Franco Manni Recensione
del film Interiors
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Regia : Woody Allen Durata : 93 minuti Produzione : Charles Joffe, USA 1978, distribuito da United Artists Corporation Soggetto e sceneggiatura : Woody Allen Scenografia : Mel Bourne Fotografia : Gordon Willis Costumi : Joel Schumacher Cast : Diane Keaton (Renata), Marybeth Hurt (Joey), Kristin Griffith (Flyn), Geraldine Page (Eve), E.G.Marshall (Arthur), Richard Jordan (Frederick), Sam Waterston (Mike), Maureen Stapleton (Pearl)
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Ne Le quattro giornate di Napoli abbiamo visto i rapporti interpersonali 54 anni fa in uno stato ancora poco industrializzato come l’Italia , in una città fortemente attaccata alle tradizioni come Napoli , in classi sociali proletarie o piccolo borghesi, in una situazione pubblica come la resistenza di un popolo all’oppressione di un nemico straniero. I rapporti interpersonali che ne risultavano erano soprattutto creati dal bisogno pratico (di azione), e dunque fuggevoli e impersonali. Oppure erano molto tipizzati ( standard, coincidenti col ruolo), come tra lo scugnizzo e sua madre, tra il reduce e sua moglie, tra il giovane carcerato e il direttore del carcere, e dunque, pur se profondi e non fuggevoli, però ugualmente impersonali. Inoltre gli “altri” appaiono agli occhi dei personaggi o amici o nemici, e agli occhi dello spettatore o cattivi o buoni. Invece, nel film di cui parlo ora , Interiors, il contesto sembra antitetico : siamo 34 anni dopo, negli USA e cioè nello stato più industrializzato del mondo, in una città come New York in cui le tradizioni sono polverizzate dalla forte immigrazione, dalla multietnicità e dal suo ruolo di avanguardia culturale del mondo, in una classe sociale alto-borghese, in una situazione ultraprivata come una crisi famigliare. I rapporti interpersonali che ne risultano sono completamente slegati dai bisogni pratici : i personaggi hanno “tutto” dal punto di vista materiale, il lavoro per loro è un hobby, non hanno urgenze politiche. Sono dunque rapporti molto tenaci, molto pervasivi e invadenti il recinto dell’Io, molto complicati e irriducibili alle categorie di amico e nemico. Per lo spettatore è impossibile dire quale personaggio è buono e quale è cattivo : trionfa l’analisi delle individualità, e, quanto più ci addentriamo nei dettagli dell’individuo (di ciò che è unico e irripetibile), tanto più vediamo che ogni scelta è moralmente ambigua (ciascun personaggio fa agli altri sia del bene sia del male)e psicologicamente necessaria (ciascun personaggio, in base al suo carattere e alla sua storia, non può agire diversamente da come agisce), scompare l’idea di “libero arbitrio” e diventano assurde oltre che irritanti le categorie di buono e cattivo. Due sorelle , Renata e Joey, sono il fulcro di complicate e differenti ragnatele di rapporti interpersonali :
________________________RENATA_____________________________JOEY____________________________ col padre comprensiva, sottomessa infantile, confidente con la madre franca, “dura” succube, in colpa col marito in colpa, protettiva distaccata, capricciosa con Pearl gentile, paternalista sprezzante, ostile con la sorella protettiva competitiva col “mondo esterno” in dialogo in scontro Così come i loro genitori, i coniugi separati Arthur e Eve : ________________________ARTHUR_____________________________EVE_____________________________ col coniuge non è amico (non ha ideali, non è amica, è innamorata, invadente, interessi, gusti in comune), si sente in credito, non capisce il marito è grato, vuole distaccarsi, capisce la moglie con Renata distaccato dipendente con Joey la ama la commisera coi generi cameratismo superiorità con Pearl la ama, la idealizza, pensa ne ha paura, la idealizza, pensa che sarà la sua “salvezza” che sarà la sua “perdizione” col lavoro non lo idealizza, ne è interessato, lo idealizza, non ne è interessata, gli fa lo separa dalla sfera privata invadere la sfera privata Ma tutta la storia è narrata nel contesto di uno speciale rapporto interpersonale , quello tra Renata e il suo psicanalista, in cui Renata-paziente svolge il ruolo del Coro delle tragedie greche nei confronti dello Spettatore-psicanalista. Quale mondo è costruito da tali rapporti interpersonali ? Un mondo in cui capitano tragedie proprio come ne Le quattro giornate di Napoli, in esso, però, i nemici non sono fuori ma sono dentro le persone. In esso non ci sono “buoni” e “cattivi”, ma “complicati” (nevrotici?) come Eve, Renata, Joey, Frederick, e “semplici” (sani?) come Arthur, Pearl, Mike, Flyn. I “complicati” non riescono ad aiutare nessuno ; i “semplici” non riescono ad aiutare i “complicati” (Arthur non riesce con Eve, Flyn con Frederick, Pearl e Mike con Joey) e piuttosto si ritirano e fuggono il passato e le proprie responsabilità : Arthur e Pearl sono divorziati, Flyn è libertina. Nel finale sulla riva dell’Oceano, tra i rumori delle cose e il silenzio delle persone, sembra giganteggiare l’antitesi tra Eve-Morte e Pearl-Vita, tra il Complicato e il Semplice , ma è un’antitesi apparente, da ingenua tragedia greca antica : invece, in realtà, Pearl non salva Joey e non prevediamo per l’egoista Arthur un gran futuro di maturazione accanto a lei, Eve del resto non distrugge niente che non sia già distrutto. Piuttosto la vera antitesi (non ingenua e antica, ma moderna e consapevole) è tra la “complicata” Renata e il “semplice” Mike da una parte e tutti gli altri personaggi ( sia “semplici” sia “complicati”) dall’altra : Renata con la creazione artistica e l’autocritica (la psicanalisi) e Mike con la politica mostrano una certa qual apertura al futuro e al mondo che gli altri personaggi non hanno. Il titolo del film allude contemporaneamente agli “interni”di cui Eve è arredatrice e ai rapporti interpersonali “interni” a una famiglia. Woody Allen , come in Un’altra donna, non fa l’attore nel suo film, e quando Woody Allen non fa l’attore la commedia umana diventa dramma aulico e gli echi di Frank Capra, Fellini e Bunuel cedono a quelli di Ingmar Bergman.
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