L'11 aprile
1963, giovedì santo, già gravemente ammalato per un tumore allo stomaco,
Giovanni XXIII pubblica la Pacem in terris, quasi un testamento
spirituale. Per la prima volta un Pontefice si rivolge in un enciclica “a
tutti gli uomini di buona volontà”, sollecitato anche in ciò dalla
gravissima crisi cubana dall'autunno del 1962, che aveva portato il mondo
sull'orlo del baratro di una guerra nucleare. Uno degli aspetti più
importanti e significativi del testo giovanneo è il definitivo
accantonamento del concetto di “guerra giusta” che per secoli era stato
sostenuto e difeso dal magistero della Chiesa, motivato con il cambiamento
radicale delle conseguenze di un eventuale conflitto rispetto al passato,
quando non esistevano le armi atomiche. Scrive Giovanni XXIII:
“Si diffonde sempre più tra gli esseri umani la persuasione che le
eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte con il
ricorso alle armi; ma invece attraverso il negoziato. Vero è che sul
terreno storico quella persuasione è piuttosto in rapporto con la forza
terribilmente distruttiva delle armi moderne; ed è alimentata dall’orrore
che suscita nell’animo anche solo il pensiero delle distruzioni immani e
dei dolori immensi che l’uso di quelle armi apporterebbe alla famiglia
umana; per cui riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la
guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia.” (n. 67).
L'enciclica è anche molto innovativa per quanto concerne la concezione del
potere politico da parte della Chiesa. Per la prima volta in un enciclica
papale, e dunque nel magistero ufficiale della Chiesa, sono enunciati e
apprezzati i valori fondamentali del liberalismo europeo e della democrazia.
Per quanto concerne il principio cardine del liberalismo, la separazione dei
poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, che si radica nel pensiero
politico moderno a partire da Locke e Montesquieu, Giovanni XXIII scrive:
“Riteniamo rispondente ad esigenze insite nella stessa natura degli uomini
l’organizzazione giuridico-politica della comunità umana, fondata su una
conveniente divisione dei poteri in corrispondenza alle tre specifiche
funzioni dell’autorità pubblica. [...] Ciò costituisce un elemento di
garanzia a favore dei cittadini nell’esercizio dei loro diritti e nell’adempimento
dei loro doveri.” (n. 41). E per quanto riguarda la democrazia: “Dalla
dignità della persona scaturisce il diritto di prender parte attiva alla
vita pubblica e addurre un apporto personale all’attuazione del bene
comune. L’uomo, come tale, lungi dall’essere l’oggetto e un elemento
passivo nella vita sociale, ne è invece e deve esserne e rimanerne il
soggetto, il fondamento e il fine.” (n. 13).
Oggi tali asserzioni sembrano quasi ovvie, ma se si pensa che alcuni regimi
del tempo, né democratici, né liberali, come la Spagna franchista, erano
considerati Stati cattolici da settori del mondo cattolico e
dell'episcopato, si comprende la portata innovativa delle tesi di papa
Giovanni.
Le argomentazioni del Pontefice si basano in ultima analisi sulla
convinzione che la pace autentica non può realizzarsi tra gli uomini e le
nazioni se non sul fondamento di un ordine sociale razionale, in cui a tutti
gli uomini siano garantiti i diritti universali e inalienabili per la
dignità della persona umana, e nel quale i poteri pubblici agiscano
efficacemente per il bene comune, eliminando o riducendo le ingiustizie
sociali, la povertà, i privilegi, le disuguaglianze non solo economiche, ma
anche culturali.
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Nella prima
parte dell'enciclica, prima di richiamare l'ingresso della donna nella vita
sociale e la crescita dei singoli popoli alla piena dignità della vita
internazionale, il Papa ricordata l'ascesa economica delle classi
lavoratrici e riconosce che ormai i lavoratori non sono più orientati a
posizioni rivendicazionistiche, ma vogliono collaborare al bene comune, come
soggetti attivi di diritti e doveri, in una società dove tutti sono, come
persone, titolari degli stessi diritti e degli stessi doveri.
Giovanni XXIII difende l'autonomia e la responsabilità dei laici cristiani,
impegnati in politica o nell'azione sociale, e cerca di superare un modello
di Chiesa, come quello propugnato dal card. Siri o da Luigi Gedda, allora
presidente dall'Azione Cattolica, che attribuisca ai laici un ruolo
prevalentemente esecutivo e attuativo di direttive della gerarchia.
Riferendosi alla possibile collaborazione con i partiti di sinistra, allora
marxisti, il Papa scrive:
“Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche
quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo
morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e
conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato
e trattato come si conviene a tanta dignità. […] Gli incontri e le
intese, nei vari settori dell’ordine temporale, fra credenti e quanti non
credono, o credono in modo non adeguato, perché aderiscono ad errori,
possono essere occasione per scoprire la verità e per renderle omaggio. Va
altresì tenuto presente che non si possono neppure identificare false
dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo
e dell’uomo, con movimenti storici a finalità economiche, sociali,
culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da
quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. […]
Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono
conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste
aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di
approvazione? Pertanto, può verificarsi che un avvicinamento o un incontro
di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece lo
sia o lo possa divenire domani.” (n. 83-85).
Infine una curiosità: Giovanni XXIII ha voluto firmare la Pacem in terris
con la penna a Lui donata dai lavoratori cristiani delle ACLI in occasione
della Mater et magistra.
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