L’antidoping tra i banchi fa discutere la scuola
bresciana. E al di là della «provocazione» lanciata l’altro giorno
dal ministro dell’Interno Giuliano Amato («Lo facciamo agli atleti,
perché non anche all’uscita delle discoteche e nelle scuole, magari
dopo un’interrogazione?»), emerge l’allarme rosso per una diffusione
della droga tra i giovani che «ha superato ogni livello di guardia», a
dirla con le parole del direttore dell’Ufficio scolastico provinciale
Giuseppe Colosio.
Presidi e docenti sono per lo più dello stesso avviso, e chiedono in coro
che qualcosa si faccia. Ma l’antidoping tra i banchi sembra ai più
davvero una "sciocchezza". La scuola rivendica piuttosto il suo
ruolo educativo, ripete che ha altri strumenti, e più culturali, a
disposizione per mettere un freno al dilagare degli spinelli e delle nuove
droghe semilegali. E lascia volentieri ad altri la repressione.
Colosio riflette sulle parole del ministro, e «anche se in forma
paradossale - commenta - svelano la consapevolezza di una situazione
pericolosa che ha superato tutti i limiti di guardia». E poi, «le
proposte vanno valutate - aggiunge - ma l’analogia tra prestazione
sportiva e scolastica in fatto di doping mi pare proprio che non abbia
fondamento. D’accordo che bisogna fare qualcosa, ma dobbiamo agire in
profondità negli atteggiamenti culturali».
Colosio vedrebbe bene l’antidoping fuori dalle discoteche, come nulla
eccepisce sui controlli interni ed esterni agli istituti contro lo
spaccio, ma «in classe - sottolinea - bisogna agire di più sul piano
educativo, con un’azione congiunta di famiglia e scuola». E il preside
dello scientifico Calini Gaetano Cinque sottolinea il concetto.
«Ferma restando la vigilanza e la repressione - precisa Cinque - non
bisogna mai perdere di vista la funzione promozionale e positiva della
scuola, che deve essere di qualità e attenta ai momenti espressivi e
creativi». In caso contrario «dimentichiamo le molte cose buone che si
fanno tra i banchi, come il volontariato dei nostri ragazzi con gli
anziani della Casa Richiedei, l’educazione stradale e alla legalità…».
Il preside del Calini non commenta il «paradosso» di Amato, e Graziano
Melzani, che dirige il Gambara, lo liquida come una «battuta». Tuttavia,
«che si debba tenere alta l’attenzione sul fenomeno è cosa che sanno
tutti - aggiunge Melzani -, i controlli sono stati fatti anche al Gambara
negli anni passati con i cani antidroga, e anche se non è stato trovato
niente sono utili». Il problema, però, «non si risolve con il doping
dopo le interrogazioni, che magari vengono fatte anche all’improvviso -
osserva -, bensì con un coinvolgimento dell’intera società».
La questione preoccupa, insomma, ma l’antidoping di Amato «mi sembra un
modo di ridicolizzare questioni importanti» sottolinea Melzani, che
invita piuttosto a discutere di altre modalità per difendere la salute
mentale degli studenti.
«La scuola è una cosa seria - sbotta la preside dell’Itc di Leno
Ermelina Ravelli -. Ben vengano anche queste cose, insieme ai controlli
antidroga delle forze dell’ordine, che a Leno ci sono stati e hanno
trovato il consenso della grande maggioranza dei genitori». E però, «la
scuola avrebbe bisogno di un’iniezione di fiducia, di essere messa al
centro dell’attenzione - aggiunge -, non di finire sempre nell’occhio
del ciclone una volta con il bullismo, poi con le droghe e via dicendo».
Per fortuna che su certe cose anche i ragazzi scherzano e «preside, le
facciamo l’antidoping?», si è sentita chiedere ieri mattina la preside
Ravelli. In ogni caso a invocare più attenzione al fenomeno sono anche i
docenti. Rossella Perusco insegna al Lunardi, e «i controlli dovrebbero
essere fatti, non so in che forma, anche se so che con le interrogazioni
non dovrebbero entrarci per niente», dice.
Dal Copernico, Maurilio Lovatti si dice piuttosto scettico sull’uso
di droghe durante le ore scolastiche. «I controlli al mattino sarebbero
inutili - osserva - bisognerebbe farli di più alla sera». E in ogni
caso, «è impensabile che la scuola si metta a controllare. Piuttosto,
può segnalare i danni che si possono creare, dare maggiore consapevolezza
attraverso l’educazione e la prevenzione ma si devono coinvolgere anche
le famiglie, che spesso danno un sacco di soldi ai figli e non si
preoccupano di come li spendono». Con il che la palla passa ai genitori.
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