Caro Direttore,
l'articolo di Sandro Albini, "chiarezza necessaria", apparso in
prima pagina sull'ultimo numero del nostro giornale mi costringe a
disturbarti ancora per alcune precisazioni.
Senza entrare nel merito delle valutazioni personali che Sandro Albini
esprime sulla mia recensione al libro "I lavoratori cattolici nella
vita politica bresciana", vorrei precisare che non risponde al vero
che tale recensione si risolva in un libello antiaclista.
Nella recensione criticavo il tipo di interpretazione che gli autori
davano alla storia delle ACLI, ma non certamente le ACLI in quanto tali.
Anzi, nella parte conclusiva della recensione, sottolineavo la centralità
dell'ispirazione cristiana nella vita e nell'azione del nostro movimento,
aspetto questo che, a mio giudizio, era largamente trascurato dagli
autori.
Quanto all'ipotesi di Albini, che spiega la mia recensione come frutto di
una vendetta, ritengo che tali sospetti possano affiorare soltanto in chi
considera l'attività politica come sommatoria di intrighi, faide di
corrente, personalismi e sterili dispute. Personalmente ritengo che la
politica sia un servizio alla collettività e un impegno di lotta per
raggiungere una società diversa basata su ideali cristiani. Se talvolta
si verificano delle divergenze tra chi lotta per i medesimi ideali, queste
devono essere finalizzate alla ricerca della verità.
Fraterni saluti.
Maurilio Lovatti
Caro Direttore,
dopo Maurilio Lovatti che ha recensito nel modo che sappiamo il volume
"I lavoratori cattolici nella vita politica bresciana"
trascurandone - per sua stessa ammissione - interi capitoli,
"Bresciaoggi" ha pubblicato sullo stesso argomento la lettera di
Clara Pasini che mostra di non aver letto né il libro né le nostre
precisazioni alla recensione del Lovatti. Il che non impedisce alla Pasini
di spiegare agli autori del libro (che, tra l'altro, sono rappresentativi
di tutte le generazioni e di tutte le esperienze che hanno concorso a fare
le ACLI fin dalle origini) che cosa le ACLI sono state, per concludere
infine con ciò che dovrebbero essere.
Dove il Lovatti e la Pasini si mostrano particolarmente concordi è nella
volontà di ignorare completamente che il nostro é un libro di storia (e,
più precisamente, di storia politica) che domanda di essere giudicato
come tale e che attende giudizi unicamente sulla base di contestazioni
storiografiche documentate e non sulla base di ciò che ai recensori
piacerebbe fossero state le Acli di ieri o potessero diventare le Acli di
domani.
Forse é per questo che, di volta in volta, esce qualcuno a dire quel che,
nel libro, manca; prima i fatti sindacali, poi i fatti religiosi, poi...
aspettiamo. Evidentemente queste persone non hanno ancora imparato il
significato del termine "politica", altrimenti si sarebbero
accorte che i fatti sindacali sono riportati in relazione (e soltanto
quando sono in relazione) con i rapporti di forza tra i gruppi politici
operanti nella nostra provincia. Allo stesso modo si deve cercare la
presenza di fatti religiosi o ecclesiali, che entrano nella storia da noi
ricostruita soltanto quando riguardano i rapporti politici con la
gerarchia: ed é significativo che nessuno dei nostri detrattori abbia
sentito il dovere di citare lo scontro con mons. Quadri sul problema degli
assistenti e la relativa presa di posizione di don Agazzi. (Posizione
importantissima perché chiariva già allora il ruolo degli assistenti in
termini di piena autonomia per il movimento).
Indifferenti alla storia e ai documenti, il Lovatti e la Pasini spostano
il discorso sulle presunte scelte attuali degli autori del libro,
dimostrando quanto i loro giudizi sul volume siano strumentali, oltreché
superficiali. (Certo sarebbe interessante ad esempio se l'cn. Nicoletto,
del quale non a caso abbiamo riportato parte di un discorso del 1946,
dicesse qual'era il clima di quegli anni).
C'é stato comunque qualcuno, oltre a noi, che ha ricordato in questi
giorni quale fosse la realtà dei rapporti tra lavoratori cattolici e
lavoratori comunisti ai tempi della prima unità sindacale. Si tratta di
Franco Bentivogli, segretario generale dei metalmeccanici CISL e uno degli
esponenti della "sinistra" della confederazione. In una lettera
al "Corriere della Sera" del 6 febbraio u.s, intitolata
"Critica all'intervista di Lama sul sindacato", egli scrive tra
l'altro:
"La cosa più grave, a mio avviso, sono le
reticenze e le mezze verità su alcuni dei motivi centrali di dibattito e
anche di divisione nella storia sindacale del dopoguerra; in particolare,
i rapporti fra le diverse componenti confederali e il rapporto
sindacato-partiti. Nelle valutazioni sul Patto di Roma, sulla nostra
rottura e sul duro periodo degli anni '50, Lama insiste a ragione sulle
motivazioni direttamente politiche delle principali scelte e contrasti
sindacali sul peso della "guerra fredda" nelle nostre vicende
interne; sull'anticomunismo che costituì un cemento anche ideologico
fondamentale della nascita della CISL e poi della UIL. Nessuno del resto
ha mai voluto nascondere questi elementi; Lama però non aggiunge niente
su alcuni dei motivi di fondo che in particolare stavano sotto le scelte
anticomuniste. Non dice che su tale scelta pesarono le preoccupazioni non
meramente strumentali, ma coinvolgenti questioni fondamentali, relative al
destino della società italiana e al futuro di tutto il sindacato, ivi
compresa la CGIL. Il rifiuto dell'esperienza comunista da parte dei
sindacalisti che dettero poi vita alla CISL e UIL era legato al fatto che
questa allora si identificava, realmente e non ideologicamente, con il
modello sociopolitico sovietico.
Nel mondo cattolico, in particolare, il rifiuto dell'esperienza comunista
era inoltre legato ad altrettanti importanti - e sofferti - motivi
prepolitici, specie attinenti ai rapporti tra assetto istituzionale dello
Stato e libertà religiose. Infine, pesava su molti dirigenti e militanti
sindacali non comunisti l'esperienza personale della spregiudicatezza di
comportamento della corrente maggioritaria all'interno della CGIL unitaria
e della sua rigida subordinazione alle direttive esterne del PCI. Su
questi punti é grave aver taciuto, tanto più che non mancano nell'area
comunista analisi storiche più aperte di quelle di Lama. Esistono
riconoscimenti autorevoli che sui rapporti unitari e sul rapporto
sindacato-partiti influirono negativamente - specie all'inizio - i modi
con cui "i militanti comunisti fecero a volte pesare metodi di
direzione acquisiti nella lotta partigiana" (Amendola) e una
concezione del sindacato che identificava la sua democrazia interna
"come una sorta di mediazione (nel migliore dei casi) fra le diverse
correnti partitiche, e non assumeva la partecipazione e l'autonomia come
un valore del movimento operaio che permane anche in carenza di un'unità
sindacale" (Trentin) e che anzi é l'unico valore necessario per
permettere un fondamento stabile dell'unità"
Se dopo ciò il Lovatti vorrà insistere ancora sul
nostro "anticomunismo viscerale", liberissimo. Non è in nostro
potere impedire l'esercizio dell'ignoranza e della malafede.
Le posizioni delle ACLI, di ieri e di oggi, sono comunque abbastanza
chiare per non lasciarsi confondere o svendere da persone come la Pasini
che parla di una "società socialista" che non esiste in nessuna
scelta del movimento (e confondendo poche righe dopo
"socialista" con "sociale") o come del Lovatti che ha
un tal concetto dell'autonomia del movimento da suscitare l'interessamento
dei probiviri.
Fa piacere comunque che il senso vero del nostro lavoro sia stato capito
da molti lettori. Più d'uno, in questi giorni, ci hanno detto: in realtà
voi non avete fatto una critica del comunismo, ma dei ritardi culturali e
politici del movimento cattolico di fronte alla rivoluzione industriale e
della drammatica impreparazione dei lavoratori cattolici nei momenti delle
scelte più importanti, richiamando infine gli aclisti alle loro
responsabilità e possibilità future. Proprio così, ma l'amico che
faceva queste osservazioni non é uno pseudointellettuale verniciato di
marxismo. E', semplicemente, una persona intelligente.
Pietro Segala
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