Battaglie Sociali, periodico delle ACLI bresciane, gennaio - febbraio 2014, pag. 18-19

 

 

 

Giornata mondiale della pace a Brescia

 

di Maurilio Lovatti 

 

 

Il pomeriggio di capodanno oltre un migliaio di persone ha partecipato alla marcia diocesana per la pace, da Caionvico al convento francescano di Rezzato. L'evento, promosso dalla commissione Giustizia e Pace della Diocesi, in collaborazione con le parrocchie della zona Brescia Est, di Rezzato e Botticino, dei circoli ACLI della zona, degli Scout Brescia 7, dei missionari Comboniani e Saveriani e di varie associazioni religiose e laiche, è stato preceduto da diverse occasioni di formazione, tra le quali ricordo la proiezione del film YOL a Cristo Re e il dibattito Mondo arabo: primavere tradite, con Luciano Ardesi al Violino il 29 novembre.
In occasione delle varie tappe della marcia, diversi interventi hanno aiutato i partecipanti a riflettere sul messaggio di Papa Francesco per la 47° giornata mondiale della Pace, intitolato significativamente Fraternità, fondamento e via per la pace.
Don Fabio Corazzina ha ricordato che non a caso i primi gesti del Pontefice, la vista al carcere e al campo d'accoglienza di Lampedusa, ci ricordano che i cristiani devono essere attenti in primo luogo ai più deboli e sventurati e a chi ha sbagliato.
La riflessione più profonda e organica è stata sviluppata da Roberto Rossini, presidente provinciale delle ACLI, che ha detto: "la radice della fraternità è contenuta nella paternità di Dio. È in questa comunità che riconosciamo un vincolo di solidarietà verso i tutti i fratelli, senza distinzione - come dice la Costituzione - di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. L'opera della pace è una costruzione mai finita: è una grande e perenne costruzione umana e politica tra diversi. In questo senso l'Europa è una grande idea di pace da riaffermare oggi. Dobbiamo perseverare nella visione di alcuni padri europei, da Schumann ad Adenauer, da Spinelli a De Gasperi. Paolo VI affermava che il mondo soffre per mancanza di pensiero, di visione: ecco il grande spazio che si apre alla politica, la capacità di pensare grandi visioni per superare la pessimismo, che a volte ci assale. Siamo convinti che questo pensare politicamente non possa fare a meno dell'esperienza della fraternità e della fratellanza, fondamento per una pace duratura. Perché la fraternità è parte della natura umana e non c'è nulla di peggio che trascurare ciò a cui l'uomo è naturalmente vocato. Noi, che marciamo oggi, lo ribadiamo per impegnarci anche nel corso di quest'anno a tradurre le nostre parole in opere, ognuno per le proprie possibilità e capacità. Senza scartare nessuno, senza pretendere di essere i migliori o i perfetti. La pace non si dà in un mondo perfetto, la pace si costruisce nell'imperfetto quotidiano che viviamo".
Anche il Vescovo Luciano, nell'omelia del 1 gennaio ha ricordato che la sfida della pace non è una sfida facile: "Basterebbe ripercorrere la nostra storia, dalla guerra dei trent'anni alle numerose e sanguinose guerre combattute in nome della nazione, dell'impero e dell'ideologia. Abbiamo fatto fatica ad accettare la diversità religiosa, quella culturale, politica, economica. Ma facciamo fatica tutti i giorni a fare i conti con la diversità dell'altro; basterebbe vedere come stupidità e aggressività si esprimono nei messaggi che viaggiano su facebook o twitter o simili, non appena la censura sociale si allenta e le pulsioni del profondo possono emergere senza censure. D'altra parte siamo consapevoli che la strada dell'integrazione e della comunione è senza ritorno. Oggi non ci è più possibile difendere o affermare un'identità culturale attraverso l'isolamento o la sopraffazione. Siamo costretti a delineare in modo nuovo la nostra presenza nel mondo. Per anni siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità: il fatto che negli anni si sia formato e consolidato un debito pubblico sempre più alto significa che abbiamo consumato più di quanto producevamo; ma questo suppone che qualcuno producesse più di quanto consumava e che noi godessimo del lavoro di altri. Che la situazione stia cambiando può certo farci soffrire, ma non possiamo lamentarci più di tanto, non possiamo pretendere che altri stiamo male per fare stare meglio noi. Siamo costretti a diventare più sobri, più responsabili, più capaci di dialogo, di collaborazione, di rischio."

Maurilio Lovatti

 

 

Battaglie Sociali, gennaio - febbraio 2014, pag. 18-19

 

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