Cominciamo
con questo numero un'analisi degli insegnamenti della Chiesa in campo
sociale, economico e politico, a partire dal Concilio Vaticano II (1962-65)
e con particolare riferimento ai pontificati di Giovanni XXIII (1958-63) e
Paolo VI (1963-78). Il magistero di questi due grandi pontefici ci fornisce
ancor oggi i principi fondamentali per orientarci in ambito sociale e
politico.
Il 15 maggio 1961, nel 70° anniversario della Rerum novarum,
Giovanni XXIII firma la Mater et magistra che si propone di dare
indicazioni “sui recenti sviluppi della questione sociale alla luce della
dottrina cristiana”.
La Rerum novarum di Leone XIII (1891) è tradizionalmente considerata
l'inizio della dottrina sociale della Chiesa, anche se ovviamente è in
parte superata dai grandi cambiamenti sociali da allora avvenuti.
Per Giovanni XXIII “la dottrina sociale della Chiesa è parte integrante
della concezione cristiana della vita”, ed è pertanto vincolante per il
credente. Il Papa cioè ci ricorda che il cristianesimo non può essere solo
un'esperienza intima, personale o famigliare, ma deve produrre i suoi frutti
anche nell'ambito sociale, e per questo il Pontefice insiste sulla
necessità di una maggior diffusione e di un più accurato insegnamento di
tale dottrina, per superare un atteggiamento ecclesiastico che in passato
l'aveva resa piuttosto marginale. Il Papa ribadisce l'importanza centrale
del lavoro umano, considerato come collaborazione al piano divino della
creazione e della redenzione, concezione in fondo già presente nella
teologia medioevale e in S. Tommaso. Giovanni XXIII ricorda il diritto del
lavoratore a ricevere una retribuzione che gli consenta di vivere con
dignità e conferma la legittimità e utilità dei sindacati, ma rispetto al
passato, il Pontefice non privilegia più l'idea di un sindacato dei
lavoratori dichiaratamente cristiano in quanto esprime la “medesima
paterna lode ai carissimi figli che svolgono opera esimia in altri sindacati”.
Il Papa ricorda l'importanza del principio di sussidiarietà introdotto da
Pio XI: “siccome non è lecito togliere agli individui ciò che essi
possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla
comunità, cosi è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società
quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare”. Per la Chiesa
cioè, lo Stato deve intervenire nell'economia per dirigerla verso il bene
della comunità (contro le tesi liberiste) ma senza “soffocare” o
prevaricare ciò che liberamente sono in grado di fare gli individui, le
famiglie e le enti locali.
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Giovanni
XXIII dedica ampio spazio all'analisi della crescente socializzazione della
società contemporanea “intesa come progressivo moltiplicarsi di rapporti
nella convivenza con varie forme di vita e di attività associata, e
istituzionalizzazione giuridica” e la valuta nel complesso positivamente:
“È chiaro che la socializzazione cosi intesa apporta molti vantaggi.
Rende infatti attuabile la soddisfazione di molteplici diritti della
persona, specialmente quelli detti economico-sociali, quali sono, ad
esempio, il diritto ai mezzi indispensabili per un sostentamento umano, alle
cure sanitarie, a una istruzione di base più elevata, a una formazione
professionale più adeguata, all’abitazione, al lavoro, a un riposo
conveniente, alla ricreazione. Inoltre attraverso alla sempre più perfetta
organizzazione dei mezzi moderni della diffusione del pensiero - stampa,
cinema, radio, televisione - si permette alle singole persone di prender
parte alle vicende umane su raggio mondiale.”
Per evitare il rischio che la crescente socializzazione limiti o pregiudichi
in qualche modo la libertà umana è necessario che gli uomini di buona
volontà operino per guidarla, nella consapevolezza che “la
socializzazione non va considerata come il prodotto di forze naturali
operanti deterministicamente; essa invece, come abbiamo osservato, è
creazione degli uomini, esseri consapevoli, liberi e portati per natura ad
operare in attitudine di responsabilità, anche se nel loro agire sono
tenuti a riconoscere e rispettare le leggi dello sviluppo economico e del
progresso sociale, e non possono sottrarsi del tutto alla pressione dell’ambiente.
Per cui riteniamo che la socializzazione può e deve essere realizzata in
maniera da trarne i vantaggi che apporta e da scongiurarne o contenerne i
riflessi negativi” e a tale scopo “richiede che negli uomini investiti
di autorità pubblica sia presente ed operante una sana concezione del bene
comune; concezione che si concreta nell’insieme di quelle condizioni
sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo
integrale della loro persona.”
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L'insistenza
del Pontefice sul processo di socializzazione (oggi ancora più attuale, se
pensiamo alla globalizzazione e a internet) e sulla necessità di governarlo
fonda la critica al liberismo economico (cioè alla teoria secondo cui lo
Stato non deve intervenire nell'economia) in modo più significativo e
radicale rispetto alla tradizionale dottrina della Chiesa.
Scrive Giovanni XXIII:
“I cattolici impegnati nello svolgimento di attività economico-sociali
vengono a trovarsi perciò stesso in frequenti rapporti con altri che non
hanno la stessa visione della vita. In tali rapporti i nostri figli siano
vigilanti per essere sempre coerenti con se stessi, per non venire mai a
compromessi riguardo alla religione e alla morale; ma nello stesso tempo
siano e si mostrino animati da spirito di comprensione, disinteressati, e
disposti a collaborare lealmente nell’attuazione di progetti che siano di
loro natura buoni o almeno riducibili al bene.”
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