Uno dei
luoghi comuni più diffusi nelle società contemporanee consiste nel credere
nel potere dissuasivo della pena: tanto più la legge prescrive pene severe
per i reati più gravi, tanto meno quei reati saranno commessi. Nulla di
più falso! Nella maggior parte degli Stati Uniti l'omicidio volontario è
punito con la pena di morte: se confrontiamo il numero di omicidi in
rapporto al numero degli abitanti, ci accorgiamo con stupore che negli USA
sono circa 7 volte superiori che nella Comunità Europea, dove non c'è la
pena di morte.
Questo è uno dei pregiudizi di fondo da sradicare se si vuole pensare ad
una riforma ragionevole della giustizia penale in Italia. Riforma che si
rende necessaria per almeno due motivi: la lunghezza dei processi e il
sovraffollamento delle carceri. La Corte europea dei diritti umani ha
condannato nel gennaio 2013 l'Italia per il trattamento inumano e degradante
inflitto alla sua popolazione carceraria. La condanna si basa sul fatto che
le carceri italiane contano ad oggi circa 66 mila detenuti (di cui circa 25
in attesa di giudizio) pur avendo una capacità totale di soli 47mila posti.
Un primo timido tentativo per ridurre il numero dei carcerati è stato
compiuto dal governo lo scorso luglio: con un decreto legge poi modificato
dal Parlamento sono state ampliati i casi in cui la pena può essere
scontata agli arresti domiciliari, esclusi ovviamente i reati più gravi.
Ma sono necessarie misure più incisive e radicali. In primo luogo la
depenalizzazione dei reati meno gravi (vedi riquadro). Molti crimini
economici oggi puniti col carcere, potrebbero essere sanciti da pene
pecuniarie rapportate al reddito (in Germania ciò avviene già per circa i
¾ dei reati). Infatti tolti i reati commessi dalla criminalità organizzata
(mafia, camorra, ecc.) a cui corrisponde circa il 10% degli attuali
detenuti, quelli sessuali e quelli legati all'ira, la gran parte dei reati
ha motivazioni economiche. Un'altra misura possibile consiste nell'ampliare
l'istituto della "messa in prova" del detenuto anche dopo la
condanna in primo grado.
Utilissimo sarebbe estendere anche la mediazione penale, oggi prevista dalla
legge solo per i minori. Quest'istituto, che è un momento centrale della
cosiddetta giustizia riparativa, cerca di favorire il recupero sociale del
colpevole, attraverso una forte responsabilizzazione rispetto al reato e una
presa di coscienza delle conseguenze del reato stesso, in conformità dello
spirito rieducativo che dovrebbe caratterizzare il diritto penale.
L'adozione da parte della giustizia riparativa di un percorso di mediazione
tra vittima e autore del reato, permette di costruire uno spazio nel quale i
protagonisti hanno la possibilità di esprimere i propri sentimenti riguardo
al fatto che li coinvolge. Ovviamente la carcerazione va sempre mantenuta
intatta per la criminalità organizzata e per i gravi delitti, come gli
omicidi. Il passaggio dal sistema penale retributivo al sistema riparativo
consentirebbe di prendere in maggiore considerazione le esigenze delle
vittime di reato che i sistemi tradizionali di giustizia hanno sempre
trascurato. La giustizia riparativa ha ottenuto buoni risultati anche in
situazioni oggettivamente difficili: ad esempio in Sud Africa, per quanto
riguarda i reati a sfondo razzista.
Anche per accorciare i tempi processuali ci sono riforme che costano
(ampliamento degli organici nei tribunali) e sono quindi difficili da
realizzare, ma anche riforme che non costano. Ad esempio in Italia, la
sentenza di secondo grado non può aumentare la pena del primo grado se a
ricorrere è l'imputato. Così praticamente tutti ricorrono in appello,
aumentando lunghezza e costi del processo per la collettività, e aumentando
le possibilità di prescrizione del reato. In Francia, dopo è possibile
inasprire la pena in appello, ricorre solo circa il 12% dei condannati. Ecco
perché il numero di avvocati nel solo Lazio è pari a quelli dell'intera
Francia!
Infine il numero dei reati economici può essere ridotto con misure di
prevenzione (ad esempio norme per la tracciabilità dei pagamenti, per
perseguire con più rigore il falso in bilancio e altri reati societari,
allungamento dei tempi di prescrizione, ecc.).
I problemi della giustizia possono dunque essere risolti senza ricorrere
all'amnistia e all'indulto, provvedimenti giustamente invisi all'opinione
pubblica perché diseducativi e perché intaccano il principio della
certezza del diritto e possono difficilmente convivere con l'educazione alla
legalità.
Maurilio Lovatti
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