M.T. Bonafini, M. Faini, R.
Fracassi, A. Rivali, P. Segala I lavoratori cattolici nella vita politica
bresciana - San Gallo Editore, Brescia 1976, pagg. 216, £. 4.000.
Aspetti ed episodi della vita politica del secondo
dopoguerra vengono ricordati sovente nel dibattito politico attuale.
Argomenti di attualità, come l'unità sindacale, il governo di emergenza,
l'unità dei partiti antifascisti trovano la loro origine in questo
sofferto ed importante periodo della vita nazionale. Per questo, studi
storici relativi a quel periodo sono quanto mai opportuni, specie se
riferiti alla situazione locale bresciana.
E' questo uno dei motivi di interesse che presenta il volume recentemente
pubblicato che affronta il periodo dal 1945-50. Gli autori del libro sono
tutti noti militanti aclisti. Il gruppo che hanno formato non è un
aggregazione casuale. La prossima primavera, infatti, si terrà il
congresso provinciale di rinnovo delle cariche delle Acli e i cinque
autori costituiscono il vertice di un'aggregazione largamente minoritaria
caratterizzata da un orientamento moderato e conservatore e da un solido e
crescente legame con la vita politica della DC. Il libro avrebbe quindi lo
scopo di pubblicizzare questo gruppo di aclisti che nei fatti si batte per
cancellare quella se pur non totale autonomia dalla DC che le Acli
bresciane ancora mantengono, anche se, a parole, ovviamente essi affermano
di condividere la scelta del pluralismo operata dalle Acli. Questo
orientamento "neo-collateraIista" è però contrastato non solo
dalle sinistre Acli, ma anche da consistenti settori e autorevoli
esponenti della stessa maggioranza che dirige attualmente le Acli.
Nella conclusione gli autori accennano di sfuggita alla mancanza di
qualsiasi tesi precostituita che abbia orientato la raccolta e
l'unificazione del materiale. Con questo gli Autori si auto-attribuiscono
una patina di obiettività. Ma non ci pare si possa, pur con il massimo
della buona volontà, prendere per vera tale affermazione, quando leggendo
il libro emerge con evidenza che gli autori assumono alcune ipotesi, senza
mai affermarle esplicitamente. La prima è un viscerale anticomunismo che
permea tutto lo scritto e spesso funge da elemento discriminante nella
selezione dei fatti e degli episodi riportati. Gli autori affermano di
nutrire il sospetto "moltiplicato dalla guerra fredda, di un doppio
gioco da parte dei comunisti che si spaccerebbero come difensori della
democrazia solo per guadagnare la forza sufficiente a schiacciarla con una
dittatura che, per il fatto di essere rossa, non sarebbe migliore di
quella nera appena cancellata. Sulla sincerità della vocazione
democratica dei comunisti sono gli stessi lavoratori cattolici a fare le
prime esperienze negative. Gli oratori Dc nelle fabbriche sono duramente
contrastati e praticamente impediti di parlare, gli albi murali Dc sono
sistematicamente danneggiati. Gli stessi attivisti Dc sono esposti agli
scherni e spesso alle minacce degli attivisti comunisti che dominano
totalmente l'ambiente, quasi a prefigurare ciò che saranno le fabbriche
quando il Pci avrà conquistato il potere" (pag.27).
Intendiamoci. E' innegabile che l'anticomunismo fosse un importante
elemento di aggregazione del mondo cattolico italiano. Era quindi giusto e
doveroso cercare di ricostruire il clima e i toni della rovente propaganda
anticomunista, come fanno lodevolmente gli autori, riportando ampi stralci
de La voce del popolo e de Il Cittadino. Ciò che non convince è la
giustificazione di tutte le azioni, anche le più squallide, compiute
dalla componente cristiana del sindacato con il pretesto della
prevaricazione, delle minacce e del pericolo dei "rossi". Così,
ad es., quando nel dicembre 1946 al Lanificio Marzotto di Manerbio gli
operai decidono a stragrande maggioranza uno sciopero per sbloccare una
vertenza aziendale, la cosiddetta componente cristiana del sindacato (in
realtà sempre più democristiana e sempre meno cristiana) decide di
invitare i lavoratori al crumiraggio. Gli autori anziché stigmatizzare
tale comportamento, lo giustificano adducendo a pretesto l'esistenza di
voci che asserivano che qualora l'agitazione fosse continuata, la ditta
sarebbe stata "indotta a rivedere un certo progetto per la
costruzione di case per i dipendenti".
Un'altra gravissima carenza riguarda la storia del sindacato: la
designazione dei segretari da parte dei partiti nel maggio del '45, il
primo congresso della Camera del lavoro nel maggio del '47, la rottura
dell'unità sindacale nel luglio del '48, e la costituzione della libera
Cgil il cui primo congresso si tiene nell'ottobre dello stesso anno. Ma è
una storia tutta istituzionale, attenta solo all'evolversi dei rapporti
politici e diplomatici tra le tre componenti sindacali, la cattolica, la
socialista, la comunista. Le lotte dei lavoratori sono scrupolosamente
ignorate. Così gli autori dimenticano di citare importanti battaglie
salariali e normative conclusesi con il successo dei lavoratori. Ad es.
alla Marzoli di Palazzolo sull'Oglio, per la prima volta in Italia,
vengono conquistati 12 giorni di ferie all'anno; a Brescia, nel giugno del
'46 viene siglato l'accordo sulle festività che poi sarà esteso a tutto
il Paese, così come l'accordo per la scala mobile che farà testo in
tutta Italia. Viene siglato in quel periodo il patto colonico che porterà
l'imponibile di mano d'opera a 12 unità più due ogni cento piò.
Egualmente sono tralasciate varie vertenze di fabbriche cittadine (viene
fatto solo di sfuggita, in appendice, un cenno alla vertenza per i
contributi e le liquidazioni).
Ma evidentemente non si tratta di dimenticanza. Se gli autori avessero
sottolineato i risultati positivi che il sindacato unitario aveva
consentito di conquistare ai lavoratori, non avrebbero potuto descrivere
la scissione sindacale come inevitabile conseguenza della "minaccia
insurrezionale" comunista. Con linguaggio apocalittico, gli autori,
invece, raccontano così lo sciopero generale seguito all'attentato a
Togliatti: "A Brescia come nel resto d'Italia c'è un'atmosfera cupa.
Lo sciopero generale, le squadre degli operai comunisti che percorrono la
città per imporre la chiusura dei negozi, l'occupazione degli
stabilimenti, la notizia dei gravi incidenti verificatisi ad Abbadia San
Salvatore, in provincia di Siena, tutto fa pensare allo scoppio più o
meno preparato di un moto insurrezionale. C'è del resto l'esempio recente
della Cecoslovacchia, dove il PC si è avvalso della mobilitazione dei
sindacati per impadronirsi del potere, a dar fondamento a questi
timori" (pag.112).
Eppure la rottura dell'unità sindacale era un danno soprattutto per i
lavoratori, che perdevano gran parte della loro forza. Era una vittoria
degli industriali e della DC che, estromesse le Sinistre dal governo,
nonostante si fossero impegnate costruttivamente per la ricostruzione del
paese, temeva che la forza dei lavoratori potesse contrastare la sua
politica economica. Ma evidentemente i nostri Autori, più che alle
esigenze dei lavoratori, sono sensibili agli interessi politici della DC.
Va comunque notato che, nonostante le evidenti intenzioni apologetiche
(Faini si dichiara "democristiano senza riserve" - pag. 79), il
ritratto della DC che esce da queste pagine non è certo il migliore.
Anche con tutta la loro benevolenza gli Autori non possono tacere alcuni
episodi. Nel settembre del '46 si tiene il secondo congresso provinciale
democristiano. La "sinistra" democristiana si presenta per la
prima volta sulla scena (nel primo congresso si era manifestata una
generale unità del partito) ma anziché caratterizzarsi politicamente, i
leader della corrente, Pedini e De Zan, organizzarono un'abile manovra
elettorale che pone il segretario uscente Donati in minoranza in seno al
nuovo Comitato provinciale. Ma, subito dopo, i contrasti interni dividono
lo schieramento e Donati viene rieletto segretario. Nel '47 Donati si
dimette in seguito ad un'altra manovra e Boni assume misteriosamente la
carica di "segretario provvisorio" (il Cittadino dell'epoca non
ne fa cenno e la notizia viene resa pubblica solo nel dicembre, in
occasione del terzo congresso provinciale). Le dimissioni in seguito a
manovre orchestrate non sono un fatto nuovo. Anche il segretario
provinciale precedente Cancarini si era dimesso in seguito alle elezioni
del '46, per protestare contro la manipolazione delle preferenze che aveva
impedito la sua elezione alla Camera. Un solo giudizio degli autori sulla
DC appare condivisibile; è quello su Bruno Boni: "Boni, finche
potrà, cercherà di non dover fare i conti con correnti o gruppi
organizzati favorendo piuttosto le formazioni corporative e le ambizioni
dei singoli, che una reale dialettica di idee che potrebbe mettere in
discussione il suo potere. Certo, con l'avvento di Boni alla segreteria
politica il declino dei notabili in qualche modo legati ad una concezione
conservatrice e clericale del partito viene accelerato, ma la progressiva
trasformazione di Boni in super-notabile impoverisce un processo di reale
democratizzazione del partito" (pag.95).
Anche leggendo questo libro appare dunque chiaramente che le faide di
corrente, i personalismi e gli intrighi non sono solo un momento
degenerativo della DC attuale, ma l'essenza di questo partito fin dalla
sua nascita. Il vizio di fondo degli autori nell'analizzare la DC come le
Acli consiste nel limitarsi ad un'arida elencazione di episodi, date,
convegni e congressi, liste di eletti e organigrammi. Manca un'analisi e
valutazione critica che affronti il tipo di evoluzione, anche ideologica e
culturale, delle varie articolazioni che componevano il mondo cattolico.
In particolare, viene completamente tralasciata la specificità delle
Acli, quale organizzazione del movimento operaio cristianamente ispirata.
L'attività che le Acli svolsero per la promozione.dei lavoratori
cristiani, il loro modo di vivere lo "specifico cristiano" e la
loro attività di apostolato ed evangelizzazione sono incredibilmente
trascurate, come se il ruolo delle Acli si esaurisse nell'anticomunismo e
nel collateralismo nei confronti della DC. Eppure per gli aclisti vivere
la fede cristiana e impegnarsi conseguentemente nel movimento operaio non
è mai stato un aspetto di secondaria importanza. Lo stesso Pio XII, nel
discorso del 12 marzo '45, definì le Acli come "cellule
dell'apostolato cristiano moderno" E' vero, come abbiamo notato, che
gli autori dichiarano di volersi mantenere "obiettivi". Ma così
come non hanno lesinato la polemica anticomunista, avrebbero potuto
esprimere qualche valutazione culturale e politica sul mondo cattolico di
quegli anni. In conclusione si ha l'impressione di un libro poco utile ai
militanti aclisti di oggi che volessero trarre dal passato un insegnamento
per il loro impegno quotidiano. Un'occasione mancata, dunque.
Maurilio Lovatti
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