La
scrittrice americana Ursula K. Le Guin – classe 1929, tutt’oggi vivente
anche se anziana – fu famosa negli anni Sessanta e Settanta per i suoi
romanzi di fantascienza che dai cultori sono considerati dei classici, libri
come La mano sinistra delle tenebre, I reietti dell’altro pianeta o La
falce nei cieli. Negli stessi anni (1968 – 1971 – 1972) scrisse però
anche tre romanzi di una saga fantasy ambientata nel mondo di Earthsea
(Terramare), cui diede completamento con due ulteriori volumi solo molto
più tardi, nel 1990 e nel 2001. Il lettore italiano può trovare questi
cinque romanzi pubblicati in volumi separati dalla Mondadori (2003-2005, 9
euro l’uno circa) oppure li può trovare tradotti e raccolti in un unico
volume pubblicato nel 2007 (e poi ristampato sette volte fino al 2010) dall’Editrice
Nord di Milano col titolo La leggenda di Earthsea (834 pagine a soli 19,90
euro).
Il mondo descritto nella saga non presenta – a differenza della stragrande
maggioranza dei fantasy – grandi continenti o reami distribuiti su estese
regioni di terraferma; esso è invece un gigantesco arcipelago con centinaia
di isole sparse nell’oceano. Non è del tutto chiaro cosa vi sia al di là
dell’Arcipelago, proseguendo lungo i quattro punti cardinali; nel primo
libro, quando il protagonista cerca di veleggiare oltre l’ultima isola
meridionale, gli isolani replicano: «Questa è l’Ultima Terra. Non ce ne
sono altre, più in là. Non c’è che acqua fino all’orlo del mondo».
Inoltre la completa assenza di imbarcazioni, invasioni o anche solo leggende
riguardanti terre al di là dell’oceano fa presupporre che l’Arcipelago
di Earthsea sia un mondo chiuso al di fuori del quale non via sia nulla.
Soltanto nei libri successivi, come vedremo più avanti, la Le Guin amplia
il suo mondo parlando della Terra Arida e delle terre dove vivono i Draghi,
che comunque risultano normalmente inaccessibili agli esseri umani.
1.
Il Mago di Earthsea (A Wizard of Earthsea)
Il
protagonista di questo primo romanzo è Ged – poi soprannominato Sparviero
– il futuro arcimago di Roke. Di lui ci vengono narrate l’infanzia e l’adolescenza;
sin dalla nascita possiede grandi poteri di magia che però fatica a
coltivare nella campagnola isola di Gont: difatti il suo primo insegnante è
la sua anziana zia, considerata una strega. È l’arrivo di un gruppo di
predoni che assalta il suo villaggio che fa usare a Ged per la prima volta
la magia ed attira l’attenzione di un saggio mago, Ogion il Taciturno, che
riconosce nel ragazzo enormi poteri e che quindi, per aiutarlo a
controllarli, decide di fargli da maestro. È Ogion che dà al ragazzo il
suo “vero nome”, Ged. Nel mondo di Earthsea, infatti, i maghi che
conoscono il vero nome di qualcuno sono in grado di avere il controllo su
quella persona; allo stesso modo coloro che rivelano il proprio vero nome lo
fanno solo nei confronti di quelle persone di cui hanno completa fiducia.
Normalmente le persone si conoscono tramite un “nome d’uso” e Ged
sceglie quello di Sparviero.
L’immagine del ragazzino portentoso che non è in grado di gestire i
propri poteri magici e che viene “riconosciuto” ed aiutato da un mago
più saggio e potente, nonostante sia una figura ricorrente nel fantasy,
ricorda in particolare il primo libro di Harry Potter, quando l’arrivo di
Hagrid nella casa dei Dursley permette ad Harry di “capire” per la prima
volta il proprio dono magico.
Ogion impartisce un’istruzione diversa dal solito a Ged e gli pone l’assoluto
divieto di leggere i Libri delle Tradizioni che il mago tiene in casa. Ciò
nonostante Ged infrange il suo divieto e – per orgoglio ferito dal
sarcasmo di una ragazzetta – legge un incantesimo proibito che gli fa
conoscere il modo tramite il quale entrare in un mondo freddo ed oscuro,
fatto di orrore e bisbigli nelle tenebre, un mondo all’interno del quale
gli si prospetta l’esistenza di un’Ombra. Ogion salva Ged e gli pone una
scelta: rimanere con lui o andare sull’isola di Roke, dove si trova la
più grande scuola di magia di Earthsea. Il ragazzo, nonostante sia
affezionato al vecchio maestro, è irruento, ambizioso e irresistibilmente
attratto dall’avventura e dal mistero e decide dunque di recarsi sull’isola.
A Roke Sparviero entra nella Scuola di Magia; qui le analogie con l’opera
della Rowling sono molteplici. Anche qui, come ad Hogwarts, vi sono vari
insegnanti esperti in diverse discipline magiche – il Maestro delle
Evocazioni, il Maestro Cantore, il Maestro delle Mani, il Maestro degli
Schemi, il Maestro dei Nomi e così via – nonché un mago-Portinaio ed un
Arcimago come preside della scuola. Anche qui inoltre vi è il cameratismo
tra compagni di scuola (ad esempio tra Ged e Veccia) ma anche l’antagonismo
tra giovani maghi ambiziosi (tra Ged e Diaspro, un po’ come tra Harry e
Draco Malfoy).
Nella scuola di magia di Roke Ged amplia le proprie conoscenze ed affina il
proprio talento; tuttavia anche il suo orgoglio e la sua arroganza crescono
con la stessa velocità ed il giovane compagno di scuola Diaspro diventa
occasione per lui di rivalità ed inasprimento del desiderio di potere e
supremazia. È Ged, più che Diaspro, ad essere scostante, competitivo e
provocatore. La loro competizione sfocia in un duello di magia, durante il
quale Ged tenta un’impresa incredibile e pericolosa: rievocando l’incantesimo
proibito letto sul libro di Ogion, egli prova ad evocare uno spirito dal
mondo dei morti. L’incantesimo sfugge di mano a Ged ed una creatura
sconosciuta fa il suo ingresso nel mondo di Earthsea, attaccandolo con
violenza e sfigurandogli il volto; è di nuovo l’Ombra, solo che stavolta
è più potente ed incontrollabile. La vita di Ged viene salvata – per
quel momento - dall’Arcimago di Roke, Nemmerle, che usa tutta la sua forza
vitale per bloccare l’essere e che muore poco dopo lo scontro. Tuttavia
per Ged non v’è scampo: da quel momento in poi l’Ombra lo cerca,
famelica e vorace, per impossessarsi di lui ovunque vada. Il nuovo Arcimago,
Gensher, lo mette in guardia:
«Se tu te ne andassi ora, la cosa che hai scatenato ti troverebbe subito ed
entrerebbe in te e s’impossesserebbe di te. Non saresti più un uomo, ma
un gebbeth, una marionetta che compirebbe la volontà dell’ombra maligna
da te chiamata alla luce del sole. […] Essa non ha nome. Tu hai un grande
potere innato, e l’hai usato malamente, per operare un incantesimo che non
potevi dominare […] Ti sei lasciato indurre a questo dall’orgoglio e
dall’odio. Ti stupisci che il risultato sia stato la rovina? Tu hai
evocato uno spirito dei morti, ma con lui è venuto uno dei Poteri della
non-vita. È venuto, senza che tu lo chiamassi, da un luogo dove non ci sono
nomi. È maligno, e vuole compiere il male per tuo tramite».
Quest’Ombra, questo gebbeth, da questo momento in poi sarà – come dice
il suo nome – un’ombra che seguirà Ged ovunque egli andrà; un’oscurità
indelebile che cercherà di prendere il sopravvento su di lui ogni qualvolta
il mago abbasserà le difese, intensificandosi laddove crescono la sua
angoscia e la sua paura. L’Arcimago spiega: «Il potere con cui l’hai
chiamato gli dà potere su di te: siete collegati. È l’ombra della tua
arroganza, l’ombra della tua ignoranza, l’ombra che tu getti». Ma che
cos’è quest’ombra? Letta su un piano psicologico personale potremmo
definirla come le parti negative della nostra mente di tipo inconscio, di
cui non siamo consapevoli, parti che, se non sono rese consapevoli e
combattute, finiscono col perseguitarci e sopraffarci. «Un’ombra ha un
nome?» domanda l’Arcimago a Ged, dato che nel mondo di Earthsea i nomi
veri delle cose sono importantissimi e quest’entità pare non avere un
nome proprio. La cosa-senza-nome, la cosa che fa paura è l’ombra stessa
della nostra morte, l’ombra delle nostre parti malate e corrotte e finché
non sapremo darle un nome, non saremo neppure in grado di gestirla. Essa
infatti conosce il nome vero di Ged ed ha potere su di lui, mentre Ged pare
non avere alcun potere su di lei, non conoscendone il nome.
Tuttavia, quest’interpretazione pare limitante. Quest’ombra infatti
riesce ad infestare anche altre persone, a divorare la loro mente e a
prendere il loro aspetto. Se si trattasse soltanto di una condizione
interiore e personale non dovrebbe essere in grado di fare questo. Che cos’è
dunque l’Ombra? Potrebbe forse trattarsi di un “grumo di idee malate”
– che possiamo chiamare “fantasia” o, se più strutturata, “ideologia”
– un grumo che viene portato nel mondo da una mente umana che lo
concepisce e che, una volta immesso nel mondo, può infestare anche le altri
menti con follie e perversioni; il suo scopo è diffondersi, proprio come
fanno le ideologie.
Ged alla fine del romanzo riesce a salvarsi dall’Ombra. Non a vincerla, ma
a salvarsi da essa.
«A voce alta, chiaramente, infrangendo quell’antico silenzio, Ged
pronunciò il nome dell’ombra, e nello stesso momento l’ombra, senza
labbra e senza lingua, parlò dicendo la stessa parola: – Ged – E le due
voci erano una sola voce».
Dunque, diversamente da quel che aveva detto l’Arcimago, l’Ombra aveva
un nome. Ma questo nome era lo stesso nome di Ged, poiché essa –
evidentemente – era una parte di lui. Non distruggendola o cacciandola, ma
accettandola come propria e risanandola alla fine Ged riesce ad essere di
nuovo integro e libero.
Nel romanzo troviamo echi tolkeniani: ad esempio, quando Ged sviene dopo una
battaglia con l’Ombra e passa attraverso una porta lucente per poi
risvegliarsi in un comodo letto in una casa ospitale e al sicuro, ci fa
venire in mente Frodo a Granburrone dopo la fuga al Guado. In un altro
combattimento «Ged levò il bastone e lo splendore di questo divenne
insostenibile, così bianco e grande da vincere perfino quella tenebra
antica» - a chi non è venuto in mente Gandalf che alza il proprio luminoso
bastone davanti al Balrog di Moria? O ancora la figura di Veccia, mago che
segue l’amico Ged verso terre pericolose per aiutarlo nella sua disperata
battaglia con l’Ombra, è assai simile a quella di Sam che segue Frodo
nelle desolate e disperate terre di Mordor.
2.
Le tombe di Atuan (The Tombs of Atuan)
In
questo secondo volume della saga la storia viene narrata attraverso gli
occhi di una bambina delle terre di Kargad, un popolo bellicoso che vive a
nord-est dell’Arcipelago, è estraneo ai suoi commerci e nelle cui terre
la magia non è ben accetta. Tale bambina, il cui vero nome è Tenar, è
stata sequestrata ai genitori per divenire la sacerdotessa del lugubre culto
delle Tombe di Atuan, l’antico credo religioso per i Senza Nome. Verso
tale culto, ai tempi della narrazione, si dà ormai un rispetto poco più
che formale, ma esso basta per rovinare la vita di Tenar: ella, perduto il
proprio vero nome e chiamata Arha ovvero “divorata” – proprio come
tutte le sacerdotesse che l’hanno preceduta e di cui lei dovrebbe essere
una mera reincarnazione – viene reclusa negli edifici annessi alle Tombe a
officiare riti vuoti e talvolta sanguinari. La giovinezza di Tenar è un
continuo contrasto tra le sue spensierate avventure infantili e gli oscuri e
solenni rituali che è costretta a celebrare. Arha è circondata da altre
sacerdotesse e da eunuchi che sono sì suoi servitori, ma al contempo sono i
carcerieri che la tengono legata al culto dei Senza Nome.
Gradualmente Arha pare accettare il suo solitario ed anonimo ruolo ed inizia
ad esplorare il suo piccolo mondo: in quanto sacerdotessa ha il privilegio
di potersi muovere per le labirintiche Tombe di Atuan, un complicato e vasto
ipogeo che si estende per molti chilometri nel sottosuolo. Nel buio totale
– dovuto al rispetto verso i Senza Nome che certo non apprezzano la luce
– Arha si aggira per gallerie, stanze, scale e cripte, esplorando col
tatto quei luoghi ed imparandone i percorsi: una svolta a destra, poi tre a
sinistra, e così via. Le Tombe, con i loro malevoli spiriti dei Senza Nome
e con il loro macabro rituale (spedirci i prigionieri in modo che possano
morire in una lenta agonia), con i loro vecchi e polverosi tesori di altre e
più antiche ere, non riescono però a dare un senso alla vita di Arha, vita
monotona e priva di affetti e di scopi. Inoltre Arha è minacciata da una
sacerdotessa sua sottoposta, l’invidiosa Kossil, scettica verso il culto
cui formalmente si prostra e segretamente seguace del Re-Dio di Awabath,
titolo pomposo dato all’attuale tiranno di quel territorio che voleva
dismettere l’antiquato credo delle Tombe. Messa in pericolo dalle
macchinazioni politiche di Kossil, Arha trova rifugio nelle Tombe e si sente
libera unicamente nell’enorme labirinto sotterraneo.
La monotona vita di Arha continua così fino a quando un giovane mago giunge
alle Tombe come un ladro e grazie alla sua magia vi penetra: si tratta di
Ged/Sparviero, il protagonista del primo libro, giunto fin lì per una
missione segreta. Una volta entrato nelle Tombe la porta si richiude alle
sue spalle e lui rimane intrappolato negli ipogei a morire di sete.
Inizialmente la sacerdotessa è diffidente e spaventata da Ged/Sparviero:
egli è un intruso, un nemico del popolo di Kargad, un infedele senz’anima,
nonché un mago, dunque pericoloso per definizione; ella lo
dovrebbe/vorrebbe uccidere per aver profanato i domini dei Senza Nome.
Tuttavia Ged è anche uno sconosciuto, un elemento di novità, ed è dotato
di Potere, un potere vero e tangibile; inoltre è un uomo “vero”, il
primo che lei abbia visto in vita sua. Arha dunque lo imprigiona, ma non lo
lascia morire. Segretamente lo ammira e finisce per sentirsi attratta da lui
e a lui legata: forse intravede in Ged una possibilità di svolta per sé
stessa, per la sua noiosa ed insensata vita. Questo nuovo desiderio cresce
in lei a tal punto che inizierà a mentire alle proprie sacerdotesse pur di
mantenere in vita Ged e poter conversare con lui.
Col procedere dei giorni, Arha inizia a fidarsi di Ged/Sparviero ed un
giorno il mago le rivela che cosa siano le Tombe ed i Senza Nome:
«Pensi davvero che siano morti? Non è così, loro non muoiono, sono
tenebrosi ed immortali e odiano la luce, la breve ma fulgida luce della
nostra mortalità... sono immortali ma non sono dei... non lo sono mai
stati, non meritano la devozione di nessuna anima umana... non hanno nulla
da dare, non hanno il potere di creare, il loro potere consiste
nell'ottenebrare e nel distruggere... non possono lasciare questo luogo,
loro sono questo luogo... non bisognerebbe né rinnegarli né dimenticarli,
ma non si dovrebbe neanche adorarli... la terra è bellissima e luminosa ma
non è tutto, è anche terribile e crudele... il coniglio grida morendo nei
prati verdi, ci sono squali nei mari...e dove gli uomini venerano queste
cose là scaturisce il male... si creano nel mondo dei luoghi dove si
addensa la tenebra, consegnati a coloro che chiamiamo i Senza Nome, le
potenze della tenebra e della follia... Kossil ti ha detto che i Senza Nome
sono morti...solo un'anima perduta alla verità può crederlo... loro
esistono…».
Ged le spiega anche che cosa sta cercando come un ladro in quegli ipogei: la
seconda metà dell’Anello di di Erreth-Akbe, antico manufatto posseduto
dal leggendario re-mago Inthain e che molto tempo prima era stato spezzato
in due metà. La prima metà dell’Anello era stata trovata da Ged in una
piccola isola sperduta, abitata soltanto da due vecchietti, fratello e
sorella, abbandonati colà sin da bambini, a causa di un intrigo dinastico.
La seconda metà si trova in una delle camere delle Tombe. Sull’Anello è
impresso il simbolo della Pace ed è dall’epoca della sua frattura e dello
smarrimento delle sue due metà – secoli prima – che nessun Re siede sul
trono di Havnor (la principale isola dell’Arcipelago di Earthsea). Nell’Arcipelago
si erano susseguiti soltanto principi e tiranni e guerre continue tra le
isole. Ged, nella sua Cerca, spera di ricongiungere le due metà e mettere
fine a questa situazione d’instabilità.
Ged/Sparviero rivela ad Arha il suo vero nome, quello che possedeva prima
del sequestro rituale: Tenar. Da quel momento in poi per la sacerdotessa non
c’è più pace: ella è più Arha o più Tenar? I ricordi assopiti della
sua vita precedente prendono il sopravvento e le parole di Ged/Sparviero s’insinuano
nei suoi dubbi verso il culto che dovrebbe officiare. Alla fine prende una
decisione: « – Io sono Tenar – disse lei, ma non a voce altra; e
tremava di freddo e di terrore e di esultanza, là sotto il cielo
spalancato, inondato dal sole – Ho riavuto il mio nome. Io sono Tenar! –
»
Inseguiti da Kossil, che ormai ha scoperto il tradimento della giovane
sacerdotessa, e dalle guardie delle Tombe, Ged e Tenar si addentrano nelle
profondità del labirinto fino alle sale dei Senza Nome e ricongiungono le
due metà dell’Anello. Ged riesce a convincere Tenar a lasciare le Tombe e
la sua vita fasulla e forzosa, soprattutto mostrando di avere fiducia in
lei, nelle sue parti ancora vitali ed aperte al futuro. Infine i due
riescono a fuggire dal potere dei Senza Nome riunendo le proprie forze e le
Tombe di Atuan, private del loro potere, collassano ed implodono su sé
stesse, seppellendo i loro inseguitori.
Tema centrale di questo secondo romanzo di Earthsea pare essere quello della
vita dell’individuo sacrificata da forze collettive, da fanatismo e
pregiudizi (un culto vecchio e a cui nessuno crede più, che continua ciò
nonostante a mietere vittime e a rovinare le vite delle bambine “divorate”).
Viceversa, l’altro tema centrale pare essere quello della misericordia:
«Sono venuto qui come un ladro, un nemico, armato contro di te» dice Ged a
Tenar «E tu hai avuto misericordia, e ti sei fidata di me. E io mi sono
fidato di te fin dalla prima volta che ho scorto il tuo volto, per un
momento, nelle grotte sotto le tombe, bellissimo nell’oscurità».
Una misericordia che non salva solo il salvato (Ged) ma anche il salvatore (Tenar).
Diversi echi si possono rintracciare ne Le tombe di Atuan. Quelli tolkeniani:
c’è un Anello di potere in questa storia, quello di Erreth-Akbe; ci sono
sotterranei simili a quelli di Moria ed uno stregone che, come Gandalf,
contrasta magie e sfonda porte di pietra col proprio bastone e racconta
antiche storie del passato e dà insegnamenti morali. Un altro eco
rintracciabile è quello dello scrittore dell’orrore Lovecraft: proprio
come nelle sue storie abbiamo a che fare con luoghi oscuri e labirintici,
abitati da forze antiche ed innominabili in grado di far smarrire il senno a
chiunque tenti di contrastarle; ed abbiamo anche folli e perduti rituali di
venerazione per queste forze ancestrali. Infine è abbastanza evidente il
parallelismo tra i labirintici ipogei delle Tombe di Atuan e la tipica
struttura dei dungeon che ha reso famosi i giochi di ruolo come Dungeons
& Dragons.
3.
La spiaggia più lontana (The Farthest Shore)
Terzo
capitolo della saga e terzo punto di vista. Dopo il mago Ged/Sparviero e la
sacerdotessa Arha/Tenar, stavolta vediamo Earthsea con gli occhi di un
ragazzo di sedici anni, Arren (il cui nome significa “spada”), figlio
del principe di Enlad e delle Enlades, erede del principato di Morred, una
delle più nobili ed antiche casate di Earthsea.
All’inizio del romanzo Arren approda sull’isola di Roke, alla ricerca di
Ged, divenuto nel frattempo Arcimago. Lo Sparviero che incontriamo qui non
è più il ragazzo impetuoso e orgoglioso che aveva richiamato l’Ombra ne
Il mago di Earthsea e neppure il giovane temerario che si era avventurato da
solo nelle Tombe di Atuan; ora appare adulto, maturo e meditativo. È la
necessità a guidare le sue azioni e il suo compito – in questo libro –
appare più difficile e pericoloso di quelli affrontati in passato. Nel
libro viene approfondita la descrizione della Scuola di Magia di Roke
cominciata nel primo romanzo. Si parla dei vari maghi, i Maestri, e dei
rapporti fra di loro, nonché si approfondisce l’ambientazione del Bosco
Immanente, che è come il cuore spirituale di Roke. Si viene anche a
conoscenza in modo più dettagliato della situazione politica di Earthsea,
altrove appena accennata: da ottocento anni non c’è più un Re perché
né il dominio più importante dell’Arcipelago, Havnor, né i maghi di
Roke fino ad ora hanno riconosciuto in una persona la forza e la pace
sufficienti per diventarlo.
Un preoccupante malessere si sta diffondendo in varie zone di Earthsea, un
male apparentemente inspiegabile: la Magia sta venendo meno, sta perdendo il
suo potere e ciò che con essa si riusciva a fare (guarigioni, buoni
raccolti, manifattura, rotte di navigazione) ora si fa sempre peggio e
mentre le arti decadono e le canzoni vengono dimenticate, gli esseri umani e
gli animali si ammalano o impazziscono. È evidente che la Magia, nel
simbolismo narrativo della Le Guin, sta per le virtù dianoetiche dell’umanità,
quelle virtù cioè legate al pensiero e all’intelletto, che traggono la
propria origine e crescita dall’insegnamento: scienza, sapienza, arte,
saggezza, intelligenza.
Arren è giunto fino a Roke non soltanto per cercare Ged, ma anche per
diventare suo discepolo e servirlo, perché suo padre ritiene che dietro la
decadenza della magia vi sia l’opera di una forza malefica. Sparviero gli
risponde che «non si può rifiutare a cuor leggero l’offerta di uno
spirito generoso» – in questa frase possiamo leggere l’eco tolkeniano
della frase che Denethor dice a Pipino quando questi gli offre i suoi
servigi: «Ed ecco provato ancora una volta che l’aspetto di un Uomo – o
Mezzuomo – può indurre in errore. Accetto i tuoi servigi. Vedo che le
parole non ti turbano e che il tuo è un parlare cortese […] e nei giorni
a venire avremo gran bisogno di persone cortesi, siano esse grandi o
piccole». Arren si dà con entusiasmo a Sparviero:
«Fino ad ora tutto era stato un gioco e lui aveva giocato ad amare; ma
adesso i suoi sentimenti più profondi erano stati risvegliati e non da un
gioco o da un sogno ma dall'onore e dal pericolo e dalla saggezza [...]
così il primo passo di chi abbandona la fanciullezza si compie
all'improvviso, senza prudenza e senza riserve»
Arren è un ragazzo molto umile e non ha nulla dell’arroganza di Sparviero
quando aveva la sua età. Lo si può vedere nell’ardente devozione per l’arcimago
– che considera un amico, un compagno di viaggio, ma anche un maestro ed
un mentore – e nei confronti del quale prova un amore puro e sincero. Si
può vedere anche nell’amichevolezza per il co-novizio Azzardo. Ancora, è
visibile nel disagio che Arren prova a portare l’antica spada del suo
retaggio nobiliare. Sparviero vuole il giovane principe con sé per la sua
missione (un viaggio alla ricerca della fonte/causa del decadimento della
Magia) e preferisce Arren al Maestro Evocatore: è solo un ragazzo, ma è
anche l’erede di un antico lignaggio. «Negare il passato è negare il
futuro. Un uomo non può creare il proprio destino: lo accetta o lo
rinnega» spiega Sparviero ad Arren «Se le radici del rowan sono poco
profonde, non ha una chioma fronzuta […] Le tue radici sono profonde».
Citando l’albero di rowan, Ged/Sparviero cita anche il “vero nome” di
Arren, ovvero Lebannen. Inoltre la citazione è molto simile a «le radici
profonde non gelano», frase contenuta nella poesia che Bilbo dedica ad
Aragorn – non a caso anch’egli discendente di un’antica e nobile
casata e anch’egli destinato a diventare Re.
Dunque Arren e Sparviero partono ed il loro è un viaggio lungo ed incerto,
dato che incerta è la fonte del male che sta devastando Earthsea. Prendono
il largo in due sulla barca a vela di Sparviero, la Vistacuta, sotto le
mentite spoglie di un mercante e di suo nipote. Bellissime sono, nel libro,
le descrizioni del loro veleggiare in alto mare: quasi si riescono a
percepire, attraverso le pagine, le immagini della barca che scivola sull’oceano,
il riverbero della luce del sole sulle onde, il profumo di salsedine nell’aria,
la pelle abbronzata di Ged ed Arren che nuotano tra i flutti. Ed è in
questa cornice estiva e marittima che Sparviero riflette, assieme al giovane
principe, sulla cupidigia dell’essere umano che può volere ricchezze e
potere infiniti. Solo un uomo può aver creato una perturbazione nell’ordine
naturale delle cose:
«Quando aspiriamo al potere sulla vita, a ricchezze infinite, sicurezza
inattaccabile, immortalità… allora il desiderio diventa avidità. E se la
conoscenza si allea alla cupidigia, sopravviene il male».
Sparviero riflette anche su sé stesso e mette in guardia Arren dall’essere
avventato come lui lo era stato da ragazzo:
«Quand’ero giovane, dovetti scegliere tra la vita dell’essere e la vita
del fare. E mi avventai su quest’ultima, come una trota su una mosca. Ma
ogni azione che compi, ogni atto, ti lega a sé e alle sue conseguenze, e ti
costringe ad agire e ad agire ancora. E allora, solo raramente incontri la
paura, un tempo come questo, tra un’azione e l’altra, quando puoi
fermarti e limitarti ad essere. O a domandarti chi sei, dopotutto»
Le loro avventure li conducono nella città di Hort, dove incontrano l’ex
mago Lepre, che espone la sua teoria del “misticismo”: annullare la
conoscenza ed arrivare “dritti alla realtà” attraverso “esperienze
indicibili” favorite dalle droghe; dimenticare i nomi, anche il proprio
vero nome, rinunciare alla magia e giungere così nelle terre immortali. La
teoria di Lepre (che riecheggia le teorie degli hippy degli Anni Sessanta
sugli stupefacenti) è evidentemente condannata dalla Le Guin, che vede in
essa l’ideologia che sta uccidendo il mondo di Earthsea. Sparviero dice ad
Arren:
«Noi uomini dobbiamo imparare quello che la balena e la foglia fanno per
loro natura. Dobbiamo imparare a mantenere l’equilibrio. Poiché abbiamo l’intelligenza,
non dobbiamo agire nell’ignoranza. Poiché possiamo scegliere, non
dobbiamo agire senza responsabilità […] e se ci fosse di nuovo un Re al
di sopra di tutti noi, e chiedesse consiglio a un mago e io fossi quel mago,
gli direi: mio signore, non fare mai qualcosa perché lodevole o generoso
farlo, fa solo quello che devi fare e che non puoi fare in altro modo»
Vari e diversi sono gli incontri che Sparviero ed Arren fanno durante il
loro viaggio: il paese dei tintori in decadenza di Lorbanery; i Figli del
Mare Aperto, un popolo che vive su zattere; lo Stretto dei Draghi, dove
scoprono che anche gli antichi e potenti Draghi stanno perdendo la ragione a
causa del male che ha invaso il mondo. Infine giungono sull’isola più
occidentale di tutte, Selidor – la spiaggia più lontana del titolo – e
lì incontrano finalmente il malvagio mago Cob, alias Pannocchia, colui che
ha dato inizio alla perdita della magia del mondo. Egli ha aperto un varco
tra il mondo di Earthsea ed il luogo dove vanno le anime dopo il decesso,
nel tentativo di ingannare la morte e poter vivere per sempre. Cob può
essere anche visto come un alter-ego di Ged: laddove Sparviero – dopo
essersi dilettato da giovane nell’evocazione dei morti ed esserne rimasto
scottato – si è ritratto da quella pericolosa via e l’ha abbandonata,
Cob ha seguito quell’oscuro sentiero fino in fondo, giungendo dunque nella
Terra Arida dove vivono i morti. Cob/Pannocchia è un nemico infido perché,
proprio come l’Ombra, porta in sé un “grumo di idee malate”, un’ideologia
malsana che avvelena il mondo e la mente di chi vi presta orecchio.
Sparviero, interrogandosi sulla natura del male che Cob ha evocato, domanda
ad Arren:
«Dove sono i servitori di questo antiré? Nelle nostre menti, ragazzo.
Nelle nostre menti. Il traditore è l’io: l’io che grida Voglio vivere;
bruci pure il mondo, purché io viva! La piccola anima traditrice dentro di
noi, nell’oscurità, come il verme nella mela. Lui parla a tutti noi, […]
coloro che cercano di essere sé stessi. Ed essere sé stessi è una cosa
rara e grande. Essere sé stessi per sempre: non è ancora meglio?».
Il duello finale tra Ged e Cob pare risolversi a favore di quest’ultimo,
quand’ecco intervenire il potente drago Orm Embar, che sacrifica la
propria vita per salvare Earthsea ed incenerire Pannocchia. Privato del
proprio corpo, il mago malvagio è tuttavia ancora vivo:
«qualcosa di orrendo e raggrinzito, come il corpo di un ragno enorme
disseccato nella sua tela […] Non vi rimaneva più ombra di bellezza ma
solo rovina, la vecchiaia sopravvissuta alla vecchiaia. La bocca era
incartapecorita. Le occhiaie erano vuote e lo erano da molto tempo».
La descrizione ricorda quella che Oscar Wilde fa del ritratto di Dorian Gray
alla fine del libro: avvizzito, rugoso, repellente, disgustoso. Non per
nulla, anche in questo caso abbiamo un uomo che – attraverso artifizi
innaturali – ha tentato di preservare in eterno la propria bellezza e la
propria giovinezza, pagando però così un prezzo troppo alto. Ciò che
resta di Pannocchia, quest’essere informe, questa “figura sfracellata e
strisciante” ridotta a poco più di un’Ombra, riesce a fuggire
attraverso il varco che aveva aperto all’interno del mondo della morte,
nella Terra Arida. Ged ed Arren lo inseguono.
Questo mondo dell’aldilà appare centrale e molto importante nella saga di
Ursula Le Guin, soprattutto alla luce degli ultimi due romanzi, che
riprenderanno ed amplieranno questo concetto. È una sorta di “paese dei
morti” creato artificialmente dai maghi nella speranza di dare
immortalità agli esseri umani, ma poi risoltosi in una fallimentare eterna
prigione di disperazione. Le anime sono sì separate dai corpi mortali (e
dunque immortali), ma sono costrette ad una infinita “non-vita”
squallida e terribile.
La scrittrice descrive la Terra Arida così: in una spoglia e declinante
brughiera vi è un lungo e basso muretto di pietre; oltre ad esso vi sono
terre senza vegetazione, cieli neri con stelle morte e immobili, letti di
fiumi aridi e non c’è alito di vento; vi sono anche città in cui le luci
non si accendono mai, in cui le piazze sono deserte, dove nulla viene usato
o fabbricato; «la ruota del vasaio era ferma, il telaio vuoto, la stufa
fredda, nessuna voce cantava mai»; le città sono piene di morti che non
comunicano tra di loro e che, semplicemente, vagano qua e là senza scopo.
«I morti non erano feriti né ripugnanti, erano integri e risanati, i loro
volti quieti e liberi dall’ira e dal desiderio, e nei loro occhi bui non c’era
speranza». Arren, attraversando quelle terre morte è assalito da paura e
terrore e gli pare che «il cuore si rattrappisse, agghiacciato». Poco più
in là vede una madre ed il suo figlio «che erano morti assieme ed erano
insieme nella terra tenebrosa: ma il bambino non correva e non piangeva, e
la madre non l’abbracciava, non lo guardava neppure. E coloro che erano
morti per amore s’incrociavano per le vie senza scambiarsi un’occhiata».
Arren a questo punto, più che dall’orrore, è colto dalla pietà verso
queste creature prive di emozioni e teme di giungere anche lui in quel
luogo, al momento della sua morte. Nella descrizione della Terra Arida si
leggono echi dell’Oltretomba pagano descritto ad esempio nell’Odissea:
un regno dei morti buio e vuoto, popolato di anime che si aggirano tristi
fra grigi campi e pallidi asfodeli, rimpiangendo la vita e la luce del sole.
Al confine estremo della Terra Arida, presso una nera catena di montagne,
Arren e Sparviero ritrovano Pannocchia, questo non-morto che crede di essere
immortale ed ancora potente, il quale racconta di come fece il più grande
incantesimo mai realizzato per trovare l’immortalità e che ora pensa di
poter dominare sia i vivi che i morti (ecco un altro eco tolkeniano:
Pannocchia «ha dimenticato la luce, l’amore e il proprio nome» proprio
come è accaduto a Smeagol/Gollum).
Tuttavia Sparviero replica che questa sua mania di grandezza è solo un’illusione:
gli uomini morti rimangono nella terra viva tra la luce del sole e l’aria
e le foglie e i viventi ed essi rinascono nei nuovi viventi una tradizione
di vita; qui nella Terra Ardia, invece, vi sono solo parvenze e nomi.
Pannocchia ha sì voluto salvare il suo io immortale, ma questo suo io è
vuoto e dimentica ogni ricordo. Viene qui anticipata la spiegazione più
articolata che verrà data alla fine della saga riguardo all’inconsistenza
dell’io singolo e a come la persona umana sia viva solo nel suo
inscindibile legame con la terra e con tutti gli altri esseri umani: l’individuo
come tale, scisso dagli altri, non ha senso, non ha consistenza. Ecco dunque
un altro eco, stavolta dalla saga della Rowling: nel confronto finale tra
Harry Potter e Tom Riddle/Voldemort, il primo spiega a quest’ultimo che
proprio il suo voler essere immortale, il suo spezzare la sua anima tramite
l’omicidio e trasferirla negli oggetti-Horcrux è stato la causa della sua
disfatta, perché privato dei legami vitali con le altre persone s’è reso
più debole ed ha perso la propria vera identità.
Alla fine dell’incontro Pannocchia/Corb è lacerato, vorrebbe essere
distrutto da Sparviero ma, al tempo stesso, non vorrebbe: «era stranissimo
quel miscuglio di disperazione e di orgoglio vendicativo, di terrore e di
vanità nelle sue parole e nella sua voce». Inseguendo Pannocchia, Arren e
Sparviero giungono ad una voragine oscura, una sorta di “buco” dove la
vera vita di tutti sarebbe stata prima o poi inghiottita. Ged, con la sua
arte magica, cerca di richiudere la voragine, mentre Arren tiene a bada
Pannocchia. La chiusura del varco maligno può essere anche considerato come
l’adempimento finale del suo desiderio di “disfare il male” che egli,
da giovane, aveva manifestato all’Arcimago Gensher successivamente alla
sua evocazione dell’Ombra. Non a caso quest’impresa costerà a Ged la
perdita di tutti i suoi grandi poteri da mago, quei poteri che possedeva fin
dalla nascita, e che ora non possederà mai più!
Chiuso il varco e giunti finalmente nel mondo dei vivi, Arren si rende conto
di aver adempiuto alla profezia dell’ultimo re di Earthsea: «Ad ereditare
il mio trono sarà colui che avrà attraversato la terra oscura vivo
giungendo all'estrema sponda dei giorni». Difatti, tornati a casa, Arren
sarà incoronato come Re con il nome di Lebannen. Anche la lunga e difficile
via del ritorno per i due eroi ha rimembranze tolkieniane – ricorda
infatti il capitolo Monte Fato con Sam e Frodo a Mordor, che avanzano nella
terra morta. Pure l’immagine del Padre dei Draghi, Kalessin, che in volo
riporta Arren e Ged a Roke, ricorda il Re delle Aquile Thorondor che riporta
in volo Sam e Frodo da Monte Fato a Gondor.
4.
L'isola del drago (Tehanu)
L’ambientazione
del quarto romanzo è molto diversa da quella dei volumi precedenti: tutto
quanto – o quasi – si svolge nell’isola di origine di Ged/Sparviero,
ossia Gont. Due sono le protagoniste del libro, entrambe femminili.
La prima è Tenar, l’ex sacerdotessa Arha, che si è sposata con il
contadino Selce, ha avuto figli e dopo tanti anni è diventata vedova ed ora
vive una vita modesta, relazionandosi amichevolmente con le altre donne del
villaggio di Re Albi, le quali vivono modestamente come lei. Nonostante le
condizioni umili e dimesse, Tenar vive una vita assai più piena e vera di
quella che faceva quand’era sacerdotessa ad Atuan. Ella ha ancora contatti
con Sparviero, il quale – dopo aver perduto tutti i suoi poteri da mago
– vive pure una vita modesta, facendo l’umile capraio a servizio.
L’altra protagonista è una bambina, Therru (nome d’uso) / Tehanu (nome
vero), che è cresciuta in un contesto sociale degradato: il padre l’ha
picchiata a sangue e poi ha cercato di bruciarla, ma ella è sopravvissuta
– per quanto sfigurata – ed è stata adottata ed amorevolmente allevata
da Tenar. Questa bambina traumatizzata è però titolare di una profezia
fatta dal vecchio mago Ogion poco prima della sua morte, che dice:
«Impareranno a temerla». Infatti questa bambina è un essere
specialissimo, una specie di Carrie (personaggio di Stephen King) all’ennesima
potenza, al tempo stesso debolissima, perseguitata ed indifesa, ma anche
capace di suscitare tempeste e terremoti e di trasformarsi in un Drago.
La storia è ambientata anni dopo La spiaggia più lontana, durante il regno
di Re Lebannen, nome che Arren ha assunto al momento dell’incoronazione (e
che ricorda Aragorn che viene incoronato con il nome di Elessar). Arren/Lebannen
è divenuto quel re giusto, saggio e restauratore della pace e dell’ordine
che da secoli si attendeva, una sorta di re Artù leggendario. Egli vorrebbe
tanto riprendere i contatti con Ged/Sparviero per averlo accanto a sé come
consigliere, ma Sparviero non ne vuole sapere nulla: vuole invece passare il
resto della sua vita nell’umiltà e nel nascondimento ed anche si vergogna
di non avere più poteri. Terri Windling nel suo saggio presente nel volume
collettivo Meditations on Middle-earth classifica il fantasy in due
sottogeneri: a) Quelli che parlano dell’epica eroica del salvare il mondo
da un grave pericolo; b) quelli che parlano di storie private, della
difficoltà della vita e nelle quali – di solito – la protagonista è un’eroina
e non un eroe. Esempi del secondo genere sono L’amore delle tre melarance
o Cenerentola. Questo romanzo, dalla trama insolita, si può classificare
proprio in questo secondo sottogenere.
La saga di Earthsea, a partire da questo penultimo volume, prende una
svolta. Gli ultimi due romanzi (scritti nel 1990 e nel 2001) infatti seguono
di molti anni i primi tre; l’autrice pare come essersi fatta delle domande
su cosa sia successo in dettaglio a Sparviero, a Tenar, ad Arren; su cosa
siano la Terra Arida o i Draghi. Tutti temi e personaggi che nelle ultime
righe del terzo romanzo erano stati come “riassunti” in maniera retorica
e leggendaria e che invece, in questi due ultimi scritti ha sviluppato
meglio, cercando di dare soluzioni di tipo più realistico e meno
leggendario.
Le ferite lasciate da Pannocchia/Cob ad Earthsea non si sono ancora del
tutto rimarginate, anche perché il mago aveva come estremizzato per follia
di potere un qualcosa che però gli preesisteva, ossia la Terra Arida e il
suo concetto di tenebroso Aldilà. Tale Terra non è stata creata da lui, ma
risale a molto tempo prima, è un retaggio ancestrale dovuto agli sforzi
congiunti di molti antichi maghi. Simili sforzi non erano stati compiuti a
“fin di male” bensì a “fin di bene”: erano mossi dal desiderio di
dare una vita immortale all’anima delle persone che amavano, in modo che
il loro io potesse sopravvivere alla morte del corpo e vivere in una terra
paradisiaca al di là del mare. Eppure Ursula Le Guin ci fa riflettere su
come di “buone intenzioni” sia lastricata la strada che conduce all’inferno,
viste le conseguenze nefaste che il buon proposito di questi antichi maghi
ha provocato. In questo “perdurare del Male” troviamo ancora una eco
tolkieniana: dopo la distruzione di Sauron le eredità del male da lui
causato alla Terra di Mezzo continuano; ecco dunque, su Earthsea, il
trascinarsi del malfunzionamento della Magia, il circolare di pirati ed
avventurieri, il permanere del degrado sociale, l’insorgere ancora di
altri maghi malvagi seguaci o imitatori di Pannocchia.
La narrazione principale di questo romanzo riguarda piccole storie di paese
e persone di paese, né particolarmente buone né particolarmente cattive,
dai nomi semplici come Lodola, Margherita, Ventaglio, Lucciola, Melina,
Prunella, Ciliegia, Rivochiaro, Edera, Scintilla, Erika o Zia Muschio. Tra
di loro ci sono però anche persone cattive – Faina, Tinca, Lince – ed
alcune di loro arrivano ad essere anche molto cattive, come il mago di Re
Albi, Pioppo, che è invidioso e malevolo nei confronti di Tenar e tenta di
sbeffeggiarla prima e distruggerla poi. Attraverso i suoi poteri e
sfruttando l’impotenza di Sparviero, Pioppo perseguita Tenar e la
costringe a fuggire dall’isola di Gont, gettando su di lei un incantesimo
che le confonde la mente e le impedisce di ricordare il motivo per cui sta
fuggendo. Verso la fine del libro c’è una scena disgustosa in cui Pioppo
asserve con la magia sia Tenar che Sparviero e dice:
« – Su, cagna, su! –. Lei si mise a quatto zampe e l’uomo rise
dicendo – Sulle zampe di dietro! Sei una cagna intelligente! Così, bene,
fa’ finta di essere umana, vieni! –. Lei aveva ancora la corda al collo
e lui la tirò e lei lo seguì. – Ecco, tieni tu il guinzaglio – disse
Pioppo a Sparviero ed ora fu lui, l’uomo che lei amava ma di cui ora non
ricordava il nome, a tenere la corda».
Una scena umiliante per un uomo che un tempo è stato Arcimago e per una
donna che un tempo era sacerdotessa ad Atuan e che era stata considerata dal
mago Ogion come un’allieva. Una scena che rivela tutta la “banalità del
male” di un uomo come Pioppo, che usa la magia non per portare equilibrio
nel mondo ma per accrescere il proprio ego e la propria superbia. Con
Sparviero e Tenar c’è anche la bambina sfigurata, Therru, e quando Pioppo
sta per uccidere i due facendo sì che si gettino da un precipizio, Therru
invoca con la mente il Padre dei Draghi Kalessin, il quale arriva, distrugge
Pioppo ed i suoi accoliti e chiama con il suo “vero” nome la bambina:
Tehanu, come il nome della stella. Si scopre così che la bambina era anche
un Drago: la questione per il momento viene soltanto accennata e sarà
spiegata meglio nel quinto ed ultimo libro della saga, nel quale si
chiarirà anche l’origine dei Draghi ed il loro ruolo su Earthsea.
Un altro argomento che viene approfondito dal romanzo è il perché non
esistano maghi di sesso femminile: infatti tutti i maghi della scuola di
Roke sono uomini, mentre le poche donne che usano poteri magici sono streghe
di paese, più che altro fattucchiere ed erboriste, che non conoscono certo
la Lingua della Creazione con cui è possibile dominare il vero nome delle
cose. Dice il Maestro dei Venti di Roke a Tenar:
«I maghi di Roke sono uomini, il loro Potere è quello degli uomini e così
la loro conoscenza. Magia e mascolinità sono costruite sulla stessa pietra,
ossia il Potere, che appartiene agli uomini. Se le donne avessero il Potere,
gli uomini sarebbero solo delle donne che non possono metter al mondo dei
figli, e le donne sarebbero solo uomini con questa facoltà aggiunta».
Da un lato questo ragionamento pare essere confermato dalla scelta che Tenar
fa, quando Ogion si offre di insegnarle la Magia: ella rifiuta, perché
vuole essere donna e madre, vuole crescere dei figli. Lo stesso Sparviero
può finalmente cedere all’amore per Tenar solo dopo aver perso i suoi
poteri: difatti è in questo libro, quando lui è un semplice pastore, che
possono sposarsi e vivere assieme – e non quando egli era Arcimago e nel
pieno delle proprie facoltà. Evidentemente non è possibile servire due
padroni allo stesso tempo, la Famiglia e la Alta Magia: scegliere l’uno
significa rinunciare all’altro, in una specie di castità sacerdotale.
Forse anche per questo alle donne – che incarnano più degli uomini la
volontà della Famiglia, dato che possono procreare e diventare madri –
non è consentito apprendere le vie dell'Alta Magia. Si percepisce nella
società presentata dal romanzo una componente discriminatoria nei confronti
del sesso femminile, racchiusa nel detto di Earthsea: «Debole come la magia
delle donne, perfido come la magia delle donne». Vi è una sorta di
maschilismo diffuso nell’Arcipelago e a Roke in particolare, dato che i
Maestri non prendono neppure in considerazione l’elezione di una donna
come Arcimago, nonostante il seggio sia vacante da quando Ged/Sparviero ha
perso i suoi poteri. Vediamo inoltre Pioppo odiare Tenar, perché è donna
eppure possiede qualche potere magico (ricordiamo, però, che al tempo
stesso, Ogion la vorrebbe prendere come discepola!). Tenar riflette sul
fatto che le streghe hanno veri Poteri di guarigione e che l’arte della
guarigione si adatta bene alle donne, viene loro naturale; vorrebbe istruire
Therru, anch’essa dotata di poteri magici, ma non sa come farlo.
Sembra che – a parte il sorgere della figura di Therru/Tehanu – in
questo romanzo (che è il più lungo dei cinque) non succeda nulla, nulla
che si possa collegare ad uno sviluppo della “grande storia” di Earthsea.
È più come uno zoom concentrato su un piccolo paese – Gont – e sulle
vicende dei suoi abitanti. Le ultime righe infatti finiscono con pensieri
moderatamente compiaciuti di Tenar, pensieri semplici: vivere gli anni che
le restano assieme a Sparviero (ora capraio), ormai vecchi, a coltivare l’orto
per mangiare l’estate prossima e sentire il profumo delle infiorescenze
dei fagioli…
Questo tipo di “setting” ricorda la Contea dopo la fine della Guerra
dell’Anello: la lotta contro Sharkey ed i suoi manigoldi, la riparazione
delle brutture inferte al territorio, il matrimonio di Sam con Rosie ed i
loro bambini, Sam sindaco, Pipino e Merry benevoli notabili nella società
hobbit… insomma, un’ambientazione quotidiana, privata e circoscritta
nello spazio dopo gli epici avvenimenti che hanno coinvolto l’intero mondo
della Terra di Mezzo. La stessa figura di Frodo e il suo ritiro da
pensionato, sottovalutato e dimenticato (a parte dal lontano re Aragorn e
così pure dagli altrettanto lontani Gandalf, Elrond e Galadriel o dagli
amici più intimi) è molto simile alla figura dello Sparviero senza poteri
e capraio, dimenticato e sottovalutato da tutti (tranne che dal lontano re
Lebannen, dai suoi ex colleghi i Maghi di Roke e dagli amici più stretti
come Tenar).
5.
I venti di Earthsea ( The Other Wind)
Quinto
ed ultimo volume della saga, scritto nel 2001. Laddove la prima trilogia
aveva come protagonista assoluto Ged/Sparviero, ora il ciclo pare non avere
più un vero e proprio eroe (Sparviero ha davvero perso tutti i suoi poteri
magici ed è chiaro che non li riacquisirà mai più), ma sembra essere
diventata una storia collettiva di persone: gli abitanti dell’isola di
Gont, Re Lebannen e la sua corte di Havnor, la sua sposa barbarica Sesserakh,
i maestri della Scuola di Magia di Roke, l’incantatore Alder, Tenar e il
suo nucleo famigliare e di vicinato, Kalessin ed i Draghi e Therru/Tehanu,
divenuta ormai una giovane donna, assieme ad Irian, l’altra bambina-drago.
È come se nei primi quattro romanzi si stessero preparando delle storie
personali, dei rapporti interpersonali, delle competenze individuali
affinché queste cose poi interagissero fra di loro e si formasse un
«gruppo caparbio di uomini e di donne, perché non perdessero di vista lo
scopo comune».
In questo sono ravvisabili delle eco tolkieniane: la formazione della
Compagnia dell’Anello e la creazione di un’Alleanza di hobbit, nani,
elfi, ent, eserciti dei morti, uomini della foresta, gondoriani, rohirrim,
stregoni ed aquile che collaborano attivamente alla distruzione di Sauron.
Ged e Tenar appaiono in questa avventura conclusiva ormai invecchiati, senza
poteri se non quello della saggezza dovuta all’anzianità, desiderosi di
trascorrere in pace e tranquillità i loro ultimi giorni e coinvolti ancora
una volta – loro malgrado – nei grandi avvenimenti del mondo.
La storia inizia con Alder, uno stregone di basso rango che ha “la
capacità di aggiustare ciò che è rotto”, che si reca in visita al già
famoso Sparviero per chiedergli consiglio; egli è infatti in preda agli
incubi: ogni notte la moglie defunta gli appare, in attesa, oltre un
muricciolo di pietre che separa i vivi dai morti ed invoca il suo nome, lo
chiama, mentre le voci degli altri morti gli implorano di liberarli. Presto
si capisce che il luogo descritto da Alder è la Terra Arida già vista in
La spiaggia più lontana e che egli sia stato inviato lì dai Maestri di
Roke poiché Sparviero è uno dei rarissimi uomini ad averla attraversata e
ad esserne tornato indietro ancora vivo, seppur privato della propria magia.
Le vicende di tutto il romanzo ruotano attorno alla problematica situazione
del Regno di Havnor (i tentativi di pacificazione dell’Arcipelago con le
popolazioni barbare dei Karg, il matrimonio di Re Lebannen con la
principessa Sesserakh), al sommovimento inquieto dei morti (sembra che la
ferita inferta ad Earthsea da Pannocchia abbia ridestato un male più antico
e duraturo) e alla nuova ostilità dei Draghi (che pare vogliano riprendersi
ciò che è loro di diritto): il tutto collegato agli inquietanti lamenti
che turbano i sogni di Alder.
Un grande cambiamento è in agguato su Earthsea, di cui gli eventi recenti
sono stati solo il preambolo. Sogni e profezie indicano che niente sarà
più come prima e la presenza di un Re sul trono di Havnor dopo secoli e –
al contempo – il perdurare dell’assenza di un Arcimago a Roke fanno
presagire che la trasformazione è alle porte. «Tutto è cambiato» dice
Ged a Tenar «A volte mi chiedo se il regno di Lebannen non sia solo l’inizio.
Una porta. E lui il guardiano, che non potrà mai oltrepassarla».
Il titolo originale stesso del romanzo preannuncia il grande cambiamento,
come pure l’epigrafe con cui si apre il volume: «Nell’Ovest oltre l’Ovest
oltre la terra / la mia gente sta danzando sull’altro vento». L’altro
vento, il vento del cambiamento, ma anche il vento delle terre abitate dai
Draghi, che vivono oltre l’Arcipelago. Un cambiamento che può essere
rovina, ma anche rinnovamento: «Dobbiamo unirci per scoprire in cosa
consista questo cambiamento, le sue cause, il suo corso, e in che modo
possiamo sperare di volgerlo dal conflitto e dalla rovina, all'armonia e
alla pace». Ma in che cosa consiste questo cambiamento? Per capirlo
dobbiamo fare due digressioni, due approfondimenti sulla storia di Earthsea
che la Le Guin esplicita in questo quinto romanzo.
Il primo riguarda l’origine dei draghi e della razza umana: essi erano, in
principio, un unico popolo e parlavano un’unica lingua. Ciò nonostante
Draghi ed Uomini cercavano cose diverse e finirono col separarsi e
intraprendere diverse strade; tale decisione, tale accordo è chiamato nella
Lingua della Creazione Verw nadan, “divisione”. Gli esseri umani presero
le terre dell’Oriente e rinunciarono alla loro conoscenza della Lingua
della Creazione e alle loro ali, ricevendo in cambio l’abilità e la
destrezza manuale, nonché il possesso di tutto ciò che l’arte manuale
può creare. I draghi invece presero le terre dell’Occidente,
abbandonarono le attività manuali ma tennero le loro ali e la Lingua della
Creazione. Così – separati nei domini, nelle conoscenze, nelle attività
– sono rimasti Draghi ed Uomini per millenni; ogni tanto, tuttavia,
nascono bambini in grado di scegliere il loro destino e la loro identità,
draghi mezzi-umani come Irian oppure uomini mezzi-draghi come Tehanu. Questa
invenzione narrativa ci ricorda il diverso destino delle razze degli Elfi e
degli Uomini in Tolkien: vivere una vita eterna nelle terre immortali dell’Ovest
i primi, vivere una più breve vita terrena con la speranza della
resurrezione dopo la morte i secondi. Anche in Tolkien esistono poche,
eccezionali creature in grado di scegliere fra questi due destini: i
mezzelfi come i fratelli gemelli Elrond ed Elros (il primo scelse di vivere
come un Elfo e visse per millenni fino alla fine della Guerra dell’Anello,
quando partì dai Porti Grigi; il secondo scelse invece di vivere da uomo e
fu il primo re di Númenor) oppure i Portatori dell’Anello come Frodo, che
alla fine del Signore degli Anelli parte per le terre immortali assieme a
Gandalf, Elrond e Galadriel.
Il secondo approfondimento, collegato al primo, viene raccontato ai
protagonisti da Sesserakh. Ella è una figura femminile molto interessante:
principessa dell’Oriente, inviata dal padre (il Re-Dio dei Karg) in sposa
a Lebannen, re dell’Occidente, come pegno di pace tra i due antichi regni,
è stata costretta ad affrontare un lungo viaggio per mare verso una terra
ignota ed un futuro marito di cui non conosce neppure il linguaggio,
principe di una popolazione che le è sempre stata dipinta come demoniaca.
Inizialmente è spaventata, pensa che la gente di Havnor parli una lingua
diversa e maligna allo scopo di confonderla, e si rintana nella sua tenda,
ammantata completamente di veli rossi e circondata dalle sue ancelle (sono
qui chiari i riferimenti alla condizione delle donne mediorientali). Poi,
grazie all’aiuto di Tenar – anch’ella originaria delle terre dei Karg
– riesce ad aprirsi e a comunicare e finisce col fidarsi di Re Lebannen e
di quegli strani uomini dalle pelle scura che praticano la magia, proibita
nelle sue terre d’origine.
È proprio lei, Sesserakh, che riesce a dare la giusta chiave di lettura
agli avvenimenti che stanno sconvolgendo Earthsea: ella è infatti
depositaria delle antiche tradizioni e leggende dei Karg, tra le quali è
racchiusa anche la storia dell’origine della Terra Arida. «Gli abitanti
dei villaggi di Gont e di Hur-at-Hur ricordano quello che i saggi di Roke e
i sacerdoti di Karego hanno dimenticato» prende atto il Maestro degli
Schemi, mentre Tenar traduce il racconto della principessa. Dopo la
separazione del Verw nadan tra Draghi ed Umani, questi ultimi infransero il
giuramento fatto. Mille anni prima dei primi re di Enland, alcuni uomini di
éa e Soléa impararono la Lingua della Creazione e la scrissero nelle Rune,
che i draghi non erano in grado di comprendere. Furono i primi e più grandi
maghi ed insegnarono agli altri uomini a dare ad ogni anima il suo vero nome
– il nome che né la verità, l’essenza. Tennero il Potere che avevano
scoperto e lo insegnarono ad altri e se ne servirono, facendo incantesimi
con la Lingua della Creazione. Fu allora che il popolo dei Karg, non
fidandosi di loro, si distaccò da quegli esseri umani, rinnegò la Magia e
andò a vivere nelle terre ad Oriente dell’Arcipelago.
Ma cosa c’è di così maligno nell’aver infranto il patto ed aver
riacquistato il Potere della Lingua della Creazione? È Irian ad
anticiparlo:
«Gli uomini temono la morte, mentre i draghi non la temono. Gli uomini
vogliono essere padroni della vita, possederla, quasi fosse un gioiello in
uno scrigno. Quegli antichi maghi bramavano la vita eterna. Impararono ad
usare i veri nomi per impedire agli uomini di morire. Ma chi non può morire
non può mai rinascere».
Dunque quegli antichi maghi usarono il Potere per poter vivere per sempre,
per dare una vita eterna alle anime di coloro che amavano, una vita dopo la
morte del corpo. E videro nelle terre dei Draghi sull’altro vento, nell’Occidente
oltre l’Occidente (eco delle terre dei Valar non raggiungibili dalle
normali imbarcazioni) «una grande terra di fiumi e montagne e splendide
città, dove non ci sono sofferenza e dolore e dove il sé permane,
immutato, immutabile per sempre». Fu così che essi usurparono metà del
dominio dei draghi, violarono ulteriormente il giuramento e separarono
quelle terre con un muro di pietra, affinché i Draghi non potessero più
entrarvi. E lì, in quelle meravigliose terre sottratte con l’inganno
fecero sì che le anime loro e dei loro discendenti si raggruppassero dopo
la morte, per vivervi eternamente. Tuttavia per questa usurpazione gli
Uomini pagarono un grande scotto:
«quando il muro fu eretto e l’incantesimo venne completato, il vento
cessò di soffiare, all’interno del muro. Il mare si ritirò. Le sorgenti
smisero di zampillare. Le montagne dell’alba diventarono le montagne della
notte. I morti giunsero in una terra tenebrosa, una terra arida».
Ecco dunque spiegata l’origine della Terra Arida ed ecco spiegata sia la
collera dei Draghi sia la radice antica del male che sta avvelenando
Earthsea.
Proviamo a leggere in questa leggenda un messaggio che Ursula Le Guin ha
scritto per noi, uomini del XX-XXI secolo, per il nostro tempo. In questi
antichi maghi che usano i “nomi veri” per impedire agli uomini politici
potremmo forse ravvisare tutti quei “leaderini” politici o tutti quegli
artistoidi/letterati dei decenni scorsi che hanno fondato la loro vita sul
narcisismo: «ma chi non può morire non può rinascere», dunque il
narcisismo non lascia eredità alle altre persone e alle generazioni future,
e quello che di vitale un narcisista sperimenta nella sua vita non è
veramente vitale e non viene trasmesso ad alcuno, non concima, non irrora,
non dà vita.
Vi è poi l’eco della concezione platonica dell’anima separata dal
corpo, un fluido-essenza-fantasma dell’individuo umano che può vivere
isolato, stabile, immortale ed immutabile, privo di relazioni con gli altri
individui. Pensiamo a come – più nel protestantesimo ma anche nel
cattolicesimo – lungo la seconda metà del Novecento i discorsi “escatologici”
(sull’aldilà) sono cambiati: non si predica più di un’altra vita
post-mortem (temporale ma infinita), si parla solo di questa vita, puntando
sui messaggi etici, di un’etica però meno individualista e più
comunitaria. La “gloria del nome”, il “farsi un nome”, il “preservare
il buon nome” paiono essere in recessione rispetto ai secoli scorsi,
quantomeno sotto le apparenze ed almeno in alcuni gruppi-pilota di gente.
Nel romanzo infatti la soluzione al problema della Terra Arida si può
rintracciare nella parole di Tehanu alla fine del libro:
«Penso che quando morirò potrò restituire il soffio che mi ha dato la
vita. Potrò restituire al mondo tutto quello che non ho fatto, tutto quello
che avrei potuto essere e non sono riuscita a realizzare. Tutte le scelte
che non ho compiuto. Tutte le cose che ho perso e consumato e sprecato.
Potrò restituire tutto quanto al mondo. Alle vite che non sono ancora state
vissute. Quello sarà il dono che farò al mondo, per ringraziarlo di avermi
dato la vita che ho vissuto, l’amore che ho conosciuto, il respiro che ho
respirato».
Dunque, la soluzione pare essere il non cercare avidamente ed egoisticamente
di far perdurare il proprio io in eterno, il potersi ricongiungere – una
volta morti – con la terra che ci ha generati e lasciare che le nostre
eredità siano l’amore, la conoscenza, le buone azioni che abbiamo
compiuto in vita. I morti della Terra Arida bramano di morire davvero e
quindi l’unica soluzione è abbattere il muro di pietra che millenni prima
i maghi avevano costruito per separarli dalla vita, dalle terre dei Draghi.
Ecco che, allora, prima Alder e Tehanu, poi anche Re Lebannen, tutti i
Maestri di Roke ed i Draghi compiono uno sforzo combinato e collettivo per
distruggere il muro di pietra. Le schiere dei morti lo valicano e
spariscono: «Un filo di polvere, un alito che brillava un istante nella
luce sempre più intensa». Questa scena ricorda molto un analogo momento de
Il cannocchiale d’ambra, terzo libro della trilogia Queste oscure materie
di Philip Pullman: anche lì c’è una scena escatologica in cui Lyra e
Will, giunti nel Regno dei Morti, liberano le anime ivi intrappolate aprendo
una finestra con la lama sottile; anche lì inoltre le anime si dissolvono
in Polvere:
«Fece un passo avanti e rise per la sorpresa di ritrovarsi a muoversi nella
notte, alla luce delle stelle, all’aria… e un attimo dopo era sparito,
lasciandosi dietro una scia di felicità così radiosa da evocare in Will il
ricordo delle bollicine in una coppa di champagne».
Distrutto il muretto di pietre e liberate le anime dei defunti, nella Terra
Arida rifluisce a poco a poco la vita:
«C’era un Oriente, adesso, dove prima non esisteva nessuna direzione,
nessuna via da prendere. C’erano Oriente ed Occidente, luce e movimento.
La terra stessa si muoveva, tremava, si scuoteva come un grande animale».
Il romanzo si conclude ancora con Tenar e Sparviero e la loro vita modesta,
umile: le grandi guerre sono finite e bisogna tornare ad occuparsi della
quotidianità. «Raccontami cos’hai fatto mentre io ero via» le chiede
lei. «Ho badato alla casa» risponde Sparviero. «Hai passeggiato nella
foresta?» chiede nuovamente Tenar. «Non ancora» le risponde il marito.
Ricorda molto le parole con cui si conclude Il Signore degli Anelli:
«Egli vide una luce gialla e del fuoco acceso: il pasto serale era pronto,
e lo stavano aspettando. Rosie lo accolse e lo fece accomodare e gli mise la
piccola Elanor sulle ginocchia. Egli trasse un profondo respiro. – Sono
tornato – disse».
Centrale in questo romanzo è il tema della riconciliazione: la
riconciliazione di Tehanu con la propria natura di mezzo-drago, la
riconciliazione dell’incantatore Alder con la moglie defunta, la
riconciliazione di Re Lebannen con la sua futura sposa e – tramite loro
– quella del Regno di Havnor col Regno di Kargad. O ancora la
riconciliazione di diverse tradizioni e leggende: quelle di Kargad, quelle
di Paln, quelle dei maghi di Roke e quelle popolari Gont – ciascuna di
esse possiede un frammento della vera storia del mondo, ma soltanto quando
vengono messe in relazione mostreranno ai protagonisti la strada giusta da
seguire. Ed infine la riconciliazione degli Uomini coi Draghi, e delle anime
dei morti con la vita attraverso la distruzione della Terra Arida e il
ristabilimento dell’ordine originario di Earthsea.
6.
Alcune riflessioni generali sull’autrice e sulla sua saga
Ursula
Kroeber è originaria di Berkeley, in California, dunque in un luogo molto
intellettuale e progressista. È nata nel 1929, dunque quando è scoppiata
la Seconda Guerra Mondiale era poco più di una bambina e quando è finita
un’adolescente di sedici anni. Sua madre Theodora era una scrittrice, suo
padre Alfred Kroeber un antropologo di tribù amerinde abbastanza noto; nel
1953 ha sposato lo storico Charles A. Le Guin, di cui ha assunto il cognome.
È ovvio che queste tre figure, assieme agli studi affrontati dalla
scrittrice (letteratura maggiore all’Universita della Columbia, laurea in
Storia della letteratura francese e del Risorgimento italiano), hanno
influito sul suo stile narrativo e sui temi che ella inserisce nelle sue
opere. Non a caso in molte delle biografie della Le Guin si parla di una
forte enfasi nelle scienze sociali, in particolare la sociologia e l’antropologia,
sia nei suoi scritti di fiction che in quelli di saggistica. Non solo: anche
le figure di saggi nella saga di Earthsea – quali Sparviero, Ogion oppure
i Maghi di Roke – potrebbero ispirarsi a queste forti figure maschili
centrali nella sua vita. Ursula Le Guin ha un’intensa vita privata (tre
figli e quattro nipoti) e fa conferenze soltanto sulla costa occidentale
degli Usa, dove vive tutt’ora.
Ha scritto moltissimo, spaziando dalla narrativa fantasy (la saga di
Earthsea) a quella fantascientifica (i già citati La mano sinistra delle
tenebre, I reietti dell’altro pianeta o La falce nei cieli), dalla fiction
per bambini (la serie dei Gattivolanti) a quella realistica (La via del
mare: cronache di Klatsand), dal teatro (Rigel 9) alla poesia (Wild Oats and
Fireweed e Going Out with Peacocks and Other Poems) e alla saggistica (Il
linguaggio della notte o Dancing at the Edge of the World). Dunque una vita
piena sotto vari aspetti nonché “di successo”: ha vinto cinque premi
Hugo, sei premi Nebula e molti altri premi letterari, molti dei suoi scritti
sono in continua ristampa da quasi quarant’anni e negli ultimi vent’anni
sono stati scritti una decina di libri di analisi critica della sua opera
negli Usa e nel Regno Unito.
Ursula Le Guin sembra essere un esempio eminente di “nuova figura
letteraria”: in lei – come e più che in Stephen King – la vena del
fantastico si mescola con quella realistica e con quella saggistica,
superando la dicotomia tipica dell’Ottocento-Novecento tra autori solo
fantastici (Verne, Lovecraft, Howard, Heinlein, Vogt e così via) da una
parte ed autori solo realistici (Mann, Joyce, Pavese, eccetera) dall’altra.
Questo nuovo tipo di scrittore pare essere impegnato anche su temi civili
quali il razzismo, il femminismo, i diritti d’autore, la religione e così
via.
La Le Guin in particolare pare interessarsi alle conseguenze personali,
sociali ed antropologiche a cui una diversa strutturazione del mondo
(rispetto al nostro) può portare: l’ermafroditismo in La mano sinistra
delle tenebre o l’uso della magia in Earthsea ne sono due esempi. In
particolare nella saga di Earthsea possiamo vedere l’attenzione prestata
al tema delle razze: i personaggi principali, quelli che vivono nell’Arcipelago,
sono persone di colore (una scelta che riflette il fatto che anche nel mondo
reale la maggior parte degli esseri umani non è di pelle bianca): Ged ed
Arren sono di carnagione olivastra mediorientale, mentre Veccia è nero
ebano come gli africani. Il fatto che spesso gli illustratori del mondo di
Earthsea li abbiano ugualmente raffigurati come dei bianchi occidentali la
dice lunga sui pregiudizi e sugli stereotipi che albergano in tanta
letteratura fantastica. Un altro tema, già citato nelle recensioni dei
singoli romanzi, è quello del femminismo: il ruolo delle donne in Earthsea,
il maschilismo dei maghi di Roke e – al contempo – la diversa natura dei
loro Poteri.
La Le Guin, inoltre, conserva un qual certo ottimismo da Anni Sessanta: non
fa alcuna “laus temporis acti”, non ha cioè nostalgia per il passato
(né prossimo né remoto) o per qualche mitica “età dell’oro”, non
depreca né irride le giovani generazioni («Ah, i giovani d’oggi!») e il
grande cambiamento a cui accenna nei suoi romanzi non è un cambiamento
negativo (il tramonto dell'Occidente, l'asservimento alla tecnologia
disumanizzante, la fine degli ideali, la decadenza dei “valori” e così
via) ma, anzi, al contrario, l’occasione per un miglioramento globale.
Questo è probabilmente ricollegabile alla sua biografia: è una persona che
ha vissuto una buona vita, che l’ha soddisfatta, mentre i “lodatori del
tempo che fu” sono persone insoddisfatte della propria vita. Anche Tolkien
era come la Le Guin: gli Elfi “umili” e “deboli” della Terza Era
come Galadriel ed Elrond non sono peggiori di quelli “superbi” e “potenti”
come Fëanor o Thingol; l’Era degli Uomini non è una “decadenza”
rispetto alle Ere degli Elfi; la storia, il passato, le tradizioni vanno
ricordate ed onorate ma non idealizzate! Dice la Le Guin in un’intervista:
«Mi piacevano la generosità ed il senso di responsabilità verso il futuro
che erano forti negli Anni Sessanta e Settanta. Sono di nuovo forti, ora,
tra i Verdi e le persone dei movimenti anti-corporativi, contro la guerra e
contro Bush. Un sacco di persone non diventano sagge solo perché
invecchiano, invecchiano e basta»
È facile notare, leggendo i cinque romanzi, la differenza nello stile e
nelle tematiche tra la prima trilogia, composta tra il 1968 e il 1972, e gli
ultimi due episodi. Il quarto romanzo è stato pubblicato nel 1990: tra La
spiaggia più lontana ed esso ci sono di mezzo tutti gli Anni Settanta e gli
Anni Ottanta. Che cos’è accaduto al mondo reale che può avere ispirato l’autrice?
Su un piano biografico e personale lei è certamente invecchiata, “maturata”,
ha avuto storie famigliari, i suoi figli sono cresciuti e sono divenuti
genitori a loro volta e lei nonna… nel frattempo il successo letterario
avuto negli Anni Sessanta grazie alla fantascienza non è stato dimenticato
ma neppure è cresciuto ed anzi la sua notorietà è diminuita.
E sul piano “pubblico”, quello del “Mondo”? Negli Anni Sessanta
c'era stato un vento di novità, tante speranze e tante utopie: ci sono
stati il mouvement studentesco, gli hippy, la destalinizzazione di Kruschev,
la rivoluzione di Fidel Castro e Che Guevara, il libretto rosso di Mao Tse
Tung, il boom economico ed il welfare state, le lotte sindacali per i
diritti dei lavoratori, la beat generation, il Vietnam ed il pacifismo («make
love, not war»), Martin Luther King, la corsa astronautica verso lo Spazio
e l’uomo sulla Luna, i due fratelli Kennedy, il Sessantotto, il Concilio
Vaticano II, il femminismo e la liberazione sessuale...
Ma, nei decenni successivi, queste speranze degli Anni Sessanta si sono
realizzate solo in piccola parte, mentre in altra parte sono state viste
successivamente come illusioni (anche illusioni molto pericolose!): la
tensione fra le due superpotenze Usa-Urss è continuata storicamente tra
trattati di disarmo e scudi stellari di riarmo, nonché con conflitti locali
in Medio Oriente, Afghanistan, Africa (ben diversamente che nei sogni dei
pacifisti); sono intervenute crisi energetiche ed economiche; è emerso il
nuovo liberismo egoistico-edonistico della Deregulation di Reagan e della
Thatcher (ben diversamente che nei sogni dei neomarxisti); il maoismo si è
visto esser stato una distruzione della società cinese e anche un vero e
proprio genocidio fisico (ben diversamente che nei sogni dei sessantottini);
la famiglia tradizionale non è stata scardinata dalle “comuni” (ben
diversamente che nei sogni degli hippy); femminismo e sindacalismo hanno
fatto sì avanzare i diritti, ma non più di tanto; i giovani – ovviamente
– sono invecchiati anche se la loro musica rock è rimasta sempre la
stessa, con gli stessi stili e convenzioni a volte grottescamente ripetitivi
(diversamente che nei sogni della beat generation); le leggende del rock
sono morte di droga oppure invecchiate ed anch’esse sono più o meno
aggrappate ad un’immagine di evergreen (diversamente che nei sogni del
movimento psichedelico); i laici hanno più presenza nel volontariato, ma i
preti continuano a comandare ed anzi il papa ha aumentato il proprio potere
(diversamente che nei sogni dei promotori del Concilio).
Però negli Anni Settanta e Ottanta, nella concretezza incarnata delle
miriadi di storie locali e famigliari ed amicali ed individuali c’è stato
come un “metabolismo”, una digestione, un rimuginamento delle ideologie
precedenti, ed anche una loro critica, soprattutto verso gli estremisti
ideologici sia marxisti che giovanilistici-neoromantici o ancora
capitalistici-tecnologici. Queste miriadi di storie di persone individuali
hanno come preso su il buono e lasciato giù il cattivo delle ideologie
degli Anni Sessanta e qualche cosa hanno prodotto! Nel 1989 è caduto il
Muro di Berlino e con esso è imploso il totalitarismo sovietico; è finita
la Guerra Fredda e sono cominciate altre storie con dinamiche in parte
nuove: quel “nuovo decennio” che sono stati gli Anni Novanta.
L’ultimo romanzo, I venti di Earthsea, è stato completato al termine di
quel decennio, nel 2001; cos’è accaduto negli Anni Novanta? Facciamo di
nuovo un sommario elenco: l’avvento di Internet e il grande aumento
dell'informazione e della comunicazione nel vissuto delle gente comune, la
globalizzazione dei mercati e dei sistemi produttivi agricoli ed
industriali, la politica di distensione e collaborazione di Bill Clinton, la
sparizione quasi totale dei partiti comunisti, l’autocrazia di papa
Wojtyla, l’emergere di nuovi fondamentalismi religiosi sia nell’Islam
che nel Cristianesimo, il moltiplicarsi di storie di donne che scelgono la
“carriera” invece che la “famiglia”, molti grandi progressi della
medicina, imponenti (“epocali”!) flussi migratori di lavoratori dal
Terzo Mondo verso i Paesi Occidentali…
È quantomeno probabile che tutti questi mutamenti collettivi – uniti a
quelli personali della Le Guin – abbiano notevolmente influito sulla
stesura del quarto e del quinto romanzo della saga. Proviamo inoltre a
leggere i grandi mutamenti di Earthsea negli ultimi due romanzi alla luce
dei grandi mutamenti del nostro mondo: 1) non c’è più nessun Arcimago a
Roke (nessuna più ideologia/filosofia egemone nel mondo Occidentale?
Nessuna leadership filosofica e culturale?); 2) c’è finalmente un Re sul
trono di Morred ad Havnor (è finita la Guerra Fredda e Nato, Onu, Banca
Mondiale ed Unione Europea stanno governando unitariamente il mondo?); 3) la
bambina Tehanu convoca i Draghi e loro la chiamano “figlia” e “sorella”
(le nuove generazioni possono sembrare disimpegnati e confusi “bamboccioni”
ma magari al di sotto delle apparenze e dei luoghi comuni stanno incubando
cose belle e nuove?).
Ecco ancora un altro esempio dell'influenza della Storia (reale) sulle
Storie (di fiction):
«Una delle cose che ho imparato» dice la stessa Le Guin, riferendosi al
suo cambiamento stilistico nel corso del tempo «è stato come scrivere come
una donna, non come un “uomo onorario” ossia l’imitazione di un uomo.
Da un punto di vista femminile, Earthsea sembrava molto diverso da com’era
visto da un uomo. Tutto quello che dovevo fare era descriverlo dal punto di
vista dei deboli: le donne prive di potere, i bambini, un mago che ha speso
il suo dono e deve vivere come un “uomo qualunque”. Lo stesso luogo, ma
come sembrava cambiato! Alcune persone odiano il [quarto] libro per questo.
Mi rimproverano per l’aver punito Ged. Io credevo di averlo premiato»
Il messaggio principale della saga pare - però - essere, alla luce degli
ultimi due romanzi, quello “Filosofico” della Terra Arida.
Opportunamente la Le Guin parla di un tema importante, di tipo strettamente
culturale: nella società occidentale post-Seconda Guerra Mondiale sempre
più sta cambiando l’idea che le persone hanno dell’escatologia (cioè
della fine dei tempi, dell’aldilà, una proiezione mitica dell’etica);
ora l’etica è diventata sempre di più imperniata sui rapporti
interpersonali e comunitari e sulla valorizzazione della corporeità, il che
significa anche maggiore umiltà e maggiore riconoscimento della dipendenza
dagli altri. La Le Guin critica notevolmente lo “spiritualismo”
platonico (e quel luogo comune, assai diffuso tra i cristiani, che vede il
Paradiso o l’aldilà esattamente come l’Iperuranio platonico): la Terra
Arida, dove l’anima (l’ego individualista) vorrebbero vivere in eterno
è in realtà un luogo di prigionia, un vicolo cieco.
Un altro messaggio complessivo della saga è la “Decentralizzazione”: lo
stesso Arcipelago rappresentata questo concetto a livello geografico. C’è
poi quella tra Roke ed Havnor (capitale del potere magico la prima, del
potere politico la seconda) e quella tra civiltà evolute e civiltà
barbariche (i Karg): anche queste ultime, tuttavia, hanno i loro valori ed i
loro principi, che possono contribuire allo sviluppo di tutto il mondo
(vedi, nell’ultimo romanzo, l’intervento di Sesserakh); c’è la
decentralizzazione tra Uomini e Draghi (poteri diversi, facoltà diverse) e
quella tra magia maschile e magia femminile; ed infine quella tra terra e
mare (i mercanti marittimi, i pirati, il popolo delle zattere). Nei romanzi
non viene mai indicato un modello unico buono per tutti, non c’è una “visione
etnocentrica” che prediliga questo o quel popolo, né una “visione
antropocentrica” che prediliga gli umani ai draghi o viceversa. Insomma,
pare che sia più la sommatoria dei vari punti di vista a migliorare
globalmente il mondo di Earthsea, piuttosto che uno soltanto di essi. Non a
caso più volte è stata sottolineata la coralità degli ultimi due romanzi
rispetto ai primi – altro messaggio della Le Guin alla luce delle nuove
esperienze: il culto personalistico dell’Eroe non c’è più, anzi Ged/Sparviero
è ormai privo di tutti i suoi poteri, e ci si può salvare soltanto
collaborando ed unendo le proprie esperienze e le proprie, differenti,
potenzialità.
Ancora, c’è un messaggio che pare un ampliamento di quello che Tolkien
aveva già affrontato riguardo al “Potere”: ancora più che nel Signore
degli Anelli qui sono gli umili che contano per risolvere il problema del
mondo. È vero, vi sono anche le antiche aristocrazie come quella da cui
discende Arren/Lebannen, oppure ci sono i potenti maghi di Roke. Eppure fin
dai primi romanzi compare una figura come Tenar, che è una semplice ragazza
divenuta sua malgrado sacerdotessa ed è grazie alla sua pietà che il
potente Sparviero si salva e che viene recuperato l’Anello di Erreth-Akbe.
Inoltre gli ultimi due romanzi non mettono più al centro i grandi poteri,
ma le persone comuni oppure prive dei loro poteri (Sparviero e Tenar).
Proprio come in Tolkien, poi, c’è un messaggio come di “Sociologia
Religiosa”: così come nel Signore degli Anelli non ci sono “veri” dei
(non ci sono templi, sacerdoti, non vengono nominati né pregati
apertamente), anche in Earthsea viene sì nominato Ségoy come “creatore
dell’Arcipelago” ed è vero che Tenar è una sacerdotessa del culto dei
Senza Nome, ma in generale la presenza di sacerdoti, templi passa quasi
inosservata e non vi sono espliciti riferimenti a divinità di alcuna sorta.
Ciò che permette l’incontro e la collaborazione di individui di
nazionalità, età e formazione/istruzione diverse è la convergenza su
alcuni valori morali e non su una confessione religiosa comune.
Un altro messaggio è, diciamo, di “Interpretazione della Storia”:
diversamente dalle opere di Tolkien o dal ciclo di Narnia di Lewis o dalle
Cronache del ghiaccio e del fuoco di George Martin, qui i “grandi
cambiamenti” del mondo non sono derivati da grandi Guerre, ma emergono –
molecolarmente – da una miriade continua di vissuti particolari in tempo
di “pace”: sono diciamo cambiamenti più socio-culturali che politici.
Ad esempio, la decadenza della magia, la violenza o la micro-violenza
sociale, la ribellione al “sistema della Terra Arida”: quasi ad indicare
il mondo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, in cui non ci sono
conflitti globali ma vi sono grandi cambiamenti di cultura e di costume.
Ursula Le Guin si è avvicinata sempre più, durante la sua vita, al “Taoismo”;
ha quindi inserito in molte sue opere – compresa Earthsea – i principi
di questa filosofia religiosa. Ciò è evidente fin dalla canzone La
Creazione di éa, composizione nota tra le popolazioni dell’Arcipelago che
narra l’origine del loro mondo; essa dice: «Solo nel silenzio la parola /
solo nella tenebra la luce / solo nella morte la vita / fulgido il volo del
falco nel cielo del deserto». Il Tao, che ha provocato la creazione dell’universo,
ha dato origine a due principi cosmici (yin e yang) e l’opposizione /
combinazione di questi due principi basilari è riscontrabile in ogni
elemento della natura: maschio e femmina, luce ed oscurità, attività e
passività, movimento e staticità e così via. Tale dualismo però non è
da intendere come quello platonico (ovvero come una scissione reale tra due
cose e la scelta di una delle due come migliore dell’altra) bensì come
una scissione / codifica compiuta dall’uomo mediante la ragione. Nelle
cose in sé stesse, in realtà, il dualismo non esiste, perché in ogni cosa
vi è anche il suo opposto ed essi si equivalgono e sono complementari, non
sono “nemici” come per Platone Anima e Corpo, o Spirito e Materia.
Nessun principio può uscire dai propri domini e surclassare il suo opposto:
questo infatti genererebbe uno squilibrio, come infatti avviene in Earthsea
ogniqualvolta un uomo (ad esempio Pannocchia nel terzo libro) od un
avvenimento (la questione della Terra Arida nel quinto volume) sbilanciano l’equilibrio
cosmico verso uno soltanto dei due principi, cercando di sopraffare l’altro.
Oppure pensiamo alla riconciliazione tra Ged e la sua Ombra nel primo libro:
il messaggio della Le Guin pare essere che ogni Luce deve incontrare la
propria Ombra per brillare veramente. Nel mondo di Earthsea ci possono
essere anche nemici esterni, ma la vera minaccia pare essere nel cuore e
nella mente dei suoi abitanti.
Un'altra regola del Taoismo è quella dell’agire senza agire (wu wei),
secondo la quale per non creare disarmonia e dolore l’uomo deve pensare
prima di agire e – in generale – lasciare che la natura porti sempre a
compimento i propri cicli. Non per nulla nella saga ci vengono presentati
personaggi che scelgono la via dell’essere anziché la via del fare, dell’agire:
in primis Ogion il Taciturno, che vive in disparte dai propri colleghi, in
una località chiamata Re Albi (che richiama il nome di una località nel
sud della Francia, Albi, in cui tra il XII e il XIII secolo si sviluppò l’eresia
catara, che vedeva il Bene in equivale potenza al Male); poi sicuramente gli
stessi Tenar e Sparviero degli ultimi due libri, privi dei loro poteri, che
però sono felici della loro vita semplice.
Terzo punto di evidente contatto tra la saga della Le Guin ed il Taoismo è
il concetto di aldilà: mentre secondo le tradizioni occidentali
greco-romana e germanica (non però in quella ebraico-cristiana!) la morte
è l'antitesi della vita, nel Taoismo la vita e la morte sono in stretta
relazione, sono due stadi necessari della vita universale sulla terra e
della vita individuale degli esseri. La morte è vista come un ritorno, una
rinascita ad una nuova esistenza; è detta “il grande risveglio”, visto
che l’uomo dopo la morte giunge alla sua completezza ricongiungendosi con
la Divinità – e questo è un processo naturale e benefico. Dice una
massima del maestro taoista Zhuangzi:
«Un fascio di ramoscelli esiste come tale finché è legato e stretto;
quando viene sciolto i ramoscelli si disperdono ed esso non è più un
tutt'uno. Così è dell'uomo: esso è uomo finché tutte le sue parti
costituiscono un tutt'uno: cessata tale unione, cessa l'individualità
umana. È da avvertire però che il fascio, se incendiato, può trasmettere
il fuoco a un altro fascio, innanzi che il primo sia del tutto disfatto e
consumato, e così di seguito il fuoco e la luce vengono trasmessi da fascio
a fascio: i fastelli a mano a mano vengono composti e disfatti, come le
persone vivono e muoiono, compaiono e scompaiono; ma il fuoco e la luce, o
l'esistenza e la vita, continuano perenni nel mondo».
Molto simile è l’esistenza post-mortem in Earthsea nel momento in cui la
Terra Arida viene distrutta e l’equilibrio del mondo ripristinato.
Avvicinandoci alla conclusione della nostra ampia recensione, chiediamoci
ora dove abbia avuto origine l’Arcipelago di Earthsea creato dalla Le Guin.
C’è chi vede in esso il riflesso degli interessi dell’autrice per l’antropologia:
da un lato appare simile al Mediterraneo ellenico descritto nei poemi
omerici, dall’altra presenta tematiche simili a quelle di Margaret Mead,
antropologa statunitense che ha studiato lo sviluppo adolescenziale delle
giovani samoane e dei giovani giavanesi, contrapponendo – con un tot di
ingenuo romanticismo rousseauiano o sessantottino - la presunta crescita
armonica di questi adolescenti nelle “culture selvagge” alle presunte
crisi ed oppressioni cui sarebbero soggetti i loro coetanei nell’Occidente.
Spesso infatti l’Arcipelago è accostato alla Polinesia, all’Indonesia e
alle Filippine. Ursula Le Guin dice di aver visto qualcosa di molto simile
ad Earthsea nelle Scilly Isles (un arcipelago a sud-est della Gran Bretagna)
e in una piccola baia chiamata Trinidad nelle coste a nord della California,
in una mattina di nebbia, ma che tutti questi luoghi sono principalmente
dentro di lei. In un’intervista ha infatti affermato che: «tutti noi
abbiamo arcipelaghi nelle nostre menti», intendendo così che la fonte d’ispirazione
per Earthsea è stata più la propria fantasia che lo studio antropologico
di reali popolazioni del nostro pianeta.
Una riflessione infine sul “cambiamento di rotta” della Le Guin nei
confronti della magia e della somiglianza, in questo, con alcuni fantasy
moderni. Se nei primi tre libri di Earthsea difatti il ruolo della Magia è
grande, nei due libri finali pare esserci un ripensamento: i protagonisti
sono senza poteri, alle prese con antagonisti che invece usano la magia per
il proprio tornaconto, ed in generale la Magia ha un ruolo minoritario nella
risoluzione dei problemi del mondo. Così, quando nel 1990 scrive L’isola
del drago, la Le Guin sa bene che il genere fantasy in quel momento sta
sfornando un’infinita quantità di titoli che vanno a nozze con il magico:
Brooks, Eddings, Goodkind per dirne alcuni. Lei, invece, sceglie una via
più difficile: è possibile scrivere un buon fantasy senza che la magia (o
la presenza di altre razze non umane) abbia un ruolo centrale? Ci prova e il
tentativo le riesce, inserendosi così in quel filone in cui possiamo
mettere anche autori come George Martin o Jacqueline Carey, che hanno
preferito le trame e gli intrighi politici alla centralità della magia nei
loro fantasy.
Se, come abbiamo suggerito, “Magia” (sul piano della fiction) significa
“Scienza” (sul piano della realtà), ecco un ulteriore passo di
allontanamento dalla narrativa di fantascienza degli Anni Cinquanta e
Sessanta... cioè da una narrativa che riprendeva l'ideologia ottimistica
verso la scienza propria di quegli anni, quelli delle “teste d'uovo”
kennedyane e della gara astronautica. Come se la Le Guin ed altri romanzieri
si fossero accorti che nei destini del Mondo l'avanzamento delle scienze è
solo un fattore, e non quello più decisivo, e che – invece - le
responsabili o irresponsabili decisioni etiche e politiche sono fattori
molto più importanti.
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