Promesso.
Ho deciso. E' ufficiale. Regalerò 1000 euro a tutte le persone che conosco.
Però non ora, ma nel 2070, se sarò ancora vivo. Nel 2070 avrò 116 anni
ma, si sa, io sono ottimista. Non sto farneticando. Sto parafrasando le
conclusioni della Conferenza mondiale sul Clima di Glasgow.
Il Premier indiano Narendra Modi ha promesso che l'India raggiungerà
la neutralità carbonica (cioè un livello di emissioni di CO2 tale da
essere assorbite naturalmente) nel 2070; nel frattempo ha in progetto di
aprire 55 nuove miniere di carbone e di ampliarne 193 già esistenti negli
stati centrali del Paese. Nel 2070 Modi avrà 120 anni. Il Presidente cinese
è stato più sensibile ai valori ambientali, la Cina si è impegnata a
raggiungere l'obiettivo entro il 2060. Nel 2060 Xi Jinping avrà 107
anni. Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha promesso che
bloccherà la deforestazione. Ma non subito, nel 2030. L'eventuale secondo
mandato presidenziale di Bolsonaro scadrà il 31 dicembre 2026 e non sarà
più rieleggibile. Si potrebbe continuare a lungo. Molti Leader hanno
fatto promesse solenni, sapendo bene di non volerle mantenere.
Tutto sommato la conferenza di Glasgow ha confermato le decisioni già prese
nei vertici precedenti. Ma da un certo punto di vista, c'è stato anche un
peggioramento: nel documento finale non si parla più di graduale rinuncia
al carbone, ma solo di riduzione graduale del suo utilizzo. Infine poco o
nulla è stato fatto per garantire effettivi e rilevanti aiuti ai Paesi
vulnerabili per affrontare gli impatti climatici devastanti. Non ha tutti i
torti Greta Thumberg quando sintetizza Glasgow con “bla, bla, bla”.
Tutto negativo dunque? Non esattamente. Tutti i 197 Paesi presenti hanno
condiviso l'idea che è necessario un impegno comune per ridurre le
emissioni al fine di frenare i disastrosi cambiamenti climatici e hanno
fatto proprio e reso irreversibile l'obiettivo di limitare il
surriscaldamento globale al massimo di 1,5 gradi. E' anche emerso un segnale
di accelerazione rispetto ai tagli alle emissioni nel breve periodo: si è
deciso che nel 2022 i Paesi dovranno tornare al tavolo con piani per il 2030
più ambiziosi e con l’impegno a dare e fare di più, in termini di fondi
e know how, ai Paesi vulnerabili. Infine sono stati stipulati accordi, come
quello sulla fine delle deforestazioni (entro il termine del 2030) che prima
non c'erano.
Per questo l'inviato speciale USA per il clima John Kerry, Emmanuel
Macron, e i leader dei Paesi che presiedevano il summit (Johnson e
Draghi) hanno parlato di risultati positivi, date le condizioni di
fatto. Senza negare i piccoli passi in avanti, si ha netta la sensazione di
scoraggiamento: come se in una sorta di autolesionismo planetario, i leader
politici abbiano sottovalutato la minaccia dei cambiamenti climatici e
l'esigenza di interventi urgenti per evitare la catastrofe.
Maurilio
Lovatti
Il
difficile addio ai combustibili fossili
La
finanza mondiale continua a dare centinaia di miliardi di dollari a progetti
legati al fossile
Ilaria
Antonino di Friday for Future di Brescia
Tutti,
ormai, parlano di crisi climatica. Al bar, a scuola, in ufficio. Ma esiste
qualcuno che sta lavorando per trovare una soluzione?
COP è l'acronimo di Conference of Parties, l’organo decisionale
della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti
Climatici, i cui membri si incontrano annualmente per stabilire le strategie
politiche e climatiche degli anni successivi a livello mondiale.
COP26 si è tenuta a Glasgow tra il 31 ottobre e il 12 novembre. Questa COP
era importante per diversi motivi: era la prima COP dal 2019, anno dell’ultima
Conferenza prima della pandemia; si è svolta cinque anni dopo gli Accordi
di Parigi; ed è stata accompagnata dalla pressione della società
civile, mai stata così intensa. Le aspettative erano alte: abbandono
definitivo del carbone; consenso unanime sul tetto massimo di 1.5° di
incremento della temperatura media mondiale (obiettivo rispetto al quale il
decennio fino al 2030 sarà cruciale); finanziamento, da parte dei paesi
più ricchi, della transizione nei paesi in via di sviluppo; e, infine, la
definizione dei meccanismi e delle azioni concrete necessarie a rendere
operativi gli accordi di Parigi. Date queste premesse, il bilancio finale di
COP26 è piuttosto deludente. Il regolamento degli Accordi di Parigi è
stato chiuso con l’approvazione della rendicontazione unica delle
emissioni e l’accordo per il mercato di scambio di CO2. Gli altri punti,
invece, sono andati sfumando. Paesi come la Cina, l’India e l’Australia
si sono schierati contro l’abbandono immediato del carbone. Gran parte
dei Paesi più ricchi non hanno accolto le richieste di finanziamenti per la
decarbonizzazione da parte dei Paesi del Sud del mondo, i più
vulnerabili ed esposti agli effetti della crisi climatica. Il traguardo dei
100 miliardi all’anno in favore della transizione di questi paesi è stato
posticipato al 2023, mentre la finanza mondiale continua a dare centinaia di
miliardi di dollari a progetti legati al fossile. Il G77, che comprende in
gran parte Paesi in via di sviluppo, rappresenta circa 6 miliardi di persone
che subiscono una crisi climatica che non hanno provocato e che è il
prodotto di emissioni causate per il 92% dai Paesi sviluppati. Questo gruppo
di nazioni ha richiesto che venissero stabiliti dei risarcimenti per i danni
che la crisi climatica sta provocando sui loro territori, ma anche in questo
caso non viene garantito alcun fondo per rispondere a queste perdite.
Nessuno Stato ha poi realmente affrontato l’uscita da tutti i combustibili
fossili. Nonostante COP26 sia stata la prima Conferenza delle Parti in cui
il termine “combustibili fossili” è stato citato esplicitamente, di
revisione in revisione si è passati dal parlare di “eliminare i sussidi
ai combustibili fossili” a “eliminare combustibili fossili inefficienti”,
dove quest’ultimo aggettivo si presta all’arbitrarietà delle
interpretazioni. Dal lato del carbone, nella prima bozza compariva il verbo
“eliminare”, ma progressivamente il carbone da liquidare è diventato
soltanto quello “unabated”, cioè non accompagnato dalla presenza
di sistemi di cattura e stoccaggio della CO2. Infine, l’India ha dato il
colpo di grazia sostituendo il verbo “eliminare” con “ridurre”.
Nonostante le contrarietà diffuse, la paura di non giungere a nessun
accordo ha avuto la meglio e la mozione indiana è passata. Il documento
finale di COP26 è stato approvato da tutte le nazioni partecipanti. In
definitiva, benché siano stati fatti alcuni passi in avanti, gli impegni
climatici e finanziari definiti a COP26 restano insufficienti.
Noi, però, siamo di fronte ad un’emergenza, che va trattata come tale e
va affrontata subito. Non domani, non nel 2050, ma ora. I cambiamenti
climatici mettono a rischio la salute, l’accesso al cibo, la
disponibilità di acqua, la biodiversità e la sopravvivenza degli
organismi, specie umana compresa. Per limitare a 1,5° l’aumento medio
della temperatura del pianeta le emissioni di gas serra devono essere
tagliate immediatamente. Misure di limitazione e adattamento al cambiamento
climatico devono essere integrate nelle politiche e nelle strategie
nazionali ed è necessario aiutare concretamente i Paesi in via di sviluppo
per garantire non solo la transizione ecologica, ma anche la giustizia
sociale. COP26 ha rimandato parte di questi interventi all’anno prossimo,
ma rimandare, adesso, non è più la soluzione.
Ilaria
Antonino
per Friday for Future di Brescia
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