Maurilio Lovatti 

 

 

Chiesanuova nella seconda metà del '600

 

 

Il Cantiere, agosto 2014

 

 

Nel precedente numero del Cantiere ho esposto la storia di Chiesanuova nella prima metà del '600, dalla consacrazione della vecchia chiesetta, il 4 giugno 1629. Ora proseguo con la seconda metà del secolo XVII. La prima visita di un vescovo di Brescia a Chiesanuova (allora detta Bottonaga) avvenne il 30 luglio del 1648. Il vescovo di Brescia era mons. Marco Morosini, arrivato a Brescia nel 1645, dopo esser stato vescovo di Treviso per 6 anni. Alla sua morte, nel 1654, fu sepolto nel Duomo Vecchio. Durante questa visita pastorale per la prima volta è usato in un documento il titolo di Maria Assunta per questa chiesa, a cui ancora oggi la nostra parrocchia è dedicata. Tutta la contrada di Bottonaga, da fuori porta S. Nazaro, composta da campi e cascine, comprendeva anche le attuali parrocchie di S. Maria in Silva e di Don Bosco, la zona di Brescia-2 ad ovest del Crystal Palace, la zona a sud dell'attuale autostrada (Sereno, Noce e Fornaci) oltre all'attuale Chiesanuova. La zona di competenza del curato di Chiesanuova, cioè Bottonaga meno la Noce, che aveva un altro curato, contava circa 800 abitanti, che come abbiamo visto per Pasqua e per i matrimoni dovevano recarsi alla chiesa parrocchiale di S. Nazaro e Celso. Nel 1648 il curato di Chiesanuova era don Stefano Fellini, originario di Provaglio d'Iseo.
Dal punto di vista della storia della Chiesa il '600 è il periodo in cui, lentamente ma inarrestabilmente vengono attuate le riforme decise dal Concilio di Trento (1545-1563). La principale e più sofferta decisione del Concilio era stata l'obbligo di residenza per vescovi e parroci, con la conseguente abolizione del cumulo dei benefici. Prima del Concilio un vescovo poteva avere più diocesi e un parroco più parrocchie. Un vero e proprio record fu quello di Giuliano della Rovere (1443-1513) poi papa Giulio II nel 1503, che fu titolare contemporaneamente di 7 diocesi (da Avignone a Catania, passando per Ostia e Velletri). Ovviamente i titolari di più diocesi non risiedevano nelle stesse, ma v'inviavano un vicario episcopale da loro retribuito, tenendosi però il resto dei redditi derivanti dal beneficio diocesano. C'erano vescovi che non avevano mai visto la loro diocesi e parroci che non erano mai stati nella loro parrocchia! Nel corso del '600 l'obbligo di residenza dei vescovi divenne sempre più stringente e rigoroso, e così i nobili veneziani che diventavano vescovi di Brescia erano costretti a risiedervi e a fare le visite pastorali alle parrocchie, altro obbligo deciso al Concilio di Trento. Ed è proprio dai documenti di queste visite che possiamo conoscere qualcosa della storia di Chiesanuova.

stemma del vescovo Marco Morosini

 

 

Nel 1666 ci fu una nuova visita del vescovo di Brescia a Chiesanuova. Vescovo di Brescia da soli 2 anni era Giovanni Marino Giorgi, detto anche Zorzi, che cercava di attuare pienamente il Concilio di Trento e che allora era considerato "uno dei più degni pastori della Chiesa" come disse di lui S. Gregorio Barbarigo. Era anche soprannominato "il cardinalino" in previsione dell'aspettata porpora, che però non otterrà mai. Morirà nel 1678.
Dal libro di Virginio Prandini su Chiesanuova traggo le notizie su questa visita pastorale:
"Il 25 ottobre 1666, l'Illustrissimo mons. Giovanni Marino Zorzi di buon mattino si allontanò dalla città, e secondo l'uso consueto visitò la chiesa denominata Nuova della Beata Maria Vergine nei sobborghi, nella quale si esercitano gli uffici parrocchiani, ma si trova nella parrocchia della chiesa prepositurale dei santi Nazaro e Celso di Brescia ed è a lei soggetta. […]
Il rev.do don Francesco de Federicis, dei monti della diocesi di Pisa, convocato e interrogato, disse che lui era curato di Chiesa Nuova da dieci anni e che a lui era dato uno stipendio annuo dal signor Prevosto e dai Canonici Curati della chiesa dei santi Nazaro e Celso di Brescia di quaranta scudi di moneta bresciana, oltre le incerte
".
Affermava, inoltre, che nella chiesa nuova non si seppellivano i morti e il curato non assisteva ai matrimoni. Non vi era nessun altro sacerdote che serviva alla medesima chiesa, ma negli oratori della medesima cura alcuni sacerdoti celebravano le messe.
Le anime sotto la sua cura erano circa 900, di cui 500 ammesse alla comunione. Da ciò si evince che i ragazzi, minori di 14 anni, erano circa 400, poiché si era ammessi alla prima comunione alla maggiore età, cioè a 14 anni. Mentre la prima confessione si faceva a sette anni.
Per quanto riguarda la situazione religiosa della parrocchia, disse che c'erano due persone che non si confessavano, ma che non vi erano pubblici usurai, bestemmiatori o altri depravati, per quanto lui sapesse. Le ostetriche della sua cura erano ben istruite riguardo la forma e il modo di amministrare il battesimo in caso di necessità. Vi era, però, un inconveniente: il nobile signor Giovanni Battista Faita, per il legato del defunto signor Faustino Traccagni, era tenuto a pagare un'elemosina per due messe da celebrare ogni settimana in questa chiesa nuova. Da cinque anni era morto il Traccagni. Per il primo anno il Faita aveva soddisfatto, ma in seguito aveva smesso di far celebrare.
Allora il vescovo emanò il seguente decreto: 
"Il Rev.do Curato ammonisca il nobile Gio Batta Faita a soddisfare al legato facendo celebrare messa in questa chiesa due volte alla settimana, a ciò è tenuto in forza della disposizione del defunto signor Faustino Traccagni. Se poi non vorrà soddisfare, lo costringa a mezzo del diritto".
Per comprendere il senso di questo documento va tenuto presente che nel '600 i fedeli benestanti, soprattutto se senza figli, usavano lasciare ad una confraternita i loro beni affinché fosse celebrato un certo numero di messe sull'altare affidato alla stessa confraternita. La confraternita stipulava un contratto con un sacerdote che s'impegnava a celebrarle e a sostenere le spese connesse (ostie, vino, candele, ecc.). Sommando vari lasciti si configurava una cappellania. Ora il curato di Chiesanuova era stipendiato dal parroco di S. Nazaro, ma poiché la retribuzione non era molto alta, essa era integrata da quella di cappellano derivante dai lasciti.


lapide di mons. Bartolomeo Gradenigo (duomo vecchio di Brescia)

 

 

Il fatto che suscitò più scalpore a Brescia, nella seconda metà del '600, fu lo scandalo delle monache del convento di S. Caterina, che allora era abitato da circa 80 suore, e che fu scoperto alla fine del 1680 e presto divenne l'argomento principale delle conversazioni nelle lunghe serate invernali. Alcune giovani suore intrattenevano relazioni peccaminose con diversi nobili bresciani. Vi fu una severa inchiesta del vescovo Bartolomeo Gradenigo, e alla fine furono condannate 10 suore, due però riuscirono a fuggire, con pene variabili da un anno al carcere a vita, e 13 nobili. Tra loro Terzio Lana e Giovanni Battista Averoldi, che avevano come compito istituzionale proprio quello di vigilare "sull'onestà dei monasteri"! La casa dei nobili Caprioli, che sorgeva proprio accanto al convento e che era stata luogo d'incontri tra i nobili e le suore, fu rasa al suolo e al suo posto venne eretta una colonna infame, che sarà abbattuta solo nel 1797.
Per inciso, pochi sanno che tra il 1654 e il 1664, cioè appena prima dell'episcopato del citato mons. Giorgi, fu vescovo di Brescia il cardinale Pietro Ottoboni, nobile veneziano di Oderzo (Treviso), che nel 1689 diverrà Papa, col nome di Alessandro VIII, ed è noto agli storici per aver condannato le dichiarazioni dei vescovi del 1682, favorevoli alla chiesa gallicana voluta da Luigi XIV.

 

Maurilio Lovatti

 

Papa Alessandro VIII

 

 


 

Il Cantiere,  agosto 2014, pag. 16 - 17

 

 

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