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Franco Manni
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La filosofia della storia e Benedetto Croce
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in Studium, gennaio - febbraio 1989
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Il Positivismo della fine del XIX secolo aveva impregnato di sé i vari campi del sapere, non delle scienze naturali invero che, pur da esso esaltate, erano verso esso affatto indifferenti. Ma delle scienze umane sì! E tra queste, anche della Storia. In Italia il Positivismo aveva prodotto la cosiddetta "scuola storica" di D'Ancona, Imbriani, Villari, Reina, Reiner La storiografia positivista può esser chiamata "filologismo", perché aveva una filosofia di fondo anti-filosofica, che programmaticamente rifiutava di "allargarsi" alle interpretazioni, alle analisi concettuali, ai racconti innervati di lezioni logiche e morali utili alla azione del Presente... "Filologismo" da distinguersi nettamente dalla "filologia", disciplina sussidiaria degli studi storici, seria, utile e, se ben coltivata nei suoi giusti limiti epistemologici, anche educativa... come diceva Benedetto Croce, in un curriculum di studi ideale ci vogliono "prima spalle sodate da filologo, e poi testa da filosofo" (richiamando il "philosophia et philologia geminae hortae" di Vico). Ma l'ideale positivista erano i cosiddetti "fatti", e lo storico positivista riteneva sua gloria accumularli con estenuata (ed estenuante) erudizione, con l'acribia del raccoglitore ossessivo più che dell'interprete intelligente... "ammucchiare legna da ardere... senza che mai ci si ponesse il problema di quando e chi avrebbe poi dato fuoco a tale immensa catasta di dati minuti, irrelati e dispersi", come persone più pensose e seriamente interessate alla dignità della Storia denunciavano. Tra questi figura di spicco europea fu Benedetto Croce, che nella sua polemica contro il filologismo positivista trovò e fece trovare spunti fecondi per la costruzione di una Teoria della Storia e della Storiografia innovativa e fertile, quella che fu da ispirazione e guida a varie generazioni di storici e anche filosofi come Robin G. Collingwood. Ricordando le sua fatiche di filologo della gioventù, scriveva : "debbo alla foga in cui mi buttai sull'erudizione e alla sazietà che me ne venne, e al disgusto di quella sazietà, se prese in me vigore il sentimento che la scienza dovesse avere forma e valore ben diverso da quelle estrinseche esercitazioni erudite, e che nisi utile est quod facimus, stulta est gloria".
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