Rinunciando ad un suo contributo al
dibattito precongressuale già predisposto, il direttore di Battaglie
Sociali, nella sua veste di responsabile del giornale, ritiene di dover
intervenire nel merito di affermazioni contenute nell'articolo a fianco
pubblicato.
Solo per amore di verità ci troviamo costretti ad
alcune precisazioni in merito ai contenuti dell'articolo di Lovatti, tra
l'altro cosi palesemente teso a strumentalizzare organismi e vicende
estranee alle Acli nel tentativo di dimostrare tesi altrimenti
insostenibili.
Per ciò che riguarda il legittimo impegno degli amici Bonafini e Ghidini
(fino a quando vi è rimasto) all'interno della FIM-Cisl di Brescia - che,
sia detto per inciso non è anche per sua scelta una organizzazione del
mondo cattolico bresciano - va chiaramente detto che non era finalizzato
ad un collateralismo con la DC, ma alla ripresa di capacità da parte
della FIM-Cisl bresciana di testimoniare ancora una positiva esperienza di
partecipazione, di democrazia interna, in una linea di sviluppo dei
consigli, in una unità sindacale che non fosse mortificazione delle
diverse esperienze culturali e politiche.
In questo loro impegno non hanno mai cercato di coinvolgere le ACLI,
contrariamente a quanto qualcuno afferma qua e là; su ciò che hanno
sostenuto si può essere più o meno d'accordo, ma non è sicuramente
corretto contrabbandare strumentali tesi di comodo, quale quella sostenuta
dal Lovatti, su una vicenda esterna al movimento nel maldestro tentativo
di dimostrare il fine "segreto" di Albini e amici: portare le
ACLI ad essere collaterali alla DC.
Potremmo persino giurare che non è così, ma questi amici non ci
crederebbero lo stesso; la "cultura del sospetto" è talmente
forte che si credono veri quelli che in realtà sono, in assenza di fatti
probanti, fantasmi della propria mente.
Ma la migliore garanzia per questo è ciò che veniamo dicendo da più di
due anni a questa parte non è la elaborazione personale di Sandro Albini,
ma il frutto di un lavoro di ricerca, di confronto, di esperienze di base
a cui molti dirigenti di circolo, che non rinunciano come noi alla
possibilità di far politica in proprio, hanno contribuito, riscoprendo
una loro dimensione dirigenziale per l'intero movimento.
2. Il Lovatti sostiene che la collocazione delle
ACLI nel mondo cattolico è una cosa scontata; è vero, per molte realtà
delle ACLI. Per altre, anche in provincia di Brescia, ciò non è stato e
non è.
Chi, avendo ricevuto la grazia dell'intelligenza ha deciso anche di
usarla, non può certo dimenticare il significato profondo di certe
esperienze nelle ACLI: lavorare per la diaspora, operare per una
contrapposizione tra ACLI e Chiesa, riferirsi ancora al mondo cattolico
per tentare in esso operazioni di traghetto (portare i cattolici da una
area di influenza politica ad un'altra), lavorare e portare avanti analisi
in grado di sconfiggere la presenza del mondo cattolico nella realtà
italiana. E i dirigenti di base conoscono i risultati di tutto ciò:
isolamento dalle realtà locali, spesso contrapposizione tra ACLI e
comunità ecclesiale.
Tutto ciò teorizzato con l'esigenza di uscire dal mondo cattolico per
potersi inserire a pieno titolo nel movimento operaio. I dirigenti di base
queste cose le sanno. Le ricordano meglio di tanti che oggi fingono che
questi problemi non siano neppure esistiti, quasi che possiamo, come
movimento, vivere giorno per giorno dimenticandoci delle nostre
esperienze, positive o negative che siano.
3. Per quanto riguarda l'affermazione del Lovatti
per cui sembrerebbe che Albini proponga, in sostanza, l'inconciliabilità
tra l'essere nel mondo cattolico e nel movimento operaio non possiamo che
allargare le braccia e operare. Sperare che le cose che diciamo vengano
colte per quello che sono; gli aclisti avranno sicuramente letto gli
articoli, le relazioni, i documenti presentati.
Se occorre andranno a rivederli (anche quello citato da Lovatti) e non
potranno mancare di accorgersi che il problema è di come essere presenti
nel mondo cattolico e nel movimento operaio.
Cioè, con quale proposta politica, con quali
riferimenti culturali, con quale linea strategica, con quali alleanze, con
quali rapporti con le altre realtà cattoliche. Tutto questo noi abbiamo
indicato nelle nostre tesi, ma ancor prima nella nostra azione nelle ACLI.
Non si vuole sfuggire, quindi, a nessun problema, da tempo andiamo
sostenendo la necessità di interpretare, di testimoniare nella nostra
società la fecondità della tradizione cattolico-democratica, per il
rilievo storico che ha avuto e per le potenzialità di trasformazione
della nostra società che ancora contiene. E' una scelta, questa, non
integralistica, ma progressista, che sa porsi a confronto con le altre
proposte culturali e politiche nel nostro Paese. Non è compito nostro,
noi crediamo, diventare invece gli araldi di altre proposte culturali.
Se qualcuno lo volesse fare, lo dica; negli anni passati molti dirigenti
aclisti esprimevano chiaramente la loro volontà di interpretare una nuova
ipotesi per i lavoratori cristiani.
Alcuni si sono ricreduti, altri preferiscono tacere. Ma non si può,
rubando magari le parole a qualche nostra elaborazione (nel documento sul
quale si è votata la Presidenza Albini si dice testualmente ".. ad
un confronto con le altre realtà del mondo cattolico, per porsi come
punto di riferimento e interprete del patrimonio storico e delle
aspirazioni presenti in larghe masse popolari cattoliche cercando di far
maturare tra dì esse i valori che il movimento operaio ha storicamente
affermato"; allora si votò contro questo documento sempre con la
immancabile tesi, tra le altre, che si volesse il collateralismo con la
DC), risolvere il problema dicendo soltanto che si vuole costruire un polo
progressista, autonomo, pluralista, ecc.
Con quali analisi, con quali mediazioni culturali, con quali alleanze e
strategie, con quali obiettivi politici si sostanzia tutto ciò?
A questo noi, non da oggi, abbiamo cercato di dare le necessarie risposte,
nella convinzione che le ACLI non possono ridursi ad essere sempre e
soltanto luogo di confronto tra tesi diverse e a volte contrapposte.
Abbiamo fatto questo con la necessaria libertà dai
luoghi comuni, confrontandoci seriamente con la crisi delle
"certezze" del passato, dei vecchi e dei nuovi miti, dei vecchi
e nuovi "santi", cercando di superare il blocco mentale che
prende molti quando si deve parlare delle differenze.
Ciò che pensiamo è conosciuto, e su quello chiediamo il consenso o che
si esprima un motivato dissenso.
4. Ma ciò che è più miserevole e strumentale
nell'articolo del Lovatti è il tentativo di contrapporci alla azione del
Vescovo e della Pastorale del Mondo del Lavoro. A queste aberranti
valutazioni si potrebbero contrapporre documenti, articoli, fatti
concreti.
Basta da solo, credo, l'impegno che abbiamo dentro le ACLI, di cui ancora,
purtroppo, il Lovatti non conosce la storia e lo spirito che anima i suoi
dirigenti e militanti.
Renzo Fracassi
|