CENNI
BIOGRAFICI
Il 4 maggio 1985, dopo molti mesi di degenza ospedaliera e di grandi
sofferenza, è morto a Pisa monsignor Antonio Landi, ucciso da un cancro
al fegato. Era nato a Pisa l'8 febbraio 1917, non conobbe il padre che
morì subito, la madre fu costretta per molti anni a stare a servizio e
così il piccolo Antonio crebbe in una famiglia adottiva, peraltro priva
di fede religiosa. Il suo benefattore fu mons. Pio Parenti che gli fu
catechista da ragazzino, suscitò in lui la vocazione e, vistane la viva
intelligenza, doro gli studi al seminario pisano gli procurò, grazie al
cardinale carmelitano Rossi, di andare a Roma ospite del Seminario
Francese e studente alla Università Gregoriana. Fatto sacerdote dal
vescovo Vettori nel 1939 fu cappellano dal '41 al ‘43 e poi parroco di
San Martino a Pisa-sud fino al ‘48. Fatto canonico del Duomo e
monsignore nel ‘49 ebbe vari incarichi nell'Azione Cattolica e
nell'ufficio catechistico. Intanto, durante l'occupazione tedesca, era
stato ispiratore della fondazione della D.C. pisana e in tutto il
dopoguerra fu molto attivo nei «comitati civici». Ma la sua attività
prevalente fu quella di insegnante, per quarant'anni, al seminario,
soprattutto di Sacra Scrittura. Net 1964 fu tra gli organizzatori del
Congresso Eucaristico che si tenne a Pisa in concomitanza del Vaticano II;
tra gli anni ‘60 e ‘70 partecipò a numerosi congressi nazionali e
internazionali di scienze sacre, soprattutto a quelli dall'Associazione
Biblica Italiana, Ente che volle ringraziare nel suo «testamento
spirituale». L’ultima sua opera fu la creazione di una scuola diocesana
di teologia per laici, di corso quadriennale, frequentato da centinaia di
allievi.
COSA DICEVA, COME ERA
lo ho avuto occasione — come poi dirò — di ascoltare molto a lungo
mons. Landi negli ultimi cinque anni della sua vita e in quella sede di
«riepilogo narrativo» e di «insegnamento morale» che nasce dal
seguente scenario: un uomo anziano so molte esperienze e meditate
opinioni, un uomo giovane curioso e studioso. Uno scenario che impone una
comunicazione prevalentemente a senso unico, ameno a livello verbale. Sul
«cosa diceva mons. Landi» credo, perciò di poter dare un contributo
originale.
«Come e quando ti è sembrata di avere una più diretta e certa
esperienza di Dio?».
«Quando ero giovane parroco e assistevo la lunga e dolorosa agonia di un
ragazzo, segretario di sezione comunista del quartiere che con crescente
devozione si era riaccostato — nei mesi precedenti la morte — ai
sacramenti e alla fede cristiana, fino a che affermò di essere contento
di essere scarnificato e sofferente come e insieme a Gesù Cristo. Lì,
più che in qualsiasi momento della mia vita, vidi la mano di Dio agire
con forza ben al di là delle capacità umane di quel ragazzo malato,
incolto e corrotto dall'ideologia atea e delle capacità umane di me
sacerdote giovane, inesperto e impacciato di fronte alla crudeltà fisica
della malattia. Per il resto devo dire che in quarant'anni di sacerdozio
non mi è mai capitata un'esperienza “mistica” nella preghiera e nel
sacrificio eucaristico o tantomeno nella contemplazione della natura o di
un'opera d'arte; mi dispiace, ma purtroppo a me tali incontri mistici con
Dio non sono mai stati concessi…»
E lo
diceva con un velo di bonaria ironia (tutto il discorso era nato dalla
lettura di un libro di Baget-Bozzo che parlava continuamente di una Voce
dello Spirito Santo). Questo su Dio. Sulla vita del cristiano mons. Landi
aveva tre massime che mi ripeteva spesso, a commentare a volte i suoi guai
e a volte i miei e la tendenza al pessimismo comune a entrambi: 1) il
cristiano durante le sofferenze deve ricordare che al di sopra di ogni
barriera di nuvole temporalesche c'è, costantemente e in pace, la luce
del sole; 2) il cristiano di fronte alle ciclopiche ingiustizie del Mondo
e alla smarrita coscienza della propria debolezza, deve ricordare che
quando le tenebre sono realmente fitte anche una fiammella molto fioca
riesce a farsi vedere e a essere un riferimento certo per gli altri; 3) il
cristiano di fronte alle tentazioni del Mondo che spingono a far progetti
per il futuro e a scoraggiarsi o a esaltarsi se questi progetti vanno bene
o male, deve ricordarsi che a ogni giorno basta la sua croce, senza farvi
pesare quelle (presunte) future, e che per seguire Gesù ogni giorno
bisogna prendere la croce (Luca, 9, 23).
«Qual è il comandamento mosaico più contravvenuto?».
«Il settimo».
Mons. Landi, per diversi anni «uomo d'azione», sapeva bene la
positività della prudenza, del compromesso, della diplomazia. Ma queste
cose, diceva, sono buone solo se sono la forma «paziente» della verità,
se invece vanno contro la verità sono completamente da respingersi. La
verità era per lui un valore primario, al di sopra di ogni calcolo e
anche di ogni pia intenzione, a qualsiasi livello di rapporto umano. Più
volte, a proposito dei moribondi e dei malati incurabili, mi disse
chiaramente che era dovere degli amici, dei familiari, dei medici, del
sacerdote porre senza cincischiamenti il malato di fronte alla verità
della propria condizione (con amarezza, purtroppo, devo dire che durante i
suoi ultimi nove mesi di vita, colpito dal cancro mortale, mons. Landi fu
costantemente e solidamente da tutti tenuto all'oscuro sulla natura del
proprio male, anche nonostante sue esplicite e ripetute richieste di
verità).
Di seguito raccolgo le opinioni di monsignor Landi sulla Chiesa, «semper
reformanda»: in generale, più volte amava sottolineare, come argomento
apologetico, l'origine divina della Chiesa la cui bimillenaria storia e la
cui cattolica espansione ed articolazione risulterebbero altrimenti
inspiegabili a causa dei tanti peccati e debolezze dei suoi componenti.
Oggi il peccato più tipico della Chiesa è il suo troppo parlare dei
poveri rispetto a quanto in effetti essa stessa vive la povertà. Il Papa
attuale merita sincero amore per la ponderosa e logorante fatica cui si
sottopone per essere maternamente presente vicino al maggior numero di
persone. Essendosi rotti i legami solidaristici della società
tradizionale, oggi il prete diocesano ha bisogno di immediati
provvedimenti dei vescovi per l'assistenza materiale e morale che lo salvi
dallo squallore della solitudine. I preti dal canto loro hanno il dovere
di continuare ad aggiornarsi e a studiare anche dopo il seminario: la
figura, purtroppo ancora prevalente, del prete arretrato e incompetente,
deve essere assolutamente eliminata. Data la crisi di vocazioni le
circoscrizioni parrocchiali dovrebbero essere ridisegnate eliminando gran
parte delle parrocchie dei centri storici urbani che immobilizzano pastori
senza gregge mentre altrove sempre più di frequente vi è il gregge ma
mancano i pastori. Tra i cristiani, e in primis tra il clero, bisogna
smettere di tenere le suore in uno stato di minorità di fatto, anche se
non di diritto. Nella Messa la predica non dovrebbe essere più lunga di
cinque minuti nei giorni feriali e di dieci in quelli festivi; il suo
scopo non è di esporre opinioni del prete — importanti, ma da
comunicare in diversa sede — ma di adattare la Parola di Dio
all'uditorio speciale che il prete si trova di fronte, proprio lì e
proprio in quel momento. Di solito i santi canonizzati sono religiosi e
religiose: sarebbe edificante il riconoscimento ecclesiastico anche delle
santità laiche (una madre sofferente e generosa, un lavoratore umile,
giusto e coraggioso) che certamente sono presenti tra noi. Per i
cosiddetti gruppi ecclesiali mons. Landi non aveva una gran simpatia, una
settimana prima dimi parlò scandalizzato di un broglio elettorale fatto a
Pisa per accrescere artificialmente il proprio potere. Ne lodava il
fervore e la generosità, ma notava in essi un grave difetto di
settarismo, direttamente in contrasto col concetto di «popolo di Dio»
della Lumen gentium. Sul Vaticano II mi sottolineava sempre il ruolo
decisivo di Paolo VI rispetto a quello di Giovanni XXIII perché il
Concilio fosse realmente un'espressione della base ecclesiale e dei tempi
moderni; riteneva che la riforma liturgica avviata dal Concilio fosse
ancora molto lontana da essere efficacemente applicata; predicava che un
futuro «Vaticano III» si occuperà soprattutto di rinnovare la figura
del sacerdote.
Quanto alla politica: riferendosi al dopoguerra e agli anni dei Comitati
Civici, più volte mi disse che erano quelle cose che andavano fatte
allora e che lui era molto contento di avervi contribuito, ma ormai da
parecchio tempo aveva cessato ogni contatto con la politica. Mi narrava
quanti uomini disinteressati lavoravano alla nascita della D.C., uomini
che poi non ebbero né cercarono alcuna fettina di potere e mi raccontava
anche di un pisano fuggito durante l'occupazione e la resistenza che
tornò dopo la liberazione, si guardò un po' in giro e poi disse: «La
D.C. è il partito che dominerà», ci si iscrisse e ne diventò anche
deputato… A me, completamente demotivato di fronte al voto elettorale
per partiti che mi parevano tutti identici, convinse a votare D.C. alle
politiche con questa argomentazione: la D.C. è… clientelare,
lottizzatrice come e più degli altri partiti, è vero, ma a causa della
componente storica cattolica che ancora la sopporta elettoralmente essa è
«costretta» a combattere divorzio e aborto e lo sarà in futuro contro
l'eutanasia, quindi è da preferirsi. So che chi lo conosceva solo di
vista riteneva mons. Landi un «conservatore», e non ne capisco il
perché, forse solo perché era riservato e colto; so comunque che l'unico
vescovo con cui avesse un'amicizia veramente fraterna era mons. Luigi
Bettazzi di Ivrea, il che, mi pare, dice tutto sul «conservatorismo» di
mons. Landi…
Ma… lux sancta nos illuminet ex libris, come recitava il timbretto che
mons. Landi apponeva sui propri libri: la sua attività principale era
diventata lo studio della Sacra Scrittura. Per la Bibbia e il mondo
geo-antropologico dell'Antico Vicino Oriente provava nello studio prima
ancora che rispetto e venerazione un genuino «godimento», forse per lui
insegnare era anche un mestiere, ma studiare la Bibbia era un reale
piacere. Comprava dalle case editrici di tutte le nazionalità le opere
più aggiornate sull’argomento; era una spesa impegnativa per le sue
strette finanze ma non voleva né sapeva rinunciarci. Prese a studiare
l'ebraico, che non aveva imparato a scuola. Non scriveva mai né tantomeno
pubblicava: aveva solo dei brogliacci promemoria alle lezioni, in
magmatica evoluzione secondo l'aggiornarsi dei suoi studi. Quasi
«ipnotizzato» dalla storia di Israele, aveva una certa insofferenza —
e questo per me era un suo difetto — per le teorizzazioni della
filosofia e della teologia, per tutto ciò che non fosse monumento storico
o congettura testuale. Diceva sempre che in Israele si vede chiara la mano
di Dio perché quel popolo, nel contesto etnico-giuridico-religioso di
quelle regioni, era meravigliosamente singolare; notava come «la promessa
fatta ad Abramo» fosse stata perfettamente adempiuta e come oggi quell'«arameo
errante» sia ricordato da centinaia di milioni di ebrei, cristiani,
musulmani e sia l'uomo più «nominato» (la discendenza!) tra quanti mai
nacquero; tra i profeti sentiva più vicino a sé Geremia; del Nuovo
Testamento diceva che certamente esso contiene il vangelo di Gesù
perché, oltre alla sublimità del messaggio, vi è l’accanita e unica
preoccupazione di conservare e tramandare i testi, segno di una
venerazione per essi delle prime comunità cristiane. L'ultima parola del
«testamento spirituale» di mons. Landi non è «Dio» ma è «Jahvè».
Antonio Landi amava molto l'autonomia, diceva che non sarebbe mai e poi
mai potuto essere un frate, e della vita comunitaria preferiva mettere in
luce i rischi più che i vantaggi: tra i religiosi stimava sinceramente,
però, i gesuiti. Egli non fu fatto vescovo: il cardinal Caprio, suo ex
compagno al Seminario Francese, cui chiesi direttamente il motivo, mi
disse che fu a causa della salute malferma; padre Ferdinando, per tanti
anni a Pisa e ora priore carmelitano a Arcetri, mi disse che a causa della
particolarità del clero pisano, poco propenso a solidarizzare e lodare
una dei propri membri e che infatti da molti anni non «produce» più
vescovi. Egli fu perciò — per quarant'anni — soprattutto un
insegnante: negli ultimi tempi era anche diventato come un'«agenzia di
collocamento» per chi aveva bisogno del lavoro e un «centro di
assistenza» per chi aveva bisogno di soldi, di consigli, di
incoraggiamento; molti amici chierici e laici morivano e lui, che aveva
come il carisma specifico, andava a confortare le loro ultime ore. Era poi
cappellano delle Suore immacolatine facendo per esso e per i loro
assistiti bambini e anziani una quotidiana pastorale d'ambiente. Era una
persona spiritosa, il suo humor era raffinato ma sapeva adattarsi
all'interlocutore. Era contemporaneamente vivace e riservato: un esempio
di questo contrasto era il cinema che lui amava vedere ma mai «in
diocesi», perciò lo faceva durante i suoi viaggi per convegni biblici o
altro. Avrebbe voluto vedere il film Gandhi, ma non ci riuscì.
Vorrei racchiudere in una frase l'esempio che mi ha dato mons. Landi, e
che non ho avuto da altri: si può essere idealisti senza essere retorici
e si può essere realizzatori senza essere potenti.
IL MIO INCONTRO CON LUI
La finestra del suo studio sulla Piazza del Duomo è per me l'immagine
più dolce e indimenticabile di Pisa, così come il suo volto è veramente
per me la sola «cara è buona immagine paterna» che nella mia mente «è
fitta». Lo incontrai a diciannove anni nel 1979 per iscrivermi alla
scuola teologica per laici che aveva costituito. lo allora, studente di
filosofia alla Scuola Normale, ero stato lasciato dalla mia famiglia di
origine in uno stato di devastazione psichica pietosa e avevo bisogno
estremo di quel vero amore che coincide con la verità e coi sani principi
della morale. Mons. Landi lo capi subito, subito mi compassionò, subito
mi amò. Da allora fino alla sua morte mi ha continuamente aiutato
materialmente e spiritualmente. A un certo punto insorse un'insonnia
nevrotica e paura della solitudine; egli mi accolse a casa sua per nove
mesi e grazie a lui riuscii a fare la tesi e laurearmi: studiavo alla
Normale durante il giorno ma alla sera andava a casa sua e prima di
dormire chiacchieravamo per tre, quattro ore su tutto. Io più che altro
ascoltavo. Ricordo di quel periodo una sensazione di pace che non avevo
provato da quando ero bambino piccolo e forse anzi non avevo provato mai.
Grazie a lui riebbi la fede, che era diventata per me solo un retaggio
culturale sempre più contraddittorio, e che avevo perso per la sfiducia
che provavo verso la Chiesa da cui mi sentivo «tradito» e imbrogliato
come da tutti gli altri adulti. Avendo fiducia in mons. Landi mi rinacque
fiducia anche verso gli altri. Questa «conversione» che vissi fu vissuta
attraverso me dal mio più caro coetaneo, Antonio Cannistrà, anche lui
normalista e anche lui senza più la fede; ora egli è postulante
carmelitano. Devo concludere affermando che mons. Landi fu per me il
principale evento di salvezza che mi ha tratto alla vita e mantenuto in
essa.
|