Franco Manni
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Il concetto filosofico di libertà
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quando sentiamo la parola
“libertà” pensiamo tutti a “qualcosa di positivo”... poi però se
dobbiamo dire cosa essa sia abbiamo difficoltà... non sappiamo come
giustificare il fatto che questo qualcosa di positivo (faccio ciò che
voglio) possa risultare negativo (quello là fa quel che gli pare)...
perchè non abbiamo chiaro in noi cosa essa sia: scelta incondizionata, scelta casuale,
spontaneità e istintualità, progettualità personale, indipendenza,
emancipazione liberazione dalle proprie debolezze …. ñ
non riusciamo a collegare,
coordinare, coerentizzare i
vari ambiti in cui usiamo la parola... Quando un popolo è libero? Cosa
significa che vivo in un Paese libero? In quale occasione
ho avuto una grande libertà di scelta? Perché quel ragazzo gode
di una eccessiva libertà? Il tempo libero è esterno ed estraneo al
lavoro, al dovere? Come mai Gesù disse “La verità vi farà liberi”,
e io, davanti a una verità particolarmente chiara, evidente, dico “sono
costretto a riconoscere, etc.” ? Quando
è che una persona “non sa cosa farsene della sua libertà”?
Può esistere – poniamo in uno schiavo o in un carcerato – una “libertà spirituale” e, se esiste, cosa sarebbe
mai? Perché ci si può liberare di propri vizi ma non ci si può liberare
dalle proprie virtù? ñ
primo esercizio:
i corsisti provino a mettere in ordine gerarchico le seguenti situazioni
in cui in maggiore o minore misura riconoscono la essenza
significativa della Libertà: 1) una nazione vince la guerra contro
un'altra che l'aveva conquistata e dominata ; 2) uno schiavo viene reso
uomo libero; 3) un popolo fa e vince una rivoluzione contro un dittatore;
4) secondo Freedom House gli Stati nel mondo in cui c'è più
libertà di stampa e di associazione sono quelli Scandinavi; 5) un
prigioniero viene scarcerato; 6) un ragazzo diventa maggiorenne e va a
vivere da solo facendo lo studente universitario “fuori sede”; 7) un
marito o un moglie riescono a ottenere il sospirato divorzio dopo tanto
tempo che lo chiedevano; 8) un fumatore o meglio un eroinomane si è
liberato dal suo vizio e si è disintossicato; 9) a un brillante
neolaureato molte ditte diverse offrono posti di lavoro allettanti ed egli
così ha una ampia scelta davanti a sé; 10) tutti si aspettano che io
vada al lavoro, a una festa, a una cerimonia e invece io all'ultimo
momento non ci vado e non do spiegazioni a nessuno; 11) ho finalmente il
coraggio di dire al mio capo che egli è un incompetente e un lazzarone;
12) dico in famiglia/scuola/ufficio che sono omosessuale; 13) sono in
ferie in un villaggio di vacanze, è mattina, non ho impegni precisi e
tutta la giornata davanti a me; 14) smetto di fare la dieta, di truccarmi
, di vestirmi elegante e magari anche di fare ogni giorno la doccia e …
gli altri mi prendano per quel che sono!; 15) in una discussione tra
colleghi/amici/famigliari sono l'unico a sostenere una idea che tutti gli
altri disapprovano intensamente; 16) lentamente, dopo anni di esperienze
magari anche di dolorosa delusione, dopo incontri con persone
interessanti, amabili e significative per me, dopo meditazioni,
discussioni, trasformazioni della società, letture, conferenze e corsi di
studio, arrivo a lasciare la mia vecchia ideologia secondo cui Ordine-Dio-
Patria-Famiglia-Decoro sono gli unici criteri di comportamento giusti,
e divento più tollerante e anche simpatetico verso gli atei, i
gay, i poveri, gli stranieri; 17) nessuno mi vede e io posso scaccolarmi,
scorreggiare, prendere un pasticcino dal bancone ñ
Specificamente in Italia
negli ultimi 15 anni sempre più spesso sentiamo usare le parole “libertà”,
“liberale”, “liberista”... nei decenni precedenti noi stessi (chi
tra noi è più anziano) abbiamo invece soprattutto sentito di Uguaglianza
Sociale, Democrazia, Potere del Popolo, Diritti dei Lavoratori, Solidarietà,
Lotta contro Discriminazioni ed Emarginazioni... Che rapporto c'è tra i
due stock di parole d'ordine? ñ
secondo esercizio: non è detto che la Libertà sia per me il problema più urgente o il
valore più importante. I corsisti provino
a mettere in gerarchia di importanza per loro stessi i seguenti
aspetti/valori/problemi della vita: Salute Fisica, Salute
Mentale, Sicurezza Economica, Avere qualcuno da Amare, Avere
qualcuno che mi Ama, Intelligenza e Cultura, Bellezza e Appeal Erotico,
Coraggio e Non Vigliaccheria, Popolarità /Essere Simpatico, Pace e
Tranquillità nei Rapporti Interpersonali, Libertà, Giustizia Sociale,
Onestà, Fedeltà e Lealtà, Fede in Dio,
Divertimento e Ricreazione. ñ
Da quando eravamo bambini
fino all'età che abbiamo adesso, abbiamo la percezione di avere aumentato
la nostra “libertà”? ñ
una sottile idea connessa
alla libertà è quella della individualità... io posso non fare
una scelta tra “modelli di vita” che sono come “davanti a
me” come gli yogurt di un supermercato, ma pensare di percorrere il mio
percorso unico, che mai nessuno ha percorso prima... e penso: “non posso
che fare così, se voglio esser me stesso”... il dire “non posso
che” sembra contrastare altri significati di libertà Platone e Agostino ñ do i risultati degli esercizi e dico che farò rifare il primo quando alla fine del corso avremo un tot di concetti per poterlo capire ; per intanto commento così: i primi quattro, il sesto e il decimo sono eventi “esterni”... giuridici, politici di liberazione da impedimenti ed ostacoli che sono mali; il quarto pari merito, il quinto, il settimo e il nono sono dei fatti morali “interni” che richiedono coraggio lotta sforzo; l'ottavo sul cambiamento ideologico e il tredicesimo riguardano più “fatti che mi accadono” che “fatti che io faccio”; l'ottavo sul non curarsi l'aspetto e il quindicesimo riguardano una presa di distanza dai pensieri delle altre persone,anche se in maniera diversa; l'undicesimo e il quattordicesimo riguardano un venire meno di impedimenti ed ostacoli che però non sono mali ñ leggo il passo del Gorgia di Platone... e premetto che quel che sembra esser un uomo con molta libertà – cioè il tiranno – non lo è in realtà, perchè fa ciò che gli pare ma non ciò che vuole perchè non ha intelligenza... dunque sin dall'inizio della filosofia (Socrate e Platone) si arriva al concetto che la libertà non è fare ciò che a uno pare, ma potere fare ciò che uno vuole e cioè il bene e per sapere cosa è il bene bisogna avere intelligenza e l'intelligenza è la capacità di arrivare alla verità... e dunque la Libertà - più che essere un “potere” di non essere impedito da ostacoli e sottomesso a volontà altrui e piuttosto che un “piacere” di scegliere quelle più piacevoli o comode tra di esse - è un qualcosa di legato alla Verità ñ ma il legame alla Verità può distruggere il Potere e il Piacere? Se rispondessimo di sì, allora la verità sarebbe necessariamente connessa all'impotenza, alla sottomissione e al dolore... e la sua ricerca non sarebbe appetibile ñ Il vescovo Pelagio all'inizio del V secolo sosteneva che Dio ha creato ogni uomo libero di scegliere e fare il bene, e che l'essenza del peccato è un atto volontario che la legge di Dio proibisce e che il peccatore era libero di evitare, se non ci fosse realmente una tale libertà sarebbero ingiusti i premi e le punizioni da parte di Dio. Il suo contemporaneo Agostino reagì a questo che gli sembrava un sordido moralismo che andava contro la pratica ecclesiale del Battesimo che i bambini ricevono per la “remissione dei peccati” poiché i cristiani pensano che la colpa è ereditata. Inoltre sconvolgeva i rapporti tra uomo e Dio negando l'idea che tutto il bene viene da Dio (Dio, invece, è un amoroso pastore che cerca, trova e prende sulle spalle la pecorella smarrita e la porta lui all'ovile). Per Agostino noi tutti viviamo in una condizione di “caduta” nella quale lo “spirito” è schiavo della “carne” e non può liberarsi da tale giogo perchè non riesce e neppure a volere la sua liberazione. È necessaria dunque l'azione salvifica gratuita di Dio che ha la sua pienezza nella incarnazione. ñ
Agostino vedeva la irrealtà della posizione di Pelagio
sulla libertà come un innato (cioè che c'è sempre nella vita) ed
assoluto (cioè non manchevole) potere di scelta, non condizionato
dalle circostanze. Le circostanze sono la situazione storica concreta del
mondo (famiglia, società, incontri, percorsi) in cui in uomo vive:
“gli uomini non fanno ciò che è giusto sia perchè il giusto
gli è nascosto, sia perchè in esso non trovano piacere. Ma ciò che era
nascosto può diventare chiaro e ciò che non dava piacere può diventare
dolce. E questo deriva dalla grazia di Dio” (Agostino, De
peccatorum meritis et remissione).
Egli insisteva che senza questo piacere nel fare il bene l'opera buona è
solo una servile obbedienza alla legge: “Augustine insisted that without
this delight in righteousness there can be no true freedom in well-doing,
but only a servile obedience to law. The
love of God, which is the motive of the Christian life, must be free. Yet
love of God, as St. Paul said, enters man's heart by the gift of the Holy
Spirit; and Augustine found it increasingly difficult to leave room in his
doctrine of grace for a genuinely free response on man's part to the
Spirit's gift. The unexamined assumption that everything in human life
must be ascribed either to God's or to man's working compelled him to hold
that God alone is the cause of every human movement toward good.” ( Rev.
John Burnaby (d. 1978). Regius Professor of Divinity, University of
Cambridge, 1952-58. Author of Amor Dei: A Study in the Religion of St.
Augustine ) ñ Ora , se in un mondo “non caduto” (cosa potrebbe mai significare, mi/vi chiedo?) l'uomo aveva le risorse per non peccare , cioè quelle senza le quali non avrebbe potuto evitare di peccare, ma non aveva le risorse efficaci ed impedirgli il peccato (“Quapropter, bina ista quid inter se differant, diligenter et vigilanter intuendum est: posse non peccare, et non posse peccare, posse non mori, et non posse mori, bonum posse non deserere, et bonum non posse deserere. Potuit enim non peccare primus homo, potuit non mori, potuit bonum non deserere. Numquid dicturi sumus: Non potuit peccare, qui tale habebat liberum arbitrium? aut: Non potuit mori, cui dictum est: Si peccaveris, morte morieris 102 ? aut: Non potuit bonum deserere, cum hoc peccando deseruerit, et ideo mortuus sit? Prima ergo libertas voluntatis erat, posse non peccare; novissima erit multo maior, non posse peccare. Prima immortalitas erat, posse non mori; novissima erit multo maior, non posse mori. Prima erat perseverantiae potestas, bonum posse non deserere; novissima erit felicitas perseverantiae, bonum non posse deserere. Numquid, quia erunt bona novissima potiora atque meliora, ideo fuerunt illa prima vel nulla vel parva?Itemque ipsa adiutoria distinguenda sunt. Aliud est adiutorium sine quo aliquid non fit, et aliud est adiutorium quo aliquid fit. Nam sine alimentis non possumus vivere, nec tamen cum adfuerint alimenta, eis fit ut vivat qui mori voluerit. Ergo adiutorium alimentorum est sine quo non fit, non quo fit ut vivamus. At vero beatitudo quam non habet homo, cum data fuerit, continuo fit beatus. Adiutorium est enim non solum sine quo non fit, verum etiam quo fit propter quod datur. Quapropter hoc adiutorium et quo fit est, et sine quo non fit: quia et si data fuerit homini beatitudo, continuo fit beatus; et si data numquam fuerit, numquam erit. Alimenta vero non consequenter faciunt ut homo vivat; sed tamen sine illis non potest vivere. Primo itaque homini, qui in eo bono quo factus fuerat rectus acceperat posse non peccare, posse non mori, posse ipsum bonum non deserere, datum est adiutorium perseverantiae, non quo fieret ut perseveraret, sed sine quo per liberum arbitrium perseverare non posset” [Agostino, De correptione et gratia]). Nelle circostanze concrete della vita di ogni uomo, la conoscenza della verità è (molto) imperfetta e dunque per Agostino egli “non può non peccare” (non nel senso che in ogni suo atto pecchi, ma nel senso gli manca la “perseverantia” e prima o poi egli non può evitare di peccare), mentre con la morte/resurrezione l'uomo avrà conoscenza perfetta della verità e allora “non potrà peccare” (“Hic ergo praeceptum est, ut non peccemus, ibi praemium non posse peccare; hic praeceptum est, ut desideriis peccati non oboediamus 104, ibi praemium, ut desideria peccati non habeamus; hic praeceptum est: Intellegite ergo qui insipientes estis in populo et stulti aliquando sapite 105; ibi praemium est plena sapientia et perfecta cognitio - Videmus enim nunc per speculum in aenigmate, ait Apostolus, tunc autem facie ad faciem. Nunc scio ex parte, tunc autem cognoscam sicut et cognitus sum 106; hic praeceptum est: Exsultate Deo adiutori nostro 107, et: Exsultate, iusti, in Domino 108; ibi praemium est exsultare perfecto et ineffabili gaudio 109; postremo in praecepto positum est; Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam; in praemio autem: quoniam ipsi saturabuntur 110. Unde, quaeso, saturabuntur, nisi quod esuriunt et sitiunt?” [Agostino, DE CONTRA DUAS EPISTOLAS PELAGIANORUM LIBRI QUATUOR] ) …
ancora Agostino ñ
arbitrium:
a) sentenza dell'arbitrer (testimone oculare, giudice, mediatore)
b) qualsiasi sentenza o decisione ñ
Agostino si trova a combattere
Pelagio che aveva scritto delle lettere al papa per insinuare che Agostino
fosse manicheo.... invece secondo
Agostino è Pelagio che a causa della propria eresia chiama manichei
coloro che in realtà sono cattolici ñ
per difendere la libertà
(responsabilità) umana contro i manichei, i pelagiani la rovinano, perchè
con superbia confidano in essa per fare il bene, più che
nell'aiuto di Dio... ma essi sono superbi, infatti l'aiuto gratuito
(grazia) di Dio è data sia ai piccoli (che non fanno le opere buone) sia
ai grandi (che le fanno) , mentre nel loro confidare nella responsabilità
umana i pelagiani insinuano che la grazia non è data
ai piccoli in quanto essi sono piccoli per colpa loro, non è data
ai grandi perchè essi sono grandi per merito loro ñ
nell'uomo c'è una asimmetria
tra scelta del bene e scelta male : l'uomo è “libero dalla giustizia”
cioè sceglie il male a causa della propria volontà, mentre invece è
“libero dal peccato” cioè
sceglie il bene a causa dell'aiuto salvifico di Dio... l'uomo vive (e cioè
vuole lui, con la sua volontà, questo o quello) anche senza tale aiuto,
ma vive “bene”, felice,
solo volendo le cose buone, e questo lo può fare non per il proprio
potere ma per il potere della grazia divina. Se questo potere non viene da
Dio, non può venire dalla propria “libera volontà (arbitrio)”, perchè
essa volontà : a) non
potrà esser libera e cioè stare nel bene, in mezzo alle cose buone, se
non è “liberata dal liberatore”, e b) perchè essa è anche
libera quando vuole il male, sta in mezzo alle cose cattive, e
questo lo si vede dal piacere che egli ha nelle cose cattive , piacere che
non può venire da Dio, ma viene da un ingannatore esterno e da sé stesso
come auto-ingannatore. “Libera” significa dunque che la volontà umana
è sempre qualcosa di intimo all'uomo,”libera volontà” significa
il suo essere sé stesso, ma egli non può esser sé stesso nel
bene senza aiuto di Dio, mentre può essere sé stesso nel male senza
l'aiuto di Dio. L'uomo è capace del bene (cioè è libero,
responsabile, è sé
stesso nel volerlo), se egli non è solo, è capace del male
(libero, responsabile, è sé stesso nel volerlo), se egli è
solo... non c'è simmetria tra bene e male. Cosa vuole dire
questo? Secondo me, è una forte critica a un visione individualista delle
vita... critica che così tanto converge con alcune filosofie del XIX-XX
secolo come quelle di Hegel, di Freud, di Marx, di Wittgenstein ñ
cosa è la libertà è come
chiedersi cosa è la responsabilità personale, non imputiamo
infatti responsabilità a uno schiavo, o a uno costretto dalla pistola
alla tempia, a persone cioè che diciamo non libere nella loro azione. Si
può sbagliare a capire la responsabilità in due maniere: 1) come sbagliano i manichei che pensano che l'uomo buono (che
fa buone azioni) viene invaso dal male senza esserne responsabile (è
anche una certa maniera volgare di interpretare la Psicanalisi...!) ; 2)
come sbagliano i pelagiani che pensano che l'uomo cattivo (che fa cattive
azioni) possa essere responsabile del non riuscire da solo a togliersi dal
male e a fare le opere buone (è il moralismo di sempre, fatto rivivere
per es. dalla ideologia attuale del Neoliberismo). ñ
Se qualcuno dicesse che è Dio che
“tenta” al peccato cioè espone a situazioni che portano senza responsabilità
a fare il male, bisogna rispondere che ciascuno è “tentato da sé
stesso”, dice Agostino. Cosa
vuol dire questo? Mi viene in mente il filosofo contemporaneo
Herbert McCabe
che scriveva che “Dio”
non è il “Capo” della Realtà, ma è la causa per la quale la
Realtà è reale cioè esiste... la “tentazione”
di cui qui Agostino parla è la fantasia anti-Realtà che parte non
dalla Realtà ma dall'individuo umano ... dunque qui Agostino è come se
dicesse: non devo incolpare la Realtà (Dio) di “tentarmi” cioè della
mia fantasia anti-Realtà... problema difficile perchè io faccio
tale fantasia non a caso, ma per qualche causa... Agostino per
togliere la assurdità del Caso fa appello alla causa chiamata
“peccato originale” e cioè alla complicità collettiva del
peccato che precede me come singolo individuo... Sì! Giusto!... ma
obietto: e tale complicità collettiva che produce
tale decaduta conoscenza della realtà non è essa anche un parte
della Realtà?... allora il monito di Agostino a non imputare i nostri
peccati a Dio dovrebbe essere
circoscritto così: “non imputare a Dio il peccato”
significa solamente dire che la Realtà non è storta o distorta,
ma piuttosto che la mia e nostra conoscenza della realtà è storta
o distorta, senza invischiarsi nella spiegazione del perchè sia storta o
distorta quella parte della Realtà che è la nostra conoscenza della
realtà. ñ
Non
verrebbero dati precetti morali agli uomini se essi non fossero responsabili,
cioè se gli uomini non potessero volere (essendo sé stessi)
metterli in pratica, e tuttavia “Dio” (la Realtà) regala
gratuitamente volta per volta la capacità di poterli metter in pratica.
Dio – scrive Agostino – non prescrive nulla all'uomo che non doni
all'uomo, egli prescrive regalando la capacità di seguire i precetti. ñ
Ma
mi chiedo: cosa vuol dire Agostino con le parole “regalare”,
“gratuitamente”? Mi sembra una specie di idea anti-buddista, per
quell'aspetto del buddismo che è il “karma” cioè la teoria che dice
che un uomo è portato a fare e subire vari eventi successivi nella sua
vita a causa di come si è comportato nei momenti precedenti di essa... il
karma è come una prevedibile serie di cause ed effetti interna
al singolo uomo. Ma Agostino scrive che mai Dio costringe l'uomo al
bene e mai lo costringe al male e cioè (visto che costringere
significa invader la volontà di un altro con la propria) mai Dio invade o
indebolisce o plagia la volontà umana... non è per questo che l'uomo fa
il bene o il male, ma perchè quando è nella compagnia amorosa di Dio,
egli fa il bene anche se internamente a sé non ha
“meriti” cioè un cumulo di scelte buone fatte in precedenza nella
propria vita, quando invece Dio è lontano l'uomo, anche se internamente
ha un cumulo di “meriti” della propria vita passata, inevitabilmente
non riesce fare il bene e fa
il male... mai la grazia divina è preceduta da “meriti”
dell'individuo!...Anche qui – penso - vediamo in Agostino una critica
alla visione individualistica della vita umana, che c'è invece
un po' dovunque nel mondo, e anche nella idea buddista del karma ñ
cosa
è questa “libera volontà (arbitrio)” dell'uomo?
Essa è un qualcosa che: In Primo Luogo deve esserci perchè, se
non ci fosse in noi uomini, a noi uomini non “gioverebbe” fare le
opere buone, esse infatti ci giovano perchè sono “nostre”, in noi
incorporate, siamo noi (“liberi” significa “noi stessi” e
non noi alienati, invasi, sottomessi, costretti) a volerle fare.
Chi difende la grazia divina – osserva Agostino – non può negare la
libera volontà umana, perchè la grazia divina non è una volontà che
invade la nostra, ma è l'aiuto che viene a noi affinché riusciamo a fare
ciò che noi vogliamo. In Secondo Luogo deve esserci perchè,
se no, non avrebbero senso i precetti e le richieste che da Dio (dalle
persone buone...) ci vengono rivolti (non far questo, non fare
quest'altro): se non avessimo
una nostra (cioè libera) volontà sarebbe inutile rivolgerci
richieste e precetti, basterebbe schiacciare un bottone... e invece
pensiamo che la volontà della persona buona che ci rivolge precetti sia
“altra” dalla nostra e che la nostra sia “altra” dalla sua... e
che dunque, se non seguiamo il precetto e facciamo il male, non può esser
per volontà di quella persona buona (la quale, richiedendoci di fare il
bene, ha tutto l'interesse ad aiutarci a farlo) ma per volontà nostra.
Agostino scrive: “sempre abbiamo una volontà libera ma
non sempre essa è una cosa buona, quando infatti essa è 'libera'
(scollegata da) dalla
giustizia è una volontà cattiva, quando è 'libera' (scollegata da) dal
male è una volontà buona”. ñ
Cosa
è la “grazia salvifica di Dio”?
Essa è “il desiderio cùpido e compiacente del bene” che ci è donato
da Dio. Invece i pelagiani non la vedono così, cioè non vedono come le
cose vere e giuste della vita che riusciamo a conoscere, poi le facciamo
per amore e per piacere nostro (“sancto amore et
inspiratione dilectionis”)... ...i pelagiani pensano invece che le
facciamo per “sforzo della volontà”... qui Agostino è come se
portasse più in là il discorso di Platone nel Gorgia, dicendo: se
c'è l'aiuto gratuito e non prevedibile dell'Altro, allora l'individuo
umano riesce a far coincidere il “ciò che gli pare (piace)” con il
“ciò che vorrebbe raggiungere”, e cioè il bene. Bibliografia
ñ
Agostino di Ippona (V sec. d. C.),
De gratia et libero arbitrio ñ
Agostino di Ippona, De
contra duas epistulas pelagianorum ñ Agostino di Ippona, De correptione et gratia Tommaso d'Aquino
......
ancora Tommaso
Duns Scoto, Occam, Buridano ñ
John Duns Scotus (Duns in Scozia 1265 -
Colonia 1308) la volontà ha un “potere” in sè stessa, anche
se l'intelletto le provvede l'informazione sull'oggetto -
ed essa non può prescindere da questo! - però essa non ha in
questa informazione dell'intelletto una causa sufficiente: “niente
diverso dalla volontà è in essa la causa della volizione. Una ragione è
questa: in natura alcuni eventi accadono in maniera contingente, cioè
sono evitabili; se fosse vero il contrario e ogni cosa avesse luogo
inevitabilmente, non gioverebbe a nulla tenere consiglio e dare
precetti” (Liber secundus Sententiarum) ñ
William of Ockham (Surrey in Inghilterra 1285 – Monaco in Baviera
1348). Egli accentua l'indipendenza della volontà dall'intelletto, il
quale da causa non sufficiente per la volizione diventa anche causa non
necessaria. Siamo arrivati al significato moderno di “libera scelta”,
e cioè “scelta indifferente”. Un
presupposto di questa teoria è che la libertà sia definita “assenza di
necessità”, e sia una specie di indifferenza della volontà rispetto al
suo oggetto e sia obliterata la distinzione tomistica dei tre significati
di necessità (facendo inconsapevolmente
coincidere la necessità con la coazione, con quella cosa, cioè,
che in effetti leva la libertà). Una obiezione a ciò è quella
aristotelica che nulla dalla potenza passa all'atto se non per un qualcosa
di esterno che è già in atto,
ma Occam risponde dicendo che questo vale per gli “enti naturali” e
non per la “volontà libera”(così ponendo una cesura – moderna! -
tra uomo e natura). Un altro presupposto di questa teoria è che per la
morale l'intenzione (atto “elicito” nei termini tomistici) conta
tutto, mentre il
comportamento esterno (atto “imperato”) non conta per niente. Siamo
arrivati alla concezione moderna di una morale basata sul Dovere
Soggettivo e non sul Fine Oggettivo, ecco perchè Kant è stato anche
chiamato “l'ultimo degli occamisti”. ñ
Per
Occam come per Tommaso e Aristotele io non sono determinato alla scelta di
un mezzo o un altro quando ve ne sono un pluralità di idonei a
raggiungere un fine. Ma diversamente da loro Occam pensa anche che io
posso sia volere sia non volere lo stesso fine ( il sommo bene, la
felicità). E questo secondo lui è necessario se io sono responsabile
delle mie azioni: se non potessi evitare di volere il sommo bene non sarei
meritevole di lode quando lo voglio; inoltre sarebbero impossibili i
peccati di omissione. ñ
In
sé stessi tutti gli atti esterni sono moralmente neutri, diventano
moralmente buoni se l'atto interno ( che, come abbiamo visto, non
ha una causa) è una intenzione di obbedire al volere di Dio. Come è
decretato tale volere? Positivisticamente: cioè dalla Scrittura e dalla
Chiesa. Ma un esempio da lui portato non è chiaro: fu buona ed obbligante
la intenzione degli Ebrei di saccheggiare la case degli Egiziani, perchè
Dio lo aveva ordinato. Ma come hanno conosciuto tale ordine? ñ
Occam
dunque sottolinea che un atto è “bonum quia iussum e malum quia prohibitum”
mentre la visione aristotelico-tomista era “iussum quia bonum, et
prohibitum quia malum”. ñ
Se
nella etica non c'è
relazione con una “natura umana”, allora la felicità eterna è solo
un “premio” dato da Dio a chi ha “obbedito” senza alcun rapporto
intrinseco con la natura della azione. ñ
Jean Buridan (Bethune, Francia 1299 – Parigi 1360) Buridano
sembra avere avuto un compromesso tra la visione intellettualista di
Aristotele e Tommaso e quella volontarista di Scoto ed Occam: coi primi
concorda nel dire che la felicità consiste in un atto dell'intelletto e
non della volontà; coi secondi enfatizza il ruolo della volontà nel
perseguire tale atti dell'intelletto. Questo basandosi sulla sua idea di
“libera scelta”: siccome la certezza ammette gradi, più siamo incerti
meno avremo motivo di agire, l'intelletto non ha chiaro cosa è da
scegliere e la volontà procrastina la scelta. Essa è “libera” nel
senso che “non arriva a dovere decidere”. ñ
Non
sembra però sincero questo compromesso di Buridano tra intellettualisti e
volontaristi: egli infatti
scrive che “la volontà differirà la scelta solo se l'intelletto avrà
giudicato bene considerare ulteriormente la cosa”( Quaestiones super decem libros Ethicorum
Aristotelis ad Nicomachum, Paris, 1513, quaestio III.5: 44va). Come
scrive Jack Zupko (univ. Di Stanford): “Questa affermazione pone
chiaramente il differimento sotto la giurisdizione dell'intelletto, il
quale deve ponderare il maggiore o minore bene presenti nelle varie
azioni, inclusa quella azione che è il differimento della scelta”. Più
che un compromesso, Buridano sembra “essersi appropriato della
terminologia volontarista per esprimere una visione fortemente
intellettualista, ed ha fatto questo per evitare le accuse di eterodossia
che già erano incorse a Tommaso nelle condanne del 1277 da parte del
vescovo di Parigi, Tempier”. ñ
l'Apologo
dell'Asino non si può trovare in nessuno scritto di Buridano! La migliore
spiegazione del perchè tale apologo sia associato al suo nome è che si
tratta di una parodia fatta dai sui critici ostili, i quali trovavano
assurda l'idea che la “libera scelta” potesse consistere nella
inazione a causa di un continuo differimento del giudizio finale
dell'intelletto. Le peculiarità poi della vita personale di Buridano
(diversamente dagli altri dottori della Scolastica non insegnò a Teologia
ma solo a Arti, e diversamente da loro anche non fece parte di alcun
ordine religioso) possono suggerirci qualcosa sulle sue idee …. ñ Contesto storico esterno. La lotta basso-medievale contro la sottomissione cesaropapista, teocratica, feudale: i prodromi sono nel XI-XIII secolo e cioè Gregorio II/Enrico IV, Enrico II/Thomas Beckett, Giovanni Senza Terra e la Magna Charta. Ma è nel XIV secolo (è il momento di Dante!) con Filippo IV e Avignone e lo Scisma d'Occidente da una parte, e la Guerra dei Cento Anni dall'altra, che si esplicitano situazioni storico-politiche tali da spostare il focus teoretico filosofico del problema della libertà. Esempi: a) l'investitura vescovile spirituale e i cardinali, b) a nascita degli stati nazionali, c) la nascita delle chiese nazionali sono tre lotte e vittorie – rispettivamente – contro: a) la sottomissione del potere spirituale a quello temporale, b) della identità del cittadino contro la sottomissione feudale, c) della identità del popolo contro la sottomissione teocratica ñ l'idea della libertà come “scelta tra indifferenti” si può così descrivere : 1) è una teoria falsa riguardo alla scelta dell'individuo nelle sue catene di causazione riferite alla volontà (da parte dell'intelletto, delle abitudini, degli oggetti esterni, dei sentimenti, delle fantasie interne) , 2) è una teoria vera se riguarda la ricerca del pluralismo e della divisione dei poteri nella sfera pubblica, contro il semplicistico monolitismo universalista del Medio Evo... solo in questo secondo ambito la “indifferenza” andrebbe dunque letta come “pluralità di scelte autonome in base alle situazioni personali” ñ cerco così di dipanare un pochino il garbuglio concettuale di Occam: egli ritiene “senza causa” l'atto interno della volontà (piano fisico e psicologico), però lo ritiene “buono” o “cattivo” (piano morale) se obbedisce o disobbedisce a un “ordine” altrui, cioè se si sottomette a una volontà altrui. Da una parte ritiene l'uomo “libero” se è “svincolato dalla natura, dalle leggi di causa ed effetto”, dall'altra lo ritiene “buono” se è sottomesso. Come dire: un Francese obbedisce a Filippo IV e non al Papa, un Tedesco obbedisce a Arrigo VII e non al Papa, un abitante di Anagni obbedisce al Papa e non a Filippo IV e ad Arrigo VII. Questo è un bene per tutti e tre: ecco la “indifferenza”... qui significa “pluralismo” (nel secolo precedente si sarebbe detto che solo chi obbedisce al Papa fa bene). Ma Occam vuole esaltare l'idea di “merito” (credito e ricompensa) e pensa che ciascuno dei tre è “meritevole” perchè avrebbe potuto “indifferentemente” (qui “indifferenza” significa invece “assenza di causazione”) obbedire o non obbedire alla sua propria autorità. Da una parte Occam , attratto dalla idea di merito e ricompensa, dice che la Libertà è obbedienza (“coazione”), dall'altra - come ribellandosi a questa cosa umiliante per la dignità umana – costruisce una fantastica assenza di causazione nel decidere di obbedire o no, che ai suoi occhi “esalta” il potere della mente umana. ñ
Scoto,
Occam, Buridano sono come la “nottola di Minerva” hegeliana rispetto a
questi fatti... i primi due manifestano la insoddisfazione verso il
semplicistico “universalismo” del Medio Evo, ma confondono i due piani
privato/pubblico, il terzo mostra l'errore dei primi due, e cioè la
indipendenza della volontà dall'intelletto, ma poi depaupera l'intelletto
mostrandolo bloccato in pensamenti indefinitivamente lunghi … molti
filosofi successivi come Spinoza, Hume e Voltaire sono espliciti a
seguire la critica di
Buridano da una parte (la libertà intra-mentale, individuale, è compatibile con la necessità naturale e di fine),
e dall'altra a teorizzare tolleranza e pluralismo (la libertà
extra-mentale è incompatibile
con la necessità di coazione):
nasce dunque dal XVII secolo in poi il movimento del Liberalismo... Bibliografia Ø
Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae Ø
John Duns Scotus, Commentarium in libros sentantiarum Petri Lombardi Ø
Alessandro Ghisalberti, Guglielmo di Ockham, Vita e Pensiero,
Milano, 1972 Ø
Jack Zupko, Jean
Buridan, in Stanford Encyclopedia of Philosophy
(online) Liberalismo ñ
il Liberalismo è
quella teoria politica che afferma: a)
che è “libero” uno Stato in cui si può criticare il governo senza
essere perseguitati; b)
che il potere sovrano (che esso stia nelle mani di uno, di pochi o del
popolo) deve sempre essere limitato e mai essere illimitato
(assoluto); c) che in uno Stato
devono essere garantite le “quattro libertà dei moderni” (personale,
di espressione, di associazione, di movimento); d) che i quattro poteri dello
Stato ( legislativo, esecutivo, giudiziario, mediatico) devono essere
separati ed indipendenti l'uno dall'altro ; e)
che i diritti “naturali” (fondamentali ed universali) dell'individuo
non devono essere violati dalle leggi di uno Stato ñ
alcune tappe del percorso
politico: Pace di Augusta
(1555), Editto di Nantes (1598), Prima Rivoluzione Inglese (1648), Habeas
Corpus (1679), Seconda Rivoluzione Inglese (1688), Dichiarazione di
Indipendenza delle Colonie Americane (1776), Costituzione degli Stati
Uniti (1787), Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino (1789),
Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (1948) ñ
alcune tappe del percorso
teorico: Baruch Spinoza, Trattato
teologico-politico (1670 ) , John Locke, Due trattati sul governo
(1690 ), Robert de Montesquieu, Lo spirito delle leggi ( 1748),
Voltaire, Trattato sulla Tolleranza (1762), Benjamin Constant, Della
libertà degli antichi comparata con quella dei moderni (1819 ),
Alexis de Tocqueville, La democrazia in America ( 1840), John
Stuart Mill, Sulla Libertà ( 1859), Benedetto Croce, Storia di
Europa nel secolo XIX (1934 ), Karl Popper, La società aperta e i
suoi nemici (1945 ), Iasiah Berlin, Quattro saggi sulla Libertà
(1969). ñ
le due libertà:
“negativa” e “positiva” ñ
la libertà negativa
riguarda le azioni (“atti imperati”, o esterni) ed è dunque sia mancanza
di impedimento ad agire sia mancanza
di coazione ad agire ñ
mentre la libertà
positiva riguarda la volontà (“atti eliciti”, o interni) ed è
dunque sia potere di
determinarsi da sè (autonomia), sia di
non essere determinati da altri o altro (eteronomia) ñ
la libertà positiva della
volontà è un potere (avere capacità di sapere cosa uno
vuole) di riuscire a
perseguire delle norme date da sé, è dunque il potere che viene
dalla Ragione. Questa libertà si stabilisce ed esiste contro
la debolezza, e cioè contro il perseguire altre
norme o forze: quelle che nella tradizione etica Tommaso elencava come
fattori che indeboliscono gli atti eliciti della volontà e li portano
verso il male (ignoranza, forza della passione, suggestioni sensibili ed
immaginative) ñ
il problema della libertà
negativa è quello del Liberalismo ed è stato detto da alcuni
autori che questa libertà è l'unica che riguardi la politica,
mentre quella positiva riguarda la psicologia e la morale ñ
ma da altri autori è stato
invece messo in luce come anche la libertà positiva riguardi la politica,
in quanto sia a)
l'acquisire la capacità di autodeterminarsi (ragionare) , e
b) sia l'esercizio effettivo
dell'autodeterminazione (il mettersi di fatto a ragionare) “dipendono”
dalla dimensione collettiva della interpersonalità. Questa libertà
positiva è dunque il problema della Democrazia nel senso ampio di:
interesse, coinvolgimento e partecipazione attiva alla vita pubblica, ai
problemi del bene comune ñ
poiché nessuno mette in
dubbio la causazione determinante (sia nella sua assenza sia nella sua
presenza) dello Stato riguardo alla libertà negativa, il problema
filosofico Determinismo/Indeterminismo nel “libero arbitrio” – dunque – si pone solo
per la libertà positiva, quella degli atti interni della volontà, e i
filosofi dall'Età Moderna in poi hanno decisamente optato per il
“determinismo”: si vedano i testi distribuiti ai corsisti di Thomas
Hobbes (da Of Liberty and Necessity del 1654)) e di Voltaire (dal Dizionario
Filosofico del 1764). Cioè i filosofi moderni (o contemporanei come
Freud) hanno optato, come
aveva fatto l'intellettualismo atistotelico-tomista, per l'idea che
l'intelletto sia sempre causa degli atti della volontà ñ
le problematiche sul
Determinismo furono – in sede di “teoria politica” – però
semplificate. Bisogna tornare in sede di “teoria etica” per la
specificazione di alcuni approfondimenti, riguardanti: a)
la differenza tra i fatti del
passato e i fatti del futuro; b)
la causazione (automatica e rigida oppure no?) dei concetti
dell'intelletto da parte degli oggetti della realtà, c)
la causazione dei concetti dell'intelletto da parte della Noosfera
Linguistico-Interpersonale piuttosto che da parte di una Mente Individuale
Indipendente; d)
i due significati (fisiologico e patologico)
di “dipendenza” interpersonale ; e)
i due significati (“psicologico” e “affettivo”) di
“dipendenza” interpersonale. ñ
Ma di queste importanti problematiche (importanti, perchè sono la ripresa,
attraverso nuove concettualizzazioni dell'antico tema agostiniano del
rapporto tra “Libertà” umana e “Grazia” divina)
tratteremo, almeno velocemente,
alla fine del corso trattando delle teorie “psicologiche” di
Sigmund Freud e di Herbert McCabe. Bibliografia Ø
Norberto Bobbio, Libertà,
in Eguaglianza e Libertà, Einaudi, Torino, 1995 Ø
Norberto Bobbio, Liberalismo
e Democrazia (1986), Simonelli, Milano, 2005 Ø
Michelangelo Bovero, La
libertà e i diritti di libertà, in Quale Libertà? Dizionario
minimo contro i falsi liberali, Laterza, Bari, 2004 Ø
Ian Carter, Positive
and Negative Liberty, in Stanford Encyclopedia of Philosophy,
online, 2007 Conclusioni
ñ Sigmund Freud, una importante sintesi del percorso filosofico sul tema che trattiamo: ñ il “Determinismo bene inteso” (cioè l'Intellettualismo!) : Freud e i numeri “casuali”(Psicopatologia della vita quotidiana) ñ se si pensa al “libero arbitrio” come “arbitrio di indifferenza”, esso è una illusione, dovuta al fatto che si considera solo la mente conscia e non quella inconscia, cioè si è consapevoli solo di alcune delle proprie idee, ma non di altre (Psicopatologia della vita quotidiana ) ñ lo scopo della terapia è rendere la persona più razionale, consapevole e padrona di sé stessa (Introduzione alla psicanalisi e Compendio di psicanalisi) ñ il fine della psicanalisi non è di rendere impossibile la malattia ma di fornire più opzioni di scelta al paziente (L'Io e l'Es ) ñ Se la volontà è determinata dall'intelletto, da cosa lo è l'intelletto? Dallo “oggetto” solo in piccola parte, noi pensiamo fondamentalmente quel che “possiamo” pensare in base ai concetti che ci fornisce la Noosfera Linguistico-Interpersonale: la Mente Individuale non è indipendente. Cosa vuole dire “dipendenza” dalle menti altrui? : ñ i due significati (buono e cattivo) di “dipendenza” interpersonale. In quella buona dipendiamo dall'altra persona perchè ci aiuta a sviluppare delle nostre cose buone, personali e vitali. In quella cattiva dipendiamo dall'altra persona perchè sia è una protesi esterna al posto del vuoto dentro di noi, sia perchè conferma e giustifica le nostra parti morte e sviate ñ i due significati (“psicologico” e “affettivo”) di “dipendenza” interpersonale buona. La prima ha come modello i genitori: e cioè ci serve per imparare verità. La seconda ha come modello i coetanei e ci serve per sentirci significativi, utili nella condivisone comune degli scopi della vita. ñ Herbert McCabe e il ruolo della “grazia” verso la “libertà”: ñ contro la impoverita nozione di libertà del liberismo individualista, la Bibbia ci presenta qualcosa di diverso: il complicato legame tra legge, comunità, amore e “spazio vuoto” di gratuità attorno alla Persona...il concetto di “nothing” e “space” attorno alla persona individuale che permette la crescita della persona grazie a questo dono degli amici … lo spazio vuoto gratuito, che non richiede contraccambio... facciamoci degli esempi... ñ Ripresa di Agostino sulla simmetria tra bene e male e il problema della Grazia. Pensiamo alle nostre esperienze: cosa è la “a-simmetria tra bene e male”? Che la Libertà non è “indifferenza” di scelta tra bene e male, ma essere capaci si volere il bene... e come si riesce a fare? il male è combattuto non con la lotta contro esso, ma innamorandosi del bene e abbracciandolo! E il bene (tutti i beni) ci sono dati gratuitamente.... ñ Herbert McCabe e il ruolo della “libertà” verso la “grazia”: ñ non la morte “animale” ma la morte “umana” è vissuta come una ingiustizia... come dare ad essa un significato? Una risposta è nel collegare la nostra morte umana alla nostra “libertà/responsabilità”... ñ l'uso di linguaggio e pensiero non è solo un indizio della nostra libertà, ma è la nostra libertà... più siamo liberati da Liberatori (questa è la azione di Dio che non “ci costruisce”, ma liberandoci della alienazione fa sì che “noi ci costruiamo da noi stessi”) più siamo capaci di usare il pensiero interpersonale e quindi esser liberi.... nel senso di autodeterminarci e creare cose nuove... ñ Rispondiamo ora al problema del Gorgia di Platone, presentato all'inizio del corso. Quando sentiamo la parola “libertà” pensiamo tutti a “qualcosa di buono”... poi però se dobbiamo dire cosa essa sia abbiamo difficoltà... non sappiamo come giustificare il fatto che questo a) qualcosa di buono (“io faccio ciò che voglio”) possa risultare b) cattivo (“quello là fa quel che gli pare”)... la risposta è che : a) deriva dal non essere costretta la mia “volontà” da volontà altrui, ma dipendere (necessariamente) solo dal mio “intelletto” (alle somme: dalla mia Personalità in Contatto con la Realtà); e b) deriva dal fatto che la mia “volontà” sia – almeno in parte - dipende da: sentimenti urgenti e distraenti che sorgono al momento non opportuno, e da Superio (presunte volontà di Altre Persone) che ci intimidiscono, e da interne fantasie pazze che ci ubriacano, e da abiti viziosi contratti nel tempo a causa di ideologie “cattive maestre” che ci irrigidiscono (alle somme: dalla mia Personalità Non in Contatto con la Realtà), sia così facendo (“faccio quel che mi pare”) può costringere le volontà altrui. ñ Qualche risultato teorico utile per la pratica: ñ se libertà non significa “scelta indifferente” e non c'è simmetria tra bene e male, allora: 1) non siamo malevoli moralisti verso gli altri e verso noi stessi, 2) valutiamo pensiero e conoscenza come più ampia consapevolezza del numero di beni disponibili al nostro amore ñ se libertà non significa “individualismo” e valutiamo l'interpersonalità delle nostre esistenze, in special modo delle nostre esistenze mentali, allora: 1) ascoltiamo e approfondiamo i punti di vista altrui, le culture, la storia collettiva, 2) vediamo l'aspetto di dono che viene a noi e alle nostre menti e siamo grati ñ se libertà significa “non-sottomissione” alle volontà di altre persone, allora: 1) valuteremo tutte le lotte di liberazione dalle molteplici forme di oppressione presenti nel Mondo esterno a noi, 2) combatteremo i molteplici Superio oppressivi dentro la nostra mente individuale ñ se libertà significa essere “padronanza di sé stessi verso una auto-realizzazione”, allora : 1) saremo vigili e solleciti nella auto-critica cioè nel discernimento tra le nostre parti interne (quelle che ci aiutano a raggiungere ciò che amiamo soprattutto e dunque liberano le nostre forze, quelle che ci ostacolano e dunque imprigionano le nostre forze); 2) saremo esplorativi e coraggiosi e speranzosi nel cercare esternamente tutti gli aiuti per questa liberazione delle nostre forze vitali interne ñ I Corsisti rifanno il primo esercizio svolto all'inizio del corso Bibliografia ü
Sigmund Freud , Psicopatologia
della vita quotidiana, 1901 ü
Sigmund Freud , Introduzione
alla psicanalisi, 1915-17 ü
Sigmund Freud , L'Io e
l'Es, 1922 ü
Sigmund Freud , Compendio
di psicanalisi, 1938 ü
Herbert McCabe, God Matters, 1987 ü
Herbert McCabe, God, Christ and Us. 2003 ü
Herbert McCabe, il saggio Freedom
nel suo libro Faith within Reason, 2007 * * * Appendici
/ Sussidi Risultati
di media tra le risposte dei Corsisti nei primi due esercizi ü risultati primo esercizio: ü
2) 51,
primo schiavo liberato ü
3) 71, secondo popolo
e dittatore ü
1) 86, terzo nazione
contro altra che la domina ü
5)118, quarto pari merito
prigioniero scarcerato ü
8) 118 quarto pari merito eroinomane
disintossicato ü
15) 119 quinto da solo
sostengo una idea contro tutti ü
4) 135,
sesto libertà di stampa ü
12) 147 settimo dico
che sono omosessuale ü
14) 170 ottavo pari merito
non mi faccio più bello e mi prendano per come sono ü
16) 170 ottavo pari merito
cambio lentamente una ideologia negativa che prima avevo ü
11) 171 nono dico al
mio capo i suoi difetti ü
7) 178 decimo un
coniuge ottiene il sospirato divorzio ü
6) 184 undicesimo un
ragazzo esce di casa e va a vivere da solo ü
10) 190 dodicesimo
tutti mi aspettano a un incontro ma io non vado e non li avverto ü
9) 191 tredicesimo
un neolaureato ha una ampia scelta di offerte di lavoro ü
13) 202 quattordicesimo
sono in ferie con tutto il
tempo libero per me ü
17) 245 quindicesimo ed
ultimo se non sono visto, faccio atti trasgressivi ü
risultati secondo
esercizio: ü
primo
Salute Mentale: 68 ü
secondo
Qualcuno mi Ama: 98 ü
terzo
Libertà: 106 ü
quarto
Salute Fisica: 110 ü
quinto
Onestà: 118 ü
sesto
Amare Qualcuno: 119 ü
settimo
Intelligenza e Cultura: 120 ü
ottavo
Coraggio e Non Vigliaccheria: 134 ü
nono
Giustizia Sociale: 143 ü
decimo
Fedeltà e Lealtà: 164 ü
undicesimo
Sicurezza Economica: 184 ü
dodicesimo
Pace e Tranquillità nei Rapporti Interpersonali: 204 ü
tredicesimo
Fede in Dio: 225 ü
quattordicesimo
Popolarità / Essere Simpatico: 268 ü
quindicesimo e penultimo
Bellezza e Appeal Erotico: 270 ü
sedicesimo e ultimo
Divertimento e Ricreazione: 279 *
* * dal Gorgia
di Platone
SOCRATE Non
hai detto poco fa press'a poco questo: «I retori non fanno forse
uccidere, come i tiranni, chi vogliono, non spogliano dei beni e non
scacciano dalle città chi pare a loro?»? POLO Sì. SOCRATE Ebbene,
ti dico che queste sono due domande, e ti risponderò ad entrambe.
Sostengo, Polo, che tanto i retori quanto i tiranni hanno, nelle città,
pochissimo potere, come ho appena detto, perché, in un certo senso, non
fanno nulla di ciò che vogliono, e tuttavia fanno quello che a loro
sembra il meglio. POLO E
non consiste forse in questo l'avere grande potere? SOCRATE No,
almeno stando a quello che dice Polo. POLO Io
dico di no? Ma io lo affermo! SOCRATE O
corpo di un...! Tu non lo affermi affatto, dato che sostenevi che l'avere
grande potere è un bene per chi lo possiede. POLO Certo
che lo sostengo! SOCRATE Pensi
dunque che sia un bene, se uno fa le cose che gli sembrano migliori, ma
senza avere intelligenza? E questo tu lo chiami avere grande potere? POLO Non
io! SOCRATE Non
riuscirai, allora, a dimostrare che i retori hanno intelligenza e che la
retorica è un'arte e non una lusinga, se mi avrai confutato? Se invece mi
lascerai inconfutato, allora sarà vera l'affermazione che i retori, e con
loro i tiranni, facendo nelle città ciò che loro pare, non hanno
guadagnato in questo alcun bene, e sarà vero, d'altra parte, che il
potere, come tu dici, è un bene, mentre il fare senza intelligenza ciò
che pare, come anche tu ammetti, è un male. Non è vero? POLO Sì. SOCRATE Come
può essere vera, dunque, l'affermazione che i retori, o i tiranni,
abbiano grande potere nelle città, a meno che SOCRATE
non venga confutato da Polo, e non gli venga da questi dimostrato che essi
fanno ciò che vogliono? POLO Quest'uomo... SOCRATE Io
nego che essi facciano ciò che vogliono. Ebbene, confutami! POLO Non
hai appena ammesso che essi fanno ciò che loro pare essere meglio? SOCRATE Infatti
lo ammetto anche ora. POLO E
non fanno, allora, ciò che vogliono? SOCRATE Lo
nego. POLO Benché
facciano ciò che loro pare? SOCRATE Sì. POLO Dici
cose spaventosamente paradossali, o Socrate. SOCRATE Non
parlare male di me, mio carissimo Polo, per rivolgermi a te nei tuoi
stessi termini. Piuttosto, se hai domande da farmi, dimostra che io
m'inganno, altrimenti, rispondi tu. POLO Ma
io sono disposto a rispondere, almeno per sapere quello che intendi dire. SOCRATE Ebbene,
ti pare che gli uomini vogliano la cosa che di volta in volta fanno, o la
cosa in vista della quale fanno ciò che fanno? Ad esempio, coloro che
bevono le medicine prescritte dai medici, ti sembra che vogliano la cosa
che fanno, ossia bere la medicina e soffrire, o la cosa in vista della
quale la bevono, ossia essere sani? POLO È
chiaro che quello che vogliono è essere sani. SOCRATE Anche
coloro che vanno per mare, allora, e coloro che si imbarcano in qualche
altra impresa di guadagno, non vogliono la cosa che di volta in volta
fanno: chi vuole, infatti, andare per mare, correre pericoli e avere guai?
Vogliono invece, credo, la cosa in vista della quale vanno per mare, vale
a dire arricchire. E per amore della ricchezza, infatti, che vanno per
mare. POLO Certamente. SOCRATE E
non è forse così in tutte le cose? Se uno fa una cosa per un fine, non
vuole la cosa che fa, bensì la cosa per cui fa quello che fa. POLO Sì. SOCRATE Ebbene,
fra le cose che esistono ce n'è qualcuna che non sia né buona né
cattiva né una via di mezzo fra il bene e il male, vale a dire né buona
né cattiva? POLO È
senza dubbio necessario, o Socrate. SOCRATE Dunque,
non definisci forse beni la sapienza, la salute, la ricchezza e le altre
cose di questo genere, e mali le cose opposte a queste? POLO Sì. SOCRATE E
le cose né buone né cattive non dici, allora, che sono queste che talora
partecipano del bene, talora del male, e talora di nessuno dei due, come
accade per lo stare seduti, il camminare, il correre e il navigare, e come
accade nel caso delle pietre, dei legni e delle altre cose di questa
specie? Non è forse a queste cose che ti riferisci? O sono altre le cose
che tu chiami né buone né cattive? POLO No,
sono proprio queste. SOCRATE Ebbene,
si fanno le cose che sono una via di mezzo in vista delle cose buone, o si
fanno le cose buone in vista di quelle che sono una via di mezzo? POLO Senza
dubbio si fanno le cose che sono una via di mezzo in vista di quelle
buone. SOCRATE Dunque,
è perché inseguiamo un bene che noi camminiamo, quando camminiamo,
pensando che sia meglio farlo, e, al contrario, quando stiamo fermi,
stiamo fermi in vista dello stesso fine, vale a dire il bene. Non è così? POLO Sì. SOCRATE E
allora non uccidiamo, se uccidiamo qualcuno, non scacciamo e non spogliamo
dei beni, nella convinzione che sia meglio per noi fare queste cose,
anziché non farle? POLO Certamente. SOCRATE Allora
è in vista del bene che fanno tutte queste cose coloro che le fanno! POLO Lo
affermo. SOCRATE E
non abbiamo forse stabilito di comune accordo che noi vogliamo non le cose
che facciamo in vista di un certo fine, ma il fine stesso per il quale le
facciamo? POLO Proprio
così. SOCRATE Allora
noi non vogliamo trucidare, né scacciare dalle città né spogliare dei
beni così semplicemente, ma, quando queste azioni siano utili, allora noi
le vogliamo compiere, e quando invece siano dannose, non le vogliamo
compiere. Infatti, noi vogliamo le cose buone, come tu affermi, mentre le
cose che non sono né buone né cattive non le vogliamo, e così neppure
le cose cattive. O no? Ti sembra che io dica il vero, Polo, o no? Perché
non rispondi? POLO Dici
il vero. SOCRATE Dunque,
visto che su questo siamo d'accordo, se uno, tiranno o retore che sia,
uccide qualcuno o lo scaccia dalla città o lo spoglia dei beni, pensando
che questo sia meglio per lui, mentre in realtà si dà il caso che sia
peggio, senza dubbio costui fa ciò che gli pare. O non è così? POLO Sì. SOCRATE E
fa, forse, anche le cose che vuole, se, in realtà, si dà il caso che
queste cose siano mali? Perché non rispondi? POLO Ebbene,
non mi sembra che faccia le cose che vuole. SOCRATE Può
essere, allora, che costui abbia grande potere in quella data città, se
è vero che l'avere grande potere è, per tua ammissione, un bene? POLO Non
può essere. SOCRATE Allora
io dicevo la verità, quando sostenevo che può ben essere che un uomo,
che faccia nella città ciò che gli pare, non abbia tuttavia grande
potere né faccia ciò che vuole. POLO Sicché,
Socrate, tu non accetteresti che ti fosse permesso di fare nella città ciò
che ti pare anziché no, o non proveresti invidia a vedere che uno uccide
chi gli pare, o lo spoglia dei beni o lo fa imprigionare! SOCRATE Intendi
dire giustamente o ingiustamente? POLO Che
lo faccia in un modo o nell'altro, non è in entrambi i casi invidiabile? SOCRATE Bada
a come parli, o Polo! POLO E
perché? SOCRATE Perché
non bisogna invidiare chi non è degno di essere invidiato né gli
sciagurati, ma averne piuttosto compassione. POLO Che
dici? Ti pare che sia questa la situazione degli uomini di cui io parlo? SOCRATE E
come potrebbe non parermi tale? POLO E
chi uccide chi gli pare, se lo uccide con giusta ragione, ti pare forse
sciagurato e degno di compassione? SOCRATE A
me no, ma non mi pare neppure degno di invidia. POLO Non
l'hai appena definito uno sciagurato? SOCRATE Certo,
amico mio, ma colui che uccide ingiustamente, e mi pare, per giunta, degno
di compassione. Invece, colui che uccide con giusta ragione l'ho definito
"non invidiabile". POLO Caso
mai, è colui che viene ingiustamente ucciso ad essere degno di
compassione e sciagurato! SOCRATE Meno
del suo uccisore, o Polo, e meno di colui che muore giustamente. POLO In
che senso, dunque? SOCRATE Nel
senso che il più grande dei mali è commettere ingiustizia. POLO Questo,
dunque, è il male più grande? Non è male peggiore il subire
ingiustizia? SOCRATE Niente
affatto! POLO Tu,
allora, preferiresti subire ingiustizia piuttosto che commetterla? SOCRATE Io
non preferirei né l'uno né l'altro; ma, se fosse necessario o commettere
ingiustizia o subirla, sceglierei il subire ingiustizia piuttosto che il
commetterla.
*
* * …
brevi testi di Agostino ñ
arbitrium:
a) sentenza dell'arbitrer (testimone oculare, giudice, mediatore) b) qualsiasi
sentenza o decisione ñ
Novi quippe
heretici, inimici gratiae Dei, quae datur pusillis et magnis per Iesum
Christum ñ
Pelagius Manichaeos
appellat catholicos ñ
Liberum autem
arbitrium defendendo praecipitant, ut de illo potius ad faciendam iustitiam
quam de Domini adiutorio confidatur atque ut in se quisque, non in Domino
glorietur ñ
Liberi ergo a iustitia non sunt
nisi arbitrio voluntatis; liberi autem a peccato non fiunt nisi gratia
Salvatoris ñ
Cum itaque non vivant bene
filii hominum nisi effecti filii Dei, quid est quod iste libero arbitrio
vult bene vivendi tribuere potestatem, cum haec potestas non detur nisi
gratia Dei per Iesum Christum Dominum nostrum, ñ
Quae potestas nisi detur a Deo,
nulla esse potest ex libero arbitrio; quia nec liberum in bono erit, quod
liberator non liberaverit, sed in malo liberum habet arbitrium, cui
delectationem malitiae vel occultus vel manifestus deceptor insevit, vel
sibi ipse persuasit. ñ
Sed
haec voluntas, quae libera est in malis, quia delectatur malis, ideolibera
in bonis non est, quia liberata non est. ñ
Homines,
inquit, Dei opus esse
defendimus nec ex illius potentia vel in malum vel in bonum invitum aliquem
cogi, sed propria voluntate aut bonum facere aut malum, in bono vero opere a
Dei gratia semper adiuvari, in malum vero diaboli suggestionibus incitari.
Ad haec respondemus...nec ex Dei potentia vel in malum vel in bonum invitum
aliquem cogi, sed Deo deserente pro meritis ire in malum et Deo adiuvante
sine meritis converti ad bonum. ñ
Manichaei negant
homini bono ex libero arbitrio fuisse initium mali, Pelagiani dicunt etiam
hominem malum sufficienter habere liberum arbitrium ad faciendum praeceptum
bonum ñ
Nec sub nomine
gratiae fatum asserimus, quia nullis hominum meritis Dei gratiam dicimus
antecedi. Si autem quibusdam omnipotentis Dei voluntatem placet fati nomine
nuncupare, profanas quidem verborum novitates evitamus 10,
sed de verbis contendere non amamus. ñ
Boni cupiditas
caritas est et caritas a Deo donatur. ñ
Nihil homini
iubetur quod a Deo non detur. ñ
in omnibus
disputationibus suis volunt intellegi gratiam, ut scilicet a Domino Deo
adiutorium cognitionis habeamus, quo ea quae facienda sunt noverimus, non
inspirationem dilectionis, ut cognita sancto amore faciamus, quae proprie
gratia est. Nam scientia legis sine caritate inflat, non aedificat secundum
eumdem Apostolum apertissime dicentem: Scientia inflat, caritas vero
aedificat ñ
quoniam sunt quidam, qui sic gratiam
Dei defendunt, ut negent hominis liberum arbitrium, aut quando gratia
defenditur, negari existiment liberum arbitrium ñ
Revelavit autem nobis per Scripturas
suas sanctas, esse in homine liberum voluntatis arbitrium. Quomodo autem
revelaverit, commemoro vos, non humano eloquio, sed divino. Primum, quia
ipsa divina praecepta homini non prodessent, nisi haberet liberum voluntatis
arbitrium, quo ea faciens ad promissa praemia perveniret. ñ
Sed
sunt homines qui etiam de ipso Deo se excusare conantur, quibus dicit
apostolus Iacobus: Nemo cum tentatur dicat: Quoniam a Deo tentor. Deus enim
intentator malorum est; ipse autem neminem tentat. Unusquisque vero tentatur
a concupiscentia sua abstractus et illectus; deinde concupiscentia, [McCabe: “Dio” non è il “Boss”
dell'Universo, ma è la Realtà... la concupiscenza di cui qui si
parla è la fantasia antireale che parte dal soggetto (da quel che qui è
chiamato “uomo”!... dunque qui Agostino è come se dicesse: non devo
incolpare la realtà della mia fantasia antireale... problema difficile
perchè io faccio tale fantasia non a caso... Agostino per togliere la
assurdità del caso fa appello al peccato originale e cioè alla complicità
collettiva del peccato che precede me come singolo individuo... Sì!
Giusto!... ma obietto: e tale complicità tale decaduta conoscenza della
realtà non è essa anche un parte della realtà?... allora il monito di
Agostino dovrebbe essere circoscritto così: “non imputare a Dio il
peccato” significa
solamente dire che la realtà non è storta, ma piuttosto che la mia e
nostra conoscenza della realtà è storta, senza invischiarsi nella
spiegazione del perchè sia storta quella parte della realtà che è la
nostra conoscenza della realtà] ñ
ubi
dicitur: Noli hoc, et noli illud, et ubi ad aliquid faciendum vel non
faciendum in divinis monitis opus voluntatis exigitur, satis liberum
demonstratur arbitrium. Nemo ergo Deum causetur in corde suo, sed sibi
imputet quisque, cum peccat. [ cioè questi ordini “divini” sono
conoscenza della realtà, sono verità... e io non devo pensare che non
esista la verità cioè la conoscenza della realtà, essa esiste! Il
“peccato” è la non-verità ... il “libero arbitrio” significa che
la verità esiste ed è da me conoscibile... per es. “per vivere
devo essere così e così coraggioso o temperante o giusto” il senso del
“mandato” o “ordine” o “legge” deve intendersi in senso di
imperativo ipotetico aristotelico e non imperativo categorico kantiano...
ecco allora che questo “libero arbitrio” (sapere che se voglio vivere
devo etc.) non coincide col potere fare ciò che è vero ... [qui si innesta
l'altra polemica di Agostino quella contro i pelagiani: per “poter fare ciò
che si conosce” è necessaria la Grazia … la Grazia non è la “scienza
del vero” (che gonfia di superbia!) ma l'esserne innamorati e provarne
dolce gioia, come Agostino scrive contro le due epistole dei pelagiani ] ñ
Sine
gratia Dei nihil boni agit liberum arbitrium ñ
Et
in hac re potestatem voluntatis ostendit, ubi ait: non habens necessitatem, potestatem autem habens suae voluntatis,
ut servet virginem suam
49. Et tamen: non omnes capiunt verbum hoc, sed quibus datum est. Quibus enim non est datum, aut nolunt,
aut non implent quod volunt; quibus autem datum est, sic volunt ut impleant
quod volunt. Itaque, ut hoc verbum, quod non ab omnibus capitur, ab
aliquibus capiatur, et Dei donum est, et liberum arbitrium ñ
Neque
enim praeciperentur, nisi homo haberet propriam voluntatem, qua divinis
praeceptis obediret. Et tamen Dei donum est, sine quo servari castitatis
praecepta non possunt ñ
Semper
est autem in nobis voluntas libera, sed non semper est bona. Aut enim a
iustitia libera est, quando servit peccato, et tunc est mala; aut a peccato
libera est, quando servit iustitiae 154, et tunc est bona *
* * Domande: ñ Nel Gorgia di Platone: in quale significato o aspetto del concetto di “libertà” si può dire che il tiranno gode di molta libertà? ▪ Non esser impedito da ostacoli e non esser sottomesso ad altre volontà ▪ avere la capacità di realizzare i suoi scopi (Uno Stato forte e stabile; La Influenza delle proprie idee e valori sui cittadini di esso; La Lunghezza del proprio dominio in esso; La Realizzazione di tutte o almeno molte potenzialità naturali dell'uomo come conoscenza, amicizia, salute fisica e mentale , ricreazione, pace) ▪ avere molte possibilità di scelta tra linee di comportamento differenti ed eterogenee ñ cosa può significare il “mondo non caduto (edenico)”, di cui Agostino afferma il “posse non peccare”? ñ cosa può significare il “mondo caduto ”, di cui Agostino afferma il “non posse non peccare”? ñ cosa può significare il “mondo glorioso”, di cui Agostino afferma il “ non posse peccare”? ñ come rispondere alla obiezione di Pelagio sui premi e castighi ? ñ
Se
tutto il bene viene da Dio come può un tot di bene venire anche
dall'Uomo? * * * Positive
and Negative Liberty
By Ian Carter First published Thu Feb 27, 2003; substantive revision Mon Oct 8, 2007, on
SEP Negative
liberty is the absence of obstacles, barriers or constraints. One has
negative liberty to the extent that actions are available to one in this
negative sense. Positive liberty is the possibility of acting — or the
fact of acting — in such a way as to take control of one's life and
realize one's fundamental purposes. While negative liberty is usually
attributed to individual agents, positive liberty is sometimes attributed to
collectivities, or to individuals considered primarily as members of given
collectivities. The
idea of distinguishing between a negative and a positive sense of the term
‘liberty’ goes back at least to Kant, and was examined and defended in
depth by Isaiah Berlin in the 1950s and ’60s. Discussions about positive
and negative liberty normally take place within the context of political and
social philosophy. They are distinct from, though sometimes related to,
philosophical discussions about free
will. Work
on the nature of positive liberty often overlaps, however, with work on the
nature of autonomy. As
Berlin showed, negative and positive liberty are not merely two distinct
kinds of liberty; they can be seen as rival, incompatible interpretations of
a single political ideal. Since few people claim to be against liberty, the
way this term is interpreted and defined can have important political
implications. Political liberalism
tends to presuppose a negative definition of liberty: liberals generally
claim that if one favors individual liberty one should place strong
limitations on the activities of the state. Critics of liberalism often
contest this implication by contesting the negative definition of liberty:
they argue that the pursuit of liberty understood as self-realization or as
self-determination (whether of the individual or of the collectivity) can
require state intervention of a kind not normally allowed by liberals. Many
authors prefer to talk of positive and negative freedom. This is
only a difference of style, and the terms ‘liberty’ and ‘freedom’
can be used interchangeably. Although some attempts have been made to
distinguish between liberty and freedom, these have not caught on. Neither
can they be translated into other European languages, which contain only the
one term, of either Latin or Germanic origin (e.g. liberté, Freiheit),
where English contains both.
1. Two Concepts of Liberty
Imagine
you are driving a car through town, and you come to a fork in the road. You
turn left, but no one was forcing you to go one way or the other. Next you
come to a crossroads. You turn right, but no one was preventing you from
going left or straight on. There is no traffic to speak of and there are no
diversions or police roadblocks. So you seem, as a driver, to be completely
free. But this picture of your situation might change quite dramatically if
we consider that the reason you went left and then right is that you're
addicted to cigarettes and you're desperate to get to the tobacconists
before it closes. Rather than driving, you feel you are being
driven, as your urge to smoke leads you uncontrollably to turn the
wheel first to the left and then to the right. Moreover, you're perfectly
aware that your turning right at the crossroads means you'll probably miss a
train that was to take you to an appointment you care about very much. You
long to be free of this irrational desire that is not only threatening your
longevity but is also stopping you right now from doing what you think you
ought to be doing. This
story gives us two contrasting ways of thinking of liberty. On the one hand,
one can think of liberty as the absence of obstacles external to the agent.
You are free if no one is stopping you from doing whatever you might want to
do. In the above story you appear, in this sense, to be free. On the other
hand, one can think of liberty as the presence of control on the part of the
agent. To be free, you must be self-determined, which is to say that you
must be able to control your own destiny in your own interests. In the above
story you appear, in this sense, to be unfree: you are not in control of
your own destiny, as you are failing to control a passion that you yourself
would rather be rid of and which is preventing you from realizing what you
recognize to be your true interests. One might say that while on the first
view liberty is simply about how many doors are open to the agent, on the
second view it is more about going through the right doors for the right
reasons. In
a famous essay first published in 1958, Isaiah Berlin called these two
concepts of liberty negative and positive respectively (Berlin 1969).[1]
The reason for using these labels is that in the first case liberty seems to
be a mere absence of something (i.e. of obstacles, barriers,
constraints or interference from others), whereas in the second case it
seems to require the presence of something (i.e. of control,
self-mastery, self-determination or self-realization). In Berlin's words, we
use the negative concept of liberty in attempting to answer the question
“What is the area within which the subject — a person or group of
persons — is or should be left to do or be what he is able to do or be,
without interference by other persons?”, whereas we use the positive
concept in attempting to answer the question “What, or who, is the source
of control or interference that can determine someone to do, or be, this
rather than that?” (1969, pp. 121-22). It
is useful to think of the difference between the two concepts in terms of
the difference between factors that are external and factors that are
internal to the agent. While theorists of negative freedom are primarily
interested in the degree to which individuals or groups suffer interference
from external bodies, theorists of positive freedom are more attentive to
the internal factors affecting the degree to which individuals or groups act
autonomously. Given this difference, one might be tempted to think that a
political philosopher should concentrate exclusively on negative freedom, a
concern with positive freedom being more relevant to psychology or
individual morality than to political and social institutions. This, however,
would be premature, for among the most hotly debated issues in political
philosophy are the following: Is the positive concept of freedom a
political concept? Can individuals or groups achieve positive freedom
through political action? Is it possible for the state to promote the
positive freedom of citizens on their behalf? And if so, is it desirable for
the state to do so? The classic texts in the history of western political
thought are divided over how these questions should be answered: theorists
in the classical liberal tradition, like Constant, Humboldt, Spencer and
Mill, are typically classed as answering ‘no’ and therefore as defending
a negative concept of political freedom; theorists that are critical of this
tradition, like Rousseau, Hegel, Marx and T.H. Green, are typically classed
as answering ‘yes’ and as defending a positive concept of political
freedom. In
its political form, positive freedom has often been thought of as
necessarily achieved through a collectivity. Perhaps the clearest case is
that of Rousseau's theory of freedom, according to which individual freedom
is achieved through participation in the process whereby one's community
exercises collective control over its own affairs in accordance with the
‘general will’. Put in the simplest terms, one might say that a
democratic society is a free society because it is a self-determined
society, and that a member of that society is free to the extent that he or
she participates in its democratic process. But there are also individualist
applications of the concept of positive freedom. For example, it is
sometimes said that a government should aim actively to create the
conditions necessary for individuals to be self-sufficient or to achieve
self-realization. The negative concept of freedom, on the other hand, is
most commonly assumed in liberal defences of the constitutional liberties
typical of liberal-democratic societies, such as freedom of movement,
freedom of religion, and freedom of speech, and in arguments against
paternalist or moralist state intervention. It is also often invoked in
defences of the right to private property, although some have contested the
claim that private property necessarily enhances negative liberty (Cohen,
1991, 1995). After Berlin, the most widely cited and best developed
analyses of the negative concept of liberty include Hayek (1960), Day
(1971), Oppenheim (1981), Miller (1983) and Steiner (1994). Among the most
prominent contemporary analyses of the positive concept of liberty are Milne
(1968), Gibbs (1976), C. Taylor (1979) and Christman (1991, 2005). * * *
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Franco Manni indice degli scritti
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Maurilio Lovatti main list of online papers
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