Maurilio Lovatti
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L'insegnamento sociale di Paolo VI
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Il Cantiere, ottobre 2014
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Quando
Paolo VI fu eletto Papa, il 21 giugno 1963, in un brevissimo Conclave durato
solo due giorni, il Concilio Vaticano II era iniziato, per volere di
Giovanni XXIII, da meno di un anno. Oltre 2500 vescovi provenienti da tutto
il mondo avevano cominciato a discutere della necessaria, profonda revisione
della vita della Chiesa e dei suoi rapporti col mondo contemporaneo: poteva
essere l'inizio del grande rinnovamento della Chiesa, come in effetti è
stato, ma non mancavano, soprattutto nella Curia pontificia, cardinali
conservatori, che desideravano chiudere rapidamente il Concilio, senza
grandi cambiamenti.
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Già nel
1967 Paolo VI indirizzava "a tutti gli uomini di buona volontà"
la Populorum Progressio, l'enciclica dedicata al tema dello sviluppo dei
popoli. Si rivolgeva a tutti gli uomini e non solo ai cristiani e trattava
un tema che secondo alcuni esulava dalle normali preoccupazioni
"religiose" della Chiesa. L'ambito economico e sociale fino allora
era affidato dalla morale tradizionale alla responsabilità dello Stato, ma
rimaneva staccato da considerazioni di tipo etico e morale. Questa enciclica
ha quindi segnato un passo nuovo nel cammino della dottrina sociale. È
stata una logica deduzione della dottrina conciliare della Gaudium et Spes e
della precedente dottrina sociale della Chiesa, della quale ha allargato gli
orizzonti passando dalla condizione degli operai, presa in considerazione
dalla Rerum Novarum, allo sviluppo dei popoli dell'intero pianeta.
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Un'ulteriore novità storica della Populorum Progressio è nella connessione che il Papa stabilisce tra sviluppo e pace del mondo, espressa in un principio che entrerà nella storia: "Lo sviluppo è il nuovo nome della pace". Infatti l'esigenza della giustizia sociale non potrà essere più soddisfatta se non sul piano mondiale. Disattenderla può scatenare la violenza dei poveri, quella che è stata chiamata "la rabbia dei popoli". Non è possibile pensare allo sviluppo di un popolo se a questo si continua a negare l'accesso al commercio mondiale, oppure gli si offrono solo armi per la guerra. La radice di queste novità è una visione dell'essere umano e della società che Paolo VI trae dalla visione antropologica cristiana e dalla filosofia personalista del suo tempo: l'uomo è un essere che trascende se stesso e le sue dimensioni, perché segnato dalla somiglianza con il Dio creatore della sua libertà e dignità, un Dio che è relazione e apertura verso tutti. La Chiesa sceglieva la via dell'impegno storico, si metteva dalla parte degli ultimi, decideva essa stessa d'essere povera con i poveri, fiduciosa soltanto nella forza del Vangelo piuttosto che nella ricchezza dei mezzi. Evangelizzazione e promozione umana diventano così indissociabili. La Populorum Progressio ha indicato la strada di una fede operosa che sa assumere i problemi concreti del mondo. Grazie alla Chiesa, finalmente i popoli della fame e del sottosviluppo, ridotti in questo stato dall'iniqua distribuzione delle ricchezze, irrompono sulla scena del mondo occidentale che continua ostinatamente ad essere cieco e sordo di fronte agli squilibri planetari e vuole difendere per sé le ricchezze accumulate grazie anche allo sfruttamento dei poveri e ad un'economia mondiale priva di regole, se non quelle del mercato e del profitto.
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Quattro
anni dopo, nel 1971, in occasione dell'ottantesimo anniversario della Rerum
Novarum, Paolo VI interveniva ancora su questi temi con la lettera pastorale
Octogesima Adveniens. In questo testo l'aspirazione essenziale
dell'umanità, e quindi della Chiesa stessa, ad una società economicamente
più giusta, che già era delineata nella Populorum Progressio, trova una
più completa definizione alla luce dei rapidi cambiamenti sociali di quegli
anni.
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Maurilio Lovatti
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Il Cantiere, ottobre 2014, pag. 17 - 19
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