Signor direttore,
desidererei esprimere qualche mia osservazione circa l'articolo pubblicato
da "Bresciaoggi" il 25.1.77 firmato Maurilio Lovatti,
riguardante il commento-recensione alla recente pubblicazione: "I
lavoratori cattolici nella vita politica bresciana" (Sangallo
edizioni), opera che affronta essenzialmente il periodo storico 1945/50.
Mi sembra di poter affermare che l'articolista non solo non colga lo
spirito con cui il libro è stato scritto, ma che travisi o dimostri di
non aver compreso l'elaborato in molti dei suoi aspetti. Clamorosa è
l'affermazione dell'articolista, secondo cui gli autori del volume
sarebbero convinti (per quanto riguarda le vicende del dopoguerra)
"di un doppio gioco da parte dei comunisti che si spaccerebbero come
difensori della democrazia solo per guadagnare la forza sufficiente a
schiacciarla con una dittatura" (periodo del libro citato dall'articolista).
Fortunatamente non ci sono controprove. Comunque tale opinione (sarà poi
del tutto discutibile?) come si comprende dal contesto in cui è inserita
non è da attribuirsi agli autori, i quali invece obiettivamente
constatano essere quelli il timore e l'opinione comune dei lavoratori
cattolici nella seconda metà degli anni quaranta.
Gli autori poi, secondo M.L., giustificherebbero anche le azioni più
squallide della corrente sindacale cristiana (ma non è vero, vi sono anche
critiche ben precise), come ad esempio il crumiraggio durante la vertenza
al Lanificio Marzotto di Manerbio iniziata il 27.12.46.
Il sottoscritto, che già tempo fa ebbe modo di affrontare in un suo
lavoro queste vicende, può sostenere: che lo sciopero fu
"selvaggio"; che anzi qualche sindacalista sospettava che
iniziatori fossero attivisti dell'Uomo qualunque; che in ogni caso non
furono inizialmente responsabili dell'agitazione né sindacalisti, né
membri della C.I.; che la Commissione Esecutiva della Camera del Lavoro in
seduta straordinaria approvò all'unanimità la decisione di far
riprendere il lavoro (seduta del 28.1.77); che però il giorno successivo
i segretari comunista e socialista della C.d.L. decidevano improvvisamente
di appoggiare la prosecuzione dello sciopero: prosecuzione che la corrente
cristiana non accettò invece, in quanto la vertenza era lesiva della
disciplina sindacale. L'articolista ha letto i verbali della Commissione
Esecutiva della C.d.L. o solo i giornali del tempo?
M.L. infine afferma di non credere all'obiettività come metodo di lavoro
che gli autori si autoattribuirebbero. Coerentemente quindi egli non
accetta parecchi giudizi degli autori, ma incoerentemente, e ciò quando
gli fa comodo, prende come oro colato e si bea di episodi non certo
edificanti citati nel libro, riguardanti uomini e vicende della DC e
dell'ambiente cattolico d'allora. Ma non è anche questa una prova che gli
autori non hanno voluto fare il panegirico a nessuno, ma hanno voluto
mostrare con onestà ciò che di buono c'era, e anche ciò che vi fu di
negativo?
Io ho invece il sospetto, avallato dell'esperienza, che siamo in troppi a
voler dettare sentenze senza aver sufficiente documentazione e il minimo
senso storico; ciò che conduce al manicheismo (da una parte tutto il
bene, dall'altra solo il male), al pressappochismo, all'incomprensione
della realtà storica.
Francesco Turelli
Villaggio Badia - Brescia
1) Nella prima parte della lettera il signor
Turelli sostiene che la pesante polemica anticomunista svolta nel libro
non esprimerebbe il punto di vista degli autori, ma la descrizione del
tipo di opinione dei lavoratori cattolici in quel periodo (1945-50). Anche
Renzo Fracassi, uno degli autori del volume, sulla Voce del Popolo dell'11
febbraio tenta di difendersi in questo stesso modo. Ma se questa tesi è
valida per quanto riguarda la citazione di brani e scritti dell'epoca,
come già precisavo nella mia recensione, è evidentemente troppo comodo e
poco convincente, per gli autori e per chi con loro concorda, cercare di
dissociarsi dai polemici giudizi espressi nel libro.
Per esempio la frase citata da Turelli relativa al "doppio gioco da
parte dei comunisti che si spaccerebbero come difensori della democrazia
solo per guadagnare la forza sufficiente a schiacciarla con una
dittatura" continua con queste parole: "che per il fatto di
essere rossa, non sarebbe migliore di quella nera appena cancellata".
Ora qui, mi sembra palese, si tratta di giudizi degli autori e non già di
fatti storici descritti nella loro obiettività. Giudizi rispettabili
quanto si vuole, ma indubbiamente anticomunisti. Non comprendo come mai
gli autori non abbiano almeno il coraggio delle proprie opinioni (mi
riferisco in particolare alla lettera dell'amico Fracassi alla Voce del
Popolo).
2) La benevolenza e l'atteggiamento apologetico degli autori del volume
nei confronti della DC non si evidenziano certo negli episodi ripresi dal
sig. Turelli (che, fra l'altro, non vedo come gli autori avrebbero potuto
negare, salvo clamorose e plateali falsificazioni) ma nel giudizio
complessivo su questo partito che emerge dal libro. Non per nulla non si
fa cenno la politica economica della DC e le sue scelte che contrastavano
con le esigenze del movimento dei lavoratori. Si parla ampiamente di Paesi
dell'Est europeo, ma non della crisi economica italiana, della recessione
del '47, dell'insabbiamento della proposta di sostituzione della moneta,
della differente soluzione della crisi prospettata da Scoccimarro. E ciò
per evitare scrupolosamente ogni giudizio negativo sulla DC.
3) Lo sciopero della Marzotto di Manerbio. Giustamente il signor Turelli
immagina che io non abbia letto i verbali della Commissione Esecutiva
(anche perché all'archivio della Camera del Lavoro non ci sono). Ma, a
giudicare dalle citazioni a sproposito pare che il sig. Turelli, oltre ai
predetti verbali, non abbia letto molto attentamente nemmeno i giornali
del tempo. Infatti:
a) lo sciopero iniziò il 27-12-46 terminò il 3-1-47. È quindi
matematicamente impossibile che la Commissione Esecutiva del 28-1-47 abbia
deciso di "fare riprendere il lavoro", visto che questo già
ripreso da quasi un mese! Forse il sig. Turelli fa confusione con un'altra
riunione della Commissione esecutiva, tenuta nella seconda metà di
gennaio, in cui si discusse di questa questione, ma per tutt'altro motivo?
Infatti gli impiegati della Camera del Lavoro appartenenti alla corrente
cristiana il 13-1-47 avevano deciso, per protesta contro "il vile e
oltraggioso" attacco della Verità del 12 gennaio, di "non
partecipare all'attività" della Camera del Lavoro. La Commissione
Esecutiva si riunì, ma per valutare le richieste di questi impiegati
democristiani, che, pur avendo scioperato, volevano essere ugualmente
retribuiti.
b) E vero che il movimento dell'Uomo Qualunque intervenne sullo sciopero,
ma non certo per promuoverlo, come afferma il sig. Turelli, attribuendo
tale sospetto a qualche immaginario sindacalista. Il settimanale locale
dei qualunquisti, invece, attaccò duramente lo sciopero, accusando
duramente le sinistre, Belleri (segretario della Camera del Lavoro) e
"pochi energumeni" (citazione testuale) di avere preordinato lo
sciopero stesso. Un 'altra involontaria e madornale confusione del sig.
Turelli?
c) Su un aspetto la versione del libro, quella del sig. Turelli e la mia
concordano. Lo sciopero non fu promosso dai sindacalisti, ma deciso
spontaneamente dai lavoratori in assemblea. Va però ricordato che tale
decisione fu riconfermata dai lavoratori nell'assemblea del 31-12-46,
anche se il giorno prima i sindacalisti DC avevano reso pubblico il loro
dissenso. Pertanto la definizione di "crumiraggio" che
attribuivo ai democristiani che decisero, a partire da questa seconda
assemblea, di boicottare lo sciopero è letteralmente appropriata.
d) Sia la giustificazione del "crumiraggio" addotta dagli autori
del libro (la questione delle case popolari) sia quella del sig. Turelli
appaiono tentativi strumentali e poco credibili, che nulla hanno a che
vedere con lo svolgersi effettivo dei fatti. A questo punto non merita
nemmeno sprecare inchiostro per replicare alle accuse che il sig. Turelli
mi rivolge: scarsa documentazione, mancanza di senso storico, manicheismo,
pressappochismo, incomprensione della realtà storica. Da che pulpito
viene la predica!
Maurilio Lovatti
Consideriamo chiusa, con questa risposta del
nostro collaboratore, la polemica suscitata da una Sua recensione. Ci si
consenta, come redazione, di esprimere una certa perplessità di fronte a
qualche accento che ci è sembrato eccessivo nei confronti di una semplice
recensione, per osservazioni e dati ch'essa potesse contenere che a
qualcuno risultassero inaccettabili. Non vorremmo che fosse il sintomo di
una ancora diffusa abitudine a non ammettere che si abbiano opinioni
diverse o a non concedere che si possa anche essere inesatti senza per
questo apparire rei di qualche lesa maestà. Ci è sembrato, in proposito,
francamente abnorme che addirittura un'apertura di prima pagina di un
quindicinale locale abbia a man salva parlato di "libello" di
"ignoranza" di "mancanza di dignità" e simili, quasi
che Bresciaoggi sia la sede di chissà quali perverse manovre. Corretto
costume giornalistico vorrebbe che l'eventuale "ignoranza" fosse
tranquillamente corretta. A Bresciaoggi nessuno è titolare di verità
precostituite. Però si vorrebbe che l'accusa di ignoranza fosse
documentata.
(nota redazionale non firmata, ma redatta dal
prof. Renzo Baldo, responsabile della Terza Pagina)
Come termine
di confronto delle varie interpretazioni sullo sciopero di Manerbio,
riporto qui uno stralcio da Franco Gheza, Movimento cattolico e
dinamica sociale a Brescia (1945-1950), pubblicato in Brescia negli
anni della ricostruzione 1945 - 1949, a cura di R. Chiarini,
Micheletti, Brescia 1981, pag. 114-115 (le note sono alle pag. 139-140). |
Lo sciopero di Manerbio
I rapporti tra le correnti sindacali bresciane si
acuirono e giunsero ad un punto di rottura nei primi giorni del 1947. Uno
sciopero "selvaggio", la serrata dell'azienda, le contrastanti
versioni dei fatti e le accuse intercorse tra le correnti sindacali,
l'astensione dal lavoro per un paio di giorni dei dirigenti e impiegati
democristiani della Cdl, sono gli elementi di una vicenda che rivela le
differenze e contribuisce ad incrinare i rapporti tra le vecchie correnti
all'interno del sindacato unitario.
Il giorno 27 dicembre 1946 verso le cinque del mattino alcune operaie
provocavano l'inizio di uno sciopero al Lanificio Marzotto di Manerbio in
cui lavoravano circa 3.000 lavoratori, per la massima parte donne (116) Lo
sciopero si estendeva all'intero stabilimento senza che nessun membro
della commissione interna o del sindacato fosse al corrente dei motivi per
cui era stato iniziato. (117) I tre segretari della Fiot, il sindacato dei
tessili, si precipitarono immediatamente a Manerbio, ma i tentativi per
far riprendere il lavoro risultarono vani. Il giorno successivo si riuniva
la commissione esecutiva della Cdl.
Chi aveva organizzato l'improvviso sciopero? Quali le cause?
La richiesta più evidente era quella della quattordicesima anche per gli
operai, dato che gli impiegati l'avevano già ottenuta. (118) La vertenza
si aggravò notevolmente in seguito alla serrata proclamata dall'azienda e
all'intervento della Aib che scendeva in campo per assistere la direzione.
Nonostante alcune incertezze la commissione esecutiva della Cdl approvò
all'unanimità la decisione di far riprendere il lavoro. Recatisi sul
luogo, mentre il segretario democristiano propendeva a comunicare ai
lavoratori la decisione presa dalla Cdl, i segretari delle altre correnti
ritennero opportuno rimandare la cosa al giorno dopo. Per i sindacalisti
democristiani bisognava por termine allo sciopero "selvaggio" e
imporre il rispetto della disciplina sindacale (119) oppure
"abbandonare a se stesso chi non voleva aiuto" dalle
organizzazioni sindacali. (120) I dirigenti delle altre due correnti
invece avevano deciso nel frattempo di accettare il dato di fatto, di
mettersi alla testa degli scioperanti e, prese in mano le redini della
vertenza, "insegnare loro la strada giusta" (121) In realtà i
dirigenti socialisti e comunisti cercavano di ottenere maggiori simpatie e
adesioni in un settore in cui essi erano in minoranza. Perciò soltanto i
sindacalisti democristiani rimasero del parere di dare esecuzione al
deliberato della Cdl. La loro posizione fu resa nota alla stampa, ma
nessun lavoratore della corrente cristiana permise nei primi giorni
"atti di crumiraggio" (122), come si volle affermare in
successive accuse.
Dopo alcuni giorni, visti inutili i tentativi di far scendere in sciopero
tutti gli altri stabilimenti del gruppo Marzotto per solidarietà con gli
operai di Manerbio, i sindacalisti socialisti e comunisti scesero a
trattativa con la controparte. Un violentissimo attacco del giornale
comunista di Brescia additò i rappresentanti della corrente sindacale
cristiana come "gli autori del fallimento dello sciopero, i servi del
padrone, gli strumenti della reazione" ecc. (123) I sindacalisti e
gli impiegati democristiani allora si ritirarono in segno di protesta
dagli organismi sindacali chiedendo riparazione ai rappresentanti della
corrente comunista e sollecitando un'inchiesta confederale (124) Detta
riparazione veniva, sia pure molto a stento, e i democristiani ripresero
il loro posto di lavoro dopo un giorno e mezzo di assenza. (125)
Durante una riunione della commissione esecutiva di fine gennaio si
constatò che tra i dirigenti sindacali era impossibile trovare un accordo
sulle questioni lasciate in sospeso dalla vertenza di Manerbio e che era
"più facile accordarsi tra politici": pertanto fu deliberato di
rinviare la discussione a dopo l'incontro che sarebbe avvenuto tra i
segretari della Cdl e i segretari dei partiti. (126) Ancora una volta
appare evidente lo stretto legame tra movimento sindacale e partiti
politici, con la conseguente subordinazione del primo ai secondi: basti
aggiungere, infatti, che la mediazione dei contrasti tra le correnti
sindacali fu attuata in sede politica fin dall'inizio della vertenza.
(127) Anche la decurtazione dello stipendio che i socialisti e i comunisti
avevano deciso di effettuare ai funzionari della corrente cristiana in
seguito alle due giornate in cui essi erano stati assenti contribuì a
suscitare aspre polemiche. Poiché i politici avevano lasciato insoluto
questo particolare aspetto della vertenza, la corrente cristiana portò a
conoscenza dei lavoratori, nell'aprile, tale questione amministrativa
prima che venisse presa una decisione definitiva. Furono consegnati ai
lavoratori cristiani, ad opera delle Acli, dei ciclostilati da inviare,
dopo che fossero stati firmati, ai segretari socialista e comunista della
Cdl; in essi era espressa la condanna per "l'abuso perpetrato",
e si affermava che se entro la fine del corrente mese "l'assurda
decisione" non fosse stata riveduta, i lavoratori che aderivano alla
corrente cristiana si sarebbero riservati di versare parte dei contributi
ai rappresentanti della propria corrente. (128) I segretari socialisti e
comunisti, ironizzando sulla "spontaneità dei lavoratori
democristiani e delle loro minacce", decisero di procedere al
pagamento delle due giornate, ma non ritennero "liquidata la
questione morale". (129)
Gli strascichi negativi di questo scontro tra le correnti sindacali
perdurarono per alcuni mesi. Di rimando alle accuse dei socialisti e
comunisti di aver attentato all'unità sindacale (130), il segretario
della corrente cristiana affermò che in nessun modo essa era stata
minacciata, ma si era prospettata "semplicemente la divisione delle
responsabilità amministrative, e pertanto dell'amministrazione dei
contributi dei lavoratori", qualora la corrente cristiana non avesse
voluto condividere la responsabilità di atti amministrativi che si
svolgevano a sua insaputa o contro la sua volontà. (131)
Si approfondivano cosi ulteriormente i dissidi tra le correnti sindacali,
tanto più che i democristiani approfittarono del momento loro favorevole
per ribadire ancora una volta che la responsabilità degli avvenimenti
accaduti spettava interamente ai sindacalisti delle altre correnti. (132)
Il "caso Manerbio" ebbe ripercussioni anche fuori della
provincia di Brescia. Verso la fine del gennaio 1947, Giuseppe Rapelli,
allora segretario generale della corrente cristiana, elogiò il
comportamento dei sindacalisti cristiani di Brescia. (133) Più tardi, il
nuovo segretario Giulio Pastore chiese chiarimenti sui fatti che si erano
svolti per farne uso, se necessario, nelle discussioni precongressuali.
(134)
NOTE:
116. Gli iscritti al sindacato erano 2.869. I
risultati alle elezioni precongressuali saranno: Corrente Cristiana 1.111
voti; Corrente Socialista 828; Unità Sindacale 443.(A. Cisl, Congressi).
117. A. CISL, Verbali, vol. I, riunione
straordinaria, 28/12/1946.
118. A. CISL, Vertenze, lettera della segreteria
cristiana a G. Pastore, 22/5/1947.
119. "Bisogna intervenire in difesa della
disciplina sindacale violata da uno sciopero non autorizzato né promosso
da organismi sindacali, e nemmeno preceduto da richieste precise e
trattative fallite, come è invece prescritto dalla Statuto della Cgil"
A. BONARDI, L'unità sindacale in pericolo? in "Il Cittadino",
11/1/1947.
120. A. CISL, Verbali, riunione straordinaria. cit.
121. lbidem.
122. A. CISL, Vertenze, lettera della segreteria
cristiana a G. Pastore, cit.
123. Il retroscena dello sciopero di Manerbio, in
"La Verità", 12/1/1947.
124. Dopo lo sciopero di Manerbio, pericolo di una
rottura felicemente scongiurato, in Il Cittadino, 18/1/1947.
125. I sindacalisti democristiani rientrarono
soltanto quando i segretari socialista e comunista inviarono al segretario
democristiano della C.d.L. una lettera in cui si deprecavano i fatti dello
sciopero di Manerbio. Essi dovettero inoltre riconoscere che il tono di
certa stampa era stato esagerato e che essi "non avevano mai dubitato
della leale ed onesta collaborazione" prestata alla C.d.L. dalla
corrente cristiana. "Il Cittadino", 18/1/1947, art. cit.
126. A. CISL, Verbali, vol. II, 1(29/1/1947).
127. Ibidem.
128. A. CISL, Vertenze, copie di ciclostilati e
lettere.
129. A. CISL, Vertenze, lettera dei segretari
comunista e socialista alla C.d.L., prot. 2312, 26/4/1947.
130. Cosi il segretario comunista: "Non è la
prima volta che in sede di discussione tra noi segretari e nei sindacati,
quando c'è qualcosa di importante da discutere e siamo qualche volta in
contrasto, si è detto ancora 'caso mai noi rompiamo anche'. Queste parole
non significano affatto voler cementare l'Unità Sindacale". A. Cisl,
Verbali, vol. II, 1, (29/1/1947).
131. Affermò il segretario democristiano:
"L'unità sindacale è una cosa che funziona nei riguardi dei datori
di lavoro, contro i quali dobbiamo essere uniti a difendere l'interesse
dei lavoratori. Può darsi ad esempio che se non siamo soddisfatti della
situazione amministrativa, possiamo anche fare una amministrazione
separata". A. CISL, Verbali, vol. II, 1 (29/1/1947).
132. A. CISL, Vertenze, dalla circolare diffusa
dalla corrente cristiana: "Noi non riteniamo dì aver errato, e
precisiamo che l'errore è stato soltanto vostro, come attesta il fatto
che avete riveduto il vostro atteggiamento".
133. A. CISL, Congressi, Relazione di G. Rapelli al
Convegno dei Sindacalisti Cristiani svoltosi a Milano il 25/26/1/1947.
134. A. CISL, Vertenze, lettera di G. Pastore al
segretario democristiano, maggio 1947.
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