Battaglie Sociali,
periodico delle ACLI bresciane, dicembre 2024, pag. 21
Giustizia
sociale e dignità del lavoro
La
lezione dello storico presidente Emilio Gabaglio
Maurilio Lovatti
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Il 7 ottobre è morto a
Roma Emilio Gabaglio. E' stato il sesto presidente nazionale delle ACLI
dal 1969 al 1972. E' stato il più giovane presidente delle ACLI, eletto a
soli 32 anni. A quel ruolo lo aveva fortemente voluto Livio Labor,
che negli anni della sua carismatica presidenza (1961-69) aveva avuto in
Emilio un valido e fidato collaboratore. Gabaglio, con Marino Carboni,
Geo Brenna, Maria Fortunato e Domenico Rosati costituiva la “squadra”
di giovani dirigenti delle ACLI che Labor aveva selezionato. Emilio
proveniva dalle ACLI di Como, si era laureato in economia alla Cattolica
di Milano e si era trasferito a Roma nel 1962; capo ufficio per i problemi
internazionali dal 1963, era entrato in presidenza nel 1966.
L'XI Congresso nazionale di Torino (giugno 1969) aveva sancito la
fine del collateralismo con la DC, rompendo così l'unità politica
dei cattolici, ritenuta invece un valore irrinunciabile dalla grande
maggioranza dei Vescovi. Intervenendo al Congresso Gabaglio aveva
affermato che “non vi è contraddizione tra l'essere dei cristiani vivi
e consapevoli e l'essere dei militanti che lottano per gli obiettivi di
libertà e di dignità e progresso della classe lavoratrice”.
La presidenza Gabaglio nasce dunque in un periodo di gravi difficoltà nei
rapporti con la Gerarchia. Il 15 gennaio 1970 Gabaglio è ricevuto in
udienza da Paolo VI, che gli suggerisce la via di un confronto
chiarificatore con la CEI, confronto che inizia in un clima costruttivo il
12 maggio, con un incontro tra la delegazione della CEI e quella della
presidenza ACLI. Gli incontri continueranno fino al febbraio del 1971. Nel
frattempo però la situazione si aggrava quando, a conclusione dell’Incontro
nazionale di studi di fine agosto del 1970 a Vallombrosa, la
relazione finale di Gabaglio afferma che le ACLI sono impegnate in «una
scelta anticapitalistica e autenticamente orientata allo sviluppo umano e
che quindi non esclude l’ipotesi socialista»: la frase è sintetizzata
dagli osservatori esterni nello slogan “scelta socialista”. Il 6
maggio 1971 la CEI revoca alle ACLI il “consenso” dei Vescovi. Il 19
giugno Paolo VI deplora le ACLI per aver qualificato “politicamente”
il movimento, “scegliendo per di più una linea socialista”. Paolo VI
non era in linea di principio contrario al pluralismo politico dei
cattolici, ma in quel momento storico riteneva essenziale la loro unità
politica in Italia: Moro stava avviando il tentativo di collaborazione col
PCI e la frammentazione della DC a suo giudizio avrebbe reso i cattolici
più vulnerabili. Il 4 novembre 1972 il Consiglio nazionale delle ACLI
prende atto delle dimissioni di Gabaglio.
Come ha scritto Emiliano Manfredonia sull'Avvenire: “Pur avendo
vinto il Congresso del 1972 a Cagliari, Gabaglio dovette lasciare la
presidenza nazionale e il suo coraggio sta proprio tutto lì: nell’essersi
saputo mettere da parte, accollandosi il peso di una stagione difficile,
non totalmente capita, e nell’essersi portato via le critiche, le
delusioni e le vendette politiche per non farle ricadere sulle ACLI.”
Ho visto Emilio per l'ultima volta il 6 settembre scorso, in un bar di
piazza Pio XI a Roma, per una lunga chiacchierata sul futuro delle ACLI.
Era lucido e intellettualmente curioso, come sempre. Nulla faceva
presagire una fine imminente e mi aveva anche detto che voleva partecipare
all'incontro previsto per il 25 settembre alla sede nazionale per
commemorare Maria Fortunato.
La sua vita è stata dedicata all’impegno civile e sindacale, con una
forte vocazione per la giustizia sociale e la promozione della dignità
del lavoro. Emilio ha saputo ispirare e guidare diverse generazioni,
lasciando un segno indelebile nel movimento aclista e in chi ha avuto il
privilegio di conoscerlo e di collaborare con lui.
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