Nel
precedente numero del Cantiere ho esposto la storia di Chiesanuova nella
prima metà del '600, dalla consacrazione della vecchia chiesetta, il 4
giugno 1629. Ora proseguo con la seconda metà del secolo XVII. La prima
visita di un vescovo di Brescia a Chiesanuova (allora detta Bottonaga)
avvenne il 30 luglio del 1648. Il vescovo di Brescia era mons. Marco
Morosini, arrivato a Brescia nel 1645, dopo esser stato vescovo di
Treviso per 6 anni. Alla sua morte, nel 1654, fu sepolto nel Duomo Vecchio.
Durante questa visita pastorale per la prima volta è usato in un documento
il titolo di Maria Assunta per questa chiesa, a cui ancora oggi la nostra
parrocchia è dedicata. Tutta la contrada di Bottonaga, da fuori porta S.
Nazaro, composta da campi e cascine, comprendeva anche le attuali parrocchie
di S. Maria in Silva e di Don Bosco, la zona di Brescia-2 ad ovest del
Crystal Palace, la zona a sud dell'attuale autostrada (Sereno, Noce e
Fornaci) oltre all'attuale Chiesanuova. La zona di competenza del curato di
Chiesanuova, cioè Bottonaga meno la Noce, che aveva un altro curato,
contava circa 800 abitanti, che come abbiamo visto per Pasqua e per i
matrimoni dovevano recarsi alla chiesa parrocchiale di S. Nazaro e Celso.
Nel 1648 il curato di Chiesanuova era don Stefano Fellini, originario di
Provaglio d'Iseo.
Dal punto di vista della storia della Chiesa il '600 è il periodo in cui,
lentamente ma inarrestabilmente vengono attuate le riforme decise dal
Concilio di Trento (1545-1563). La principale e più sofferta decisione del
Concilio era stata l'obbligo di residenza per vescovi e parroci, con la
conseguente abolizione del cumulo dei benefici. Prima del Concilio un
vescovo poteva avere più diocesi e un parroco più parrocchie. Un vero e
proprio record fu quello di Giuliano della Rovere (1443-1513) poi
papa Giulio II nel 1503, che fu titolare contemporaneamente di 7
diocesi (da Avignone a Catania, passando per Ostia e Velletri). Ovviamente i
titolari di più diocesi non risiedevano nelle stesse, ma v'inviavano un
vicario episcopale da loro retribuito, tenendosi però il resto dei redditi
derivanti dal beneficio diocesano. C'erano vescovi che non avevano mai visto
la loro diocesi e parroci che non erano mai stati nella loro parrocchia! Nel
corso del '600 l'obbligo di residenza dei vescovi divenne sempre più
stringente e rigoroso, e così i nobili veneziani che diventavano vescovi di
Brescia erano costretti a risiedervi e a fare le visite pastorali alle
parrocchie, altro obbligo deciso al Concilio di Trento. Ed è proprio dai
documenti di queste visite che possiamo conoscere qualcosa della storia di
Chiesanuova.
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Nel 1666 ci
fu una nuova visita del vescovo di Brescia a Chiesanuova. Vescovo di Brescia
da soli 2 anni era Giovanni Marino Giorgi, detto anche Zorzi, che cercava di
attuare pienamente il Concilio di Trento e che allora era considerato
"uno dei più degni pastori della Chiesa" come disse di lui S.
Gregorio Barbarigo. Era anche soprannominato "il cardinalino"
in previsione dell'aspettata porpora, che però non otterrà mai. Morirà
nel 1678.
Dal libro di Virginio Prandini su Chiesanuova traggo le notizie su questa
visita pastorale:
"Il 25 ottobre 1666, l'Illustrissimo mons. Giovanni Marino Zorzi di
buon mattino si allontanò dalla città, e secondo l'uso consueto visitò la
chiesa denominata Nuova della Beata Maria Vergine nei sobborghi, nella quale
si esercitano gli uffici parrocchiani, ma si trova nella parrocchia della
chiesa prepositurale dei santi Nazaro e Celso di Brescia ed è a lei
soggetta. […]
Il rev.do don Francesco de Federicis, dei monti della diocesi di Pisa,
convocato e interrogato, disse che lui era curato di Chiesa Nuova da dieci
anni e che a lui era dato uno stipendio annuo dal signor Prevosto e dai
Canonici Curati della chiesa dei santi Nazaro e Celso di Brescia di quaranta
scudi di moneta bresciana, oltre le incerte".
Affermava, inoltre, che nella chiesa nuova non si seppellivano i morti e il
curato non assisteva ai matrimoni. Non vi era nessun altro sacerdote che
serviva alla medesima chiesa, ma negli oratori della medesima cura alcuni
sacerdoti celebravano le messe.
Le anime sotto la sua cura erano circa 900, di cui 500 ammesse alla
comunione. Da ciò si evince che i ragazzi, minori di 14 anni, erano circa
400, poiché si era ammessi alla prima comunione alla maggiore età, cioè a
14 anni. Mentre la prima confessione si faceva a sette anni.
Per quanto riguarda la situazione religiosa della parrocchia, disse che
c'erano due persone che non si confessavano, ma che non vi erano pubblici
usurai, bestemmiatori o altri depravati, per quanto lui sapesse. Le
ostetriche della sua cura erano ben istruite riguardo la forma e il modo di
amministrare il battesimo in caso di necessità. Vi era, però, un
inconveniente: il nobile signor Giovanni Battista Faita, per il legato del
defunto signor Faustino Traccagni, era tenuto a pagare un'elemosina per due
messe da celebrare ogni settimana in questa chiesa nuova. Da cinque anni era
morto il Traccagni. Per il primo anno il Faita aveva soddisfatto, ma in
seguito aveva smesso di far celebrare.
Allora il vescovo emanò il seguente decreto:
"Il Rev.do Curato ammonisca il nobile Gio Batta Faita a soddisfare
al legato facendo celebrare messa in questa chiesa due volte alla settimana,
a ciò è tenuto in forza della disposizione del defunto signor Faustino
Traccagni. Se poi non vorrà soddisfare, lo costringa a mezzo del diritto".
Per comprendere il senso di questo documento va tenuto presente che nel '600
i fedeli benestanti, soprattutto se senza figli, usavano lasciare ad una
confraternita i loro beni affinché fosse celebrato un certo numero di messe
sull'altare affidato alla stessa confraternita. La confraternita stipulava
un contratto con un sacerdote che s'impegnava a celebrarle e a sostenere le
spese connesse (ostie, vino, candele, ecc.). Sommando vari lasciti si
configurava una cappellania. Ora il curato di Chiesanuova era stipendiato
dal parroco di S. Nazaro, ma poiché la retribuzione non era molto alta,
essa era integrata da quella di cappellano derivante dai lasciti.
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Il fatto
che suscitò più scalpore a Brescia, nella seconda metà del '600, fu lo
scandalo delle monache del convento di S. Caterina, che allora era abitato
da circa 80 suore, e che fu scoperto alla fine del 1680 e presto divenne
l'argomento principale delle conversazioni nelle lunghe serate invernali.
Alcune giovani suore intrattenevano relazioni peccaminose con diversi nobili
bresciani. Vi fu una severa inchiesta del vescovo Bartolomeo Gradenigo, e
alla fine furono condannate 10 suore, due però riuscirono a fuggire, con
pene variabili da un anno al carcere a vita, e 13 nobili. Tra loro Terzio
Lana e Giovanni Battista Averoldi, che avevano come compito istituzionale
proprio quello di vigilare "sull'onestà dei monasteri"! La casa
dei nobili Caprioli, che sorgeva proprio accanto al convento e che era stata
luogo d'incontri tra i nobili e le suore, fu rasa al suolo e al suo posto
venne eretta una colonna infame, che sarà abbattuta solo nel 1797.
Per inciso, pochi sanno che tra il 1654 e il 1664, cioè appena prima
dell'episcopato del citato mons. Giorgi, fu vescovo di Brescia il cardinale
Pietro Ottoboni, nobile veneziano di Oderzo (Treviso), che nel 1689 diverrà
Papa, col nome di Alessandro VIII, ed è noto agli storici per aver
condannato le dichiarazioni dei vescovi del 1682, favorevoli alla chiesa
gallicana voluta da Luigi XIV.
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