Il 28
luglio 1914 quando l'Austria dichiara guerra al Regno di Serbia e inizia la
prima guerra mondiale, l'Italia dichiara la propria neutralità. Fino al
maggio del 1915 si sviluppa in Italia un acceso, polemico e lacerante
scontro tra chi vuol rimanere neutrale (i socialisti, il pontefice Benedetto
XV con gran parte dei vescovi e i liberali giolittiani) e chi vuol
intervenire in guerra contro l'Austria per completare l'unità del Paese con
la conquista di Trento e Trieste (irredentisti e nazionalisti, Mussolini,
gli interventisti democratici, il primo ministro Salandra, con l'appoggio di
D'Annunzio e dei Futuristi, che lodavano la guerra come “igiene del mondo”).
La maggioranza dei cattolici e in particolare i contadini erano fortemente
contrari alla guerra, di cui intuivano i pericoli e le conseguenze negative
dell'arruolamento dei giovani, sottratti d'imperio al loro lavoro. Tuttavia
diversi intellettuali cattolici simpatizzavano con l'interventismo. Nella
primavera del 1915 Benedetto XV proibisce di rendere pubblica una
risoluzione della Giunta centrale dell'Azione Cattolica in cui si auspicava
che l'Italia raggiungesse “i suoi confini naturali”. Diversi vescovi,
pur non pronunciandosi per l'intervento, sottolineano come i cattolici
compiranno fino in fondo il proprio dovere di cittadini che obbediscono alla
legittima autorità, rinunciando di fatto ad ogni tentativo di condizionare
il governo Salandra a favore della neutralità.
Giacinto Tredici, che sarà vescovo di Brescia dal 1934 al 1964, riassume la
posizione della Chiesa italiana nel giugno del 1915, affermando che la
guerra non è stata certamente desiderata dai cattolici e che costituisce
“una triste necessità” quando sia impossibile far valere il diritto in
altro modo. Tuttavia, una volta che lo Stato ha deciso per la guerra, “a
noi cittadini cattolici, i primi sempre a qualunque sacrificio per compiere
il dovere d'obbedienza ai legittimi poteri, non resta che obbedire, ed
obbedire con animo ilare, come sempre quando si tratta del nostro dovere”.
E così, non sappiamo se lieti o disperati, oltre 150 giovani di Chiesanuova
partono per la guerra, lasciando le loro famiglie e la terra. Chiesanuova
conta all'epoca circa 1400 abitanti (erano 1300 a inizio secolo e circa 1700
a fine anni Trenta); i maschi arruolabili (nella fascia d'età tra i 18 e i
40 anni) sono dunque stimabili tra i 150 e i 180. Tra i circa 600 mila
soldati italiani che muoiono nella grande guerra, che il Papa aveva bollato
come “inutile strage”, 38 sono di Chiesanuova, dal più giovane,
Giuseppe Dannia, nato nel 1900 e che dunque aveva solo 18 anni, ai più “anziani”
Daniele Capra e Angelo Taglietti, nati nel 1882, che dunque a fine guerra
avrebbero avuto 36 anni. Basta fare una semplice proporzione per rendersi
conto che circa un quarto dei giovani di Chiesanuova ha perso la vita nel
fiore degli anni, obbligati ad arruolarsi e sacrificarsi per la Patria. La
maggior parte di loro nemmeno sapeva bene dove erano Trento e Trieste.
Quanti genitori hanno pianto la morte dei loro figli, quante fidanzate e
giovani mogli i loro compagni? Quanti bimbi in tenera età sono rimasti
orfani? E poi oltre ai morti, ci sono i feriti, i mutilati e gli invalidi.
Di fronte a tanto dolore non è inutile domandarsi: la Chiesa nel suo
complesso (vescovi, sacerdoti e fedeli laici) ha fatto tutto il possibile
per cercare di scongiurare la guerra, come chiedeva il Papa? Io penso di no,
anche se le ragioni di questa risposta sono molto complesse. Diversi
esponenti del mondo cattolico (da padre Semeria a don Luigi Sturzo, da
Filippo Meda a padre Gemelli) hanno in qualche modo appoggiato o favorito
l'interventismo. Ha sicuramente pesato nelle divisioni interne al mondo
cattolico la contrapposizione tra transigenti e intransigenti sulla
questione romana e la maggioranza di cattolici contraria alla guerra non è
riuscita a farsi valere, sia per carenze culturali, sia per le direttive
della curia di Pio X che, in conseguenza della condanna del modernismo,
aveva di fatto proibito a sacerdoti d'interessarsi di politica e perfino di
leggere i quotidiani non cattolici.
Maurilio Lovatti
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