Il 30
dicembre 1987, Giovanni Paolo II pubblica l'enciclica Sollicitudo rei
socialis, nel ventesimo anniversario della Populorum progressio
di Paolo VI. E' la seconda enciclica sociale del Papa polacco, sei
anni dopo la Laborem exercens, ma è anche il documento nel quale
Giovanni Paolo II esprime più esplicitamente la sua adesione convinta alla
dottrina sociale del Concilio Vaticano II e del grande pontefice bresciano.
La Populorum progressio era stata pubblicata un anno e mezzo dopo la
conclusione del Concilio e aveva affrontato il grave problema del
sottosviluppo di larga parte dell'umanità, con le drammatiche conseguenze
della fame, della iniqua distribuzione dei beni, dell'analfabetismo e delle
malattie endemiche. Paolo VI, in linea con la tradizionale dottrina sociale
della Chiesa, aveva riaffermato che il diritto di proprietà e il diritto
alla libera iniziativa e al libero commercio devono essere subordinati alla
destinazione universale dei beni.
I primi 10 paragrafi della Sollicitudo rei socialis richiamano i
punti essenziali dell'enciclica di Paolo VI e in particolare la celebre tesi
che «lo sviluppo è il nuovo nome della pace», ribadendo che la vera pace
mondiale non è possibile senza lo sviluppo dai popoli del terzo mondo,
oppressi e sfruttati dai Paesi ricchi e che non è moralmente giustificabile
“il fatto che ingenti somme di danaro che potrebbero e dovrebbero essere
destinate a incrementare lo sviluppo dei popoli, sono invece utilizzate per
l'arricchimento di individui o di gruppi, ovvero assegnate all'ampliamento
degli arsenali di armi, sia nei Paesi sviluppati sia in quelli in via di
sviluppo.” (n. 10).
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Giovanni
Paolo II si propone di aggiornare l'insegnamento sociale di Paolo VI
tenendo conto dell'evoluzione dell'economia, della società e della cultura
nel periodo 1967-87. In primo luogo, sostiene il Papa, il divario tra la
parte ricca e quella povera del mondo è cresciuto sensibilmente: “una
moltitudine innumerevole di uomini e donne, bambini, adulti e anziani, vale
a dire di concrete ed irripetibili persone umane soffrono sotto il peso
intollerabile della miseria. Sono molti milioni coloro che son privi di
speranza per il fatto che, in molte parti della terra, la loro situazione si
è sensibilmente aggravata. Di fronte a questi drammi di totale indigenza e
bisogno, in cui vivono tanti nostri fratelli e sorelle, è lo stesso Signore
Gesù che viene a interpellarci” (n. 13).
Al crescente divario economico, si aggiungono le discriminazioni sociali:
“l'analfabetismo, la difficoltà o impossibilità di accedere ai livelli
superiori di istruzione, l'incapacità di partecipare alla costruzione della
propria Nazione, le diverse forme di sfruttamento e di oppressione
economica, sociale, politica ed anche religiosa della persona umana e dei
suoi diritti, le discriminazioni di ogni tipo, specialmente quella più
odiosa fondata sulla differenza razziale” (n.15).
Per Giovanni Paolo II “è necessario denunciare l'esistenza di meccanismi
economici, finanziari e sociali, i quali, benché manovrati dalla volontà
degli uomini, funzionano spesso in maniera quasi automatica, rendendo più
rigide le situazioni di ricchezza degli uni e di povertà degli altri. Tali
meccanismi, azionati - in modo diretto o indiretto - dai Paesi più
sviluppati, favoriscono per il loro stesso funzionamento gli interessi di
chi li manovra, ma finiscono per soffocare o condizionare le economie dei
Paesi meno sviluppati” (n. 16). Il Papa inquadra tali mutamenti nel quadro
più generale della opposizione tra i blocchi (si tenga presente che nel
1987 c'era ancora l'URSS con il blocco di Paesi alleati, che era in
contrapposizione all'Alleanza atlantica).
A distanza di oltre trenta anni, col mondo così cambiato, molti
insegnamenti di questa enciclica rimangono ancora attuali. Tra i più
significativi ricordo:
1) La condanna morale della produzione e del commercio di armi da guerra:
“Se la produzione delle armi è un grave disordine che regna nel mondo
odierno rispetto alle vere necessità degli uomini e all'impiego dei mezzi
adatti a soddisfarle, non lo è meno il commercio delle stesse armi. Anzi, a
proposito di questo, è necessario aggiungere che il giudizio morale è
ancora più severo” (n. 24).
2) La critica allo sviluppo indiscriminato e al consumismo: “lo sviluppo
non può consistere soltanto nell'uso, nel dominio e nel possesso
indiscriminato delle cose create e dei prodotti dell'industria umana, ma
piuttosto nel subordinare il possesso, il dominio e l'uso alla somiglianza
divina dell'uomo e alla sua vocazione all'immortalità” (n. 29).
3) Il valore della solidarietà tra gli uomini: “La solidarietà è
indubbiamente una virtù cristiana” (n. 40).
4) “L'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte
della missione evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi di una dottrina
indirizzata a guidare la condotta delle persone, ne deriva di conseguenza
l'«impegno per la giustizia» secondo il ruolo, la vocazione, le condizioni
di ciascuno” (n. 41).
5) La necessità di non dimenticare mai il principio tipico della dottrina
sociale cristiana: “i beni di questo mondo sono originariamente destinati
a tutti. Il diritto alla proprietà privata è valido e necessario, ma non
annulla il valore di tale principio: su di essa, infatti, grava «un'ipoteca
sociale», cioè vi si riconosce, come qualità intrinseca, una funzione
sociale, fondata e giustificata precisamente sul principio della
destinazione universale dei beni" (n. 42).
Maurilio
Lovatti
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