La
44° marcia nazionale per la pace si terrà a Brescia il 31 dicembre,
promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, da Pax Christi e dalla
Caritas nazionale, in collaborazione con la diocesi di Brescia, sul tema
"educare i giovani alla giustizia e alla pace". Sullo stesso
tema Benedetto XVI renderà noto l'8 dicembre il suo messaggio per la
giornata della pace, a cui tradizionalmente è dedicato ogni 1° gennaio.
Alla marcia nazionale di Brescia saranno protagonisti 4 vescovi: mons.
Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso e presidente della
commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e
la pace, che parlerà alle 17.30 nel piazzale di via Volturno, sul tema
"il lavoro, la persona e la pace"; mons. Giovanni Giudici,
vescovo di Pavia e presidente nazionale di Pax Christi, che parlerà alle
19 nella chiesa di S. Faustino, sul tema "educare alla giustizia e
alla pace"; mons. Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente della
Caritas italiana, che parlerà alle 21 di fronte al carcere di Canton
Mombello, sul tema "povertà e solidarietà" e infine il nostro
vescovo, mons. Luciano Monari, che presiederà alle 22.30 la celebrazione
eucaristica a conclusione della marcia nella chiesa collegiata dei Santi
Nazaro e Celso. Durante la marcia sono previste diverse testimonianze di
giovani sugli stessi temi trattati dai Vescovi.
In preparazione della marcia nazionale per la pace, si è svolto il 21
ottobre all'università Cattolica di via Trieste un convegno su pace e
giustizia nel magistero di Giovanni Paolo II. Sono intervenuti i due
relatori: mons. Giovanni Giudici, presidente nazionale di Pax Christi, e
il prof. Ivo Lizzola, pedagogista, preside della Facoltà di scienze della
Formazione dell'Università di Bergamo.
Mons. Giudici, prima di delineare le linee portanti dell'insegnamento di
Giovanni Paolo II sul tema della pace, con una dotta e chiarissima
ricostruzione storica ha richiamato l'insegnamento della Chiesa su questo
tema, a partire dalla Pacem in Terris di Giovanni XXIII (1963), che
ha "messo al bando il concetto di guerra giusta". Il Concilio
Vaticano II, secondo il Vescovo di Pavia, è stato invece più prudente:
nonostante al suo interno si fosse manifestato un orientamento
"pacifista cristiano radicale", come quello del card. Lercaro o
di La Pira, la Gaudium et Spes, pur auspicando per l'umanità la
fine di tutte le guerre, ha riproposto il tradizionale concetto di
legittimità della guerra intrapresa per ragioni difensive.
Il successivo magistero di Paolo VI ha sottolineato l'importanza delle
giustizia sociale e tra i popoli quale condizione imprescindibile per la
pace, in particolare con la Populorum Progressio (marzo 1967).
Sviluppando queste linee di pensiero, Giovanni Paolo II ha dato inizio al
suo insegnamento su questo tema. Mons. Giudici ha ricordato l'omelia
pronunciata dal Pontefice a Vienna il 10 settembre 1983, nella quale si
riconosceva che in qualche caso anche per i cristiani non è possibile
evitare la lotta armata contro gli oppressori (il riferimento storico per
il Pontefice erano gli assedi di Vienna da parte degli Ottomani nel 1529 e
nel 1683). Per Papa Wojtyla il principio della legittima difesa, che pur
è mantenuto, va finalizzato a "disarmare chi non rispetta la
giustizia e i diritti umani dei popoli": talvolta è necessario
"disarmare gli oppressori".
Nel 1991, in occasione della Guerra del Golfo, il Papa afferma che è
assurda e condannabile ogni guerra condotta "in nome di Dio",
arrivando ad affermare, poco dopo, che anche le Crociate furono
"dissonanti col Vangelo"; nel 1996 promuove il primo incontro
interreligioso per la pace ad Assisi. Per il Vescovo di Pavia, la novità
più dirompente nell'insegnamento di Giovanni Paolo II sulla pace è però
rinvenibile nel messaggio del 1 gennaio 2002, di pochi mesi successivo
alla strage dell'11 settembre, laddove si afferma che l'autentica pace non
presuppone solo la giustizia sociale e il rispetto dei diritti umani, ma
anche il principio del perdono (non solo, cioè, il perdono come
esperienza personale e talvolta eroica, ma anche il perdono nelle
relazioni internazionali, da parte dei popoli e degli Stati). Questa tesi,
per mons. Giudici, è una novità assoluta nell'insegnamento della Chiesa
e costituisce un messaggio profetico che ha già iniziato a dare i suoi
frutti: come esempio ha citato, tra gli altri, l'azione di Mandela in Sud
Africa, dove il post apartheid, è stato attuato senza spirito di
vendetta.
Maurilio Lovatti
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APPENDICE
MESSAGGIO
DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA CELEBRAZIONE DELLA XLV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2012
EDUCARE I GIOVANI ALLA GIUSTIZIA E ALLA PACE
1. L'inizio di un nuovo anno, dono di Dio all'umanità, mi invita a
rivolgere a tutti, con grande fiducia e affetto, uno speciale augurio per
questo tempo che ci sta dinanzi, perché sia concretamente segnato dalla
giustizia e dalla pace.
Con quale atteggiamento guardare al nuovo anno? Nel Salmo 130 troviamo una
bellissima immagine. Il Salmista dice che l'uomo di fede attende il
Signore " più che le sentinelle l'aurora " (v. 6), lo attende
con ferma speranza, perché sa che porterà luce, misericordia, salvezza.
Tale attesa nasce dall'esperienza del popolo eletto, il quale riconosce di
essere educato da Dio a guardare il mondo nella sua verità e a non
lasciarsi abbattere dalle tribolazioni. Vi invito a guardare il 2012 con
questo atteggiamento fiducioso. È vero che nell'anno che termina è
cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la
società, il mondo del lavoro e l'economia; una crisi le cui radici sono
anzitutto culturali e antropologiche. Sembra quasi che una coltre di
oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con
chiarezza la luce del giorno.
In questa oscurità il cuore dell'uomo non cessa tuttavia di attendere
l'aurora di cui parla il Salmista. Tale attesa è particolarmente viva e
visibile nei giovani, ed è per questo che il mio pensiero si rivolge a
loro considerando il contributo che possono e debbono offrire alla
società. Vorrei dunque presentare il Messaggio per la XLV Giornata
Mondiale della Pace in una prospettiva educativa: " Educare i giovani
alla giustizia e alla pace ", nella convinzione che essi, con il loro
entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al
mondo.
Il mio Messaggio si rivolge anche ai genitori, alle famiglie, a tutte le
componenti educative, formative, come pure ai responsabili nei vari ambiti
della vita religiosa, sociale, politica, economica, culturale e della
comunicazione. Essere attenti al mondo giovanile, saperlo ascoltare e
valorizzare, non è solamente un'opportunità, ma un dovere primario di
tutta la società, per la costruzione di un futuro di giustizia e di pace.
Si tratta di comunicare ai giovani l'apprezzamento per il valore positivo
della vita, suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del
Bene. È un compito, questo, in cui tutti siamo impegnati in prima
persona.
Le preoccupazioni manifestate da molti giovani in questi ultimi tempi, in
varie Regioni del mondo, esprimono il desiderio di poter guardare con
speranza fondata verso il futuro. Nel momento presente sono molti gli
aspetti che essi vivono con apprensione: il desiderio di ricevere una
formazione che li prepari in modo più profondo ad affrontare la realtà,
la difficoltà a formare una famiglia e a trovare un posto stabile di
lavoro, l'effettiva capacità di contribuire al mondo della politica,
della cultura e dell'economia per la costruzione di una società dal volto
più umano e solidale.
È importante che questi fermenti e la spinta ideale che contengono
trovino la dovuta attenzione in tutte le componenti della società. La
Chiesa guarda ai giovani con speranza, ha fiducia in loro e li incoraggia
a ricercare la verità, a difendere il bene comune, ad avere prospettive
aperte sul mondo e occhi capaci di vedere " cose nuove " (Is
42,9; 48,6)!
I responsabili dell'educazione
2. L'educazione è l'avventura più affascinante e difficile della vita.
Educare - dal latino educere - significa condurre fuori da se stessi per
introdurre alla realtà, verso una pienezza che fa crescere la persona.
Tale processo si nutre dell'incontro di due libertà, quella dell'adulto e
quella del giovane. Esso richiede la responsabilità del discepolo, che
deve essere aperto a lasciarsi guidare alla conoscenza della realtà, e
quella dell'educatore, che deve essere disposto a donare se stesso. Per
questo sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri
dispensatori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere
più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi.
Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone.
Quali sono i luoghi dove matura una vera educazione alla pace e alla
giustizia? Anzitutto la famiglia, poiché i genitori sono i primi
educatori. La famiglia è cellula originaria della società. " È
nella famiglia che i figli apprendono i valori umani e cristiani che
consentono una convivenza costruttiva e pacifica. È nella famiglia che
essi imparano la solidarietà fra le generazioni, il rispetto delle
regole, il perdono e l'accoglienza dell'altro " [1]. Essa è la prima
scuola dove si viene educati alla giustizia e alla pace.
Viviamo in un mondo in cui la famiglia, e anche la vita stessa, sono
costantemente minacciate e, non di rado, frammentate. Condizioni di lavoro
spesso poco armonizzabili con le responsabilità familiari, preoccupazioni
per il futuro, ritmi di vita frenetici, migrazioni in cerca di un adeguato
sostentamento, se non della semplice sopravvivenza, finiscono per rendere
difficile la possibilità di assicurare ai figli uno dei beni più
preziosi: la presenza dei genitori; presenza che permetta una sempre più
profonda condivisione del cammino, per poter trasmettere quell'esperienza
e quelle certezze acquisite con gli anni, che solo con il tempo trascorso
insieme si possono comunicare. Ai genitori desidero dire di non perdersi
d'animo! Con l'esempio della loro vita esortino i figli a porre la
speranza anzitutto in Dio, da cui solo sorgono giustizia e pace
autentiche.
Vorrei rivolgermi anche ai responsabili delle istituzioni che hanno
compiti educativi: veglino con grande senso di responsabilità affinché
la dignità di ogni persona sia rispettata e valorizzata in ogni
circostanza. Abbiano cura che ogni giovane possa scoprire la propria
vocazione, accompagnandolo nel far fruttificare i doni che il Signore gli
ha accordato. Assicurino alle famiglie che i loro figli possano avere un
cammino formativo non in contrasto con la loro coscienza e i loro principi
religiosi.
Ogni ambiente educativo possa essere luogo di apertura al trascendente e
agli altri; luogo di dialogo, di coesione e di ascolto, in cui il giovane
si senta valorizzato nelle proprie potenzialità e ricchezze interiori, e
impari ad apprezzare i fratelli. Possa insegnare a gustare la gioia che
scaturisce dal vivere giorno per giorno la carità e la compassione verso
il prossimo e dal partecipare attivamente alla costruzione di una società
più umana e fraterna.
Mi rivolgo poi ai responsabili politici, chiedendo loro di aiutare
concretamente le famiglie e le istituzioni educative ad esercitare il loro
diritto-dovere di educare. Non deve mai mancare un adeguato supporto alla
maternità e alla paternità. Facciano in modo che a nessuno sia negato
l'accesso all'istruzione e che le famiglie possano scegliere liberamente
le strutture educative ritenute più idonee per il bene dei propri figli.
Si impegnino a favorire il ricongiungimento di quelle famiglie che sono
divise dalla necessità di trovare mezzi di sussistenza. Offrano ai
giovani un'immagine limpida della politica, come vero servizio per il bene
di tutti.
Non posso, inoltre, non appellarmi al mondo dei media affinché dia il suo
contributo educativo. Nell'odierna società, i mezzi di comunicazione di
massa hanno un ruolo particolare: non solo informano, ma anche formano lo
spirito dei loro destinatari e quindi possono dare un apporto notevole
all'educazione dei giovani. È importante tenere presente che il legame
tra educazione e comunicazione è strettissimo: l'educazione avviene
infatti per mezzo della comunicazione, che influisce, positivamente o
negativamente, sulla formazione della persona.
Anche i giovani devono avere il coraggio di vivere prima di tutto essi
stessi ciò che chiedono a coloro che li circondano. È una grande
responsabilità quella che li riguarda: abbiano la forza di fare un uso
buono e consapevole della libertà. Anch'essi sono responsabili della
propria educazione e formazione alla giustizia e alla pace!
Educare alla verità e alla libertà
3. Sant'Agostino si domandava: " Quid enim fortius desiderat anima
quam veritatem? - Che cosa desidera l'uomo più fortemente della verità?
". [2] Il volto umano di una società dipende molto dal contributo
dell'educazione a mantenere viva tale insopprimibile domanda.
L'educazione, infatti, riguarda la formazione integrale della persona,
inclusa la dimensione morale e spirituale dell'essere, in vista del suo
fine ultimo e del bene della società di cui è membro. Perciò, per
educare alla verità occorre innanzitutto sapere chi è la persona umana,
conoscerne la natura. Contemplando la realtà che lo circonda, il Salmista
riflette: " Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e
le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l'uomo perché di lui ti
ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi? " (Sal 8,4-5). È
questa la domanda fondamentale da porsi: chi è l'uomo? L'uomo è un
essere che porta nel cuore una sete di infinito, una sete di verità - non
parziale, ma capace di spiegare il senso della vita - perché è stato
creato a immagine e somiglianza di Dio. Riconoscere allora con gratitudine
la vita come dono inestimabile, conduce a scoprire la propria dignità
profonda e l'inviolabilità di ogni persona. Perciò, la prima educazione
consiste nell'imparare a riconoscere nell'uomo l'immagine del Creatore e,
di conseguenza, ad avere un profondo rispetto per ogni essere umano e
aiutare gli altri a realizzare una vita conforme a questa altissima
dignità. Non bisogna dimenticare mai che " l'autentico sviluppo
dell'uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua
dimensione " [3], inclusa quella trascendente, e che non si può
sacrificare la persona per raggiungere un bene particolare, sia esso
economico o sociale, individuale o collettivo.
Solo nella relazione con Dio l'uomo comprende anche il significato della
propria libertà. Ed è compito dell'educazione quello di formare
all'autentica libertà. Questa non è l'assenza di vincoli o il dominio
del libero arbitrio, non è l'assolutismo dell'io. L'uomo che crede di
essere assoluto, di non dipendere da niente e da nessuno, di poter fare
tutto ciò che vuole, finisce per contraddire la verità del proprio
essere e per perdere la sua libertà. L'uomo, invece, è un essere
relazionale, che vive in rapporto con gli altri e, soprattutto, con Dio.
L'autentica libertà non può mai essere raggiunta nell'allontanamento da
Lui.
La libertà è un valore prezioso, ma delicato; può essere fraintesa e
usata male. " Oggi un ostacolo particolarmente insidioso all'opera
educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e
cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo,
lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto
l'apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché
separa l'uno dall'altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il
proprio "io". Dentro ad un tale orizzonte relativistico non è
possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità prima
o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della
stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo
impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune " [4].
Per esercitare la sua libertà, l'uomo deve dunque superare l'orizzonte
relativistico e conoscere la verità su se stesso e la verità circa il
bene e il male. Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che
non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce lo
chiama ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, ad assumere la
responsabilità del bene compiuto e del male commesso [5]. Per questo,
l'esercizio della libertà è intimamente connesso alla legge morale
naturale, che ha carattere universale, esprime la dignità di ogni
persona, pone la base dei suoi diritti e doveri fondamentali, e dunque, in
ultima analisi, della convivenza giusta e pacifica fra le persone.
Il retto uso della libertà è dunque centrale nella promozione della
giustizia e della pace, che richiedono il rispetto per se stessi e per
l'altro, anche se lontano dal proprio modo di essere e di vivere. Da tale
atteggiamento scaturiscono gli elementi senza i quali pace e giustizia
rimangono parole prive di contenuto: la fiducia reciproca, la capacità di
tessere un dialogo costruttivo, la possibilità del perdono, che tante
volte si vorrebbe ottenere ma che si fa fatica a concedere, la carità
reciproca, la compassione nei confronti dei più deboli, come pure la
disponibilità al sacrificio.
Educare alla giustizia
4. Nel nostro mondo, in cui il valore della persona, della sua dignità e
dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni di intenti, è seriamente
minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri
dell'utilità, del profitto e dell'avere, è importante non separare il
concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti. La giustizia,
infatti, non è una semplice convenzione umana, poiché ciò che è giusto
non è originariamente determinato dalla legge positiva, ma dall'identità
profonda dell'essere umano. È la visione integrale dell'uomo che permette
di non cadere in una concezione contrattualistica della giustizia e di
aprire anche per essa l'orizzonte della solidarietà e dell'amore [6].
Non possiamo ignorare che certe correnti della cultura moderna, sostenute
da principi economici razionalistici e individualisti, hanno alienato il
concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti, separandolo dalla
carità e dalla solidarietà: " La "città dell'uomo" non
è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor
prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La
carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di Dio, essa
dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo
" [7].
" Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno
saziati " (Mt 5,6). Saranno saziati perché hanno fame e sete di
relazioni rette con Dio, con se stessi, con i loro fratelli e sorelle, e
con l'intero creato.
Educare alla pace
5. " La pace non è la semplice assenza di guerra e non può ridursi
ad assicurare l'equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può
ottenere sulla terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera
comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle
persone e dei popoli, l'assidua pratica della fratellanza " [8]. La
pace è frutto della giustizia ed effetto della carità. La pace è
anzitutto dono di Dio. Noi cristiani crediamo che Cristo è la nostra vera
pace: in Lui, nella sua Croce, Dio ha riconciliato a Sé il mondo e ha
distrutto le barriere che ci separavano gli uni dagli altri (cfr Ef
2,14-18); in Lui c'è un'unica famiglia riconciliata nell'amore.
Ma la pace non è soltanto dono da ricevere, bensì anche opera da
costruire. Per essere veramente operatori di pace, dobbiamo educarci alla
compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità,
essere attivi all'interno della comunità e vigili nel destare le
coscienze sulle questioni nazionali ed internazionali e sull'importanza di
ricercare adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di
promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione
dei conflitti. " Beati gli operatori di pace, perché saranno
chiamati figli di Dio ", dice Gesù nel discorso della montagna (Mt
5,9).
La pace per tutti nasce dalla giustizia di ciascuno e nessuno può eludere
questo impegno essenziale di promuovere la giustizia, secondo le proprie
competenze e responsabilità. Invito in particolare i giovani, che hanno
sempre viva la tensione verso gli ideali, ad avere la pazienza e la
tenacia di ricercare la giustizia e la pace, di coltivare il gusto per
ciò che è giusto e vero, anche quando ciò può comportare sacrificio e
andare controcorrente.
Alzare gli occhi a Dio
6. Di fronte alla difficile sfida di percorrere le vie della giustizia e
della pace possiamo essere tentati di chiederci, come il Salmista: "
Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto? " (Sal
121,1).
A tutti, in particolare ai giovani, voglio dire con forza: " Non sono
le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente,
che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di
ciò che è veramente buono e vero… il volgersi senza riserve a Dio che
è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno.
E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore? " [9]. L'amore si
compiace della verità, è la forza che rende capaci di impegnarsi per la
verità, per la giustizia, per la pace, perché tutto copre, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta (cfr 1 Cor 13,1-13).
Cari giovani, voi siete un dono prezioso per la società. Non lasciatevi
prendere dallo scoraggiamento di fronte alle difficoltà e non
abbandonatevi a false soluzioni, che spesso si presentano come la via più
facile per superare i problemi. Non abbiate paura di impegnarvi, di
affrontare la fatica e il sacrificio, di scegliere le vie che richiedono
fedeltà e costanza, umiltà e dedizione. Vivete con fiducia la vostra
giovinezza e quei profondi desideri che provate di felicità, di verità,
di bellezza e di amore vero! Vivete intensamente questa stagione della
vita così ricca e piena di entusiasmo.
Siate coscienti di essere voi stessi di esempio e di stimolo per gli
adulti, e lo sarete quanto più vi sforzate di superare le ingiustizie e
la corruzione, quanto più desiderate un futuro migliore e vi impegnate a
costruirlo. Siate consapevoli delle vostre potenzialità e non chiudetevi
mai in voi stessi, ma sappiate lavorare per un futuro più luminoso per
tutti. Non siete mai soli. La Chiesa ha fiducia in voi, vi segue, vi
incoraggia e desidera offrirvi quanto ha di più prezioso: la possibilità
di alzare gli occhi a Dio, di incontrare Gesù Cristo, Colui che è la
giustizia e la pace.
A voi tutti, uomini e donne che avete a cuore la causa della pace! La pace
non è un bene già raggiunto, ma una meta a cui tutti e ciascuno dobbiamo
aspirare. Guardiamo con maggiore speranza al futuro, incoraggiamoci a
vicenda nel nostro cammino, lavoriamo per dare al nostro mondo un volto
più umano e fraterno, e sentiamoci uniti nella responsabilità verso le
giovani generazioni presenti e future, in particolare nell'educarle ad
essere pacifiche e artefici di pace. È sulla base di tale consapevolezza
che vi invio queste riflessioni e vi rivolgo il mio appello: uniamo le
nostre forze, spirituali, morali e materiali, per " educare i giovani
alla giustizia e alla pace ".
Dal Vaticano, 8 Dicembre 2011
BENEDICTUS PP XVI
[1]
BENEDETTO XVI, Discorso agli Amministratori della Regione Lazio, del
Comune e della Provincia di Roma (14 gennaio 2011): L'Osservatore Romano,
15 gennaio 2011, p. 7.
[2] Commento al Vangelo di S. Giovanni, 26,5.
[3] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 11:
AAS 101 (2009), 648; cfr PAOLO VI, Lett. enc. Populorum progressio (26
marzo 1967), 14: AAS 59 (1967), 264.
[4] BENEDETTO XVI, Discorso in occasione dell'apertura del Convegno
ecclesiale diocesano nella Basilica di san Giovanni in Laterano (6 giugno
2005): AAS 97 (2005), 816.
[5] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Gaudium et spes, 16.
[6] Cfr BENEDETTO XVI, Discorso al Bundestag (Berlino, 22 settembre 2011):
L'Osservatore Romano, 24 settembre 2011, p. 6-7.
[7] ID., Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 6: AAS 101
(2009),644-645.
[8] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2304.
[9] BENEDETTO XVI, Veglia con i Giovani (Colonia, 20 agosto 2005): AAS 97
(2005), 885-886.
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