Il
pomeriggio di capodanno oltre un migliaio di persone ha partecipato alla
marcia diocesana per la pace, da Caionvico al convento francescano di
Rezzato. L'evento, promosso dalla commissione Giustizia e Pace della
Diocesi, in collaborazione con le parrocchie della zona Brescia Est, di
Rezzato e Botticino, dei circoli ACLI della zona, degli Scout Brescia 7,
dei missionari Comboniani e Saveriani e di varie associazioni religiose e
laiche, è stato preceduto da diverse occasioni di formazione, tra le
quali ricordo la proiezione del film YOL a Cristo Re e il dibattito Mondo
arabo: primavere tradite, con Luciano Ardesi al Violino il 29 novembre.
In occasione delle varie tappe della marcia, diversi interventi hanno
aiutato i partecipanti a riflettere sul messaggio di Papa Francesco per la
47° giornata mondiale della Pace, intitolato significativamente
Fraternità, fondamento e via per la pace.
Don Fabio Corazzina ha ricordato che non a caso i primi gesti del
Pontefice, la vista al carcere e al campo d'accoglienza di Lampedusa, ci
ricordano che i cristiani devono essere attenti in primo luogo ai più
deboli e sventurati e a chi ha sbagliato.
La riflessione più profonda e organica è stata sviluppata da Roberto
Rossini, presidente provinciale delle ACLI, che ha detto: "la radice
della fraternità è contenuta nella paternità di Dio. È in questa
comunità che riconosciamo un vincolo di solidarietà verso i tutti i
fratelli, senza distinzione - come dice la Costituzione - di sesso, razza,
lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.
L'opera della pace è una costruzione mai finita: è una grande e perenne
costruzione umana e politica tra diversi. In questo senso l'Europa è una
grande idea di pace da riaffermare oggi. Dobbiamo perseverare nella
visione di alcuni padri europei, da Schumann ad Adenauer, da Spinelli a De
Gasperi. Paolo VI affermava che il mondo soffre per mancanza di pensiero,
di visione: ecco il grande spazio che si apre alla politica, la capacità
di pensare grandi visioni per superare la pessimismo, che a volte ci
assale. Siamo convinti che questo pensare politicamente non possa fare a
meno dell'esperienza della fraternità e della fratellanza, fondamento per
una pace duratura. Perché la fraternità è parte della natura umana e
non c'è nulla di peggio che trascurare ciò a cui l'uomo è naturalmente
vocato. Noi, che marciamo oggi, lo ribadiamo per impegnarci anche nel
corso di quest'anno a tradurre le nostre parole in opere, ognuno per le
proprie possibilità e capacità. Senza scartare nessuno, senza pretendere
di essere i migliori o i perfetti. La pace non si dà in un mondo
perfetto, la pace si costruisce nell'imperfetto quotidiano che
viviamo".
Anche il Vescovo Luciano, nell'omelia del 1 gennaio ha ricordato che la
sfida della pace non è una sfida facile: "Basterebbe ripercorrere la
nostra storia, dalla guerra dei trent'anni alle numerose e sanguinose
guerre combattute in nome della nazione, dell'impero e dell'ideologia.
Abbiamo fatto fatica ad accettare la diversità religiosa, quella
culturale, politica, economica. Ma facciamo fatica tutti i giorni a fare i
conti con la diversità dell'altro; basterebbe vedere come stupidità e
aggressività si esprimono nei messaggi che viaggiano su facebook o
twitter o simili, non appena la censura sociale si allenta e le pulsioni
del profondo possono emergere senza censure. D'altra parte siamo
consapevoli che la strada dell'integrazione e della comunione è senza
ritorno. Oggi non ci è più possibile difendere o affermare un'identità
culturale attraverso l'isolamento o la sopraffazione. Siamo costretti a
delineare in modo nuovo la nostra presenza nel mondo. Per anni siamo
vissuti al di sopra delle nostre possibilità: il fatto che negli anni si
sia formato e consolidato un debito pubblico sempre più alto significa
che abbiamo consumato più di quanto producevamo; ma questo suppone che
qualcuno producesse più di quanto consumava e che noi godessimo del
lavoro di altri. Che la situazione stia cambiando può certo farci
soffrire, ma non possiamo lamentarci più di tanto, non possiamo
pretendere che altri stiamo male per fare stare meglio noi. Siamo
costretti a diventare più sobri, più responsabili, più capaci di
dialogo, di collaborazione, di rischio."
Maurilio Lovatti
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