Franco Manni

 

 

Il concetto filosofico di libertà

 

 

 

 

 

 

ñ      quando sentiamo la parola “libertà” pensiamo tutti a “qualcosa di positivo”... poi però se dobbiamo dire cosa essa sia abbiamo difficoltà... non sappiamo come giustificare il fatto che questo qualcosa di positivo (faccio ciò che voglio) possa risultare negativo (quello là fa quel che gli pare)... perchè non abbiamo chiaro in noi  cosa essa sia: scelta incondizionata, scelta casuale, spontaneità e istintualità, progettualità personale, indipendenza, emancipazione liberazione dalle proprie debolezze ….

ñ      non riusciamo a collegare, coordinare, coerentizzare  i vari ambiti in cui usiamo la parola... Quando un popolo è libero? Cosa significa che vivo in un Paese libero? In quale occasione  ho avuto una grande libertà di scelta? Perché quel ragazzo gode di una eccessiva libertà? Il tempo libero è esterno ed estraneo al lavoro, al dovere? Come mai Gesù disse “La verità vi farà liberi”, e io, davanti a una verità particolarmente chiara, evidente, dico “sono costretto a riconoscere, etc.” ?  Quando è che una persona “non sa cosa farsene della sua libertà”?  Può esistere – poniamo in uno schiavo o in un carcerato  – una “libertà spirituale” e, se esiste, cosa sarebbe mai? Perché ci si può liberare di propri vizi ma non ci si può liberare dalle proprie virtù?

ñ      primo esercizio: i corsisti provino a mettere in ordine gerarchico le seguenti situazioni in cui in maggiore o minore misura riconoscono la essenza significativa della Libertà: 1) una nazione vince la guerra contro un'altra che l'aveva conquistata e dominata ; 2) uno schiavo viene reso uomo libero; 3) un popolo fa e vince una rivoluzione contro un dittatore; 4) secondo Freedom House gli Stati nel mondo in cui c'è più libertà di stampa e di associazione sono quelli Scandinavi; 5) un prigioniero viene scarcerato; 6) un ragazzo diventa maggiorenne e va a vivere da solo facendo lo studente universitario “fuori sede”; 7) un marito o un moglie riescono a ottenere il sospirato divorzio dopo tanto tempo che lo chiedevano; 8) un fumatore o meglio un eroinomane si è liberato dal suo vizio e si è disintossicato; 9) a un brillante neolaureato molte ditte diverse offrono posti di lavoro allettanti ed egli così ha una ampia scelta davanti a sé; 10) tutti si aspettano che io vada al lavoro, a una festa, a una cerimonia e invece io all'ultimo momento non ci vado e non do spiegazioni a nessuno; 11) ho finalmente il coraggio di dire al mio capo che egli è un incompetente e un lazzarone; 12) dico in famiglia/scuola/ufficio che sono omosessuale; 13) sono in ferie in un villaggio di vacanze, è mattina, non ho impegni precisi e tutta la giornata davanti a me; 14) smetto di fare la dieta, di truccarmi , di vestirmi elegante e magari anche di fare ogni giorno la doccia e … gli altri mi prendano per quel che sono!; 15) in una discussione tra colleghi/amici/famigliari sono l'unico a sostenere una idea che tutti gli altri disapprovano intensamente; 16) lentamente, dopo anni di esperienze magari anche di dolorosa delusione, dopo incontri con persone interessanti, amabili e significative per me, dopo meditazioni, discussioni, trasformazioni della società, letture, conferenze e corsi di studio, arrivo a lasciare la mia vecchia ideologia secondo cui Ordine-Dio- Patria-Famiglia-Decoro sono gli unici criteri di comportamento giusti,  e divento più tollerante e anche simpatetico verso gli atei, i gay, i poveri, gli stranieri; 17) nessuno mi vede e io posso scaccolarmi, scorreggiare, prendere un pasticcino dal bancone

ñ      Specificamente in Italia negli ultimi 15 anni sempre più spesso sentiamo usare le parole “libertà”, “liberale”, “liberista”... nei decenni precedenti noi stessi (chi tra noi è più anziano) abbiamo invece soprattutto sentito di Uguaglianza Sociale, Democrazia, Potere del Popolo, Diritti dei Lavoratori, Solidarietà, Lotta contro Discriminazioni ed Emarginazioni... Che rapporto c'è tra i due stock di parole d'ordine?

ñ      secondo esercizio: non è detto che la Libertà sia per me il problema più urgente o il valore più importante. I corsisti  provino a mettere in gerarchia di importanza per loro stessi i seguenti aspetti/valori/problemi della vita: Salute Fisica, Salute  Mentale, Sicurezza Economica, Avere qualcuno da Amare, Avere qualcuno che mi Ama, Intelligenza e Cultura, Bellezza e Appeal Erotico, Coraggio e Non Vigliaccheria, Popolarità /Essere Simpatico, Pace e Tranquillità nei Rapporti Interpersonali, Libertà, Giustizia Sociale, Onestà, Fedeltà e Lealtà, Fede in Dio,  Divertimento e Ricreazione.

ñ      Da quando eravamo bambini fino all'età che abbiamo adesso, abbiamo la percezione di avere aumentato la nostra “libertà”?

ñ      una sottile idea connessa alla libertà è quella della individualità... io posso non fare  una scelta tra “modelli di vita” che sono come “davanti a me” come gli yogurt di un supermercato, ma pensare di percorrere il mio percorso unico, che mai nessuno ha percorso prima... e penso: “non posso che fare così, se voglio esser me stesso”... il dire “non posso che” sembra contrastare altri significati di libertà

 

 

Platone e Agostino

 

ñ     do i risultati degli esercizi e dico che farò rifare il primo quando alla fine del corso avremo un tot di concetti per poterlo capire ;  per intanto commento così: i primi quattro,  il sesto e il decimo sono eventi “esterni”... giuridici, politici di liberazione da impedimenti ed ostacoli che sono mali; il quarto pari merito, il quinto, il settimo e il nono sono dei fatti morali “interni” che richiedono coraggio lotta sforzo; l'ottavo sul cambiamento ideologico e il tredicesimo riguardano più “fatti che mi accadono” che “fatti che io faccio”; l'ottavo sul non curarsi l'aspetto e il quindicesimo riguardano una presa di distanza dai pensieri delle altre persone,anche se in maniera diversa; l'undicesimo e il quattordicesimo riguardano un venire meno di impedimenti ed ostacoli che però non sono mali

ñ      leggo il passo del Gorgia di Platone... e premetto che quel che sembra esser un uomo con molta libertà – cioè il tiranno – non lo è in realtà, perchè fa ciò che gli pare ma non ciò che vuole perchè non ha intelligenza... dunque sin dall'inizio della filosofia  (Socrate e Platone)   si arriva al concetto che la libertà non è fare ciò che a uno pare, ma potere fare ciò che uno vuole e cioè il bene e per sapere cosa è il bene bisogna avere intelligenza e l'intelligenza è la capacità di arrivare alla verità... e dunque la Libertà - più che essere un “potere” di non essere  impedito da ostacoli e sottomesso a volontà altrui e piuttosto che un “piacere” di scegliere quelle più piacevoli o comode tra di esse - è un qualcosa di legato alla Verità

ñ     ma il legame alla Verità può distruggere  il Potere e il Piacere? Se rispondessimo di sì, allora la verità sarebbe necessariamente connessa all'impotenza, alla sottomissione e al dolore... e la sua ricerca non sarebbe appetibile

ñ     Il vescovo Pelagio all'inizio del V secolo sosteneva che Dio ha creato ogni uomo libero di scegliere e fare il bene, e che l'essenza del peccato è un atto volontario che la legge di Dio proibisce e che il peccatore era libero di evitare, se non ci fosse realmente una tale libertà sarebbero ingiusti i premi e le punizioni da parte di Dio. Il suo contemporaneo Agostino reagì a questo che gli sembrava un sordido moralismo che andava contro la pratica ecclesiale del Battesimo che i bambini ricevono per la “remissione dei peccati” poiché i cristiani pensano che la colpa è ereditata. Inoltre sconvolgeva i rapporti tra uomo e Dio negando l'idea che tutto il bene viene da Dio (Dio, invece,  è un amoroso pastore che cerca, trova e prende sulle spalle la pecorella smarrita e la porta lui all'ovile). Per Agostino noi tutti viviamo in una condizione di “caduta” nella quale lo “spirito” è schiavo della “carne” e non può liberarsi da tale giogo perchè non riesce e neppure a volere la sua liberazione. È necessaria dunque l'azione salvifica  gratuita di Dio che ha la sua pienezza nella incarnazione.

ñ     Agostino vedeva la irrealtà della posizione di Pelagio sulla libertà come un innato (cioè che c'è sempre nella vita) ed assoluto (cioè non manchevole) potere di scelta, non condizionato dalle circostanze. Le circostanze sono la situazione storica concreta del mondo (famiglia, società, incontri, percorsi) in cui in uomo vive:  “gli uomini non fanno ciò che è giusto sia perchè il giusto gli è nascosto, sia perchè in esso non trovano piacere. Ma ciò che era nascosto può diventare chiaro e ciò che non dava piacere può diventare dolce. E questo deriva dalla grazia di Dio” (Agostino, De peccatorum meritis et  remissione). Egli insisteva che senza questo piacere nel fare il bene l'opera buona è solo una servile obbedienza alla legge: “Augustine insisted that without this delight in righteousness there can be no true freedom in well-doing, but only a servile obedience to law. The love of God, which is the motive of the Christian life, must be free. Yet love of God, as St. Paul said, enters man's heart by the gift of the Holy Spirit; and Augustine found it increasingly difficult to leave room in his doctrine of grace for a genuinely free response on man's part to the Spirit's gift. The unexamined assumption that everything in human life must be ascribed either to God's or to man's working compelled him to hold that God alone is the cause of every human movement toward good.” ( Rev. John Burnaby (d. 1978). Regius Professor of Divinity, University of Cambridge, 1952-58. Author of Amor Dei: A Study in the Religion of St. Augustine )

ñ     Ora , se in un mondo “non caduto” (cosa potrebbe mai significare, mi/vi chiedo?) l'uomo aveva le risorse per non peccare , cioè quelle senza le quali non avrebbe potuto evitare di peccare, ma non aveva le risorse efficaci ed impedirgli il peccato (“Quapropter, bina ista quid inter se differant, diligenter et vigilanter intuendum est: posse non peccare, et non posse peccare, posse non mori, et non posse mori, bonum posse non deserere, et bonum non posse deserere. Potuit enim non peccare primus homo, potuit non mori, potuit bonum non deserere. Numquid dicturi sumus: Non potuit peccare, qui tale habebat liberum arbitrium? aut: Non potuit mori, cui dictum est: Si peccaveris, morte morieris 102 ? aut: Non potuit bonum deserere, cum hoc peccando deseruerit, et ideo mortuus sit? Prima ergo libertas voluntatis erat, posse non peccare; novissima erit multo maior, non posse peccare. Prima immortalitas erat, posse non mori; novissima erit multo maior, non posse mori. Prima erat perseverantiae potestas, bonum posse non deserere; novissima erit felicitas perseverantiae, bonum non posse deserere. Numquid, quia erunt bona novissima potiora atque meliora, ideo fuerunt illa prima vel nulla vel parva?Itemque ipsa adiutoria distinguenda sunt. Aliud est adiutorium sine quo aliquid non fit, et aliud est adiutorium quo aliquid fit. Nam sine alimentis non possumus vivere, nec tamen cum adfuerint alimenta, eis fit ut vivat qui mori voluerit. Ergo adiutorium alimentorum est sine quo non fit, non quo fit ut vivamus. At vero beatitudo quam non habet homo, cum data fuerit, continuo fit beatus. Adiutorium est enim non solum sine quo non fit, verum etiam quo fit propter quod datur. Quapropter hoc adiutorium et quo fit est, et sine quo non fit: quia et si data fuerit homini beatitudo, continuo fit beatus; et si data numquam fuerit, numquam erit. Alimenta vero non consequenter faciunt ut homo vivat; sed tamen sine illis non potest vivere. Primo itaque homini, qui in eo bono quo factus fuerat rectus acceperat posse non peccare, posse non mori, posse ipsum bonum non deserere, datum est adiutorium perseverantiae, non quo fieret ut perseveraret, sed sine quo per liberum arbitrium perseverare non posset” [Agostino, De correptione et gratia]). Nelle circostanze concrete della vita di ogni uomo, la conoscenza della verità è (molto) imperfetta e dunque per Agostino egli  “non può non peccare” (non nel senso che in ogni suo atto pecchi, ma nel senso gli manca la “perseverantia” e  prima o poi egli non può evitare di peccare), mentre con la morte/resurrezione l'uomo avrà conoscenza perfetta della verità e allora “non potrà peccare” (“Hic ergo praeceptum est, ut non peccemus, ibi praemium non posse peccare; hic praeceptum est, ut desideriis peccati non oboediamus 104, ibi praemium, ut desideria peccati non habeamus; hic praeceptum est: Intellegite ergo qui insipientes estis in populo et stulti aliquando sapite 105; ibi praemium est plena sapientia et perfecta cognitio - Videmus enim nunc per speculum in aenigmate, ait Apostolus, tunc autem facie ad faciem. Nunc scio ex parte, tunc autem cognoscam sicut et cognitus sum 106; hic praeceptum est: Exsultate Deo adiutori nostro 107, et: Exsultate, iusti, in Domino 108; ibi praemium est exsultare perfecto et ineffabili gaudio 109; postremo in praecepto positum est; Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam; in praemio autem: quoniam ipsi saturabuntur 110. Unde, quaeso, saturabuntur, nisi quod esuriunt et sitiunt?” [Agostino, DE CONTRA DUAS EPISTOLAS PELAGIANORUM LIBRI QUATUOR] )

 

  ancora Agostino 

ñ     arbitrium: a) sentenza dell'arbitrer (testimone oculare, giudice, mediatore) b) qualsiasi sentenza o decisione

ñ     Agostino si trova a combattere Pelagio che aveva scritto delle lettere al papa per insinuare che Agostino fosse manicheo.... invece  secondo Agostino è Pelagio che a causa della propria eresia chiama manichei coloro che in realtà sono cattolici

ñ     per difendere la libertà (responsabilità) umana contro i manichei, i pelagiani la rovinano, perchè con superbia confidano in essa per fare il bene, più che nell'aiuto di Dio... ma essi sono superbi, infatti l'aiuto gratuito (grazia) di Dio è data sia ai piccoli (che non fanno le opere buone) sia ai grandi (che le fanno) , mentre nel loro confidare nella responsabilità umana i pelagiani insinuano che la grazia non è data  ai piccoli in quanto essi sono piccoli per colpa loro, non è data ai grandi perchè essi sono grandi per merito loro

ñ     nell'uomo c'è una asimmetria tra scelta del bene e scelta male : l'uomo è “libero dalla giustizia” cioè sceglie il male a causa della propria volontà, mentre invece è “libero dal peccato”  cioè sceglie il bene a causa dell'aiuto salvifico di Dio... l'uomo vive (e cioè vuole lui, con la sua volontà, questo o quello) anche senza tale aiuto, ma vive  “bene”, felice, solo volendo le cose buone, e questo lo può fare non per il proprio potere ma per  il potere della grazia divina. Se questo potere non viene da Dio, non può venire dalla propria “libera volontà (arbitrio)”, perchè essa volontà : a)  non potrà esser libera e cioè stare nel bene, in mezzo alle cose buone, se non è “liberata dal liberatore”, e b) perchè essa è anche  libera quando vuole il male, sta in mezzo alle cose cattive, e questo lo si vede dal piacere che egli ha nelle cose cattive , piacere che non può venire da Dio, ma viene da un ingannatore esterno e da sé stesso come auto-ingannatore. “Libera” significa dunque che la volontà umana è sempre qualcosa di intimo all'uomo,”libera volontà” significa  il suo essere sé stesso, ma egli non può esser sé stesso nel bene senza aiuto di Dio, mentre può essere sé stesso nel male senza l'aiuto di Dio. L'uomo è capace del bene (cioè è libero, responsabile,  è sé stesso nel volerlo), se egli non è solo, è capace del male (libero, responsabile, è sé stesso nel volerlo), se egli è solo... non c'è simmetria tra bene e male. Cosa vuole dire questo? Secondo me, è una forte critica a un visione individualista delle vita... critica che così tanto converge con alcune filosofie del XIX-XX secolo come quelle di Hegel, di Freud, di Marx, di Wittgenstein

ñ     cosa è la libertà è come chiedersi cosa è la responsabilità personale, non imputiamo infatti responsabilità a uno schiavo, o a uno costretto dalla pistola alla tempia, a persone cioè che diciamo non libere nella loro azione. Si può sbagliare a capire la responsabilità in due maniere: 1)  come sbagliano i manichei che pensano che l'uomo buono (che fa buone azioni) viene invaso dal male senza esserne responsabile (è anche una certa maniera volgare di interpretare la Psicanalisi...!) ; 2) come sbagliano i pelagiani che pensano che l'uomo cattivo (che fa cattive azioni) possa essere responsabile del non riuscire da solo a togliersi dal male e a fare le opere buone (è il moralismo di sempre, fatto rivivere per es. dalla ideologia attuale del Neoliberismo).

ñ     Se qualcuno dicesse che è Dio che “tenta” al peccato cioè espone a situazioni che portano senza responsabilità a fare il male, bisogna rispondere che ciascuno è “tentato da sé stesso”, dice Agostino.  Cosa vuol dire questo? Mi viene in mente il filosofo contemporaneo  Herbert McCabe che scriveva che  “Dio” non è il “Capo” della Realtà, ma è la causa per la quale la Realtà è reale cioè esiste... la “tentazione”  di cui qui Agostino parla è la fantasia anti-Realtà che parte non dalla Realtà ma dall'individuo umano ... dunque qui Agostino è come se dicesse: non devo incolpare la Realtà (Dio) di “tentarmi” cioè della mia fantasia anti-Realtà... problema difficile perchè io faccio tale fantasia non a caso, ma per qualche causa... Agostino per togliere la assurdità del Caso fa appello alla causa chiamata  “peccato originale” e cioè alla complicità collettiva del peccato che precede me come singolo individuo... Sì! Giusto!... ma obietto: e tale complicità collettiva che produce  tale decaduta conoscenza della realtà non è essa anche un parte della Realtà?... allora il monito di Agostino a non imputare i nostri peccati a Dio  dovrebbe essere circoscritto così: “non imputare a Dio il peccato”   significa solamente dire che la Realtà non è storta o distorta, ma piuttosto che la mia e nostra conoscenza della realtà è storta o distorta, senza invischiarsi nella spiegazione del perchè sia storta o distorta quella parte della Realtà che è la nostra conoscenza della realtà.

ñ     Non verrebbero dati precetti morali agli uomini se essi non fossero responsabili, cioè se gli uomini non potessero volere (essendo sé stessi) metterli in pratica, e tuttavia “Dio” (la Realtà) regala gratuitamente volta per volta la capacità di poterli metter in pratica. Dio – scrive Agostino – non prescrive nulla all'uomo che non doni all'uomo, egli prescrive regalando la capacità di seguire i precetti.

ñ     Ma mi chiedo: cosa vuol dire Agostino con le parole “regalare”, “gratuitamente”? Mi sembra una specie di idea anti-buddista, per quell'aspetto del buddismo che è il “karma” cioè la teoria che dice che un uomo è portato a fare e subire vari eventi successivi nella sua vita a causa di come si è comportato nei momenti precedenti di essa... il karma è come una prevedibile serie di cause ed effetti interna al singolo uomo. Ma Agostino scrive che mai Dio costringe l'uomo al bene e mai lo costringe al male e cioè (visto che costringere significa invader la volontà di un altro con la propria) mai Dio invade o indebolisce o plagia la volontà umana... non è per questo che l'uomo fa il bene o il male, ma perchè quando è nella compagnia amorosa di Dio, egli fa il bene anche se internamente a sé non ha “meriti” cioè un cumulo di scelte buone fatte in precedenza nella propria vita, quando invece Dio è lontano l'uomo, anche se internamente ha un cumulo di “meriti” della propria vita passata, inevitabilmente non riesce  fare il bene e fa il male... mai la grazia divina è preceduta da “meriti” dell'individuo!...Anche qui – penso - vediamo in Agostino una critica alla visione individualistica della vita umana, che c'è invece  un po' dovunque nel mondo, e anche nella idea buddista del karma

ñ     cosa è questa “libera volontà (arbitrio)” dell'uomo? Essa è un qualcosa che: In Primo Luogo deve esserci perchè, se non ci fosse in noi uomini, a noi uomini non “gioverebbe” fare le opere buone, esse infatti ci giovano perchè sono “nostre”, in noi incorporate, siamo noi (“liberi” significa “noi stessi” e non noi alienati, invasi, sottomessi, costretti) a volerle fare. Chi difende la grazia divina – osserva Agostino – non può negare la libera volontà umana, perchè la grazia divina non è una volontà che invade la nostra, ma è l'aiuto che viene a noi affinché riusciamo a fare ciò che noi vogliamo. In Secondo Luogo deve esserci perchè, se no, non avrebbero senso i precetti e le richieste che da Dio (dalle persone buone...) ci vengono rivolti (non far questo, non fare quest'altro):  se non avessimo una nostra (cioè libera) volontà sarebbe inutile rivolgerci richieste e precetti, basterebbe schiacciare un bottone... e invece pensiamo che la volontà della persona buona che ci rivolge precetti sia “altra” dalla nostra e che la nostra sia “altra” dalla sua... e che dunque, se non seguiamo il precetto e facciamo il male, non può esser per volontà di quella persona buona (la quale, richiedendoci di fare il bene, ha tutto l'interesse ad aiutarci a farlo) ma per volontà nostra. Agostino scrive: “sempre abbiamo una volontà libera ma  non sempre essa è una cosa buona, quando infatti essa è 'libera' (scollegata da)  dalla giustizia è una volontà cattiva, quando è 'libera' (scollegata da) dal male è una volontà buona”.

ñ     Cosa è la “grazia salvifica di Dio”? Essa è “il desiderio cùpido e compiacente del bene” che ci è donato da Dio. Invece i pelagiani non la vedono così, cioè non vedono come le cose vere e giuste della vita che riusciamo a conoscere, poi le facciamo per amore e per piacere nostro (“sancto amore et inspiratione dilectionis”)... ...i pelagiani pensano invece che le facciamo per “sforzo della volontà”... qui Agostino è come se portasse più in là il discorso di Platone nel Gorgia, dicendo: se c'è l'aiuto gratuito e non prevedibile dell'Altro, allora l'individuo umano riesce a far coincidere il “ciò che gli pare (piace)” con il “ciò che vorrebbe raggiungere”, e cioè il bene. 

 

 

Bibliografia

 

ñ     Agostino di Ippona (V sec. d. C.), De gratia et libero arbitrio

ñ     Agostino di Ippona, De contra duas epistulas pelagianorum

ñ     Agostino di Ippona, De correptione et gratia

 

 

Tommaso d'Aquino

 

  • premessa sulla situazione culturale del XIII secolo (otto secoli dopo Agostino) e sulla  mente di Tommaso

  • la volontà e i tre significati di necessità (I pars, qu. 82, art1) e dunque la volontà può volere qualcosa per necessità

  • ma la volontà segue l'intelletto che a sua volta deve percorrere la propria  lunga, laboriosa e imprevedibile discorsività (qu. 82, art. 2), ed questa è lunga, laboriosa e imprevedibile a causa dell'enorme cumulo di descrizioni concettuali (lo “intelletto possibile unico” di averroista, lo “spirito assoluto” hegeliano, la “noosfera” degli etologi) che l'umanità pensante  ha prodotto e continua a produrre, come segnala bene Herbert McCabe commentando Tommaso (On Aquinas, p. 65-68)

  • vane sarebbero esortazioni e proibizioni se non ci fosse libertà (personale responsabilità) di scelta. Di fatto l'uomo diversamente dagli altri animali ha la ragione che non dipende da un oggetto fisso precostituito: “l'uomo ha un giudizio libero perchè può portarsi su oggetti diversi... è necessario che l'uomo abbia il libero arbitrio proprio perchè egli è ragionevole” (qu. 83, art.1)

  • Dio è la causa prima di ogni operazione dell'uomo ma questo non toglie affatto che l'uomo sia causa delle proprie azioni (ibidem)

  • Agostino giustamente – secondo Tommaso - dice che peccando l'uomo ha perduto il libero arbitrio in questo senso: che l'uomo ha perso la libertà come “esenzione da colpa e da miseria” ma non nel senso che ha perduto la libertà come “immunità da coazione” (art. 2)

  • il libero arbitrio in primo luogo riguarda il bene utile cioè la appetizione dei mezzi per aggiungere il fine, e solo in secondo luogo  il fine, ciò si vede osservando come ogni fine sia mezzo per fini ulteriori a parte l'ultimo fine, e volere questo non è oggetto di scelta (art. 3)

  • si può far violenza alla volontà? No, ciò che è volontario è ciò che è intimo al soggetto mentre la coazione è l'espressione di una volontà esterna. Perciò solo gli atti “imperati” (esterni) possono essere coatti ed esser dunque involontari, ma non quelli “eliciti” (interni)  (Ia-IIae pars, qu. 6, art 4)

  • in nessun modo invece (né interno né esterno) la concupiscenza può causare la involontarietà, anzi la concupiscenza piuttosto provoca e causa la volontarietà (a. 7)

  • se due cose su cui fare una scelta fossero identiche la volontà non ne sceglierebbe nessuna... eppure nulla impedisce che l'intelletto e dunque poi la volontà ne consideri una sola sotto un aspetto più favorevole (qu. 13, art. 6)

  • la scelta umana non è necessaria perchè essa dipende dalla ragione, e la ragione può:  1) apprendere come bene sia l'agire (il volere) sia il non agire (il non volere); e 2) di tutti i beni particolari essa può osservare l'aspetto buono, oppure le sue deficienze di bene, e dunque può apprendere tutti i beni come oggetto sia di appetizione sia  di fuga. Solo il sommo bene – la felicità – non può esser appreso dalla ragione secondo una deficienza di bene, e perciò essa lo vuole necessariamente (qu. 13, art. 6)

  • la volontà sempre cerca il bene, ma non sempre il vero bene, perchè a volte cerca ciò che le appare come bene e non lo è, ecco perchè talvolta essa  vuole il male (qu. 19, art. 1)

  • la bontà del volere dipende solo dall'oggetto e non anche dalle circostanze, perchè quando uno vuole una cosa quando e dove non deve l'oggetto voluto in realtà è cattivo e non buono, mentre l'atto del volere un bene è sempre buono perchè sempre bisogna volere il bene,ed è impossibile volerlo quando o dove non di deve... il male può avvenire solo per accidens ,  e cioè non perchè si vuole il bene X ma perchè a un uomo può accadere  che per volerlo è impedito di volere  un bene Y maggiore (qu. 19, art. 2). Questo pensiero di Tommaso sottolinea un punto psicologico importante e delicato: bisogna sempre desiderare con l'atto interno un bene, anche se le circostanze non ne permettono l'atto esterno, e non bisogna dunque essere rinunciatari,scoraggiati, impoveriti, mutilati nella propria umanità.

  • La volontà che non obbedisce a una coscienza erronea è sempre cattiva, anche se la volontà disobbediente appetisce un vero bene che però la ragione le ha presentato come male (qu. 19. art. 5) . Questa importante osservazione di Tommaso è come una versione medievale della critica di Freud al Superio, come si vede dagli esempi riportati: se la ragione indicasse che seguire Gesù fosse un male la volontà che seguisse Gesù sarebbe cattiva, e se la ragione indicasse che commettere adulterio fosse un bene la volontà che non lo commettesse sarebbe cattiva

  • ma se la volontà che disobbedisce alla ragione erronea è cattiva, è anche cattiva la volontà che le obbedisce ! Ma – si potrebbe obiettare – allora colui che ha una ragione erronea dovrà peccare necessariamente! Sì, lo dovrà, perchè “ se il bene è causato da una integrità di cause, il male invece anche da particolari difetti. Perciò, per rendere cattivo l'oggetto che ha di mira la volontà, basta che sia cattivo in se stesso, o che sia percepito come tale. Ma perché sia buono si richiede sia l'una che l'altra cosa”. (qu. 19, art. 6)

  • In logica, come in morale, posto un errore, necessariamente ne seguono altri. Posto, p. es., che uno cerchi la vanagloria, sia che faccia per vanagloria quello che deve fare, sia che non lo faccia, peccherà ugualmente. E tuttavia non è perplesso, poiché può deporre la cattiva intenzione. Così, posto l'errore della ragione o della coscienza, dovuto a un'ignoranza colpevole, segue necessariamente il peccato nella volizione. E tuttavia quella persona non è perplessa, avendo la possibilità di togliersi dall'errore, se la sua ignoranza è causata da negligenza e dunque è  vincibile e volontaria.                                                                                                                                                                                         

 

...... ancora Tommaso

 

  • le cause della azione cattiva: ignoranza (ragione), infermità (sentimento), malizia (volontà)

  • solo l'ignoranza volontaria (dovuta a negligenza o addirittura a deliberata omissione) antecedente l'atto causa l'azione cattiva. Quella involontaria (“invincibile”) invece scusa.

  • la “malizia” è la azione causata dal vizio cioè da un abito cattivo, oppure dalla sottrazione di una remora (la speranza a causa della disperazione o il timore a causa della presunzione)

  • il “diavolo” è causa della azione cattiva esterna  indirettamente, producendo “immagini sensibili” (fantasie) false che alterano il principio conoscitivo, ma se questa alterazione acceca totalmente la ragione l'atto è cattivo solo esternamente ma non internamente. Dunque il “diavolo” non può “costringere al peccato”. Traducendo: la “parte” della mente accecata dalle seduzioni invincibili (“traumi”) non coinvolge l'accecamento della intera personalità, della visione del mondo, della opzione fondamentale della vita

  • nello stato di natura corrotta l'uomo ha bisogno della grazia che risana la ragione ma non risana totalmente l'appetito sensitivo, ecco perchè l'uomo redento può astenersi da ogni peccato “mortale” (aversione dal sommo bene), ma non da tutti i peccato veniali (conversione disordinata a beni particolari), infatti la ragione risanata dalla grazia se può “reprimere singolarmente gli appetiti sensitivi disordinati, però non può reprimerli tutti, sia perchè mentre ne reprime uno ne può insorgere un altro, sia perchè non è sempre pronta”. La grazia per noi ora è “imperfetta”: non risana l'uomo totalmente!

  • Una sintesi (incompleta) : Tommaso segue Agostino nel sottolineare la asimmetria tra bene e male nella scelta umana, e la drammatica debolezza dell'uomo che è “libero” solo se “è liberato”. Inoltre integra questo  - seguendo Aristotele – con un “intellettualismo”: la volontà segue l'intelletto. La libertà risiede nell'intelletto che può avere una indefinita serie di concetti riguardo alla realtà, ma è di fatto questa (come diceva Agostino) una “libertà minore”, perchè  l'intelletto è indebolito sia dal suo male proprio che è l'ignoranza, sia dai mali della volontà stessa (abitudini viziose che scindono e disattivano le operazioni dell'intelletto), sia dai mali dei sentimenti (che sono forze distraenti immediatamente dipendenti dall'imprevedibile presentarsi degli oggetti esterni).

 

 Duns Scoto, Occam, Buridano

 

ñ     John Duns Scotus (Duns in Scozia 1265 -  Colonia 1308) la volontà ha un “potere” in sè stessa, anche se l'intelletto le provvede l'informazione sull'oggetto -  ed essa non può prescindere da questo! - però essa non ha in questa informazione dell'intelletto una causa sufficiente: “niente diverso dalla volontà è in essa la causa della volizione. Una ragione è questa: in natura alcuni eventi accadono in maniera contingente, cioè sono evitabili; se fosse vero il contrario e ogni cosa avesse luogo inevitabilmente, non gioverebbe a nulla tenere consiglio e dare precetti” (Liber secundus Sententiarum)

ñ     William of Ockham (Surrey in Inghilterra 1285 – Monaco in Baviera 1348). Egli accentua l'indipendenza della volontà dall'intelletto, il quale da causa non sufficiente per la volizione diventa anche causa non necessaria. Siamo arrivati al significato moderno di “libera scelta”, e cioè “scelta indifferente”.  Un presupposto di questa teoria è che la libertà sia definita “assenza di necessità”, e sia una specie di indifferenza della volontà rispetto al suo oggetto e sia obliterata la distinzione tomistica dei tre significati di necessità (facendo inconsapevolmente  coincidere la necessità con la coazione, con quella cosa, cioè,  che in effetti leva la libertà). Una obiezione a ciò è quella aristotelica che nulla dalla potenza passa all'atto se non per un qualcosa di esterno che è già in  atto, ma Occam risponde dicendo che questo vale per gli “enti naturali” e non per la “volontà libera”(così ponendo una cesura – moderna! - tra uomo e natura). Un altro presupposto di questa teoria è che per la morale l'intenzione (atto “elicito” nei termini tomistici) conta tutto, mentre  il comportamento esterno (atto “imperato”) non conta per niente. Siamo arrivati alla concezione moderna di una morale basata sul Dovere Soggettivo e non sul Fine Oggettivo, ecco perchè Kant è stato anche chiamato “l'ultimo degli occamisti”.

ñ     Per Occam come per Tommaso e Aristotele io non sono determinato alla scelta di un mezzo o un altro quando ve ne sono un pluralità di idonei a raggiungere un fine. Ma diversamente da loro Occam pensa anche che io posso  sia volere sia non volere lo stesso fine ( il sommo bene, la felicità). E questo secondo lui è necessario se io sono responsabile delle mie azioni: se non potessi evitare di volere il sommo bene non sarei meritevole di lode quando lo voglio; inoltre sarebbero impossibili i peccati di omissione.

ñ     In sé stessi tutti gli atti esterni sono moralmente neutri, diventano moralmente buoni se l'atto interno ( che, come abbiamo visto, non ha una causa) è una intenzione di obbedire al volere di Dio. Come è decretato tale volere? Positivisticamente: cioè dalla Scrittura e dalla Chiesa. Ma un esempio da lui portato non è chiaro: fu buona ed obbligante la intenzione degli Ebrei di saccheggiare la case degli Egiziani, perchè Dio lo aveva ordinato. Ma come hanno conosciuto tale ordine?

ñ     Occam dunque sottolinea che un atto è “bonum quia iussum e malum quia prohibitum” mentre la visione aristotelico-tomista era “iussum quia bonum, et prohibitum quia malum”.

ñ     Se nella etica  non c'è relazione con una “natura umana”, allora la felicità eterna è solo un “premio” dato da Dio a chi ha “obbedito” senza alcun rapporto intrinseco con la natura della azione.

ñ     Jean Buridan (Bethune, Francia 1299 – Parigi 1360) Buridano sembra avere avuto un compromesso tra la visione intellettualista di Aristotele e Tommaso e quella volontarista di Scoto ed Occam: coi primi concorda nel dire che la felicità consiste in un atto dell'intelletto e non della volontà; coi secondi enfatizza il ruolo della volontà nel perseguire tale atti dell'intelletto. Questo basandosi sulla sua idea di “libera scelta”: siccome la certezza ammette gradi, più siamo incerti meno avremo motivo di agire, l'intelletto non ha chiaro cosa è da scegliere e la volontà procrastina la scelta. Essa è “libera” nel senso che “non arriva a dovere decidere”.

ñ     Non sembra però sincero questo compromesso di Buridano tra intellettualisti e volontaristi:  egli infatti scrive che “la volontà differirà la scelta solo se l'intelletto avrà giudicato bene considerare ulteriormente la cosa”( Quaestiones super decem libros Ethicorum Aristotelis ad Nicomachum, Paris, 1513, quaestio III.5: 44va). Come scrive Jack Zupko (univ. Di Stanford): “Questa affermazione pone chiaramente il differimento sotto la giurisdizione dell'intelletto, il quale deve ponderare il maggiore o minore bene presenti nelle varie azioni, inclusa quella azione che è il differimento della scelta”. Più che un compromesso, Buridano sembra “essersi appropriato della terminologia volontarista per esprimere una visione fortemente intellettualista, ed ha fatto questo per evitare le accuse di eterodossia che già erano incorse a Tommaso nelle condanne del 1277 da parte del vescovo di Parigi, Tempier”.

ñ     l'Apologo dell'Asino non si può trovare in nessuno scritto di Buridano! La migliore spiegazione del perchè tale apologo sia associato al suo nome è che si tratta di una parodia fatta dai sui critici ostili, i quali trovavano assurda l'idea che la “libera scelta” potesse consistere nella inazione a causa di un continuo differimento del giudizio finale dell'intelletto. Le peculiarità poi della vita personale di Buridano (diversamente dagli altri dottori della Scolastica non insegnò a Teologia ma solo a Arti, e diversamente da loro anche non fece parte di alcun ordine religioso) possono suggerirci qualcosa sulle sue idee ….

ñ     Contesto storico esterno. La lotta basso-medievale contro la sottomissione cesaropapista, teocratica, feudale: i prodromi sono nel XI-XIII secolo e cioè Gregorio II/Enrico IV, Enrico II/Thomas Beckett, Giovanni Senza Terra e la Magna Charta. Ma è nel XIV secolo (è il momento di Dante!) con Filippo IV e Avignone e lo Scisma d'Occidente da una parte, e la Guerra dei Cento Anni dall'altra, che si esplicitano situazioni storico-politiche tali da spostare il focus teoretico filosofico del problema della libertà. Esempi:  a) l'investitura vescovile spirituale e i cardinali, b) a nascita degli stati nazionali, c) la nascita delle chiese nazionali sono tre lotte e vittorie – rispettivamente – contro: a) la sottomissione del potere spirituale a quello temporale, b) della identità del cittadino contro la sottomissione feudale, c) della identità del popolo contro la sottomissione teocratica

ñ     l'idea della libertà come “scelta tra indifferenti” si può così descrivere : 1) è una teoria falsa riguardo alla scelta dell'individuo nelle sue catene di causazione riferite alla volontà (da parte dell'intelletto, delle abitudini, degli oggetti esterni, dei sentimenti, delle fantasie interne) , 2) è una teoria vera se riguarda la ricerca del pluralismo e della divisione dei poteri nella sfera pubblica, contro il semplicistico monolitismo universalista del Medio Evo... solo in questo secondo ambito la “indifferenza” andrebbe dunque letta come “pluralità di scelte autonome in base alle situazioni personali

ñ     cerco così di dipanare un pochino il garbuglio concettuale di Occam: egli ritiene “senza causa” l'atto interno della volontà (piano fisico e psicologico), però lo ritiene “buono”  o “cattivo” (piano morale) se obbedisce o disobbedisce a un “ordine” altrui, cioè se si sottomette a una volontà altrui. Da una parte ritiene l'uomo “libero” se è  “svincolato dalla natura, dalle leggi di causa ed effetto”, dall'altra lo ritiene “buono” se è sottomesso. Come dire: un Francese obbedisce a Filippo IV e non al Papa, un Tedesco obbedisce a Arrigo VII e non al Papa, un abitante di Anagni obbedisce al Papa e non a Filippo IV e ad Arrigo VII. Questo è un bene per tutti e tre: ecco la “indifferenza”... qui significa “pluralismo (nel secolo precedente si sarebbe detto che solo chi obbedisce al Papa fa bene). Ma Occam vuole esaltare l'idea di “merito” (credito e ricompensa) e pensa che ciascuno dei tre è “meritevole” perchè avrebbe potuto “indifferentemente” (qui “indifferenza” significa invece “assenza di causazione”) obbedire o non obbedire alla sua propria autorità. Da una parte Occam , attratto dalla idea di merito e ricompensa, dice che la Libertà è obbedienza (“coazione”), dall'altra - come ribellandosi a questa cosa umiliante per la dignità umana – costruisce una fantastica assenza di causazione nel decidere di obbedire o no, che ai suoi occhi “esalta” il potere della mente umana.

ñ     Scoto, Occam, Buridano sono come la “nottola di Minerva” hegeliana rispetto a questi fatti... i primi due manifestano la insoddisfazione verso il semplicistico “universalismo” del Medio Evo, ma confondono i due piani privato/pubblico, il terzo mostra l'errore dei primi due, e cioè la indipendenza della volontà dall'intelletto, ma poi depaupera l'intelletto mostrandolo bloccato in pensamenti indefinitivamente lunghi … molti  filosofi successivi come Spinoza, Hume e Voltaire sono espliciti a seguire  la critica di Buridano da una parte (la libertà intra-mentale, individuale, è  compatibile con la necessità naturale e di fine), e dall'altra a teorizzare tolleranza e pluralismo (la libertà extra-mentale è  incompatibile con la necessità di  coazione): nasce dunque dal XVII secolo in poi il movimento del Liberalismo...

 

 

Bibliografia

 

Ø       Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae

Ø       John Duns Scotus, Commentarium in libros sentantiarum Petri Lombardi

Ø       Alessandro Ghisalberti, Guglielmo di Ockham, Vita e Pensiero, Milano, 1972

Ø       Jack Zupko, Jean Buridan, in Stanford Encyclopedia of Philosophy (online)

 

Liberalismo

 

ñ      il Liberalismo è quella teoria politica che afferma: a) che è “libero” uno Stato in cui si può criticare il governo senza essere perseguitati; b) che il potere sovrano (che esso stia nelle mani di uno, di pochi o del popolo) deve sempre essere limitato e mai essere illimitato (assoluto);  c) che in uno Stato devono essere garantite le “quattro libertà dei moderni” (personale, di espressione, di associazione, di movimento); d) che i quattro poteri dello Stato ( legislativo, esecutivo, giudiziario, mediatico) devono essere separati ed indipendenti l'uno dall'altro ; e) che i diritti “naturali” (fondamentali ed universali) dell'individuo non devono essere violati dalle leggi di uno Stato

ñ      alcune tappe del percorso politico: Pace di Augusta (1555), Editto di Nantes (1598), Prima Rivoluzione Inglese (1648), Habeas Corpus (1679), Seconda Rivoluzione Inglese (1688), Dichiarazione di Indipendenza delle Colonie Americane (1776), Costituzione degli Stati Uniti (1787), Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino (1789), Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (1948)

ñ      alcune tappe del percorso teorico: Baruch Spinoza, Trattato teologico-politico (1670 ) , John Locke, Due trattati sul governo (1690 ), Robert de Montesquieu, Lo spirito delle leggi ( 1748), Voltaire, Trattato sulla Tolleranza (1762), Benjamin Constant, Della libertà degli antichi comparata con quella dei moderni (1819 ), Alexis de Tocqueville, La democrazia in America ( 1840), John Stuart Mill, Sulla Libertà ( 1859), Benedetto Croce, Storia di Europa nel secolo XIX (1934 ), Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici (1945 ), Iasiah Berlin, Quattro saggi sulla Libertà (1969).

ñ      le due libertà: “negativa” e “positiva”

ñ      la libertà negativa riguarda le azioni (“atti imperati”, o esterni) ed è dunque sia mancanza di impedimento ad agire sia  mancanza di coazione ad agire

ñ      mentre la libertà positiva riguarda la volontà (“atti eliciti”, o interni) ed è dunque sia  potere di determinarsi da sè (autonomia), sia di  non essere determinati da altri o altro (eteronomia)

ñ      la libertà positiva della volontà è un potere (avere capacità di sapere cosa uno vuole)  di riuscire a perseguire delle norme date da sé, è dunque il potere che viene dalla Ragione. Questa libertà si stabilisce ed esiste contro la debolezza, e cioè contro il perseguire altre norme o forze: quelle che nella tradizione etica Tommaso elencava come fattori che indeboliscono gli atti eliciti della volontà e li portano verso il male (ignoranza, forza della passione, suggestioni sensibili ed immaginative)

ñ      il problema della libertà negativa è quello del Liberalismo ed è stato detto da alcuni autori che questa libertà è l'unica che riguardi la politica, mentre quella positiva riguarda la psicologia e la morale

ñ      ma da altri autori è stato invece messo in luce come anche la libertà positiva riguardi la politica, in quanto sia a) l'acquisire la capacità di autodeterminarsi (ragionare) , e b) sia l'esercizio effettivo dell'autodeterminazione (il mettersi di fatto a ragionare) “dipendono” dalla dimensione collettiva della interpersonalità. Questa libertà positiva è dunque il problema della Democrazia nel senso ampio di: interesse, coinvolgimento e partecipazione attiva alla vita pubblica, ai problemi del bene comune

ñ      poiché nessuno mette in dubbio la causazione determinante (sia nella sua assenza sia nella sua presenza) dello Stato riguardo alla libertà negativa, il problema filosofico Determinismo/Indeterminismo nel “libero arbitrio”  – dunque – si pone  solo per la libertà positiva, quella degli atti interni della volontà, e i filosofi dall'Età Moderna in poi hanno decisamente optato per il “determinismo”: si vedano i testi distribuiti ai corsisti di Thomas Hobbes (da Of Liberty and Necessity del 1654)) e di Voltaire (dal Dizionario Filosofico del 1764). Cioè i filosofi moderni (o contemporanei come Freud)  hanno optato, come aveva fatto l'intellettualismo atistotelico-tomista, per l'idea che l'intelletto sia sempre causa degli atti della volontà

ñ      le problematiche sul Determinismo furono – in sede di “teoria politica” – però semplificate. Bisogna tornare in sede di “teoria etica” per la specificazione di alcuni approfondimenti, riguardanti:  a) la differenza tra i fatti del passato e i fatti del futuro;  b) la causazione (automatica e rigida oppure no?) dei concetti dell'intelletto da parte degli oggetti della realtà, c) la causazione dei concetti dell'intelletto da parte della Noosfera Linguistico-Interpersonale piuttosto che da parte di una Mente Individuale Indipendente; d) i due significati (fisiologico e patologico)  di “dipendenza” interpersonale ; e) i due significati (“psicologico” e “affettivo”) di “dipendenza” interpersonale.

ñ      Ma di queste importanti  problematiche (importanti, perchè sono la ripresa, attraverso nuove concettualizzazioni dell'antico tema agostiniano del rapporto tra “Libertà” umana e “Grazia” divina)  tratteremo, almeno velocemente,  alla fine del corso trattando delle teorie “psicologiche” di Sigmund Freud e di Herbert McCabe.

 

Bibliografia

Ø       Norberto Bobbio, Libertà, in Eguaglianza e Libertà, Einaudi, Torino, 1995

Ø       Norberto Bobbio, Liberalismo e Democrazia (1986), Simonelli, Milano, 2005

Ø       Michelangelo Bovero, La libertà e i diritti di libertà, in Quale Libertà? Dizionario minimo contro i falsi liberali, Laterza, Bari, 2004

Ø       Ian Carter, Positive and Negative Liberty, in Stanford Encyclopedia of Philosophy, online, 2007

 

 

Conclusioni

 

ñ     Sigmund Freud, una importante sintesi del percorso filosofico sul tema che trattiamo:

ñ     il “Determinismo bene inteso” (cioè l'Intellettualismo!) : Freud e i numeri “casuali”(Psicopatologia della vita quotidiana)

ñ     se si pensa al “libero arbitrio” come “arbitrio di indifferenza”, esso è una illusione, dovuta al fatto che si considera solo la mente conscia e non quella inconscia, cioè si è consapevoli solo di alcune delle proprie idee, ma non di altre (Psicopatologia della vita quotidiana )

ñ     lo scopo della terapia è rendere la persona più razionale, consapevole e padrona di sé stessa (Introduzione alla psicanalisi e Compendio di psicanalisi)

ñ     il fine della psicanalisi non è di rendere impossibile la malattia ma di fornire più opzioni di scelta al paziente (L'Io e l'Es )

 

ñ     Se la volontà è determinata dall'intelletto, da cosa lo è l'intelletto? Dallo “oggetto” solo in piccola parte, noi pensiamo fondamentalmente quel che “possiamo” pensare in base ai concetti che ci fornisce la Noosfera Linguistico-Interpersonale: la Mente Individuale non è indipendente. Cosa vuole dire “dipendenza” dalle menti altrui? :

ñ                 i due significati (buono e cattivo)  di “dipendenza” interpersonale. In quella buona dipendiamo  dall'altra persona perchè ci aiuta a sviluppare delle nostre cose buone, personali e vitali. In quella cattiva dipendiamo dall'altra persona perchè sia è una protesi esterna al posto del vuoto dentro di noi, sia perchè conferma e giustifica le nostra parti morte e sviate

ñ                 i due significati (“psicologico” e “affettivo”) di “dipendenza” interpersonale buona. La prima ha come modello i genitori: e cioè ci serve per imparare verità. La seconda ha come modello i coetanei e ci serve per  sentirci significativi, utili nella condivisone comune degli scopi della vita.

 

ñ     Herbert McCabe e  il ruolo della “grazia” verso la “libertà”:

ñ                                          contro la impoverita nozione di libertà del liberismo individualista, la Bibbia ci presenta qualcosa di diverso: il complicato legame tra legge, comunità, amore e “spazio vuoto” di gratuità attorno alla Persona...il concetto di “nothing” e “space” attorno alla persona individuale  che permette la crescita della persona grazie a questo dono degli amici … lo spazio vuoto gratuito, che non richiede contraccambio... facciamoci degli esempi...

ñ                                          Ripresa  di Agostino sulla simmetria tra bene e male e il problema della Grazia. Pensiamo alle nostre esperienze: cosa è la “a-simmetria tra bene e male”? Che la Libertà non è “indifferenza” di scelta tra bene e male, ma essere capaci si volere il bene... e come si riesce a fare? il male è combattuto non con la lotta contro esso, ma innamorandosi del bene e abbracciandolo! E il bene (tutti i beni) ci sono dati gratuitamente....

ñ     Herbert McCabe e il ruolo della “libertà” verso la “grazia”:

ñ     non la morte “animale” ma la morte “umana” è vissuta come una ingiustizia... come dare ad essa un significato? Una risposta è nel collegare la nostra morte umana  alla nostra “libertà/responsabilità”...

ñ     l'uso di linguaggio e pensiero non è solo un indizio della nostra libertà, ma è la nostra libertà... più siamo liberati da Liberatori (questa è la azione di Dio che non “ci costruisce”, ma liberandoci della alienazione fa sì che “noi ci costruiamo da noi stessi”) più siamo capaci di usare il pensiero interpersonale e quindi esser liberi.... nel senso di autodeterminarci e creare cose nuove...

ñ     Rispondiamo ora al problema del Gorgia di Platone, presentato all'inizio del corso. Quando sentiamo la parola “libertà” pensiamo tutti a “qualcosa di buono”... poi però se dobbiamo dire cosa essa sia abbiamo difficoltà... non sappiamo come giustificare il fatto che questo a)  qualcosa di buono (“io faccio ciò che voglio”) possa risultare b) cattivo (“quello là fa quel che gli pare”)... la risposta è che : a)  deriva dal non essere costretta la mia “volontà” da volontà altrui, ma dipendere (necessariamente) solo dal mio “intelletto” (alle somme: dalla mia Personalità in Contatto con la Realtà); e b) deriva dal fatto che la mia “volontà” sia – almeno in parte - dipende da: sentimenti urgenti e distraenti  che sorgono al momento non opportuno, e da Superio (presunte volontà di Altre Persone) che ci intimidiscono, e da interne fantasie pazze che ci ubriacano, e da abiti viziosi contratti nel tempo a causa di ideologie “cattive maestre” che ci irrigidiscono (alle somme: dalla mia Personalità Non in Contatto con la Realtà), sia così facendo (“faccio quel che mi pare”) può costringere le volontà altrui.

ñ     Qualche risultato teorico utile per la pratica:

ñ     se libertà non significa “scelta indifferente” e non c'è simmetria tra bene e male, allora: 1) non siamo malevoli moralisti verso gli altri e verso noi stessi, 2) valutiamo pensiero e conoscenza come più ampia consapevolezza del numero di beni disponibili al nostro amore

ñ     se libertà non significa “individualismo” e valutiamo l'interpersonalità delle nostre esistenze, in special modo delle nostre esistenze mentali, allora: 1) ascoltiamo e approfondiamo i punti di vista altrui, le culture, la storia collettiva, 2) vediamo l'aspetto di dono che viene a noi e alle nostre menti e siamo grati

ñ     se libertà significa “non-sottomissione” alle volontà di altre persone, allora: 1) valuteremo tutte le lotte di liberazione dalle molteplici forme di oppressione presenti nel Mondo esterno a noi, 2) combatteremo i molteplici Superio oppressivi dentro la nostra mente individuale

ñ     se libertà significa essere “padronanza di sé stessi verso una auto-realizzazione”, allora : 1) saremo vigili e solleciti nella auto-critica cioè nel discernimento tra le nostre parti interne (quelle che ci aiutano a raggiungere ciò che amiamo soprattutto e dunque liberano le nostre forze, quelle che ci ostacolano e dunque imprigionano le nostre forze); 2)  saremo esplorativi e coraggiosi e speranzosi nel cercare esternamente tutti gli aiuti per questa liberazione delle nostre forze vitali interne

ñ     I Corsisti rifanno il primo esercizio svolto all'inizio del corso

 

 

 

Bibliografia

 

ü       Sigmund Freud , Psicopatologia della vita quotidiana, 1901

ü       Sigmund Freud , Introduzione alla psicanalisi, 1915-17

ü       Sigmund Freud , L'Io e l'Es, 1922

ü       Sigmund Freud , Compendio di psicanalisi, 1938

ü       Herbert McCabe, God Matters, 1987

ü       Herbert McCabe, God, Christ and Us. 2003

ü       Herbert McCabe,  il saggio Freedom nel suo libro Faith within Reason, 2007

 

 

*  *  *

 

Appendici / Sussidi

 

Risultati di media tra le risposte dei Corsisti nei primi due esercizi

 

ü      risultati primo esercizio:

ü   2) 51,  primo schiavo liberato

ü   3) 71, secondo popolo e dittatore

ü   1) 86, terzo nazione contro altra che la domina

ü   5)118, quarto pari merito prigioniero scarcerato

ü   8) 118 quarto pari merito eroinomane disintossicato

ü   15) 119 quinto da solo sostengo una idea contro tutti

ü   4) 135,  sesto libertà di stampa

ü   12) 147 settimo dico che sono omosessuale

ü   14) 170 ottavo pari merito non mi faccio più bello e mi prendano per come sono

ü   16) 170 ottavo pari merito cambio lentamente una ideologia negativa che prima avevo

ü   11) 171 nono dico al mio capo i suoi difetti

ü   7) 178 decimo un coniuge ottiene il sospirato divorzio

ü   6) 184 undicesimo un ragazzo esce di casa e va a vivere da solo

ü   10) 190 dodicesimo tutti mi aspettano a un incontro ma io non vado e non li avverto

ü   9) 191 tredicesimo  un neolaureato ha una ampia scelta di offerte di lavoro

ü   13) 202 quattordicesimo sono in  ferie con tutto il tempo libero per me

ü   17) 245 quindicesimo ed ultimo se non sono visto, faccio atti trasgressivi

 

 

ü       risultati secondo esercizio:

 

ü   primo Salute Mentale: 68

ü   secondo Qualcuno mi Ama: 98

ü   terzo Libertà: 106

ü   quarto Salute Fisica: 110

ü   quinto Onestà: 118

ü   sesto Amare Qualcuno: 119

ü   settimo Intelligenza e Cultura: 120

ü   ottavo Coraggio e Non Vigliaccheria: 134

ü   nono Giustizia Sociale: 143

ü   decimo Fedeltà e Lealtà: 164

ü   undicesimo Sicurezza Economica: 184

ü   dodicesimo Pace e Tranquillità nei Rapporti Interpersonali: 204

ü   tredicesimo Fede in Dio: 225

ü   quattordicesimo Popolarità / Essere Simpatico: 268

ü   quindicesimo e penultimo Bellezza e Appeal Erotico: 270

ü   sedicesimo e ultimo Divertimento e Ricreazione: 279

 

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dal Gorgia di Platone

 


 

SOCRATE

Non hai detto poco fa press'a poco questo: «I retori non fanno forse uccidere, come i tiranni, chi vogliono, non spogliano dei beni e non scacciano dalle città chi pare a loro?»?

POLO

Sì.

SOCRATE

Ebbene, ti dico che queste sono due domande, e ti risponderò ad entrambe. Sostengo, Polo, che tanto i retori quanto i tiranni hanno, nelle città, pochissimo potere, come ho appena detto, perché, in un certo senso, non fanno nulla di ciò che vogliono, e tuttavia fanno quello che a loro sembra il meglio.

POLO

E non consiste forse in questo l'avere grande potere?

SOCRATE

No, almeno stando a quello che dice Polo.

POLO

Io dico di no? Ma io lo affermo!

SOCRATE

O corpo di un...! Tu non lo affermi affatto, dato che sostenevi che l'avere grande potere è un bene per chi lo possiede.

POLO

Certo che lo sostengo!

SOCRATE

Pensi dunque che sia un bene, se uno fa le cose che gli sembrano migliori, ma senza avere intelligenza? E questo tu lo chiami avere grande potere?

POLO

Non io!

SOCRATE

Non riuscirai, allora, a dimostrare che i retori hanno intelligenza e che la retorica è un'arte e non una lusinga, se mi avrai confutato? Se invece mi lascerai inconfutato, allora sarà vera l'affermazione che i retori, e con loro i tiranni, facendo nelle città ciò che loro pare, non hanno guadagnato in questo alcun bene, e sarà vero, d'altra parte, che il potere, come tu dici, è un bene, mentre il fare senza intelligenza ciò che pare, come anche tu ammetti, è un male. Non è vero?

POLO

Sì.

SOCRATE

Come può essere vera, dunque, l'affermazione che i retori, o i tiranni, abbiano grande potere nelle città, a meno che

SOCRATE non venga confutato da Polo, e non gli venga da questi dimostrato che essi fanno ciò che vogliono?

POLO

Quest'uomo...

SOCRATE

Io nego che essi facciano ciò che vogliono. Ebbene, confutami!

POLO

Non hai appena ammesso che essi fanno ciò che loro pare essere meglio?

SOCRATE

Infatti lo ammetto anche ora.

POLO

E non fanno, allora, ciò che vogliono?

SOCRATE

Lo nego.

POLO

Benché facciano ciò che loro pare?

SOCRATE

Sì.

POLO

Dici cose spaventosamente paradossali, o Socrate.

SOCRATE

Non parlare male di me, mio carissimo Polo, per rivolgermi a te nei tuoi stessi termini. Piuttosto, se hai domande da farmi, dimostra che io m'inganno, altrimenti, rispondi tu.

POLO

Ma io sono disposto a rispondere, almeno per sapere quello che intendi dire.

SOCRATE

Ebbene, ti pare che gli uomini vogliano la cosa che di volta in volta fanno, o la cosa in vista della quale fanno ciò che fanno? Ad esempio, coloro che bevono le medicine prescritte dai medici, ti sembra che vogliano la cosa che fanno, ossia bere la medicina e soffrire, o la cosa in vista della quale la bevono, ossia essere sani?

POLO

È chiaro che quello che vogliono è essere sani.

SOCRATE

Anche coloro che vanno per mare, allora, e coloro che si imbarcano in qualche altra impresa di guadagno, non vogliono la cosa che di volta in volta fanno: chi vuole, infatti, andare per mare, correre pericoli e avere guai? Vogliono invece, credo, la cosa in vista della quale vanno per mare, vale a dire arricchire. E per amore della ricchezza, infatti, che vanno per mare.

POLO

Certamente.

SOCRATE

E non è forse così in tutte le cose? Se uno fa una cosa per un fine, non vuole la cosa che fa, bensì la cosa per cui fa quello che fa.

POLO

Sì.

SOCRATE

Ebbene, fra le cose che esistono ce n'è qualcuna che non sia né buona né cattiva né una via di mezzo fra il bene e il male, vale a dire né buona né cattiva?

POLO

È senza dubbio necessario, o Socrate.

SOCRATE

Dunque, non definisci forse beni la sapienza, la salute, la ricchezza e le altre cose di questo genere, e mali le cose opposte a queste?

POLO

Sì.

SOCRATE

E le cose né buone né cattive non dici, allora, che sono queste che talora partecipano del bene, talora del male, e talora di nessuno dei due, come accade per lo stare seduti, il camminare, il correre e il navigare, e come accade nel caso delle pietre, dei legni e delle altre cose di questa specie? Non è forse a queste cose che ti riferisci? O sono altre le cose che tu chiami né buone né cattive?

POLO

No, sono proprio queste.

SOCRATE

Ebbene, si fanno le cose che sono una via di mezzo in vista delle cose buone, o si fanno le cose buone in vista di quelle che sono una via di mezzo?

POLO

Senza dubbio si fanno le cose che sono una via di mezzo in vista di quelle buone.

SOCRATE

Dunque, è perché inseguiamo un bene che noi camminiamo, quando camminiamo, pensando che sia meglio farlo, e, al contrario, quando stiamo fermi, stiamo fermi in vista dello stesso fine, vale a dire il bene. Non è così?

POLO

Sì.

SOCRATE

E allora non uccidiamo, se uccidiamo qualcuno, non scacciamo e non spogliamo dei beni, nella convinzione che sia meglio per noi fare queste cose, anziché non farle?

POLO

Certamente.

SOCRATE

Allora è in vista del bene che fanno tutte queste cose coloro che le fanno!

POLO

Lo affermo.

SOCRATE

E non abbiamo forse stabilito di comune accordo che noi vogliamo non le cose che facciamo in vista di un certo fine, ma il fine stesso per il quale le facciamo?

POLO

Proprio così.

SOCRATE

Allora noi non vogliamo trucidare, né scacciare dalle città né spogliare dei beni così semplicemente, ma, quando queste azioni siano utili, allora noi le vogliamo compiere, e quando invece siano dannose, non le vogliamo compiere. Infatti, noi vogliamo le cose buone, come tu affermi, mentre le cose che non sono né buone né cattive non le vogliamo, e così neppure le cose cattive. O no? Ti sembra che io dica il vero, Polo, o no? Perché non rispondi?

POLO

Dici il vero.

SOCRATE

Dunque, visto che su questo siamo d'accordo, se uno, tiranno o retore che sia, uccide qualcuno o lo scaccia dalla città o lo spoglia dei beni, pensando che questo sia meglio per lui, mentre in realtà si dà il caso che sia peggio, senza dubbio costui fa ciò che gli pare. O non è così?

POLO

Sì.

SOCRATE

E fa, forse, anche le cose che vuole, se, in realtà, si dà il caso che queste cose siano mali? Perché non rispondi?

POLO

Ebbene, non mi sembra che faccia le cose che vuole.

SOCRATE

Può essere, allora, che costui abbia grande potere in quella data città, se è vero che l'avere grande potere è, per tua ammissione, un bene?

POLO

Non può essere.

SOCRATE

Allora io dicevo la verità, quando sostenevo che può ben essere che un uomo, che faccia nella città ciò che gli pare, non abbia tuttavia grande potere né faccia ciò che vuole.

POLO

Sicché, Socrate, tu non accetteresti che ti fosse permesso di fare nella città ciò che ti pare anziché no, o non proveresti invidia a vedere che uno uccide chi gli pare, o lo spoglia dei beni o lo fa imprigionare!

SOCRATE

Intendi dire giustamente o ingiustamente?

POLO

Che lo faccia in un modo o nell'altro, non è in entrambi i casi invidiabile?

SOCRATE

Bada a come parli, o Polo!

POLO

E perché?

SOCRATE

Perché non bisogna invidiare chi non è degno di essere invidiato né gli sciagurati, ma averne piuttosto compassione.

POLO

Che dici? Ti pare che sia questa la situazione degli uomini di cui io parlo?

SOCRATE

E come potrebbe non parermi tale?

POLO

E chi uccide chi gli pare, se lo uccide con giusta ragione, ti pare forse sciagurato e degno di compassione?

SOCRATE

A me no, ma non mi pare neppure degno di invidia.

POLO

Non l'hai appena definito uno sciagurato?

SOCRATE

Certo, amico mio, ma colui che uccide ingiustamente, e mi pare, per giunta, degno di compassione. Invece, colui che uccide con giusta ragione l'ho definito "non invidiabile".

POLO

Caso mai, è colui che viene ingiustamente ucciso ad essere degno di compassione e sciagurato!

SOCRATE

Meno del suo uccisore, o Polo, e meno di colui che muore giustamente.

POLO

In che senso, dunque?

SOCRATE

Nel senso che il più grande dei mali è commettere ingiustizia.

POLO

Questo, dunque, è il male più grande? Non è male peggiore il subire ingiustizia?

SOCRATE

Niente affatto!

POLO

Tu, allora, preferiresti subire ingiustizia piuttosto che commetterla?

SOCRATE

Io non preferirei né l'uno né l'altro; ma, se fosse necessario o commettere ingiustizia o subirla, sceglierei il subire ingiustizia piuttosto che il commetterla.

 


*  *  *

 

… brevi testi di Agostino

 

ñ      arbitrium: a) sentenza dell'arbitrer (testimone oculare, giudice, mediatore) b) qualsiasi sentenza o decisione

ñ      Novi quippe heretici, inimici gratiae Dei, quae datur pusillis et magnis per Iesum Christum

ñ      Pelagius Manichaeos appellat catholicos

ñ      Liberum autem arbitrium defendendo praecipitant, ut de illo potius ad faciendam iustitiam quam de Domini adiutorio confidatur atque ut in se quisque, non in Domino glorietur

ñ      Liberi ergo a iustitia non sunt nisi arbitrio voluntatis; liberi autem a peccato non fiunt nisi gratia Salvatoris

ñ      Cum itaque non vivant bene filii hominum nisi effecti filii Dei, quid est quod iste libero arbitrio vult bene vivendi tribuere potestatem, cum haec potestas non detur nisi gratia Dei per Iesum Christum Dominum nostrum,

ñ      Quae potestas nisi detur a Deo, nulla esse potest ex libero arbitrio; quia nec liberum in bono erit, quod liberator non liberaverit, sed in malo liberum habet arbitrium, cui delectationem malitiae vel occultus vel manifestus deceptor insevit, vel sibi ipse persuasit.

ñ       Sed haec voluntas, quae libera est in malis, quia delectatur malis, ideolibera in bonis non est, quia liberata non est.

ñ       Homines, inquit, Dei opus esse defendimus nec ex illius potentia vel in malum vel in bonum invitum aliquem cogi, sed propria voluntate aut bonum facere aut malum, in bono vero opere a Dei gratia semper adiuvari, in malum vero diaboli suggestionibus incitari. Ad haec respondemus...nec ex Dei potentia vel in malum vel in bonum invitum aliquem cogi, sed Deo deserente pro meritis ire in malum et Deo adiuvante sine meritis converti ad bonum.

ñ      Manichaei negant homini bono ex libero arbitrio fuisse initium mali, Pelagiani dicunt etiam hominem malum sufficienter habere liberum arbitrium ad faciendum praeceptum bonum

ñ      Nec sub nomine gratiae fatum asserimus, quia nullis hominum meritis Dei gratiam dicimus antecedi. Si autem quibusdam omnipotentis Dei voluntatem placet fati nomine nuncupare, profanas quidem verborum novitates evitamus 10, sed de verbis contendere non amamus.

ñ      Boni cupiditas caritas est et caritas a Deo donatur.

ñ      Nihil homini iubetur quod a Deo non detur.

ñ      in omnibus disputationibus suis volunt intellegi gratiam, ut scilicet a Domino Deo adiutorium cognitionis habeamus, quo ea quae facienda sunt noverimus, non inspirationem dilectionis, ut cognita sancto amore faciamus, quae proprie gratia est. Nam scientia legis sine caritate inflat, non aedificat secundum eumdem Apostolum apertissime dicentem: Scientia inflat, caritas vero aedificat

ñ      quoniam sunt quidam, qui sic gratiam Dei defendunt, ut negent hominis liberum arbitrium, aut quando gratia defenditur, negari existiment liberum arbitrium

ñ      Revelavit autem nobis per Scripturas suas sanctas, esse in homine liberum voluntatis arbitrium. Quomodo autem revelaverit, commemoro vos, non humano eloquio, sed divino. Primum, quia ipsa divina praecepta homini non prodessent, nisi haberet liberum voluntatis arbitrium, quo ea faciens ad promissa praemia perveniret.

ñ      Sed sunt homines qui etiam de ipso Deo se excusare conantur, quibus dicit apostolus Iacobus: Nemo cum tentatur dicat: Quoniam a Deo tentor. Deus enim intentator malorum est; ipse autem neminem tentat. Unusquisque vero tentatur a concupiscentia sua abstractus et illectus; deinde concupiscentia, [McCabe: “Dio” non è il “Boss” dell'Universo, ma è la Realtà... la concupiscenza di cui qui si parla è la fantasia antireale che parte dal soggetto (da quel che qui è chiamato “uomo”!... dunque qui Agostino è come se dicesse: non devo incolpare la realtà della mia fantasia antireale... problema difficile perchè io faccio tale fantasia non a caso... Agostino per togliere la assurdità del caso fa appello al peccato originale e cioè alla complicità collettiva del peccato che precede me come singolo individuo... Sì! Giusto!... ma obietto: e tale complicità tale decaduta conoscenza della realtà non è essa anche un parte della realtà?... allora il monito di Agostino dovrebbe essere circoscritto così: “non imputare a Dio il peccato”   significa solamente dire che la realtà non è storta, ma piuttosto che la mia e nostra conoscenza della realtà è storta, senza invischiarsi nella spiegazione del perchè sia storta quella parte della realtà che è la nostra conoscenza della realtà]

ñ      ubi dicitur: Noli hoc, et noli illud, et ubi ad aliquid faciendum vel non faciendum in divinis monitis opus voluntatis exigitur, satis liberum demonstratur arbitrium. Nemo ergo Deum causetur in corde suo, sed sibi imputet quisque, cum peccat. [ cioè questi ordini “divini” sono conoscenza della realtà, sono verità... e io non devo pensare che non esista la verità cioè la conoscenza della realtà, essa esiste! Il “peccato” è la non-verità ... il “libero arbitrio” significa che la verità esiste ed è da me conoscibile... per es. “per vivere devo essere così e così coraggioso o temperante o giusto” il senso del “mandato” o “ordine” o “legge” deve intendersi in senso di imperativo ipotetico aristotelico e non imperativo categorico kantiano... ecco allora che questo “libero arbitrio” (sapere che se voglio vivere devo etc.) non coincide col potere fare ciò che è vero ... [qui si innesta l'altra polemica di Agostino quella contro i pelagiani: per “poter fare ciò che si conosce” è necessaria la Grazia … la Grazia non è la “scienza del vero” (che gonfia di superbia!) ma l'esserne innamorati e provarne dolce gioia, come Agostino scrive contro le due epistole dei pelagiani ]

ñ      Sine gratia Dei nihil boni agit liberum arbitrium

ñ      Et in hac re potestatem voluntatis ostendit, ubi ait: non habens necessitatem, potestatem autem habens suae voluntatis, ut servet virginem suam 49. Et tamen: non omnes capiunt verbum hoc, sed quibus datum est. Quibus enim non est datum, aut nolunt, aut non implent quod volunt; quibus autem datum est, sic volunt ut impleant quod volunt. Itaque, ut hoc verbum, quod non ab omnibus capitur, ab aliquibus capiatur, et Dei donum est, et liberum arbitrium

ñ      Neque enim praeciperentur, nisi homo haberet propriam voluntatem, qua divinis praeceptis obediret. Et tamen Dei donum est, sine quo servari castitatis praecepta non possunt

ñ      Semper est autem in nobis voluntas libera, sed non semper est bona. Aut enim a iustitia libera est, quando servit peccato, et tunc est mala; aut a peccato libera est, quando servit iustitiae 154, et tunc est bona

*  * *

 

Domande:

ñ     Nel Gorgia di Platone: in quale significato o aspetto del concetto di “libertà” si può dire che il tiranno gode di molta libertà?

      Non esser impedito da ostacoli e non esser sottomesso ad altre volontà

      avere la capacità di realizzare i suoi scopi (Uno Stato forte e stabile; La Influenza delle proprie idee e valori sui cittadini di esso; La Lunghezza del proprio dominio in esso;  La Realizzazione di tutte o almeno molte potenzialità naturali dell'uomo come conoscenza, amicizia, salute fisica e mentale , ricreazione, pace)

      avere molte possibilità di scelta tra linee di comportamento differenti ed eterogenee

ñ     cosa può significare il “mondo non caduto (edenico)”, di cui Agostino afferma il “posse non peccare”?

ñ     cosa può significare il “mondo caduto ”, di cui Agostino afferma il “non posse non peccare”?

ñ     cosa può significare il “mondo glorioso”, di cui Agostino afferma il “ non posse peccare”?

ñ     come rispondere alla obiezione di Pelagio sui premi e castighi ?

ñ      Se tutto il bene viene da Dio come può un tot di bene venire anche dall'Uomo?

 

*  *  *

 

Positive and Negative Liberty

 

By Ian Carter

First published Thu Feb 27, 2003; substantive revision Mon Oct 8, 2007, on SEP

Negative liberty is the absence of obstacles, barriers or constraints. One has negative liberty to the extent that actions are available to one in this negative sense. Positive liberty is the possibility of acting — or the fact of acting — in such a way as to take control of one's life and realize one's fundamental purposes. While negative liberty is usually attributed to individual agents, positive liberty is sometimes attributed to collectivities, or to individuals considered primarily as members of given collectivities.

The idea of distinguishing between a negative and a positive sense of the term ‘liberty’ goes back at least to Kant, and was examined and defended in depth by Isaiah Berlin in the 1950s and ’60s. Discussions about positive and negative liberty normally take place within the context of political and social philosophy. They are distinct from, though sometimes related to, philosophical discussions about free will. Work on the nature of positive liberty often overlaps, however, with work on the nature of autonomy.

As Berlin showed, negative and positive liberty are not merely two distinct kinds of liberty; they can be seen as rival, incompatible interpretations of a single political ideal. Since few people claim to be against liberty, the way this term is interpreted and defined can have important political implications. Political liberalism tends to presuppose a negative definition of liberty: liberals generally claim that if one favors individual liberty one should place strong limitations on the activities of the state. Critics of liberalism often contest this implication by contesting the negative definition of liberty: they argue that the pursuit of liberty understood as self-realization or as self-determination (whether of the individual or of the collectivity) can require state intervention of a kind not normally allowed by liberals.

Many authors prefer to talk of positive and negative freedom. This is only a difference of style, and the terms ‘liberty’ and ‘freedom’ can be used interchangeably. Although some attempts have been made to distinguish between liberty and freedom, these have not caught on. Neither can they be translated into other European languages, which contain only the one term, of either Latin or Germanic origin (e.g. liberté, Freiheit), where English contains both.

 

1. Two Concepts of Liberty

Imagine you are driving a car through town, and you come to a fork in the road. You turn left, but no one was forcing you to go one way or the other. Next you come to a crossroads. You turn right, but no one was preventing you from going left or straight on. There is no traffic to speak of and there are no diversions or police roadblocks. So you seem, as a driver, to be completely free. But this picture of your situation might change quite dramatically if we consider that the reason you went left and then right is that you're addicted to cigarettes and you're desperate to get to the tobacconists before it closes. Rather than driving, you feel you are being driven, as your urge to smoke leads you uncontrollably to turn the wheel first to the left and then to the right. Moreover, you're perfectly aware that your turning right at the crossroads means you'll probably miss a train that was to take you to an appointment you care about very much. You long to be free of this irrational desire that is not only threatening your longevity but is also stopping you right now from doing what you think you ought to be doing.

This story gives us two contrasting ways of thinking of liberty. On the one hand, one can think of liberty as the absence of obstacles external to the agent. You are free if no one is stopping you from doing whatever you might want to do. In the above story you appear, in this sense, to be free. On the other hand, one can think of liberty as the presence of control on the part of the agent. To be free, you must be self-determined, which is to say that you must be able to control your own destiny in your own interests. In the above story you appear, in this sense, to be unfree: you are not in control of your own destiny, as you are failing to control a passion that you yourself would rather be rid of and which is preventing you from realizing what you recognize to be your true interests. One might say that while on the first view liberty is simply about how many doors are open to the agent, on the second view it is more about going through the right doors for the right reasons.

In a famous essay first published in 1958, Isaiah Berlin called these two concepts of liberty negative and positive respectively (Berlin 1969).[1] The reason for using these labels is that in the first case liberty seems to be a mere absence of something (i.e. of obstacles, barriers, constraints or interference from others), whereas in the second case it seems to require the presence of something (i.e. of control, self-mastery, self-determination or self-realization). In Berlin's words, we use the negative concept of liberty in attempting to answer the question “What is the area within which the subject — a person or group of persons — is or should be left to do or be what he is able to do or be, without interference by other persons?”, whereas we use the positive concept in attempting to answer the question “What, or who, is the source of control or interference that can determine someone to do, or be, this rather than that?” (1969, pp. 121-22).

It is useful to think of the difference between the two concepts in terms of the difference between factors that are external and factors that are internal to the agent. While theorists of negative freedom are primarily interested in the degree to which individuals or groups suffer interference from external bodies, theorists of positive freedom are more attentive to the internal factors affecting the degree to which individuals or groups act autonomously. Given this difference, one might be tempted to think that a political philosopher should concentrate exclusively on negative freedom, a concern with positive freedom being more relevant to psychology or individual morality than to political and social institutions. This, however, would be premature, for among the most hotly debated issues in political philosophy are the following: Is the positive concept of freedom a political concept? Can individuals or groups achieve positive freedom through political action? Is it possible for the state to promote the positive freedom of citizens on their behalf? And if so, is it desirable for the state to do so? The classic texts in the history of western political thought are divided over how these questions should be answered: theorists in the classical liberal tradition, like Constant, Humboldt, Spencer and Mill, are typically classed as answering ‘no’ and therefore as defending a negative concept of political freedom; theorists that are critical of this tradition, like Rousseau, Hegel, Marx and T.H. Green, are typically classed as answering ‘yes’ and as defending a positive concept of political freedom.

In its political form, positive freedom has often been thought of as necessarily achieved through a collectivity. Perhaps the clearest case is that of Rousseau's theory of freedom, according to which individual freedom is achieved through participation in the process whereby one's community exercises collective control over its own affairs in accordance with the ‘general will’. Put in the simplest terms, one might say that a democratic society is a free society because it is a self-determined society, and that a member of that society is free to the extent that he or she participates in its democratic process. But there are also individualist applications of the concept of positive freedom. For example, it is sometimes said that a government should aim actively to create the conditions necessary for individuals to be self-sufficient or to achieve self-realization. The negative concept of freedom, on the other hand, is most commonly assumed in liberal defences of the constitutional liberties typical of liberal-democratic societies, such as freedom of movement, freedom of religion, and freedom of speech, and in arguments against paternalist or moralist state intervention. It is also often invoked in defences of the right to private property, although some have contested the claim that private property necessarily enhances negative liberty (Cohen, 1991, 1995).

After Berlin, the most widely cited and best developed analyses of the negative concept of liberty include Hayek (1960), Day (1971), Oppenheim (1981), Miller (1983) and Steiner (1994). Among the most prominent contemporary analyses of the positive concept of liberty are Milne (1968), Gibbs (1976), C. Taylor (1979) and Christman (1991, 2005).

 

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