Il Cantiere, dicembre 2003
Fa parte
della nostra tradizione culturale pensare che talvolta sia necessario
castigare i bambini anche con punizioni fisiche, sberle per esempio, per
correggerli o educarli o abituarli a comportamenti più rispettosi, anche
se per fortuna verghe, fruste, bastoni e punizioni disumane, usatissimi
per secoli e secoli fino a 50 anni fa, sono stati definitivamente messi al
bando, almeno in Occidente. Vecchi detti come "chi ama i figli li
punisce" oppure "quando ci vuole, ci vuole" godono ancora
di discreta popolarità, anche tra le famiglie cristiane. In 23 Stati
degli USA (su 50) sono ancora in vigore leggi che consentono a genitori,
insegnanti e educatori di infliggere pene corporali ai bambini. In
Francia, secondo dati del governo, l'80 % dei genitori usa la violenza
fisica per educare i figli.
Un recente libro della celebre psicoanalista tedesca Alice Miller (Il
risveglio di Eva: come superare la cecità emotiva, ed. Cortina,
Milano 2002, euro 13.50) c'induce a ripensare alla questione. E' un libro
accessibile a chiunque perché volutamente usa un linguaggio semplice e, a
differenza degli altri famosi libri dell'autrice, non richiede la
conoscenza di complicati concetti psicanalitici.
La Miller sostiene che le percosse subite da bambini provocano conseguenze
molto gravi per l'equilibrio psichico della persona, che può rimanere
segnata per tutta la vita. Il meccanismo è in sintesi il seguente: il
bambino picchiato - soprattutto nei primi tre anni di vita - prova un
sentimento di forte paura e percepisce ("sente") il genitore
come "cattivo" nei suoi confronti; tuttavia poiché le percosse
gli sono presentate come "giuste" e comunque somministrate per
il suo bene, si crea una forte dissonanza tra la dimensione emotiva (ciò
che il bambino sente) e quella cognitiva (come il bambino interpreta la
realtà) e ciò causa la rimozione (negazione inconsapevole) dei
sentimenti provati; di conseguenza si forma quella che la Miller chiama
"cecità emotiva", che impedisce alla persona di provare
sentimenti di empatia anche da adulta e che rende spesso impossibile
all'adulto anche solo ricordare consapevolmente le percosse subite quando
era bambino.
Le tesi della Miller hanno trovato riscontri anche in ricerche
sperimentali. Le neuroscienze riconoscono che il cervello non è ancora
compiutamente sviluppato al momento della nascita e che assumerà la sua
struttura definitiva entro il terzo anno di vita. I messaggi che il
cervello riceve nei primi tre anni di vita hanno importanza maggiore
perché lasciano tracce permanenti nell'organizzazione cerebrale. La paura
e lo stress determinati dalle percosse infantili possono distruggere
raggruppamenti di neuroni (le cellule del cervello) e soprattutto
modificano le loro connessioni reciproche, provocando danneggiamenti
cerebrali permanenti. Anche lo sviluppo dell'intelligenza di una persona
dipende dalle esperienze emotive della prima infanzia molto più di quanto
gli scienziati ipotizzavano fino a qualche anno fa'.
In altri libri la Miller aveva analizzato l'infanzia di persone
"cattive" e crudeli, come Hitler, Stalin, Milosevic ed
altri efferati dittatori e mostrato che tutti erano stati maltrattati e
terrorizzati da piccoli, senza la presenza di una figura "buona"
e consolatrice, di una persona affettuosa verso il bimbo (figura che la
Miller denomina "testimone soccorrevole"). Di converso,
l'analisi dell'infanzia di Gorbaciov (preso come esempio di uomo
politico "positivo") mostra che, nonostante l'ambiente sociale
agricolo e la gran povertà in cui ha vissuto da piccolo siano molto
simili a quelli di Stalin, le conseguenze sono ben diverse: l'infanzia di
Gorbaciov mette in luce "come le privazioni più severe non siano di
alcun danno al carattere del bambino se la sua integrità è al riparo da
ipocrisie, maltrattamenti, castighi e umiliazioni psicologiche"
(pag.86).
Le persone nate nella prima metà del '900 hanno quasi tutte subito
ripetutamente punizioni fisiche nell'infanzia, poiché esse erano anche
raccomandate dalla pedagogia del tempo, e quindi la cecità emotiva era
molto più diffusa di oggi: per la Miller questo spiega come mai i
dittatori come Hitler e Stalin trovarono facilmente esecutori obbedienti
anche agli ordini più disumani e crudeli.
Ancor oggi, nelle tribù dei Paesi africani più poveri, le mamme portano
i bambini nudi sulla schiena; per evitare di lordarsi con gli escrementi
del piccolo, usano assestargli uno scappellotto piuttosto forte ogni volta
che il bambino fa i suoi bisogni; i bimbi di pochi mesi sono già così
terrorizzati che, non appena sentono lo stimolo, piangono disperati per
paura delle percosse e così la madre riesce a farli scendere in tempo! Il
sistema funziona dal punto di vista pratico, ma la botte a bimbi cosi
piccoli, per di più somministrate proprio dalla madre, provocano una
cecità emotiva molto forte, che per la Miller spiega la diffusa
indifferenza per gli orrendi massacri e le crudeltà connesse alle lotte
tribali.
Ovviamente l'esclusione di punizioni fisiche o umilianti nell'educazione
dei figli non deve portarci ad un'educazione permissiva, nella quale il
bambino è viziato, non è educato a ricevere dei "no" fermi ad
alcune sue richieste o pretese, non è abituato a vivere dispiaceri e
frustrazioni, purtroppo inevitabili nella vita umana. Un'educazione troppo
permissiva produce anch'essa gravi danni. Esistono punizioni non fisiche,
educative e non umilianti, proporzionate e collegate ai comportamenti
sbagliati che devono essere corretti (se non hai finito di fare i compiti
non potrai guardare alla TV il cartone animato preferito, se lasci avanzi
nel piatto non potrai avere la portata successiva ecc.).
Nel Vangelo si racconta che Gesù, ancora ragazzino, disubbidì ai
genitori rimanendo a Gerusalemme ad ascoltare e interrogare i dottori nel
tempio; trovatolo Maria gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto
così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo" (Lc, 2,48).
Maria ci dà l'esempio di un atteggiamento educativo corretto, preoccupato
non di punire, ma di correggere un comportamento che riteneva sbagliato,
facendo riflettere il bambino sulle conseguenze negative del suo atto
(cioè l'angoscia dei genitori).
Certo capita a quasi tutti i genitori di rifilare qualche sberla o
sculacciata ai figli, soprattutto quando si è stanchi, irritati o
esasperati (almeno, a me, è capitato più volte!): è importante in
questi casi non trasmettere al bambino la sensazione che la punizione è
giusta ed è per il suo bene, ma aiutarlo a comprendere che anche ai
genitori può capitare di eccedere o di sbagliare, specialmente quando
sono arrabbiati, e ciò senza nulla togliere al giudizio negativo sul
comportamento sbagliato del figlio e sulle conseguenze negative che esso
produce.
I genitori che non condividono le tesi di Alice Miller sono invitati a
scrivere al Cantiere: sarà così possibile sviluppare un utile confronto
su un tema così importante come l'educazione dei nostri figli.
Maurilio Lovatti
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