La Cooperativa "San Gallo" di
Brescia ha presentato nei giorni scorsi due volumi di sua edizione:
"I lavoratori cattolici nella vita politica bresciana" e
"Né servi né padroni".
Cos'è anzitutto la "San Gallo"?
Leggiamo nel risvolto di copertina di uno dei due volumi:
"l'espressione di un gruppo di iniziativa culturale che, rifacendosi
alla tradizione cattolico-democratica e particolarmente ai contenuti da
questa assunti nelle esperienze dell'associazionismo operaio, intende
esprimere una presenza critica, aperta al dialogo e al confronto...".
Parliamo ora del primo dei due volumi, riservandoci di occuparci in un
prossimo numero dell'altro.
I lavoratori cattolici, come dice il titolo, sono i protagonisti del
volume realizzato dalla collaborazione di cinque amici che hanno messo in
comune le loro esperienze di militanti nella DC, nella CISL e nelle ACLI.
Si tratta di M.T. Bonafìni, M. Faini, R. Fracassi, A. Rivali, P. Segala.
Anche se la vicenda narrata riguarda essenzialmente gli anni 1945-50, il
lavoro prende le mosse da lontano per rispondere alla domanda: i
lavoratori cattolici, a Brescia, hanno mai avuto, prima d'ora, una loro
autonomia culturale e politica? Gli autori dicono senza ambagi, e con
corredo di dati e di argomenti storici, di no. La dimostrazione è
sostenuta anche da una sottile analisi della psicologia particolare del
lavoratore cattolico in tutti gli anni che seguono l'Unità e che arrivano
al secondo dopoguerra: un'analisi che - ci sembra -non era mai stata fatta
prima e che serve a spiegare molte cose di quella vicenda.
Ma i capitoli centrali, dicevamo, sono quelli che muovono dall'indomani
della Liberazione (aprile '45). E qui troviamo una ricostruzione accurata
dell'ambiente politico bresciano e soprattutto dei delicati rapporti tra
DC, corrente sindacale cristiana, ACLI, partiti di sinistra. In
particolare è ben lumeggiata la condizione dei lavoratori cattolici nei
momenti più duri della guerra fredda e le responsabilità del comunismo
italiano e brescia-no, allora stalinisti tutti d'un pezzo, nel creare le
premesse per la rottura dell'unità sindacale del '48. Dal settembre di
quell'anno la posizione dei lavoratori cattolici viene a collocarsi in
termini diversi: sono nati i "sindacati liberi", le ACLI si
pongono alla ricerca di un nuovo spazio e di un nuovo ruolo, essendo
esaurito quello di supporto organizzativo della corrente cristiana. Le
lotte sindacali e politiche, per questo, non vengono meno certamente e il
volume si intrattiene su alcune delle più significative. Si arriva così,
col 1950, alla nascita della CISL e alla qualificazione delle ACLI come
"movimento sociale dei lavoratori cristiani". Il volume chiude
con un capitolo, "Conclusioni", che allaccia quel 1950 ai nostri
giorni.
L'interesse del lavoro è assicurato dalla rigorosa serietà
dell'impostazione che non indulge a tentazioni propagandistiche
(frequenti, anzi, gli spunti critici e autocritici) e dall'abbondante
documentazione distribuita nel corso della narrazione storica e nell'ampia
appendice dove ritroviamo vecchi discorsi, vecchi nomi di carissimi amici,
alcuni scomparsi, altri - molti altri - tuttora vivi e operanti nella vita
sociale e politica bresciana. Molto ricca e interessante anche la
documentazione fotografica che comincia con una stampa allegorica di una
società cattolica di mutuo soccorso, per allineare quindi foto di
assemblee sindacali, acliste, democristiane (particolarmente interessante
il gruppo dei delegati bresciani al congresso nazionale del partito del
1946). Numerose le riproduzioni di giornali del tempo e perfino di
vignette di propaganda elettorale, democristiane e comuniste, del 1948.
Un fittissimo indice dei nomi di persona citati (oltre 300) chiude il
volume che riuscirà prezioso agli studiosi di storia bresciana recente e
graditissimo ai molti che in quelle pagine di storia si ritroveranno.
V'è anche, tuttavia, qualcuno al quale il volume non è riuscito gradito,
e precisamente al quotidiano Bresciaoggi, il quale in una lunga recensione
in data 25 gennaio, di un certo Maurilio Lovatti, trova che il
libro è affetto da "anticomunismo viscerale".
In realtà il libro non è né anticomunista né viscerale. Esso ha il
solo torto agli occhi del recensore del quotidiano, di ricordare come il
PCI bresciano, i suoi dirigenti, i suoi attivisti di fabbrica, fossero in
quegli anni duramente stalinisti, spesso minacciosi - non solo a parole -
nei confronti di chi, come gli operai cattolici, non era disposto ad
accettare una nuova dittatura.
Certo ricordare quei tempi, quella mentalità, quei metodi dà sempre
fastidio ai comunisti, impegnatissimi a far dimenticare il proprio passato
remoto e prossimo. Ma la storia è quella che è e il libro giustamente (e
documentatamente) la ricorda ai lettori, lasciando ad essi di ricavarne i
motivi del caso.
Apollonio Febbrari
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