Le parole chiave della dottrina
sociale della Chiesa
Dalla
Rerum novarum di Leone XIII (1891) alla Fratelli tutti di papa Francesco
(2020), la dottrina sociale della Chiesa si è evoluta costantemente per
tenere conto delle rapide trasformazioni dell'economia e della società, in
un'epoca che ha visto, accanto ad un enorme progresso scientifico e tecnico
e ad un deciso miglioramento delle condizioni di vita, anche due guerre
mondiali e l'affermarsi di dittature spietate e disumane. Pur aggiornandosi
costantemente, il magistero sociale della chiesa si fonda su valori stabili
e condivisi. Esaminiamoli attraverso alcune parole chiave. Ora partiamo dal
concetto di proprietà, mentre altre parole saranno esaminate
nei prossimi numeri del Cantiere.
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Fin dalle
origini gli uomini hanno sempre considerato alcuni beni di proprietà
privata (il proprio arco, le proprie vesti, la propria terra da coltivare) e
quindi il diritto di proprietà appare come un diritto naturale. D'altra
parte il cristianesimo ha come valore centrale la fraternità (tutti gli
uomini sono figli di Dio) e di conseguenza il diritto di proprietà non può
e non deve prevalere sulla realizzazione del bene comune e sul dovere
universale della solidarietà. Nelle prime comunità cristiane i fedeli
mettevano in comune i propri beni.
La dottrina sociale della Chiesa esclude come false le opposte visioni del
liberismo economico (lo Stato non deve limitare il diritto di proprietà e
non deve interferire col libero mercato) e del socialismo marxista (la
proprietà privata dei mezzi di produzione dev'essere abolita).
Il Concilio ecumenico Vaticano II (1962-65) è stato chiarissimo:
“Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di
tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono
essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia,
inseparabile dalla carità. Pertanto, quali che siano le forme della
proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli secondo
circostanze diverse e mutevoli, si deve sempre tener conto di questa
destinazione universale dei beni” (Gaudium et spes, 69).
Paolo VI nel 1967 esprime nel modo più perentorio la critica al liberismo
economico ed alla tesi dell'assoluto diritto di proprietà che era già
presente nelle encicliche giovannee: “Si sa con quale fermezza i padri
della chiesa hanno precisato quale debba essere l’atteggiamento di coloro
che posseggono nei confronti di coloro che sono nel bisogno: «non è del
tuo avere», afferma sant’Ambrogio, «che tu fai dono al povero; tu non
fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in
comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a
tutti, e non solamente ai ricchi». È come dire che la proprietà privata
non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è
autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno,
quando gli altri mancano del necessario. In una parola, il diritto di
proprietà non deve mai esercitarsi a detrimento della utilità comune”. (Populorum
progressio, n. 23).
Nel 1987 Giovanni Paolo II aggiunge che “è necessario denunciare
l'esistenza di meccanismi economici, finanziari e sociali, i quali, benché
manovrati dalla volontà degli uomini, funzionano spesso in maniera quasi
automatica, rendendo più rigide le situazioni di ricchezza degli uni e di
povertà degli altri. Tali meccanismi, azionati - in modo diretto o
indiretto - dai Paesi più sviluppati, favoriscono per il loro stesso
funzionamento gli interessi di chi li manovra, ma finiscono per soffocare o
condizionare le economie dei Paesi meno sviluppati” (Sollicitudo rei
socialis, n. 16).
Papa Francesco è fortemente critico verso ogni forma di liberismo in
economia. Già nella Evangelii gaudium ha esplicitamente criticato il
“principio della ricaduta favorevole”, cioè la falsa tesi sostenuta da
alcuni economisti, secondo cui ogni crescita economica favorita dal libero
mercato riuscirebbe di per sé a produrre una maggiore equità e vantaggi
per tutti, anche per i più poveri. Egli pensa che sia la politica a dover
governare l'economia, indirizzandola al bene comune, e non viceversa. Lo
Stato ha il dovere di ridurre le diseguaglianze sociali anche tramite le
politiche fiscali. Papa Francesco ha sottolineato, con la Laudato sì
(2015), che la politica, se vuole essere giusta, ha il dovere di intervenire
nell'economia per limitare il diritto di proprietà e la libera iniziativa
delle forze economiche non solo in vista di prevalenti esigenze di giustizia
sociale, ma anche per tutelare il bene prezioso dell'ambiente naturale, per
difendere il creato, cioè la nostra casa comune che ci consente di vivere,
di agire di conoscere.
Maurilio Lovatti
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