando in termini assoluti. Possiamo usare la
parola in senso relativo; possiamo dire: "Non c'è nulla
nell'armadio" con l'intenzione di dire che non vi sono oggetti
abbastanza grandi - intendendo che non vogliamo dire che non vi siano né
polvere né aria. "Non c'è nulla tra Kerry e New York" vuol
dire che non vi sono terre. Non vuol dire che non c'è assolutamente
nulla, né mare né pesci. Le nozioni del tutto e del nulla assoluto non
sono a noi accessibili nello stesso modo con cui lo sono quelle di pecora
o scarlatto o ferocia. E ciò significa che stiamo ponendo la nostra
domanda definitiva e radicale attraverso strumenti che non faranno il loro
lavoro correttamente, attraverso parole il cui significato deve essere
esteso al di là di quanto possiamo comprendere. Sarebbe molto strano se
così non fosse. Come dice Wittgenstein, quel che abbiamo qui è il
mistero. Se il problema di Dio fosse un problema pulito e semplice cui
rispondere in termini di concetti familiari, allora di qualunque cosa
staremmo parlando, essa non sarebbe Dio. Un Dio che fosse in tal senso
comprensibile non varrebbe la pena di essere adorato né varrebbe la pena
di parlare di lui (se non allo scopo di distruggerlo).
È chiaro che così allunghiamo la mano, ma non raggiungiamo, una risposta
alla nostra domanda finale, "perché esiste qualcosa anziché il
nulla?". Ma siamo in grado di escludere alcune risposte. Se Dio fosse
qualunque cosa rispondesse alla domanda "perché esiste il
tutto?" allora evidentemente esso non dovrebbe essere incluso nel
tutto. Dio non può essere una cosa o una creatura esistente tra le altre.
Non è possibile che Dio e l'universo si debbano sommare per diventare
due. Di nuovo, se noi parliamo di Dio come della causa dell'esistenza del
tutto è chiaro che noi non possiamo dire che egli abbia prodotto
l'universo dal nulla. Qualunque cosa sia la creazione, essa non è un
processo di produzione.
Ancora, è chiaro che Dio non può interferire con l'universo, non perché
non ne abbia il potere ma perché, per così dire, ne ha troppo; per
interferire devi essere un'alternativa o quantomeno essere accanto a ciò
con cui stai interferendo. Se Dio è la causa di tutto, non c'è nulla a
fianco del quale egli può stare. Ovviamente Dio non fa differenza per
l'universo; intendo con questo che non dobbiamo rivolgerci specificamente
a Dio per spiegare perché l'universo è in questo modo anziché in un
altro; per questo abbiamo bisogno unicamente di fare appello alle
spiegazioni interne all'universo. Per questo motivo non può esserci, mi
pare, alcun elemento nell'universo che indichi che è stato creato da Dio.
Quello di cui Dio è responsabile è il fatto che ci sia l'universo
anziché il nulla. Ho detto che, qualunque cosa sia Dio, non è un membro
del tutto, né un abitante dell'universo, né una cosa o una specie di
cosa. E devo aggiungere, suppongo, che non è possibile fare domande su di
lui, tipo: perché Dio esiste anziché non esistere? Non dev'essere
possibile, per lui, essere nulla. Non nel senso che Dio è
indistruttibile, ma nel senso che non deve aver senso prendere in
considerazione il fatto che Dio avrebbe potuto non essere. Naturalmente è
ancora possibile dire, senza palese contraddizione, "Dio potrebbe non
essere", ma questo è perché, quando parliamo di Dio usando la
parola "Dio" noi non capiamo cosa stiamo dicendo, non abbiamo
alcun concetto di Dio; ciò che regola il nostro uso della parola
"Dio" non è la comprensione di quel che Dio sia, ma la
validità di una domanda riguardo al mondo. Ecco perché non siamo
protetti da alcuna legge logica che ci impedisca di dire "Dio
potrebbe non esistere" anche se questo non ha senso. Quello che vale
per le nostre regole sull'uso di "Dio" non vale per il Dio che
cerchiamo di nominare (ed identificare) con la parola "Dio". (E,
come corollario di ciò, incidentalmente, ecco perché una prova famosa
dell'esistenza di Dio, la prova ontologica, non funziona).
Quel che sto dicendo può far sembrare Dio remoto ed irrilevante. Egli non
è parte dell'universo e per esso non fa alcuna differenze. È pertanto
necessario sottolineare che Dio deve essere in tutto ciò che accade e in
tutto ciò che esiste nell'universo. Se i genitori di Fido hanno portato
Fido ad esistere anziché essere nulla, è perché nella loro azione sta
agendo Dio, proprio come una penna scrive perché nelle sue azioni sta
agendo uno scrittore. È perché Dio muove ogni agente dell'universo che
gli agenti portano le cose ad esistere, che fanno nuove le cose. Ogni
azione nel mondo è un'azione di Dio; non perché non è l'azione di una
creatura ma perché è grazie all'azione di Dio che la creatura è sé
stessa e fa le sue proprie attività. Ma ne parleremo più
approfonditamente nel prossimo capitolo.
Per il momento posso solo dire che mi sembra che quello che noi spesso
chiamiamo ateismo non è una negazione del Dio di cui sto parlando. Molto
spesso l'uomo che si vede come un ateo non nega l'esistenza di una
risposta al mistero del perché ci sia qualcosa anziché il nulla, nega
che quello che pensa o che gli è stato detto sia una risposta religiosa a
questa domanda. Egli pensa o gli è stato detto che le persone religiose,
e specialmente i Cristiani, sostengono di aver scoperto quale sia la
risposta, che ci sia qualche grande architetto dell'universo che l'ha
progettato - una specie di Basil Spence, solo più grande e meno visibile
- che ci sia una Persona Superiore nell'universo che emana decreti
arbitrari per le altre persone e che le costringa, perché egli è
l'essere più potente che c'è in giro. Ora, se negare queste affermazioni
ti rende un ateo, allora anche io e San Tommaso d'Aquino e l'intera
tradizione cristiana siamo atei.
Ma un ateo genuino è uno che semplicemente non vede che c'è un qualche
problema o mistero qui, uno che si accontenta di fare domande riguardo al
mondo, ma che non riesce a vedere che il mondo stesso solleva una domanda.
Questo è un uomo che paragono a quelli che si accontentano di rispondere
ai problemi con l'impianto scientifico consolidato, ma che non riescono a
vedere che ci sono domande "di frontiera" genuine e
significative, quantunque mal formulate. Ho fatto un paragone con la
ricerca scientifica, ma lo stesso parallelo potrebbe essere fatto con
qualunque tipo di attività creativa. Il poeta cerca di scrivere una
poesia, ma non sa cosa sta cercando di dire finché non l'ha detta e
riconosciuta. Fino a quando non la scrive, è estremamente difficile
dimostrare che stia scrivendo una poesia o che potrebbe scrivere una
poesia. Potrei dimostrare, indicando l'esistenza di mattoni e cemento e
così via e la disponibilità di forza-lavoro che ci potranno essere
create nuove case. Non posso dimostrare che ci sarà mai un'altra poesia.
Ho chiamato questo saggio Dio e Creazione per indicare ciò che io e la
corrente principale della tradizione cristiana intendiamo come un cammino
verso Dio. Incontriamo Dio, per così dire, o meglio lo cerchiamo e non lo
incontriamo, quando l'universo solleva per noi una domanda radicale circa
la sua intera esistenza. E creazione è il nome che diamo a Dio che
risponde a questa domanda.
Spero che sia evidente che il termine creazione è qui utilizzato in un
senso abbastanza differente rispetto al modo con cui viene usato dalla
gente che cerca di scoprire l'origine dell'universo (che sia stato una
grande esplosione o un'insieme di piccoli scoppi o che altro). Qualunque
processo abbia avuto luogo in periodi di tempo remoti è ovviamente di per
sé un argomento affascinante, ma è irrilevante nel problema della
creazione, nella misura in cui tale problema ci fa parlare di Dio.
Quand'anche dovessimo concludere che Dio ha creato il mondo, rimarrebbe
comunque la questione scientifica sulla domanda: che tipo di mondo è
questo e com'era, e come tutto è iniziato, se ha avuto un inizio.
Probabilmente è inutile dire che la proposizione che l'universo è stato
fatto da Dio e che tutto ciò che esiste, ha avuto inizio ed è sostenuto
nel suo esistere da Dio, non implica il fatto che l'universo sia esistito
solo da un certo tempo poi. Ci devono essere delle ragioni per pensare che
l'universo sia finito nel tempo e nello spazio ma il fatto che la sua
esistenza dipenda da Dio non ha a che fare con esse.
Venire a sapere che l'universo dipende da Dio infatti non ci dice nulla
sulle caratteristiche dell'universo. E come potrebbe? Dal momento che
tutto ciò che sappiamo di Dio (cioè che esiste e quel che non è) deriva
da quel che sappiamo dell'universo, come potremmo tornare a Dio con
informazioni aggiuntive sul mondo? Se pensiamo di poterlo fare, è solo
perché abbiamo nascosto qualcosa di più nel nostro concetto di Dio - per
esempio, quando facciamo Dio a nostra immagine e ci poniamo domande
abbastanza illegittime come: "Che cosa avrei fatto se fossi stato
Dio?". Dovrebbe essere evidente che questa è una tentazione che va
evitata.
C'è un'ultima cosa che mi piacerebbe andare a toccare. Che ce ne facciamo
del concetto di Dio come "persona"?
Penso che l'idea di un Dio-persona sia sorta in due modi abbastanza
diversi. In primo luogo la gente pensa a Dio come ad una persona perché
lo ha concepito come un costruttore - intendo dire che hanno un'immagine
di Dio come di un'artista, o di un tecnico che lavora a qualcosa - e così
reputano la sua esistenza. In tal senso la persona (nel senso di persona
umana) è un'immagine di Dio, un concetto che può essere utile ma
evidentemente può essere fuorviante. Secondariamente, penso che la gente
consideri Dio una persona perché sembra assurdo dire che è impersonale.
Per quanto romanticamente possano apparirci personificate le grandi forze
impersonali della natura che sembrano torreggiare su di noi, sappiamo
perfettamente che esse non sono persone. Ciò che è impersonale e
non-intelligente potrà, in linea di principio, obbedirci sempre se solo
conoscessimo il trucco. Ci sono persone che parlano di Dio come di una
grande forza vitale, e ciò sarebbe corretto se questo servisse
semplicemente a negare che egli sia un qualche particolare individuo
concreto - cosa che evidentemente egli non è; ma dobbiamo ricordare che
le grandi forze in realtà non possono fare nulla se non sono esercitate
in un certo contesto. Vento e onde non raggiungono alcuno scopo, non c'è
nulla che si possa considerare un successo nel loro dimenarsi. È soltanto
parlando di loro come se fossero persone o al limite come viventi che
possiamo parlare di loro come di capaci di ottenere qualcosa; e dal
momento che qualsiasi altra cosa intendiamo per Dio, intendiamo qualcosa
di fatto o di creato o di esistente, mi pare che non sia possibile pensare
a lui come a qualcosa di meramente impersonale.
Una volta che abbiamo negato che Dio sia meramente impersonale abbiamo la
forte tentazione di immaginarlo mentre formula intenzioni o pensa cose o
s'intrattiene con la sua mente, ma nessuna di queste cose è una deduzione
legittima. Per noi l'attività dell'essere persona è strettamente legata
con l'attività di parlare, di formare concetti e dare giudizi ma non c'è
alcuna ragione per trasferire tutto questo su Dio; in realtà ci sono
forti ragioni per non farlo, visto che questa versione della personalità
sembra associata al fatto che siamo esseri fisici, parti di un tutto
materiale più ampio.
Noi possiamo, allora, dire che qualunque cosa spieghi l'esistenza
dell'universo non possa essere limitata nel modo in cui lo sono le cose e
le forze non intelligenti ed impersonali, ma questo non ci giustifica ad
attribuire a Dio la nostra propria modalità di intelligenza. Se noi
parliamo di Dio come se si stesse intrattenendo con la sua mente o
decidendo o cogitando o ragionando, ciò può essere solo una metafora,
come quando parliamo del suo possente braccio destro o dei suoi occhi che
vedono ogni cosa.
[traduzione
ii lingua italiana di Adriano Bernasconi]
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